Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

09 maggio 2014

L'Italia che non può fare una buona legge sull'immigrazione
il Venerdì della Repubblica, 09-05-14  
Come a ogni vigília elettorale, è scattato anche stavolta l'allarme sbarchi clandestini. Per meta problema è reale, per metà speculazione politica, ed è diventato ormai difficile fare sull'immigrazione un discorso non si dice civile, ma almeno di buon senso. L'Europa non ha una politica comune sull'immigrazione, come non l'ha su tutte le questioni più importanti nella vita dei Cittadini, dal lavoro al fisco, dalla politica estera alla difesa al debito pubblico. Gli Stati europei viaggiano ciascuno per conto proprio, con politiche locali fatalmente limitate in tempi di globalizzazione. L'Italia, fra tutti, non ha nemmeno una vera e propria legge sull'immigrazione.
La Bossi-Fini, de facto, non è una legge sull'immigrazione ma un prowedimento sul mercato del lavoro, per essere precisi una legge a favore del lavoro nero. Non è servita a limitare la clandestinità, come testimoniano le cifre degli sbarchi, ma piuttosto a garantire un'enorme massa di manodopera a basso costo, legioni di stranieri senza diritti dísposti a lavorare in qualsiasi condizione e a salari ridicoli, a tutto danno dei lavoratori italiani. L'inganno populista però ha funzionato alla perfezione. Gli operai che hanno perso il posto per colpa della Bossi-Fini, e sono una moltitudine, sono i più strenui op- positori a un cambiamento delle politiche sull'immigrazione, visto come un pericoloso abbassamento della guardia,
Oltre a non avere una vera legge sull'immigrazione, non abbiamo neppure una legge sul diritto d'asilo. Molti dei poveri cristi che sbarcano sulle nostre coste sono in realtà famiglie in fuga da guerre. Guerre che sono peraltro combattute con armi europee e fomentate dalle fiorenti industrie d'armamenti tedesche, francesi, italiane, inglesi. Quando si usa la retorica dei «aiutamoli a casa loro», ecco bisognerebbe considerare che il primo passo per aiutarli a casa loro è non vendere armi. Come dice anche il papa, mica Lenin. La maggior parte dei poveri cristi non vorrebbe fermarsi in Italia, ma vi è costretta sempre dai vincoli della legge italiana. Una legge europea sul diritto d'asilo risolverebbe la gran parte dei problemi di Lampedusa e dintorni.
Il fatto è che per fare una legge seria sull'immigrazione bisognerebbe mettere intorno a un tavolo chi davvero e sul campo lavora su migranti e rifugiati, le associazioni di volontariato cattoliche e laiche, quelle dei migranti, la Caritas, Libera, l'Arci, le chiese evangeliche, un pugno di sindaci eroici, a partire da Giusi Nicolini di Lampedusa. Fin tanto che saranno politicanti ignoranti e affamati di voti a decidere, non ne usciremo mai.



Profughi. I Comuni: "Bene segnali del governo su accoglienza"
Il sottosegretario Delrio assicura la creazione di un sistema concertato con gli enti locali. Pighi (Anci): "Bene, serve una governance basata su regole, programmazione e sostenibilità"
stranieriinitalia.it, 09-05-14
Roma - 9 maggio 2014 - Il Sottosegretario Delrio ha risposto ai Presidenti di Anci, Conferenza delle Regioni e all’UPI in merito al recente intensificarsi dei flussi non programmati di cittadini extracomunitari.
Nella lettera si legge che il Governo “confida di rendere il sistema concertato con ANCI, UPI e Conferenza delle Regioni, metodo ordinario e non derogabile di gestione del fenomeno migratorio e, conseguentemente, di rafforzare il rapporto di leale collaborazione”, dando mandato al tavolo dicoordinamento nazionale di “elaborare un programma strutturato che, in modo permanente e tenuto conto delle indicazioni fornite dai tavoli regionali, affronti le singole problematiche e si faccia promotore presso il Governo degli interventi necessari sotto il profilo amministrativo, in ordine ad eventuali proposte di modifica normativa, in ordine ai rapporti internazionali o interni alla UE”.
