Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

09 novembre 2010

Brescia, blitz sotto la gru ma gli immigrati resistono
La Stampa, 09-11-2010
PIERANGELO SAPEGNO
Scontri tra manifestanti e polizia: 6 in manette, 12 espulsi I clandestini: non scendiamo, non abbiamo più nulla da perdere
Jimmy è quello che urla ondeggiando fra le sbarre della gru, 35 metri sopra il vuoto. Dice che se un poliziotto si avvicina, loro tireranno giù di tutto: «Abbiamo ferro e tante cose da gettare e non abbiamo più niente da perdere». Adesso, sotto, c'è un cordone di polizia. Non c'è più il presidio che li aiutava, portandogli anche da mangiare: al mattino, agenti e carabinieri in tenuta antisommossa l'hanno fatto fuori alla svelta. Oltre le transenne, al di là dei cellulari fermi sullo spiazzo, c'è gente che urla e li saluta.
Ma là sopra sono    rimasti soli. Uno s'è messo un cappio al collo e sta appeso con le gambe a penzoloni, come se pensasse di buttarsi giù. Gli altri 4 vanno avanti e indietro lungo quel traballante corridoio di grate attorno allo striscione che recita il loro slogan: «Lotta dura senza paura. Siamo tutti sulla gru». Quando qualcuno ha cercato di avvicinarsi,   davvero hanno  tirato quello che avevano, dando fuoco pure agli striscioni. Sono sei. Hanno comin¬ciato la protesta il 30 ottobre, per avere il diritto di soggiorno ed entrare così nella sanatoria delle colf e delle badanti: la ditta li aveva licenziati senza firmare la loro richiesta. Ieri mattina alle 6, gli agenti e i carabinieri e hanno tolto tutto quello che c'era sotto e poi hanno caricato i manifestanti che s'erano ammassati. Il bilancio (dei legali dell'Associazione Diritti per tutt), è di sei arrestati, due italiani e quattro immigrati,  e di dodici extracomunitari espulsi o accompagnati ai Cie.
Dopo i fumi e i clangori, le cariche e le urla - «hanno perquisito persino l'oratorio di San Faustino», protesta una voce concitata a Radio Onda d'urto -, dalla Questura hanno fatto sapere che «lo sgombero è stato deciso dal Consiglio provinciale  della sicurezza, senza nessuna forzatura politiche. E' solo un problema di ordine   pubblico, Non   potevamo tollerare   più l'anarchia  di quel  presidio. Da questo momento tutto ciò che attiene alla sicurezza dei 6 manifestanti è materia esclusiva della Questura». In realtà, qualche voce s'era già levata per chiedere lo sgombero, e non a caso il sindaco di Brescia, Adriano Paroli, del Pdl, plaude subito: «Il presidio non era pacifico e condivido la decisione del prefetto e del questore. Avevamo inutilmente cercato di far rientrare nella legalità una protesta purtroppo inconsistente nel merito, perchè su quella gru non ci sono né colf né badanti». Dice che «il limite è stato superato». che «la situazione è intollerabile». Parole quasi moderate, in confronto a quelle usate dal presidente del consiglio regionale, Davide Boni, della Lega Nord: «Quello che sta avvenendo a Brescia è inaccettabile, bisogna ripristinare l'ordine pubblico. La cosa più vergognosa è lo strisciante buonismo che ha portato qualcuno a giustificare questa occupazione abusiva. Prima di rivendicare dei diritti, gli immigrati  dovrebbero imparare che in questo Paese vigono leggi e doveri. A questo punto mi auguro solo un nuovo giro di vite del governo».
Sopra la gru, invece, ci credono ancora. Sotto sono arrivati alcuni consiglieri del pd, e il segretario provinciale della Cgil  Damiano Galletti s'è offerto come intermediario.  Arun; unocdei sei immigrati  annuncia l'inizio dello sciopero della fame, telefona a una radio locale e chiede un incontro con il ministro degli interni Maroni per risolvere la situazione. Sventolano vessilli, urlano: «Non siamo animali, basta polizia». L'altro giorno avevano scritto pure al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: «Sei l'unica speranza in cui confidiamo, perché sei l'unico che tutti rispettano. Sei una persona giusta, ascoltaci, ti preghiamo, guarda alla truffa che è stata fatta, verifica l'ingiustizia...». Per ottenere la sanatoria, gli immigrati si erano sobbarcati un complesso iter burocratico, tra interminabili code in questura e costi a volte insostenibili per chi spesso non riesce a mettere insieme 500 euro al mese. Poi, quando si è trattato di incassare l'ultimo passaggio burocratico, il datore di lavoro s'è sfilato rifiutandosi di firmare la richiesta del permesso di soggiorno. I sei ripetono che gli era stato fatto capire che potevano rientrare nella sanatoria prevista per colf e badanti, visto che avevano un lavoro regolare.
A Brescia gli immigrati sono 35800, e quelli che hanno presentato domanda per la sa¬natoria sono stati 11300. Quattromila domande non hanno avuto risposta, più di mille sono state rigettate. Hanno fatto ricorso: nelle altre province il Tar aveva dato loro ragione. A Brescia no. Così avevano deciso la protesta estrema. Il prefetto di Brescia, Narcisa Brassesco Pace, è lapidaria: «Nessun permesso sarà rilasciato ai clandestini». Ripete che devono rinunciare alla loro azione, che non c'è altra via.
Da adesso, ribadiscono in questura, «saremo noi a prenderci cura degli
immigrati sulle gru. Cibo e acqua non verranno più passati dalle associazioni, ma dalla polizia». Chissà perché, ma queste parole non suonano proprio come una richiesta d'aiuto.


