Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

20 ottobre 2014

Presentazione del libro: "L'articolo 3. Primo Rapporto sullo stato dei diritti in Italia"
www.radioradicale.it




Cittadinanza più rapida per i bambini stranieri. Bonus alle neomamme
Reni: "Ius soli temperato, sarà sufficiente un ciclo scolastico"
Dal 2015 contributo di 80 euro a chi fa figli. Durerà tre anni
la Repubblica, 20-10-14
FRANCESCO BEI
La cittadinanza italiana ai figli degli stranieri. Per Renzi «un fatto di civiltà», un vagone di quel treno dei diritti civili che partirà dopo la sessione di bilancio e la legge elettorale. I renziani ne parlano fin dai tempi della prima Leopolda e, a grandi linee, il progetto ormai è definito. Non sarà un’apertura indiscriminata, ma si passerà dallo ius sanguinis ( è cittadino solo chi nasce da italiani) a uno ius soli temperato: cittadinanza per i bambini che nascono in Italia da genitori immigrati, a patto però che concludano un ciclo scolastico.
Il disegno di legge del governo arriverà a fine anno, stavolta alla Camera — mentre delle unioni civili se ne occuperà prima il Senato — e l’obiettivo di Renzi è farlo diventare legge nel 2015. Che ne abbia parlato in televisione dopo la manifestazione anti-immigrati della Lega a Milano non è nemmeno un caso. Attaccato da sinistra per il Job’s Act, con le unioni civili e il “ddl Balotelli” sulla cittadinanza il capo del governo punta a spiazzare i suoi avversari, senza farsi trovare là dove lo stanno aspettando. Così, per scrollarsi di dosso l’etichetta di destra che gli stanno cucendo addosso, rilancia su un tema dove aveva fallito la precedente ministra dell’Integrazione Cecile Kyenge.
"Con Matteo ne abbiamo parlato. A gennaio — conferma Matteo Orfini, il presidente del Pd — partiamo con i diritti civili e sblocchiamo anche le cose lasciate a metà, come ad esempio il ddl contro l’omofobia". Un cambio di passo per dare l’idea di un esecutivo che non si occupa solo di economia ma ha una visione a 360 gradi della modernizzazione necessaria al paese.
Il problema semmai si porrà con il nuovo centrodestra, nel momento di fissare i paletti per i nuovi cittadini. Scartata l`idea di un esame di «italianità» ( che forse molti italiani doc non passerebbero), per il premier l`idea è quella di affidarsi al completamento di un ciclo scolastico. Scuola dell`obbligo per chi è nato in Italia, oppure la scuola secondaria superiore per chi è arrivato già adolescente. È, appunto, lo ius soli temperato. E del resto Dorina Bianchi, Ncd, ha già depositato un testo molto simile alla Camera dopo averne discusso con Angelino Alfano. Eppure, come sui matrimoni gay, gli alfaniani non intendono accettare il fatto compiuto. «Non siamo un partito xenofobo come la Lega - precisa Gaetano Quagliariello, coordinatore Ncd e siamo d`accordo sul principio dello ius soli temperato. Il problema con Renzi è definire il grado di... temperatura».
Intanto a Montecitorio sembra destinato per il momento a fermarsi _ in attesa del disegno di legge governativo, il cammino di quella ventina di proposte che i vari partiti hanno presentato sullo stesso argomento. Marilena Fabbri del Pd e la forzista Annagrazia Calabria, come relatrici, stanno studiando un testo unico da portare in aula, ma la commissione sarà ancora a lungo intasata dalla riforma del Senato. In più la grande incognita è l`atteggiamento del grillini, molto divisi al loro interno sul tema immigrazione. La linea post Circo Massimo sembrerebbe comunque quella dell`ostruzionismo su tutto, cittadinanza compresa. Inoltre proprio sul blog di Grillo, lo scorso anno, arrivò una bocciatura ufficiale ( e non firmata, quindi attribuibile ai due fondatori) della proposta di ius soli temperato avanzata dall`allora governo Letta. La regola attualmente esistente della cittadinanza acquisita dopo il compimento della maggiore età, per Grillo e Casaleggio, avrebbe potuto essere cambiata «solo attraverso un referendum» nel quale si sarebbe dovuti spiegare bene agli italiani «gli effetti di uno ius soli dalla nascita». Perché «una decisione che può cambiare nel tempo la geografia del paese non può essere lasciata a un gruppetto di parlamentari e di politici in campagna elettorale permanente».
Proprio la contrarietà dei leader 5stelle per Renzi costituisce un motivo in più per andare avanti sulla proposta. Come ha dimostrato lo scontro sul reato di immigrazione clandestina, i gruppi parlamentari del M5s sui diritti civili sono infatti più aperti del vertice. Su una materia così incandescente, prevede il capo del governo, non è difficile ipotizzare altre spaccature interne se Grillo e Casaleggio dovesse imporre la linea dura.