“La comunicazione che ci arriva dal Sottosegretario Delrio - sottolinea Giorgio Pighi, Sindaco di Modena e Responsabile ANCI per l'immigrazione - rappresenta un cambiamento importante nell’impostazione della gestione dei flussi e risponde in maniera convincente a quanto richiesto dalle Autonomie in sede di conferenza unificata lo scorso 16 aprile”.
'E’ chiaro - prosegue Pighi - l’intendimento di tornare a un metodo di piena concertazione con i territori abbandonando un approccio che per rispondere all'emergenza crea problemi nei territori. Bisogna rispondere all'emergenza favorendo il più possibile una governance basata su regole, programmazione e sostenibilità".
Già mercoledìscorso, nel corso di un confronto con gli enti locali, "Il Ministero dell’Interno si è impegnato a emanare quanto prima il decreto di riparto delle risorse per i comuni dello SPRAR e ad attivare tutti i posti disponibili nella rete. Sono segnali che vanno nella giusta direzione"
Nel rilevare che "i Comuni sono a fianco del Governo nell’affrontare questa fase complessa dell’accoglienza, purché ci siano le condizioni minime per operare con efficacia e nel pieno riconoscimento dei ruoli e delle responsabilità di ciascuno", Pighi conclude ricordando che"come ANCI abbiamo chiesto inoltre di affrontare la delicatissima problematica dei minori stranieri, modificando alcune regole ed erogando gli stanziamenti previsti".



Migranti, fuga dal Cie di Siculiana E Pansa: «C'è pericolo terrorismo»
Intanto a Messina sono giunte altre 292 persone
Corriere.it, 08-05-14
AGRIGENTO - Il tragitto da Siculiana ad Agrigento, ancora una volta teatro di fuga dei migranti. Questo pomeriggio centinaia di ospiti della struttura "Villa Sikania", diventata centro accoglienza, sono fuggiti per raggiungere il capoluogo di Provincia e probabilmente i pullman per il nord Italia.
    Hanno abbandonato la struttura "Villa Sikania" per raggiungere Agrigento. In gruppo ancora una volta hanno percorso la Strada statale 115.
ARRIVI - Intanto proseguono gli sbarchi. Sono duecentonovantadue i migranti di diverse nazionalità, soccorsi nel Canale di Sicilia da una nave mercantile, e giunti stamani nel porto Messina. Lo comunica la Prefettura di Messina aggiungendo che stanno per essere accompagnati in Fiera, in uno spazio allestito appositamente dal Comune e dalla protezione civile. I profughi saranno trasferiti entro questa sera in alcuni centri d'accoglienza. La tendopoli è infatti piena e il Palanebiolo è stato dichiarato inagibile dall'Asp. In questo momento è in corso un vertice in Prefettura per esaminare la situazione.
PERICOLO TERRORISMO - Sugli sbarchi continui interviene anche il capo della polizia Alessandro Pansa: «Insieme ai disperati in cerca di pane e diritti possono arrivare in Europa anche militanti o potenziali militanti di organizzazioni terroristiche, queste organizzazioni sono coinvolte nel traffico di migranti».



Il razzismo degli immigrati: "Non vogliamo stranieri"
In Italia si sono rifatti una vita, ora ci criticano per le frontiere aperte
il Giornale, 09-05-14
Andrea Acquarone
Ci siamo beccati pure il razzismo d'importazione nel Belpaese che non si fa mancare mai nulla. Nel bene e nel male. Chi l'avrebbe mai detto? Diseredati stranieri, disperati in cerca di nuova vita, esuli, profughi, quelli arrivati a nuoto o nascosti nei Tir, piuttosto che in aereo camuffati da turisti, braccia da lavoro o da delinquenza.