Resistono sulla gru i sei stranieri in protesta da oltre una settimana. E intorno la situazione si aggrava. Ieri il presidio di solidarietà è stato sgomberato dalla polizia. In manette una trentina di manifestanti
Brescia, fiato sospeso
Terra, 09-11-2010
Dina Galano

Sono sempre più isolati, ora, i sei extracomunitari appollaiati da dieci giorni sulla gru del centro di Brescia. Resistono alle intemperie, come alle intimidazioni. Da ieri tuttavia la loro lotta è incrinata; hanno perso un importante sostegno, quello delle centinaia di bresciani e non che accompagnano la loro protesta da terra. Le forze dell'ordine hanno infatti proceduto allo sgombero del presidio permanente in piazza Cesare Battisti, appena fuori al cantiere metropolitano occupato dai sei stranieri, dove da giorni si alternano semplici cittadini, membri delle associazioni di migranti e della rete antirazzista. Lattacco della polizia è partito nella primissima mattinata e poi è stato ripetuto quando i ma-
nifestanti hanno ostacolato, costringendo alla ritirata, le operazioni dei Vigili del fuoco che erano arrivati sul posto per montare reti di protezione sotto al braccio meccanico. Manganelli e cariche improvvise hanno disperso il presidio e portato all'arresto di una trentina di persone, tra cui il presidente dell'associazione Diritti per tutti, Umberto Gobbi. «Dalla questura non è venuta alcuna comunicazione sullo status giuridico in base al quale sono trattenuti», ha spiegato l'avvocato Manlio Vicini, anche se l'ipotesi più accreditata resta il fermo per resistenza a pubblico ufficiale. Scene da guerriglia urbana, come le ha descritte l'emittente Radio onda d'urto che monitora la protesta, concluse poi con l'interdizione dell'intera area attorno alla gru. Ora si teme che l'allontanamento forzato sia stato soltanto la fase preliminare dell'operazione di polizia e che l'obiettivo sia quello di riportare con la forza i migranti a terra. D'altronde è quello che chiedono i rappresentanti locali della Lega Nord protagonisti di una escalation di intolleranza nei confronti della situazione. «Si è trattato probabilmente di una reazione alla manifestazione di sabato scorso che», ha commentato Luoise Benzoni del Comitato primo marzo, «è stata molto partecipata, con migliaia di persone in piazza della Loggia». Parole di solidarietà sono arrivate anche da Roma nel tentativo di richiamare, tra l'altro, l'attenzione del ministero dell'Interno. Si è unita al coro anche Susanna Camusso, neo segretario della Cgil, rivolgendosi «al ministro Maroni affinché faccia di tutto perché i lavoratori migranti sulla gru siano ascoltati». Contro le violenze e gli scontri di ieri si è espresso anche il parlamentare del Pd Jean-Leonard Touadi rilanciando la necessità di «aprire un tavolo con le associazioni  d'immigrati  che protestano pacificamente a Brescia, Milano e in altre parti d'Italia chiedendo la regolarizzazione dei lavoratori sfruttati, senza regolare contratto di lavoro, senza permesso di soggiorno o con titolo scaduto». Per ciascuno dei giovani in protesta si spera in un provvedimento individuale; «occorre ridiscutere le diverse posizioni di queste persone», hanno proposto i Radicali  italiani, perché sono ormai «esasperate dall'insipienza della legge di regolarizzazione». Quella sanatoria per colf e badanti che premiando una sola categoria di lavoratori, ha finito per truffare gli altri.



Gli immigrati  sulla gru: 6 arresti e 12 espulsioni

Blitz della polizia contro il presidio: tensione e tafferugli, in sei continuano la protesta
il sole, 09-11-2010
Giornata di incidenti e di forte tensione ieri a Brescia a via di San Faustino, dove sei immigrati  continuano la loro protesta per ottenere il permesso di soggiorno asserragliati su una gru. Distante meno di un centinaio di metri c'era fino a ieri il presidio di alcune centinaia di componenti dell'associazione "Diritti per tutti": con due cariche all'alba la polizia li ha allontanati tra tafferugli che hanno portato all'accompagna¬mento in questura di immigrati  e italiani, tra i quali anche alcuni giornalisti di radio Onda d'urto. Fermo, nel giudizio, il prefetto Narcisa Brassesco Pace: «Il prefetto è responsabile della sicurezza, il questore ne attua le decisioni e le decisioni prese sono state condivise dal comitato per l'ordine pubblico e la sicurezza». I manifestanti, invece, raccontano di una violenta carica senza apparente motivo, con manganellate rifilate a chiunque. Alla fine, gli avvocati che difendono l'associazione, Manlio Vicini e Sergio Pezzucchi, hanno stilato un bilancio di sei arresti (due italiani e quattro stranieri) e dodici immigrati già rimpatriati o portati nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione), soprattutto per resistenza a pubblico ufficiale e per violazione della legge Bossi-Fini.
Intanto i sei restano a 30 metri di altezza: i vigili del fuoco hanno tentato di avvicinarsi ma hanno desistito quando su di loro ha cominciato a piovere di tutto (anche bulloni e bottiglie di plastica piene di urina).