Centinaia di migliaia i ragazzi nati qui ma senza passaporto
la Repubblica, 20-10-14
Vladimiro Polchi
ROMA «Viviamo tutti dentro una contraddizione: ci sentiamo italiani, senza averne i documenti». Mihai Popescu, 21enne, figlio di romeni, a lungo rappresentante degli studenti medi, oggi studia Scienze politiche a Roma. Nelle sue parole, il disagio delle seconde generazioni di immigrati in Italia: ragazzi e ragazze che vivono a cavallo di due identità, mezzi italiani e mezzi marocchini, o cinesi, o romeni. «Vivo e studio in questo Paese — racconta Mihai — e in Romania ho solo qualche vecchia zia e dei bisnonni».
Come si diventa oggi italiani? In attesa della riforma più volte annunciata (e impelagata tra ius soli temperato e ius culturale) la nostra legge sulla cittadinanza resta ferma al ‘92. Per ottenere il documento italiano ci sono due strade. La prima si chiama “naturalizzazione”: l’immigrato deve dimostrare una residenza ininterrotta di dieci anni e un reddito minimo. La seconda è sposare un italiano. Per chi è nato qui da genitori stranieri, le cose non migliorano, anzi: il richiedente deve aspettare la maggiore età per poter presentare domanda, quindi dimostrare una residenza senza interruzioni fino ai 18 anni. Infine, ha solo un anno di tempo (fino al compimento dei 19 anni) per consegnare la domanda. E così resta alla porta un esercito di “nuovi italiani”.
Il numero di minori stranieri in Italia è infatti in continua crescita. Al primo gennaio 2010 rappresentavano il 22% del totale della popolazione immigrata residente. Al primo gennaio 2012 sono arrivati al 23,9%. Quest’anno hanno toccato quota 1.087.016. Dei ragazzi stranieri, quasi il 60% è nato in Italia, il 21% è entrato prima dei 5 anni e il restante 20% in un’età compresa tra i 6 e i 17 anni. Mediamente la popolazione straniera è più giovane rispetto a quella italiana. Basta leggere i numeri della Fondazione Leone Moressa: tra gli stranieri l’incidenza dei minori è del 22,1%, mentre tra gli italiani è solo del 16,2%. Non è tutto. Gli alunni d’origine immigrata iscritti nelle scuole italiane (anno scolastico 2012/2013) sono sempre di più: 786.630, pari all’8,8% degli alunni totali. Rispetto all’anno 2006-2007, il loro numero è aumentato di oltre il 56%. Tradotto in numeri assoluti, fa 250mila ragazzi in più.
Quasi la metà (47,2%) degli alunni stranieri è nata in Italia: incidenza che cresce ulteriormente nella scuola dell’infanzia (79,9%) e primaria (59,4%).
«Una parte di questi ragazzi si sente pienamente italiana — spiega Asher Colombo, sociologo a Bologna e curatore della collana “Stranieri in Italia” dell’Istituto Cattaneo — altri vivono una doppia appartenenza. Dipende dal gruppo etnico e da fattori religiosi. L’Italia deve essere comunque pronta: il nostro è da anni un Paese di immigrazione e non più di emigrazione, non si può più attendere questa riforma della cittadinanza».