Beh, una volta al «sicuro» pure loro si combattono. Intolleranti e sprezzanti, spesso più di coloro che accusano di xenofobia. Comunità contro, questioni di razze, etnie, religioni, color della pelle, talvolta sordide rivalità paesane. «Guerra tra poveri» direbbero le anime belle. Forse, più semplicemente e banalmente, questione di umani istinti resi più feroci da una pressione sociale esplosiva, si potrebbe obiettare realisticamente.
«No se puede vivir aqui, troppi stranieri sono pericolosi», inorridisce Salvadora. «Y lo digo yo que soy negra!». Già lo dice lei che è nera. A Milano da 20 anni, ex cuoca di un console francese, cresciuta nella Milano «da bere», inorridisce camminando per via Padova, vent'anni fa strada di negozi e appendice verso il centro; oggi sorta di famigerata enclave extraterritoriale. All'amica italiana, che in questo nastro d'asfalto è costretta a viverci, dà un consiglio: «Scappa da qui, troppi delinquenti, troppi stranieri». Lei nicaraguense con cittadinanza nostrana, rasenta lo sciovinismo. Le concedessero il voto lo darebbe a chiunque promettesse di chiudere le «nostre» frontiere.
«L'etnicizzazione nei paesi anglosassoni e in particolare negli Stati Uniti si è sempre alimentata della competizione fra immigrati; tanti ?vecchi? immigrati inclusi in Francia sono diventati lepenisti così come tanti terroni del nord e del sud integrati nella Padania sono diventati leghisti. E ora lo diventano anche i ?riusciti? fra immigrati stranieri», scriveva il sociologo Salvatore Palidda. Aggiungendo: «La cosa di cui si parla meno, che sembra paradossale, è la salita dell'intolleranza anche interna alle popolazioni immigrate».
Somiglia alla storiella del bue che dà del cornuto all'asino. Basta incontrarli, ascoltarli questi immigrati di vecchia generazione (o di ultima) adesso magari benestanti e professionalmente inseriti per rendersi conto di quanto spesso siano loro i primi a disprezzare la «feccia» dei clandestini. Degli ultimi arrivati «che rubano, spacciano o si vendono sotto i lampioni». Gente proveniente dai loro stessi paesi. Ecco così il piccolo artigiano albanese incazzato marcio con i connazionali sbarcati sui gommoni. Il marocchino che non sopporta l'egiziano; il sudamericano che non tollera il cinese «che apre negozi dappertutto e vende schifezze»; la domestica filippina idrofoba per la concorrenza di affascinanti badanti piombate dall'Est. Tutti contro tutti in questa Babele crudele.
In corsia d'ospedale, uno a caso, uguale però a tanti altri, dove la metà del personale è frutto della globalizzazione, l'infermiera peruviana si sfoga con un paziente: «Ma com'è possibile? Io sono qui da anni, mi sono messa in regola, ho studiato, lavoro, pago le tasse. E faccio fatica a tirare avanti... E poi? Arrivano i clandestini e a loro regalate tutto, casa popolare, scuola, sanità. Non è giusto. Vi imbrogliano e voi vi fate imbrogliare.... Ah, mi raccomando: non si faccia mettere la flebo dalla mia collega, sa l'africana. Tratta i malati come bestie...». Ottimo viatico per chi già sta male.
Attoniti ci si chiede: razzismo? Se a parlare così fossimo noi, i soliti demagoghi farebbero rullare tonitruanti tamburi di condanna. Nemmeno un mese è trascorso da quando la comunità bengalese di Pisa è scesa in piazza furente dopo l'omicidio di un connazionale. Al grido di «siamo venuti in Italia per lavorare, non per essere ammazzati». Chiaro il sottinteso, l'allusione nemmeno velata, al fatto di trovarsi di fronte a un delitto di matrice razzista. «Peccato» che, poco dopo, si sia scoperto che l'assassino era un tunisino. Perfettamente integrato. E capace di uccidere lo «straniero più di lui» così, per gioco.