Il governo allarghi la regolarizzazione

il manifesto, 09-11-2010
Enrico Pugliese

La polizia è intervenuta ieri all'alba a Brescia per sgomberare il presidio di solidarietà con gli immigrati che da una settimana ormai conducono la loro protesta pacifica. L'intervento e i commenti ufficiali intesi a giustificarlo sono stati davvero squallidi. Lo sgombero - ed evidentemente anche le botte - secondo la questura servivano solo «a garantire condizioni di sicurezza degli stessi immigrati"  Una sollecitudine, un po' strana e un impegno eccessivo, per altro all'alba.
La sostanza dei fatti è un'altra. È che a una manifestazione non violenta di immigrati che chiedono semplicemente il permesso di soggiorno per poter continuare a vivere e a lavorare in pace si è risposto con violento un tentivo di sgombero (con la scusa di voler piazzare un rete di sicurezza). Sul carattere politico dell'intervento non mi pare che possano esserci dubbi Non a caso esso è avvenuto a seguito della grande manifestazione di solidarietà che si era tenuta il giorno prima a Brescia con vasta partecipazione di gente e adesione di forze politiche e sindacali. E cresce anche la solidarietà intorno ai lavoratori che sono saliti sulla Torre Carlo Erba a Milano. Il governo da un lato ha voluto mostrare la faccia cattiva, in coerenza con quanto dichiarato fin dall'inizio della protesta da esponenti politici e dalla questura, dall'altro non ha saputo resistere alla tentazione della furbizia e dell'inganno. Ma non sempre questa linea funziona: la protesta rischia, anzi - diciamolo chiaramente -ha buone prospettive di dilagare e di ottenere un sostegno sempre più largo. Ciò ovviamente se le forze che la hanno fin'ora appoggiato gli immigrati in lotta continuano a sostenerli e a fare propria la loro richiesta di sanatoria per tutti, sia per chi è stato raggirato da faccendieri, sia per chi semplicemente non ha potuto godere dell'ultimo provvedimento: che ha permesso solo la regolarizzazione delle collaboratrici e delle assistenti familiari escludendo tutti gli altri in particolare gli operai (come quelli che manifestano a Brescia e a Milano). Una scelta che non ha altra spiegazione che il razzismo e la crudeltà.
Come è ormai evidente c'è uno scontro di portata profonda tra la ragionevolezza della richiesta dei lavoratori e l'irrazionale prepotenza del governo. Quando nell'ultima sanatoria si decise di escludere i lavoratori alle dipendenze di imprese si sapeva bene che l'effetto sarebbe stato quello di far aumentare il numero degli irregolari (o clandestini come si ama dire) condendo il tutto con l'introduzione del reato di clandestinità. Mentre in passato con le sanatorie si era riusciti a riassorbire il numero dei sans papiers, con le scelte del governo in carica si è riusciti a produrne al contempo un alto numero e rendere loro la vita più difficile.
Orasi vedono i risultati di questa linea e i lavoratori di Brescia hanno avuto anche il merito di mettere in atto una grande denuncia e far capire i termini della situazione.
Ma è anche possibile una soluzione immediata: il governo può porre rimedio alla situazione allargando la regolarizzazione dello scorso anno agli esclusi. Solo questo infondo chiedono il buon senso e i lavoratori i in lotta.