Ius soli temperato per chi studia in Italia
Avvenire, 20-10-14
??Tra le riforme che il governo Renzi spera di avviare erntro l'anno prossimo c'è quella della cittadinanza ai minori nati in Italia da genitori stranieri. Una priorità per il premier che ieri nel salotto di Barbara D'Urso su Canale 5 e dopo la protesta della Lega scesa in piazza a Milano contro l'immigrazione clandestina, ha assicurato che il governo intende procedere presto per coprire una lacuna tutta italiana. Il premier Matteo Renzi ha parlato di «un fatto di civiltà», un progetto di cui si parla dai tempi della Leopolda e che sarebbe già pronto. Entro la fine dell'anno dovrebbe arrivare alla Camera e non ci dovrebbero essere problemi all'interno della maggioranza. Non sarà un’apertura a tutti, ma si passerà dallo ius sanguinis ( è cittadino solo chi nasce da italiani) a uno ius soli temperato: cittadinanza per i bambini che nascono in Italia da genitori immigrati, a patto però che concludano un ciclo scolastico. L’obiettivo di Renzi è farlo diventare legge nel 2015, rilanciando un tema che era stato affrontato dal precendete governo con il ministro dell'integrazione Cecile Kyenge.



La verità su Mare Nostrum
Avvenire, 20-10-14
Nello Scavo
Più di 94 mila i migranti, tra cui 9 mila minori, recuperati dalle navi della Marina Militare; 330 gli emissari dei trafficanti di esseri umani assicurati alla giustizia; cinque "navi madre" sequestrate. Risultati ottenuti, informa una nota della Marina, grazie all’utilizzo di 32 navi, 2 sommergibili, elicotteri, aerei che si sono avvicendati dall’inizio dell’operazione Mare Nostrum, esattamente un anno fa, con l’impiego di 920 militari al giorno: quasi 60 i trasporti sanitari con elicottero effettuati in emergenza; tredici gli arrembaggi su navi sospette da parte dei team di fucilieri della Brigata San Marco. Cifre che non fanno dimenticare i tremila tra morti e dispersi.
Dietro ai numeri della più grande operazione di soccorso in mare mai realizzata nel Mediterraneo, c’è l’impegno non solo delle autorità italiane, ma di migliaia di cittadini che attraverso parrocchie, associazioni, gruppi spontanei, non hanno lasciato che i migranti restassero privi di assistenza e accoglienza. In gran parte si tratta di profughi di guerra: più di 20 mila i siriani, almeno 30mila gli eritrei, e poi altre migliaia dall’Africa Subsahariana, dalla Palestina, dall’Iraq. Accogliendo l’invito di papa Francesco la Chiesa italiana, attraverso conventi, locali parrocchiali, centri di accoglienza, ha dato ospitalità a quasi ventimila persone, con in prima linea la Caritas Italiana che si è fatta carico di 15mila migranti.
Tra pochi giorni la flotta di 32 navi di Mare Nostrum verrà rimpiazzata da sei natanti dell’operazione Triton, messa a punto dall’agenzia Ue Frontex e senza priorità alle operazioni di ricerca e salvataggio dei migranti. I più agguerriti avversari della missione di soccorso italiana da tempo sostengono che i costi sostenuti dal nostro Paese sono insopportabili e che far calare il sipario comporterà grossi risparmi. Sarà vero? Stando ai costi standard delle forze armate, il funzionamento di una fregata come la Maestrale necessità da sola di 60mila euro al giorno (quasi 2 milioni al mese); 50 mila per nave San Marco, e poi 15mila per i pattugliatori. Ciò indipendentemente dall’uso che di questi mezzi si decide di farne.
A meno di credere che con l’addio a Mare Nostrum i vascelli della Marina smetteranno di navigare e ai marinai non verrà pagato lo stipendio, occorre comunque mettere in bilancio non meno di 9 milioni al mese, tanto quanto è costata Mare Nostrum. In verità il costo maggiore si deve all’accoglienza e all’assistenza ai profughi sulla terraferma. Il ministero dell’interno stanzia 30 euro al giorno per persona. Secondo stime non ufficiali, su 150mila sbarcati sarebbero tra i 50 e 70mila quanti hanno scelto di restare in Italia. Vuol dire mettere in preventivo fino a 3 milioni al giorno, che in un anno fanno quasi un miliardo. Un impegno enorme, che non verrà meno visto che sulle coste libiche ci sono, secondo vari osservatori internazionali, più di mezzo milione di persone pronte a imbarcarsi.