Ricordate, a Milano, qualche anno fa? Era estate quando un pugile ucraino scese in strada e massacrò di botte la prima donna che si trovò di fronte. Vittima una filippina, morì davanti ai passanti increduli e sgomenti. Quanti scontri, quanta violenza tra gruppi etnici diversi. Succede in carcere come fuori. Marocchini contro albanesi -22 feriti nella prigione di Capanne (Perugia)-; coltellate tra albanesi e romeni in Puglia; bande di sudamericani di seconda generazione che si combattono per le vie delle nostre città: bulgari contro romeni. Filippini contro cingalesi. L'elenco potrebbe andare avanti. «Serve un'immigrazione selettiva», suggerisce un africano elegante, qui da noi arrivato alla laurea. Su come bloccare le migliaia di disperati che approdano lungo le nostre coste, presenta la ricetta: «Vanno fermati dalle navi militari e rispediti indietro». Eccola la frontiera del razzismo.
Intanto l'Italia cosa fa? Assiste rassegnata ma impotente di fronte al buonismo a oltranza dei «salotti». «Mare nostrum», somiglia allo spot di un prodotto indigesto. L'allarme rimbalza da Sud a Nord mentre a Palazzo si battibecca su come «richiamare» all'ordine i beceri tifosi pallonari. Allo stadio vietato insultarsi tra connazionali, fuori si spara. E lo Stato s'arrende.



Domenica 11 maggio 2014 - Assemblea nazionale contro l’emergenza
Alle ore 16.00 in web conference. Iscrizioni a Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
Melting Pot Europa, 09-05-14
Da qualche mese ormai sono ricominciati gli arrivi di persone via mare sulle coste siciliane. Ed ancora una volta tutto è dominato dalla retorica dell’emergenza.E come sempre si tratta dell’ennesima occasione per imporre modalità fuori dalle regole, prassi arbitrarie e violazioni dei diritti.
Si parla come sempre di invasione con dichiarazioni shock ed allarmi. Eppure, guardando a ciò che avviene oltre i confini europei troviamo decine di conflitti, dalla Siria al Corno d’Africa, dall’est Europa alla fascia sub sahariana che producono la fuga di milioni di persone torturate, imprigionate, perseguitate.
Ci dicono che l’unica risposta possibile è l’operazione Mare Nostrum, come se l’unico problema fossero le morti nel “nostro mare” e non continuassero invece ad avvenire lontane dai nostri occhi. Al tempo stesso il Governo ha ancora una volta improvvisato in tema di accoglienza. Non mancano i respingimenti e le deportazioni, ma per chi invece raggiunge le nostre coste il destino è ancora una volta quello di una accoglienza improvvisata, fuori dai circuiti ufficiali, una nuova occasione per gonfiare le tasche di molti.
Intanto gli insopportabili confini interni dell’Europa ingabbiano chi raggiunge l’Italia costringendo migliaia di persone a superare le frontiere imposte dagli Stati UE di nascosto.
Crediamo che tutt questo debba necessariamente trovare risposta. Una risposta collettiva e condivisa, nello spirito della Carta di Lampedusa, riprendendo collettivamente la sfida per la costruzione di "canali umanitari" veri, di percorsi accoglienza degna, di un diritto d’asilo europeo.
Oggi abbiamo bisogno di riprendere il filo di quel discorso aperto negli scorsi mesi per rimetterci in cammino. A partire dalle lotte che, come questi ultimi mesi ci hanno dimostrato, nelle battaglie per il diritto all’abitare per contro lo sfruttamento nella logistica, sono state ricche di un rinnovato protagonismo dei migranti, senza dimenticare la necessità di costruire un discorso che riesca ad invertire la retorica che ci viene imposta, quella dell’invasione ma anche quella dell’accoglienza caritatevole, due facce della stessa medaglia.
Perché sullo sfondo rimane l’imminente riapertura dei CIE di Milano e Bologna, una legge (la Bossi–Fini) ancora intatta che continua a produrre ricatti, permamenti violazioni del diritto d’asilo e contro tutto questo dobbiamo opporci.
