Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Se ci fosse il Cav.

Se Berlusconi fosse come ci dice di essere, quei 250 profughi africani sarebbero già salvi
Luigi Manconi
“Dove sono i pacifisti?” (Oppure: “perché tacciono i pacifisti?”): quell’interrogativo, in una varietà di versioni, costituisce una sorta di tedioso canone di un sottogenere letterario, notevolmente diffuso nella pubblicistica nazionale da circa un trentennio.
Non lo richiamo qui per mera rivalsa – pur se la tentazione sarebbe forte – ma solo ed esclusivamente per una piccola questione di verità. Specularmente, si potrebbe dire: dove sono i guerrafondai, i bellicisti, i Belligeranti Sempre e Comunque quando, a distanza di poco più di 2000 chilometri da Roma, si consuma una atroce tragedia umanitaria? Che per giunta interpella, anche direttamente, il nostro paese? I fatti: almeno dal 20 novembre scorso, nella località egiziana di El Hassnah, nel deserto del Sinai al confine con Israele, circa 250 profughi (eritrei etiopi sudanesi somali) sono tenuti in catene da un gruppo di predoni. Uomini donne e bambini che progettavano di fuggire in Israele, affidandosi a quei mercanti di carne umana, e che ora – fallito l’intento – sono diventati vittime e, insieme merce di scambio, di una efferata strategia di estorsione. Otto di loro sono morti, sei sono scomparsi: tra questi, due hanno probabilmente subito l’espianto di un rene per ricavare denaro; tutti gli altri vengono quotidianamente sottoposti a maltrattamenti e talvolta a sevizie perché riescano ad ottenere (da familiari in Europa o da istituzioni e associazioni) i dollari necessari al loro stesso riscatto. Una parte degli eritrei sono tra quelli che vennero prima respinti mentre tentavano di raggiungere le coste italiane e, poi, imprigionati nelle celle sotterranee del carcere di Al Braq, in Libia. Del destino di questi uomini ci parla don Mossie Zerai, sacerdote cattolico eritreo da anni in Italia. Grazie al suo intervento, Benedetto XVI ha ricordato quella vicenda nel corso dell’Angelus di domenica 5 dicembre. Avvenire l’Unità e il Fatto (e nessun altro, se non sbaglio) hanno seguito la storia. Non certo “i giornaloni”, come li chiama il presidente del Consiglio: e salvo errori non il Foglio. Battutaccia: eppure una parte di quei profughi è composta da cristiani e le ultime vittime sono due ortodossi, indicati come “diaconi”. A Buon Diritto e il Consiglio Italiano per i Rifugiati hanno promosso un’iniziativa, che ha coinvolto un certo numero di parlamentari dell’opposizione (ma nemmeno troppi) e qualcuno della maggioranza; e hanno indirizzato una lettera al ministro degli Esteri Franco Frattini e al Rappresentante in Italia della Commissione europea, Lucio Battistotti. In quelle lettere si richiede “un immediato interessamento dell’Unione Europea per una evacuazione umanitaria dall’Egitto verso il territorio europeo”. Poi, “si potrà decidere la distribuzione dei profughi tra i diversi Stati Membri in relazione alla disponibilità che i Governi provvederanno a segnalare e nella logica di una equa condivisione di responsabilità”. Una simile iniziativa potrebbe rappresentare un efficace segnale per “garantire alle autorità egiziane che, nel caso della liberazione dei profughi, non verrebbero lasciate sole nella gestione di questa difficile crisi umanitaria”.

Sono passati cinque giorni dall’invio di quelle lettere e non c’è stata ancora alcuna risposta. Questa rubrica è sufficientemente snob per comprendere che la sorte di quei 250 profughi possa pesare meno di quella dell’onorevole Domenico Scilipoti ma, insomma, è anche questione di educazione! Nel frattempo gli eurodeputati  Gianni Pittella, Roberta Angelilli, Carlo Casini, Mario Mauro, si stanno muovendo presso il Parlamento Europeo. Ma è ancora poco, pochissimo.

Ah, se ci fosse un Governo. Un governo guidato, per esempio, da “il più esperto tra i leader dei Paesi democratici” uno che “nel 2002 nel vertice di Pratica di Mare” fece entrare “la Russia nell’Occidente”. E “dopo che si erano veramente rarefatte, se non annullate, le relazioni tra l'amministrazione repubblicana americana e quella russa, per la decisione che la prima aveva assunto di mettere i missili in Polonia e nella ex Cecoslovacchia”,  tanto si adoperò che “quei rapporti sono ritornati ad essere normali”. Dopo di che a Obama e a Medvedev “ho intimato, come Presidente per la terza volta del G8, di non presentarsi da noi in Italia senza avere almeno siglato il Trattato per la riduzione degli arsenali nucleari  cosa che fecero”. In altre parole, un presidente del Consiglio che “quando l'amministrazione repubblicana americana non mosse un dito e lasciò fallire la Lehman Brothers andò ancora a Washington, restò un giorno intero a colloquio con il Presidente americano e venne fuori la decisione di destinare 700 miliardi di dollari affinché le banche americane non fallissero”. Un Premier infine che impedì al “Parlamento russo e a tutto il quartier generale dell'esercito russo di attaccare la Georgia e di attaccare all'albero più alto il Presidente georgiano” (Silvio Berlusconi a proposito di se stesso, 30 settembre 2010, Senato della Repubblica). A fronte di tutto ciò, che ci vuole a salvare 250 profughi incatenati nel deserto del Sinai? Ah se al Governo ci fosse Silvio Berlusconi.
Politicamente correttissimo
il Foglio 14 dicembre 2010
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