Blitz sotto la gru

il manifesto, 09-11-2010
Luca Fazio
MILANO - Forse stanno cercando il morto? E il ministro Roberto Maroni, il mandante dell'incredibile prova di forza di Brescia fallita miseramente, davvero non ha niente da dire? Ci sono sei persone che da dieci giorni restano aggrappate a una gru - e da ieri sono anche in sciopero della fame - per rivendicare un diritto, o meglio, per denunciare i problemi irrisolti di migliaia di persone che in Italia sono costrette a soffire per colpa di truffe chiamate sanatorie e di leggi fallimentari (quella legge si chiama ancora Bossi-Fini, sì quel Fini). E la polizia cosa fa?
Alle 6 del mattino si accanisce con una furia ingiustificata contro un presidio permanente di alcuni cittadini bresciani che solidarizzano con gli stranieri. Da un mese, civilmente, anche con due grandi manifestazioni pacifiche cui ha partecipato la Cgil. Sono botte, manganellate, cariche, persone trascinate di peso in questura, la solita caccia all'uomo (e alla donna), con arresti, e naturalmente espulsioni. Hanno anche fatto irruzione nei locali di una parrocchia. Dal mattino girano voci, poi confermate; di circa trenta fermi, un numero enorme, nemmeno fossimo a Parigi durante la rivolta di una banlieue. Una giornalista di Radio Onda d'Urto finisce all'ospedale, le sequestrano il telefonino e per tutta la giornata non le permettono di vedere nessuno. Alla fine della giornata si contano sei persone arrestate, un bilancio pesante. Due italiani (tra cui un delegato della Fiom) e quattro stranieri. Altri dodici immigrati sarebbero stati espul-
si. E tutto questo per che cosa? Per niente. Il presidio si è spostato una cinquantina di metri più in là, e per tutta la notte - «per non lasciare soli gli amici sulla gru» - ha rumoreggiato a cinquanta metri di distanza dalle cariche, in via San Faustino. Operazione davvero brillante. La questura di Brescia, vista la malparata, si è giustificata in maniera tragicomica. «Lo scopo - scrive in una nota - è stato garantire le condizioni di sicurezza degli stessi manifestanti, liberando da eventuali curiosi o assembramenti il piazzale sottostante la gru». Inoltre, «a tutela dei sei manifestanti è stato espressamente chiarito che l'operazione non era finalizzata a farli scendere con l'uso della forza». Anche perché sarebbe impossibile'.
La sensazione, come ha constatato di persona il segretario generale della Cgil di Brescia, Damiano Galletti, è che ci sia qualcuno che ha deciso di alimentare la tensione, pur in presenza di una situazione di estremo pericolo. A niente è valso il tentativo di mediazione di Galletti, che si era detto disponibile a salire sulla gru per convincere ' gli stranieri ad accettare una rete di protezione. Il prefetto di Brescia, infatti, ha risposto picche. Di più. Narcisa Brassesco ha detto che «le norme non si possono mediare, o si applicano o si disapplicano», come dire che non ci sarà alcun rilascio di permessi. Poi la doccia fredda: «Spero possa essere questione di ore, ma se sarà di giorni sarà di giorni, e se sarà di settimane aspetteremo qualche settimana». Deve aver preso ordini tassativi. Di fronte a tanta rigidità, la Cgil di Brescia ha cercato di ribadire che «il primo diritto dei sei migranti arrampicati alla gru è alla vita, la prima responsabilità di un paese civile è fare il possibile per salvaguardarla, la situazione di stallo senza che nessuna azione e nessuna trattativa sia aperta aumenta in modo considerevole i rischi che questo dramma si trasformi in tragedia». Anche la neo segretaria generale, Susanna Camusso, ha cercato di puntare al cuore del problema, ma senza alcun risultato: «Faccio un appello al ministro Maroni perché faccia di tutto affinché siano ascoltati i migranti che sono sulla gru. Si permetta di costruire tutele per le condizioni di sicurezza dei migranti, va fatto rapidamente». Dal ministero degli Interni tutto tace, e la situazione rischia di avvitarsi su se stessa, perché i sei stranieri non sono intenzionati ad arrendersi.
Sembrerà strano, ma appollaiati su una gru - o aggrappati a una ciminiera come a Milano - gli stranieri forse si sono sentiti meno soli del solito. I «pezzi da novanta» della politica ancora non se ne sono accorti, ma altri sì. Decine di associazioni, e non solo. Il parlamentare del Pd, lean-Leonard Touadi, ha protestato per l'uso della forza e ha chiesto al governo di aprire una trattativa. Paolo Ferrero (Federazione della Sinistra) ha colto il segnale politico più allarmante. «Evidentemente - ha detto - la Lega nord ha cominciato la campagna elettorale, non ci faremo intimidire e il movimento operaio bresciano ha già risposto negli anni scorsi a provocazioni fasciste più pesanti di quella di oggi». Per Giuliano Pisapia, impegnato per le primarie milanesi, quello che è successo a Brescia è semplicemente «folle e vergognoso». In perfetta continuità con le politiche per l'immigrazione  del governo Berlusconi.



SCHEDA • Una circolare limitò la sanatoria
La truffa del Viminale che ha innescato la protesta
il manifesto, 09-11-2010
Si sentono vittime di una truffa e di fatto è proprio di questo che si tratta. Dietro la protesta di questi giorni degli immigrati  a Brescia e Milano c'è il dietrofront fatto improvvisamente dal Viminale che a marzo scorso, quando i termini della sanatoria erano già chiusi da un bel pezzo ed erano state presentate più di 300 mila domande da parte di altrettanti cittadini stranieri, senza alcun motivo ha cambiato le condizioni per la regolarizzazione.
Una misura presa con una circolare del capo della polizia Antonio Manganelli, che ha tagliato fuori da ogni possibilità di regolarizzazione un buon numero di  immigrati. Ma di che si tratta esattamente? Nel 2009 il governo decide di varare una sanatoria per gli stranieri che lavorano come colf o badanti. Già questa scelta, discriminante rispetto a tutti gli altri immigrati impiegati in altri lavori, non mancò di sollevare numerose polemiche. Unica condizione per poter accedere alla sanatoria era quella di non aver subito condanne per reati di pericolosità sociale. Nessun problema, invece, per coloro che avevano ricevuto un provvedimento di espulsione. Al punto che il 29 settembre del 2009 sullo stesso sito del Viminale si poteva leggere la rassicurazione data a un datore di lavoro: «Si può fare la richiesta per un lavoratore che ha avuto un decreto di espulsione però non lo ha rispettato ed è rimasto in Italia anche se successivamente è stato trovato di nuovo dalle forze dell'ordine e condannato». Un via libera che rassicurò molti immigrati,  che presentarono la domanda di regolarizzazione pagando, loro o i datori di lavoro, la bellezza di 500 euro a testa. In tutto i soldi incassati dallo Stato grazie alla sanatoria ammontano a 147 milioni di euro. In un mese, dal 1 al 30 settembre del 2009, sono state presentate quasi 300 mila domande (294.742).
A marzo di quest'anno, invece, il Viminale ci ripensa e detta nuove regole. Naturalmente dopo aver incassato i soldi pagati dagli immigrati. Una circolare del capo della polizia spiega infatti che non può fare domanda per il permesso di soggiorno chiunque non ab-bia rispettato il secondo ordine di espulsione emesso dal questore, reato punibile con la reclusione da uno a quattro anni. Una misura che di punto in bianco priva della possibilità di avere un permesso di soggiorno migliaia di persone che avevano fatto di tutto pur di regolarizzare la propria presenza in Italia. Contro la circolare Manganelli si schierano Cgil, Cisl, Uil e Acli che al capo della polizia chiedono di rivedere le nuove disposizioni. «L'interpretazione della norma data è di carattere particolarmente restrittivo - spiegano - anche perché mette sullo stesso piano stranieri colpevoli esclusivamente di essere illegalmente presenti nel nostro paese e stranieri colpevoli di reati per motivi di ordine e sicurezza dello Stato o per reati quali furto, rapina, violenza sessuale, riduzione in schiavitù o altri di grave entità». Niente da fare. Deciso a non fare alcun passo indietro, il ministero degli interni ha mantenuto il giro di vite. Guardandosi bene, però, dal restituire i soldi già presi. Un truffa, per l'appunto, che ha provocato le proteste di questi giorni.