Per questo proponiamo a tutti di ritrovarci insieme per mettere in condivisione ciò che sta accadendo nei nostri territori e costruire le iniziative dei prossimi mesi, domenica 11 maggio 2014, alle ore 16.00 attraverso la Global conferece, una assemblea on line che permetterà a tanti di collegarsi da diversi luoghi della penisola.
Una nuova occasione per ripartire insieme



Cittadinanza. Renzi: "Riforma entro l’anno, italiani dopo un ciclo scolastico"
Il premier: “Dobbiamo trovare un criterio che lega lo ius soli alla scuola”. “Mare Nostrum deve essere un’operazione europea”
stranieriinitalia.it, 09-05-14
Roma – 9 maggio 2014 – Italiani dopo un ciclo scolastico. È l’idea di riforma della cittadinanza per i figli degli immigrati che Matteo Renzi crede di poter condurre in porto entro la fine dell’anno.
Il premier, intervenuto ieri sera su LA 7alla trasmissione Anno Uno, ha raccontato ancora una volta del suo incontro con due bambine in una scuola di Firenze, Fatima e Maria. “Sono nate nello stesso ospedale, condividono gli stessi gusti. Ma Maria mi chiede: perché Fatima non ha la cittadinanza e io si? La risposta è che la legge sulla cittadinanza non funziona”.
Renzi ha ricordato le contrapposizioni sull’idea di cittadinanza. “Una parte dice: facciamo lo ius soli, che vuol dire se nasci in Italia sei italiano. Ma ad altri questo non va bene, dicono che lo fanno Paesi pericolosi, come l’America” ha scherzato il premier. “Per loro il principio è lo ius sanguinis, e così se uno ha un trisnonno o una trisavola italiana diventa italiano”.
“La soluzione potrebbe essere, entro al fine dell’anno, quella di trovare un criterio che lega lo ius soli a un ciclo scolastico. Se tu fai le elementari o le medie in questo territorio, acquisisci quel patrimonio di identità che è tipica dell’italianità, a questo punto – ha spiegato il presidente del Consiglio - io ti riconosco la cittadinanza”.
Riguardo all’Operazione Mare Nostrum, Renzi ha detto: “Noi la facciamo, ma l’Europa non è che ci può fare le lezioni ogni volta dicendoci cosa fare”. “Deve essere una operazione europea e non italiana. Ci consente di salvare vite umane, ma anche di arrestare centinaia di scafisti che andrebbero messi in galera e buttata la chiave”.
“A Ban Ki-moon [che Renzi ha incontrato mercoledì ndr] ho detto ci siamo stufati di fare la parte dei fessacchiotti” su questo tema. “Le Nazioni Unite prendano l’impegno di fare un inviato speciale in Libia”, anche con lo scopo di “evitare che gli scafisti siano i proprietari delle coste”.



Elezioni, boom di candidati cinesi tra Firenze e Prato
Alle prossime amministrative, proliferano le candidature per correre come consiglieri comunali, soprattutto nei partiti di centrosinistra. Tra loro il presidente di Associna e due giovani di seconda generazione
Redattore sociale, 08-05-14
FIRENZE – Tra Firenze e Prato, è boom di candidati cinesi alle prossime elezioni comunali. Segno che la comunità cinese, seppur con numerose difficoltà, sta cominciando un lento percorso verso l’integrazione. Gioca un ruolo fondamentale l’associazione Associna, presentando tre dei quattro candidati che correranno nelle varie liste.
Uno dei nomi più importanti è Marco Wong, presidente ordinario di Associna, candidato al comune di Prato nelle liste di Sel. Vive tra Prato e Roma, dal 2010 è direttore editoriale del mensile bilingue ‘It's China’ e dagli inizi del 2011 ha cominciato la propria attività imprenditoriale nel settore degli alimentari etnici. E’ anche scrittore, il libro di esordio si chiama ‘Nettare rosso’, storia d’amore dove la grazia orientale si fonde con la carnalità mediterranea. “La mia storia personale – racconta Wong - mi porta a cercare di valorizzare il potenziale che ogni immigrato porta con sé. Per questo mi impegno in attività sociali che cercano di dare una voce agli immigrati che, nella maggior parte dei casi, non hanno alcuna rappresentanza”.
