Rosarno e non solo. Sfruttati e sfruttatori nei campi del Sud
Rosarno, provincia di Reggio Calabria, ma anche Cerignola (Foggia) e Castelvolturno (Caserta): “pur sapendo che i clan hanno soprattutto interessi nel traffico di droga e che non c’è un controllo capillare su tutte le attività lecite e illecite, ci sono dubbi che vanno sciolti. Mettendo da parte il guadagno delle imprese di trasformazione del pomodoro, comunque inclini a pagare 3,50 euro all’ora, cioè molto meno di quanto stabilito dal contratto nazionale di categoria, il guadagno che spetta al caporale è consistente. Se il caporale sottrae 50 centesimi all’ora dalla paga del bracciante (riceve dal padrone 3,50 euro e da all’operaio 3 euro, e alle volte anche 2,80) dopo dieci ore di lavoro avrà guadagnato 5 euro. Se gestisce almeno 50 operai, avrà guadagnato 250 euro. Dopo trenta giorni si sarà messo in tasca 7500 euro. Certo, ci sono le spese da sostenere (pulmini, autisti, affitti per i casolari, stipendi per propri scagnozzi...), ma, come dimostrato, queste spese sono state in buona parte recuperate con gli altri soldi sottratti ai braccianti proprio per il cibo, l’alloggio, il trasporto. Nel 2005 e nel 2006 almeno cinquemila cittadini polacchi (stime del governo di Varsavia) hanno lavorato nei campi pugliesi per una media di un mese a testa, quei 5 euro al giorno per lavoratore producono, in due anni, un milione e mezzo di euro! Tanto è il denaro che il caporalato sottrae a chi lavora e che viene poi diviso tra tutti i "soprastanti" e lungo tutta la catena di sfruttamento che, per funzionare, deve essere costantemente oleata. Ora, dal momento che quella cifra è abbastanza alta,  può non far gola alla malavita locale?”. (da Alessandro Leogrande – Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud Mondadori 2008).
l'Unità del 12 gennaio 2010
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