LA STORIA • 24 anni, pakistano: «Vogliamo incontrare il ministro dell'Interno»
«Se vinco io vincono tutti», Arun non intende scendere
il manifesto, 09-11-2010
MILANO - Se stiamo cercando di interrogarci sul perché una intera generazione di più o meno giovani non riesca a trovare la forza di ribellarsi, sentiamo cosa ha da dirci Arun.
Ha 24 anni, è pakistano, da sei vive in Italia. Da dieci giorni è aggrappato a una gru insieme a cinque amici per avere il permesso di soggiorno. Arun non ha nessuna intenzione di arrendersi e da ieri sta facendo anche lo sciopero della fame. «Se vinco io vincono tutti gli altri», ecco perché adesso non può più scendere.
Cosa facevi in Pakistan?
Studiavo informatica, poi è morto mio padre e non c'erano più soldi per mantenere la famiglia. Nel 2006 sono venuto in Italia per questo motivo, sono stato costretto a lasciare gli studi ma pensavo che almeno avrei potuto aiutare mia madre che è rimasta da sola. Non è stato facile venire qui.
Sei arrivato subito a Brescia?
Sono passato per Milano ma non mi sono fermato nemmeno un giorno, qui a Brescia avevo dei parenti e degli amici. Senza documenti non è una bella vita, ho trascorso gli ultimi quattro anni facendo lavori saltuari, soprattutto volantinaggio. Il guadagno dipende dai giorni, quando va bene lavoro 14 ore al giorno per 25 euro, al massimo arrivo a prendere 400 euro al mese. Ogni tanto, ma non tutti i mesi, mando 50 euro a mia madre. Una volta sola sono riuscito a spedire 100 euro. Ti è già capitato di partecipare a una lotta politica per rivendicare Il diritto al permesso di soggiorno?
Io non faccio politica, a me non piace la politica, i politici mi sembrano tutti bugiardi. Io sono una persona religiosa e nutro un profondo rispetto verso tutte le altre persone. Io sto solo lottando per i nostri diritti, miei e delle altre persone che in tutta Italia stanno soffrendo come me. Stai bene dopo tutti questi giorni sulla gru?
Non proprio bene, nei giorni scorsi ho avuto la febbre e adesso mi fanno male la gola e la testa. Ma non importa. Noi andremo avanti, a questo punto non ci possiamo fermare, possiamo scendere solo dopo una vittoria. Sono qui da sei anni e non ho mai rivisto la mia famiglia, quando sento mia madre continuo a dirle bugie sul permesso di soggiorno, le dico che sta arrivando. L'anno scorso, dopo la sanatoria, praticamente le ho detto che era tutto a posto. Non posso continuare così. Ti rendi conto quanto è pericoloso quello che state facendo?
Abbiamo lasciato la nostra paura là sotto. Non ho più niente da perdere, dopo sei anni non ce la faccio più. Dobbiamo fare qualcosa, qualunque cosa, per avere i nostri documenti. Andremo avanti fino a quando non avremo risposte positive. Io ho sempre rispettato le leggi italiane, non ho mai fatto casino ma sono stufo di essere trattato così. Questa non è vita.
Cosa chiedete?
L'autorizzazione per il presidio permanente delle persone che solidarizzano con noi. Un incontro con il ministro dell'Interno per ottenere il permesso di soggiorno. Una garanzia per le persone che sono sotto la gru, perché è succes-
sa una cosa pazzesca, hanno picchiato i nostri compagni, li hanno caricati con violenza, hanno picchiato le donne. Incredibile. In tutti questi anni qual è la cosa che ti ha fatto soffrire di più? Se non hai il permesso di soggiorno, le persone ti trattano come un animale, nessuno comprende le tue ragioni. Ti trattano come un cane e io mi vergogno quando sento dire la parola clandestino. Noi siamo cittadini del mondo, questa terra non è nostra, è di dio, non ci sono padroni di questa terra, ogni persona ha diritto di viverci degnamente. Come va lassù?
Tra noi ci sono stati anche attimi di tensione, ma tutto sommato siamo contenti perché siamo consapevoli che stiamo lottando anche per gli altri immigrati.  Se altri stranieri otterranno i documenti grazie alla nostra lotta, per noi sarà una grande cosa, bellissima. Perché non volete la rete di protezione?
Perché non ci fidiamo di nessuno, pensiamo che vogliamo tirarci già a forza. Adesso abbiamo anche finito le cose da mangiare, e facciamo lo sciopero della fame.