Tra gli altri candidati cinesi c’è Zheng Lili, 36 anni, assicuratrice, candidata al Comune di Sesto Fiorentino (in provincia di Firenze ma a due passi da Prato) nella lista di Sara Biagiotti, una delle donne più vicine a Renzi durante le primarie che perse contro Bersani. Tra gli obiettivi primari di Zheng Lili ci sono la valorizzazione dell’area industriale dell’Osmannoro (area delicata dove ci sono molti capannoni manifatturieri cinesi); l’integrazione “più ampia e completa fra le varie comunità che sono presenti nel territorio Sesto”; l’istruzione accessibile ad ogni età; l’individuazione di “mezzi per creare una società multietnica mantenendo un ambiente armonico e sicuro”.
Appena entrato nel consiglio comunale di Campi Bisenzio in seguito a un rimpasto c’è invece Angelo Hu, ventenne di seconda generazione militante nelle file di Sel, diplomato all’istituto commerciale. Campi Bisenzio ha una forte tradizione di integrazione, basti pensare che nella scorsa giunta l’assessore ai rapporti con gli stranieri era la cinese Giada Lin. Tra gli obiettivi del mandato di Angelo Hu ci sono l’integrazione, la battaglia contro l’inceneritore e contro le slot machines nei locali pubblici.
L’altra candidata cinese milita invece nelle liste di Forza Italia per Marco Stella sindaco di Firenze. Si chiama Want Re Yun e ha 22 anni. Lavora nel ristorante dei suoi genitori in piazza Santa Croce, molto apprezzato dalla città. (js)



A proposito di aggressioni razziste
L’omicidio di un bengalese a Pisa non è una delle “classiche” aggressioni razziste che abbiamo conosciuto negli ultimi venti anni. Eppure il razzismo c’entra. Vediamo perché.
Corriere delle migrazione, 06-05-14
Sergio Bontempelli
È la notte del 13 aprile, siamo a Pisa. Zakir Hossain, un immigrato del Bangladesh, ha finito di lavorare al ristorante indiano “Tanduri”, nella centralissima Piazza Gambacorti (che tutti chiamano “Piazza la Pera”, per via di un buffo reperto etrusco a forma, appunto, di pera). Zakir fa il cameriere, ed esce tardi dal lavoro: qualche volta si ferma a chiacchierare coi colleghi e finisce per fare – letteralmente – le ore piccole. Quella del 13 aprile è una notte come le altre, ed è molto tardi quando Zakir si incammina verso casa.
Piazza La Pera è vicina a Corso Italia, vero e proprio “cuore pulsante” della città. È la strada dello shopping, dello “struscio” pomeridiano, ma anche degli uffici pubblici e delle banche: poi, la sera, diventa uno dei centri della “movida”. Quando Zakir raggiunge “il Corso”, però, è notte fonda e non c’è più nessuno in giro. Tutto è tranquillo e silenzioso. All’improvviso, come dal nulla, spuntano tre individui: sembrano ubriachi, e uno di loro si rivolge con fare minaccioso proprio a Zakir. I testimoni assistono ad uno strano alterco: lo sconosciuto urla, Zakir rimane in silenzio. Poi parte un pugno: il giovane bengalese cade a terra. Viene trasportato d’urgenza all’Ospedale, dove muore qualche ora dopo.
Un delitto a sfondo “razziale”?
Il delitto scuote dal torpore la piccola città toscana. Anzitutto, perché si tratta di un evento senza precedenti, almeno da queste parti. Poi perché è avvenuto in pieno centro, in una zona di solito tranquilla, e comunque controllata dalle telecamere. Chi ha commesso l’omicidio, e perché? La nazionalità della vittima ha a che fare con il movente del gesto? Detto in altri termini, possiamo parlare di una violenza a sfondo razziale?
Riuniti in assemblea all’indomani dell’evento, i bengalesi non hanno dubbi: in città si respira da tempo un clima ostile contro gli immigrati. E ad esserne colpiti sono soprattutto loro, gli stranieri che vengono dal Bangladesh: che gestiscono minimarket e rivendite di kebab, e che per questo sono oggetto di invidie e risentimenti da parte dei commercianti “autoctoni”. Insomma, c’è un clima negativo, che certo non è la “causa” dell’omicidio, ma che può aver influito sulle motivazioni dell’assassino.
Passano alcune ore e gli inquirenti scoprono che a sferrare il colpo mortale è stato un cittadino tunisino, Hamza Hamrouni. L’omicidio, quindi, non può avere motivazioni razziste: così almeno dice il Sindaco, Marco Filippeschi, durante la manifestazione di solidarietà convocata dalla Comunità Bengalese. Ma le cose stanno davvero così?
Un omicidio “insolito”
Su un punto ha ragione il primo cittadino: quella subita da Zakir non è un’aggressione razzista “classica”. Quando pensiamo alla violenza a sfondo razziale, ci riferiamo infatti a un “copione” standard, in cui gli attori hanno ruoli ben definiti:  l’aggressore è – di solito – un italiano “purosangue”, magari imbevuto di idee e sentimenti xenofobi; la vittima è uno straniero marginale, escluso, in genere povero e poco inserito nella società di accoglienza.
L’omicidio di Jerry Essan Masslo, nel lontano 1989, è per certi versi il “prototipo” di queste violenze. Masslo era un giovane sudafricano che aveva chiesto asilo politico in Italia: per guadagnarsi da vivere era finito a fare il bracciante a Villa Literno. Viveva in una baracca fatiscente, lavorava quindici ore al giorno ed era pagato una miseria: era un escluso, e in quanto escluso fu aggredito e ucciso.
Per venire ad eventi più recenti, anche la strage di Firenze del 2011 segue un copione, diciamo così, “classico”. L’aggressore è un italiano di estrema destra, che pensa di “farsi giustizia” (le virgolette sono d’obbligo) irrompendo in una piazza e sparando ai venditori ambulanti senegalesi. Le vittime sono, appunto, dei venditori ambulanti: immigrati poveri, marginali, e (di nuovo) “esclusi”.
Ecco, il delitto di Pisa non segue questo copione. Zakir non è povero né “escluso”. Certo, non naviga nell’oro e non lo si può definire “ricco”: ma ha un permesso di soggiorno, vive in un’abitazione dignitosa e lavora regolarmente. Quando siamo andati in Piazza La Pera, a parlare con gli esercenti della zona, molti ci hanno detto: “Zakir era uno di noi”. «Per me non era nemmeno un bengalese – ci ha spiegato il titolare di un negozio – lavorava qui, e non l’ho mai percepito come uno straniero».
Anche l’aggressore non rientra nelle categorie rigide “noi” (gli “autoctoni”) / “loro” (gli immigrati). È tunisino, ma abita in provincia di Pisa da quando era adolescente, e ha una famiglia mista: la madre, tunisina anche lei, si è sposata in seconde nozze con un italiano, che ha rappresentato un “secondo padre” per il ragazzo. Hamza frequenta un circolo Arci e una palestra di pugilato, e ha amici italiani con cui esce la sera a “far baldoria”.
Tutto questo è, forse, un segno dei tempi. L’immigrazione si è ormai stabilizzata, e gli “stranieri” di ieri si sono inseriti nella società, a volte si sono “mescolati” con gli italiani. Il copione dell’«indigeno» che aggredisce «l’altro» funziona sempre meno…
Ciò significa forse che il razzismo è scomparso, e che aggressioni di questo tipo non possono più essere ricondotte ad un clima xenofobo? Ecco, qui le cose si fanno complesse, e bisogna stare attenti a non semplificarle troppo. Vediamo meglio.