A DOMANDA RISPONDO
NUOVI REATI, VECCHIE PRIGIONI

il Fatto Quotidiano, 09-11-2010
Furio Colombo
Caro Colombo, guardo il Tg (5 novembre) e resto di stucco. La prostituzione adesso è reato. E' vero che con la maggioranza a pezzi alla Camera, tra il dire dei ministri ( in questo caso Maroni) e il fare del Parlamento c'è di mezzo il mare. Ma l'idea è folle. Parliamo di un numero molto alto di persone da avviare verso prigioni già crudelmente, insopportabilmente affollate. Il disastro sarà inevitabile.
Alfonso
ANCH'IO sono stato colto di sorpresa. Tra governare male e creare disastri c'è uno spazio che è stato ancora una volta colmato. Il ministro dell'Interno che ha avviato la caccia in mare non solo ai clandestini ma anche ai superstiti di guerre e massacri con pieno diritto di asilo, adesso vuole risolvere il problema della prostituzione avviando in carcere una folla di colpevoli di reato. Naturalmente cerca immigrati e "comunitari" (Rom) da espellere. E' una folla che andrà ad aggiungersi ai pienone di ragazzi colpevoli di droga e a tutti gli altri illegali veri o presunti. Un incosciente Consiglio dei ministri ha affrontato ( e aggravato) con un gesto solo due grandi problemi, carceri e prostituzione. Li ha legati l'uno all'altro e li ha resi entrambi più gravi. Per colmo d'ironia lo ha fatto mentre si è scoperto che il presidente di quel Consiglio dei ministri si circonda di prostitute giovanissime in casa sua. Chi io sappia soltanto un piccolo gruppo in Parlamento e un piccolo (ma non tanto) partito nel paese si occupano a tempo pieno dei due problemi. Parlo dei Radicali. fi Radicali insistono con tenacia, ma anche con una continuità che dovrebbe provocare vergogna negli autori del disastro, sulle condizioni delle carceri. Lo descrivono dai due punti di vista: la vita disumana nelle carceri troppo affollate. L'affollamento dovuto in gran parte a chi in carcere non dovrebbe stare. Deputati esperti del tragico problema, come Rita Bernardini,. si indignano ancora di più quando parlano di nuove carceri "in costruzione". Sono più improbabili dell'Expo di Milano. Dei progetti non c'è traccia e anche soluzioni minime distano anni dalla sofferenza di oggi, destinata a continuare e a crescere. La prostituzione come fenomeno che dilaga nelle città e lungo molte strade provinciali di campagna è l'altro problema che i Radicale conoscono bene perché ne fanno, anche a Radio Radicale un problema di diritti umani e civili e non di quartieri a luci rosse o di ritorno alle case chiuse. La soluzione indecente di Bobo Maroni crea un problema più grande in tutti i sensi, dalla quantità necessaria di forze di polizia ( a cui sarebbe meglio dare prima, risorse adeguate e benzina) alla possibilità burocratica di prendere in carico le persone arrestate, a quella giudiziaria di procedura e di dibattimento, nei vari gradi di giudizio. Un passo in più verso il basso della cosiddetta "patria del diritto", una odiosa e finta " risposta semplice" di questo governo, degna dei rifiuti di Napoli e delle macerie dell'Aquila.