Nuove vittime…
Partiamo dalla vittima: un bengalese. I migranti del Bangladesh, a Pisa, sono ben “integrati” – come si usa dire – ma occupano un ruolo preciso nel mercato del lavoro. Sono titolari di minimarket e kebab, e gestiscono un segmento definito del commercio al dettaglio: quello dei negozi aperti a tutte le ore, che vendono a prezzi stracciati o che propongono una ristorazione economica e veloce. È difficile – per non dire impossibile – trovare un bengalese che lavora in una fabbrica o in un ufficio, o che fa l’infermiere in Ospedale. Una delle caratteristiche del razzismo è proprio questa: gruppi identificati in base al colore della pelle, alla (presunta) “cultura” di appartenenza, o al paese di origine, devono “stare al loro posto”. Possono essere accettati e persino guardati con simpatia, a patto che restino nei confini loro assegnati.
La collocazione sociale dei bengalesi li espone al rischio di diventare un “gruppo target”. I kebab e i minimarket, in effetti, sono oggetto di diffusi risentimenti. In primo luogo, ci sono i commercianti “autoctoni”, che temono la concorrenza di negozi aperti a tutte le ore: proprio la sezione locale di Confcommercio ha chiesto recentemente di bloccare il “proliferare di kebab” in città. E poi, un’attività aperta la sera fino a tarda ora attira una clientela “di strada”, fatta di clochard e senza fissa dimora: persone che, per la loro “visibilità”, rischiano di compromettere “l’immagine” di un negozio, e che per questo sono viste con sospetto e diffidenza dai titolari degli esercizi. In zona stazione, sono frequenti le risse tra commercianti bengalesi e clienti definiti come “balordi”. E poiché questi ultimi, a Pisa, sono spesso tunisini, i conflitti assumono una connotazione “etnica”: Bangladesh contro Tunisia, Asia contro Nordafrica.
… e nuovi aggressori
Da questo punto di vista, è significativo che l’aggressore sia proprio un tunisino. Ma, anche qui, siamo di fronte a un migrante “particolare”: non un “estraneo” appena arrivato, che non padroneggia la lingua e che vive solo tra connazionali. Hamza – lo abbiamo visto – frequenta coetanei italiani, e quando ha ucciso Zakir era accompagnato dai suoi amici “autoctoni”. Una banda “mista” e “meticcia”, che non per questo è necessariamente immune dal razzismo: al contrario, nelle sue scorribande prende di mira un immigrato ben identificabile, appartenente al “gruppo-target” dei bengalesi.
Infine, per completare il quadro, bisogna far cenno anche alla reazione della cittadinanza. Da un lato si sono registrate diffuse manifestazioni di solidarietà alla vittima: quasi tutti i commercianti di Piazza La Pera, ad esempio, hanno chiuso i loro negozi per una giornata in segno di lutto (un fatto tutt’altro che scontato, da queste parti).
Dall’altro lato, la tragedia ha attivato le classiche reazioni “securitarie”: la richiesta è quella di avere più telecamere, più controlli di polizia, più espulsioni di immigrati “indesiderabili” (e magari anche meno tunisini in giro per le strade…). Ma l’elemento nuovo è che queste rivendicazioni sono fatte proprie anche dai rappresentanti dei bengalesi: al classico conflitto italiani contro immigrati si è dunque sostituita una contrapposizione più articolata, dove diversi “gruppi-target” possono trovarsi su posizioni diverse e opposte. Un po’ come gli Stati Uniti di un secolo fa, dove erano frequenti gli scontri tra neri e immigrati italiani (o irlandesi).
Il delitto di Pisa, insomma, potrebbe far emergere una realtà nuova: un’Italia ormai compiutamente “meticcia”, dove gli “immigrati” di ieri stanno diventando i “cittadini” di oggi (e, speriamo, di domani). Ma dove, probabilmente, il razzismo non scompare affatto: cambia volto e natura, e al tempo stesso pervade profondamente la società.

 

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