Albanesi e bosniaci in Europa senza visto

Il ministro Frattini: "Una bella notizia" Ma la Lega insorge: un via libera ai rom
La Stampa, 09-11-2010
MARCO ZATTERIN
Entro Natale, e probabilmente già dai primi di dicembre, anche albanesi e bosniaci - come già avviene per macedoni, serbi e montenegrini - potranno viaggiare nell'area Schengen esibendo solo il passaporto biometrico e senza bisogno di visto. La decisione è stata presa ieri all'unanimità dai ministri degli Interni dell'Ue, nonostante qualche preoccupazione sulle ricadute in termini  di immigrati  clandestina. L'Italia l'ha sostenuta con forza (anche se Roberto Maroni non era presente) e il titolare degli Esteri, Franco Frattini, l'ha definita «una lietissima notizia». La maggioranza non appare però compatta. Il capogruppo della Lega all'Europarlamento, Mario Borghezio, ha bollato la mossa come «un gravissimo via libera ai rom in Europa».
E' un passaggio cruciale, necessario sebbene rischioso e potenzialmente gravido di conflitti. Francia, Germania e Olanda, ovvero i Paesi che più hanno problemi interni per la gestione dei flussi migratori, hanno sollevato riserve sino all'ultimo. Il Belgio, presidente di turno dell'Ue, ha cercato di rassicurarli, promettendo che «in caso di abusi, l'Unione prenderà tutte le misure necessarie, senza escludere la sospensione del meccanismo di liberalizzazione dei visti». A Bruxelles ricordano bene cos'è capitato con la passata ondata di abolizione dei visti. I centri accoglienza della capitale Ue si sono riempiti di aspiranti richiedenti di asilo che si è stati costretti a rispedire in patria uno a uno. Adesso, promette il segretario di Stato Melchior Wathelet, «l'esperienza non sarà ripetuta».
Vedremo. Una missione europea sarà venerdì a Sarajevo e Tirana per illustrare le regole della nuova fase di relazioni alla quale si è arrivati dopo un lungo negoziato. Cecilia Malmstr6m, responsabile Interni alla Commissione Ue, ha spiegato che è «della massima importanza che Albania e Bosnia continuino a intensificare la campagna di informazione mirata ad impedire che la libertà di visto sia usata per scopi non compatibili con i suoi fini». Il messaggio è chiaro. Chi sbaglia, pagherà un conto salato. I due presidenti, l'albanese Sali Berisha e il bosniaco Haris Silajdzic sono avvertiti, ma ieri -nelle loro soddisfatte dichiarazioni - tutto questo non lo hanno messo in primo piano.
Roma sì, almeno in parte.
Frattini ha coerentemente salutato l'evento con spirito costruttivo, la nostra politica estera ambisce a un ruolo rilevante nei Balcani e la Farnesina non riteneva si potesse continuare a discriminare Tirana e Sarajevo (ora solo il Kosovo resta fuori dal sistema). Il ministro precisa che «la decisione premia anche l'impegno costante dell'Italia e del suo governo per la stabilizzazione e l'avvicinamento all'Europa dei Balcani Occidentali». Il problema sono i leghisti. I quali, venerdì hanno spinto con Maroni per un pacchetto sicurezza che mira ad espellere chiunque (anche comunitario) non abbia un'attività concreta, e ora tuonano contro un provvedimento che, parole dell'eurodeputato Oreste Rossi, è «una scelta irresponsabile, specialmente dopo il grave assalto di comunità di etnia Rom avvenuto nel 2007».



Bosniaci e albanesi senza visto

il Sole, 09-11-2010
Per albanesi e bosniaci non servirà più il visto per entrare nei paesi della Uè. La decisione è stata presa all'unanimità dal Consiglio dei ministri europei dell'Interno (non era presente l'italiano Roberto Maroni). I cittadini di Albania e Bosnia Erzegovina dovranno essere dotati di passaporti biometrici, con dati elettronici teoricamente non falsificabili.
La Commissione Uè ha preso l'impegno formale di monitorare l'andamento dei flussi migratori dai due paesi dei Balcani verso la Ue. In caso di anomalie potrà chiedere provvedimenti restrittivi ai governi di Albania e Bosnia Erzegovina. Il provvedimento di liberalizzazione dovrebbe diventare operativo entro la fine di dicembre. Prima del voto alcune perplessità sarebbero state avanzate da Germania, Francia e Olanda. La possibilità di ingresso nell'area Schengen senza visto è stata concessa per soggiorni di durata fino a tre mesi. Nel dicembre 2009 una liberalizzazione dei visti analoga a quella decisa ieri era stata presa a favore dei cittadini di Serbia, Macedonia e Montenegro. E aveva costretto Germania, Svezia, Belgio e Olanda ad affrontare un alto flusso di emigranti delle minoranze di lingua albanese e di etnia  rom che chiedevano asilo politico. Una nota del Consiglio spiega che è previsto «un accordo per consultazioni di emergenza, per reagire nel miglior modo possibile a ogni specifica difficoltà possa sorgere a causa dei flussi migratori».
Soddisfazione è stata espressa dai governi di Tirana e Sarajevo. Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, ha dato «il benvenuto ai cittadini dei due paesi».



Per "tutti" gli stranieri le cure sono un diritto

l'Unità, 09-11-2010
Il Governo aveva sollevato davanti alla Corte Costituzionale la questione a proposito di alcune disposizioni della Legge Regionale della Puglia sull’Immigrazione (L.22/2010). La sentenza della Corte Costituzionale n.299 del 22 ottobre 2010 ha dato ragione all’operato della Regione su almeno due questioni importanti:
1) Il Testo Unico sull’immigrazione garantisce l’assistenza sanitaria gratuita agli immigrati per le cure urgenti o essenziali irregolarmente soggiornanti, anche a carattere continuativo e prevede inoltre che a loro sia rilasciato un tesserino con il codice STP (straniero temporaneamente presente). La legge pugliese prevede che gli assistiti con quel codice abbiano diritto alla scelta del medico di base.
2) Il governo, modificando il Testo Unico sull’immigrazione, con la legge 132/2008, ha escluso i cittadini dell’Unione Europea (ad esempio i romeni) non iscritti all’anagrafe, dall’assistenza sanitaria gratuita di cui fruiscono i cittadini non europei irregolarmente soggiornanti. La legge pugliese invece prevede per i cittadini appartenenti all’Unione Europea privi dei requisiti per l’iscrizione al sistema sanitario l’assistenza gratuita con il codice ENI (europeo non in regola) con le stesse modalità per l’attribuzione e l’accesso alle prestazioni previsti per i cittadini irregolari non appartenenti all’Unione Europea.
Due provvedimenti di diritto e di buon senso, di civiltà e di confermata costituzionalità che insieme all’iscrizione a tempo indeterminato al Sistema Sanitario Regionale degli immigrati regolari (vigente sempre in Puglia) attendono di essere adottati dalle altre Regioni italiane.
In omaggio a quel diritto alla salute, che rientra tra le prerogative fondamentali della persona.    



A Spoleto un progetto per accoglienza immigrati in ospedale

(ANSA) - SPOLETO (PERUGIA), 8 NOV - Un nuovo servizio di accoglienza presso l'ospedale Spoleto a favore degli immigrati e' stato predisposto nell'ambito del progetto ''Orientamento e informazione per l'immigrazione in ambito socio-sanitario''.
A questo scopo e' stato firmata un'intesa da Asl3, Comune di Spoleto e Cesvol e Comitato permanente per l'integrazione socio-culturale dei migranti. L'iniziativa si propone di favorire la fruibilita' dei servizi chiave, quali i reparti ostetrico-ginecologico, pediatria e Pronto soccorso, con particolare riferimento alle donne.


L'Italia che respinge le moschee
Da Colle Val d'Elsa a Genova: «Non li vogliamo qui» Viaggio nei luoghi di culto negati ai musulmani
Corriere della Sera
MILANO - «Scusi, lei li vorrebbe sotto casa sua? E allora lo dica, lo scriva: 'non siamo razzisti, vogliamo solo stare in pace» . È sempre così. Ogni volta che sindaci e amministratori comunali annunciano la costruzione di una moschea, tra gli abitanti del quartiere scelto per accoglierla si scatenano le polemiche. E' una conseguenza automatica: moschea uguale comitato cittadino. Moschea uguale lista civica. Moschea uguale presidio permanente. Lo abbiamo visto a Genova e Milano, la stessa cosa è successa a Ravenna e a Bologna durante la lavorazione del reportage Vanguard «Moschee d'Italia» che abbiamo realizzato per Current.

IN TOSCANA - A Colle Val D'Elsa, antico borgo in provincia di Siena, i cittadini che hanno le case con vista minareto si augurano che qualcuno raccolga il testimone di Oriana Fallaci. «La faccio saltare», dichiarò nel 2006 la scrittrice in un'intervista al New Yorker, «è vicino casa mia, prendo l'esplosivo e la faccio saltare». Era un paese di partigiani Colle Val D'Elsa, con una sinistra dal consenso bulgaro e il Partito a gestire sagre e riunioni fumose. Oggi c'è una lista civica nata proprio a sottolineare il disagio di avere una comunità musulmana che cresce di anno in anno, un gruppo di cittadini che strizza l'occhio alla Lega Nord, unico blocco politico in grado di ascoltare quel disagio, gestendolo sapientemente.

GENOVA - La stessa cosa capita a Genova, nel quartiere Lagaccio, dove le strade si chiamano via Bari e Via Napoli per le ondate migratorie dal meridione negli anni '60, un quartiere operaio che però oggi non vuole una moschea “per problemi di viabilità e sicurezza”. E così capita che la Lega Nord intercetti il malcontento e si presenti alle ultime Regionali con un giovane e bravo candidato fabbricando lo spot elettorale che porterà una valanga di consensi. «No alla Moschea: aiutiamo i liguri, non i clandestini», la popolazione vota e il Carroccio nel quartiere raggiunge il 13 per cento. Quando abbiamo avuto davanti agli occhi l'intera stesura del reportage la prima riflessione è stata proprio questa: l'Islam continua a fare paura e la strada per l'integrazione appare più che mai tortuosa. Il reportage che abbiamo realizzato per Current è l'affresco di un Paese che impara a stento ad accettare la presenza musulmana, faticando ancora a condividerne gli spazi. La frase più ricorrente che i nostri microfoni hanno registrato è stata «se vogliono pregare va bene, ma non lo facciano qui». Dove «qui» significa nel mio parco, nella mia strada, sotto le mie finestre.

IL RAMADAN - Per le riprese abbiamo scelto il periodo del Ramadan, quando il presidente Barak Obama ipotizzava la nascita di una moschea a Ground Zero e il Cardinale di Milano, Dionigi Tettamanzi, scriveva ai «cari amici musulmani». Un momento caldissimo, che ha contribuito a riscaldare anche alcune sequenze dell'inchiesta. Il resto è un'altra parte d'Italia, quella fatta di seconde generazioni che condividono le tradizioni con i loro coetanei cattolici perché «i datteri piacciono un sacco in classe» e di Imam che tentano di non alzare i toni dello scontro sociale rinunciando, come nel caso di Genova, a costruire una moschea in attesa di tempi migliori. Un Paese dal voto politico che si sposta improvvisamente da sinistra a destra, dove destra sta per Lega Nord e alla sinistra è imputato il “non ascoltare le esigenze dei cittadini in nome dell'accoglienza». Accade sempre più spesso, perché sempre più urgente è la necessità dei musulmani di avere luoghi dignitosi dove pregare. In Italia ad oggi esistono soltanto tre moschee, oltre a quella di Roma c'è la piccola moschea di Segrate e l'ultima nata a Colle Val D'Elsa, ancora da inaugurare. Il resto sono seminterrati e palestre che a chiamarli moschee si rischia anche di essere blasfemi. Siamo un caso limite in Europa, diversi dalle vicine Francia e Germania, insoliti anche quando c'è da organizzare gli spazi: a Milano per esempio capita che i musulmani festeggino le ricorrenze tra le bancarelle della festa del Partito Democratico, a Genova invece che si decida addirittura di costruire una moschea di fronte ad un centro sociale.

Silvia Luzi
Luca Bellino
(Vanguard Italia)
06 novembre 2010
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