In un anno 46mila arrivi "Lasciati soli sul fronte dell`emergenza profughi"
Dodici mesi fa i primi flussi di migranti, accolti 11 mila minori
Majorino: "Roma deve ricordarsi che nel 2015 ci sarà l`Expo"
la Repubblica, 20-10-14
ORIANA LISO
QUASI 4mila persone in media ogni mese, con punte massime di 1.700 arrivi in un giorno, 46.300 in un armo: la Stazione Centrale, da ottobre 2013 a oggi, ha visto passare non soltanto viaggiatori e turisti, ma anche migliaia di profughi siriani, palestinesi, eritrei ( questi ultimi concentrati soprattutto nelle vie intorno a Porta Venezia). Adulti e tantissimi bambini: 11mila i minori aiutati, molti sono sotto i dieci anni, tanti i neonati, altrettanti i nuclei familiari formati da almeno cinque persone, tra genitori e figli. Sono arrivati a Milano dopo viaggi drammatici sui barconi, in fuga da guerre e morte: soltanto 53 di loro hanno chiesto asilo politico, tutti gli altri, conunricambio continuo, hanno cercato di andare via, verso parenti e amici soprattutto nel Nord Europa.
Non è, insomma, un compleanno felice, quello dell`emergenza profughi: ma il sindaco Giuliano Pisapia ha voluto comunque ricordarlo, andando ieri mattina proprio in Centrale, dove decine di volontari, organizzati dal Comune, si alternano per aiutare chi arriva, dando ro informazioni - grazie ai mediatori culturali - generi di prima necessità, e facendo giocare i bambini, anche nel viavai abituale di una stazione.
È una risposta indiretta, quella del sindaco, alla manifestazione di sabato della Lega e di Casa Pound proprio contro l`immigrazione. Diretto è l`assessore al Welfare Pierfrancesco Majorino, che parla di una «piazza che trasuda odio» e spiega: «Ci siamo tirati su le maniche, in quest`anno, e abbiamo lavorato nonostante ci sia, da una parte, chi soffia sul fuoco della paura e preferirebbe che queste persone, bambini compresi, fossero sbattuti per strada senza aiuto, dall`altra un governo che ci ha lasciati soli a gestire l`emergenza e che non ha ancora strutturato a livello nazionale un sistema efficace di accoglienza». Da mesi Palazzo Marino insiste con Roma per organizzare in modo diversogli arrivi: da Lampedusa, infatti, i profughi vengono lasciati partire ( se non proprio accompagnati) verso Milano. Qui, grazie alla rete messa in píedí dal Comune e dalle associazioni del Terzo settore, fanno una sortadisostaprima di tentare di andare altrove.
Il problema, per Majorino, riguarda il futuro prossimo, con una preoccupazione concreta: perché, con la necessità di concentrare l`attività delle forze dell`ordine e delle reti di intervento su Expo -per i 20 milioni di turisti attesi, per la sicurezza, per la logistica- come si farà a garantire ancora lo stesso livello di aiuto ai profughi, se la situazione nei loro Paesi dí origine non dovesse migliorare? «Abbiamo un sistema straordinario che si è mobilitato e che con grande orgoglio sta facendo una cosa unica, ma penso che fra pochi mesi a Milano ci sarà Expo: sarebbe molto strano doversi trovare la prossima estate di nuovo con picchi di arrivi e con la Protezione civile e le forze dell`ordine, che fmora ci hanno sostenuto, a dover gestire entrambi i fronti. Se il governo non decide una strategia centrale di accoglienza, nonostante la generosità e l`impegno dei milanesi sarà impossibile far fronte a tutto».



Diritto di voto agli immigrati contro la rabbia fascioleghista
la Repubblica Milano, 20-10-14
IVAN BERNI
SABATO scorso piazza Duomo ha segnato il battesimo del lepenismo all`italiana. Erano tanti, troppi, per liquidare il fenomeno con un scrollata di spalle. Il cemento con cui Matteo Salvini ha messo insieme leghisti in crisi d`identità, fascisti vecchi e nuovi e benpensanti affascinati dal brivido di "fare i cattivi" è stato, come sempre, la paura. Quella per gli immigrati, certo, ma nutrita stavolta da potenti additivi: itagliagole nerovestiti dell`Isis e il terrore della peste nera dell`Ebola, oltre ai barconi stracarichi di disperati in fuga in arrivo a Lampedusa. Paura e impulsi reazionari anche per ché il mondo non gira più come una volta. Con Berlusconi che adesso è d`accordo con le unioni gay. E pure questo Papa che apre le porte della chiesa agli omosessuali, vuol dare la comunione ai divorziati e continua a predicare l`accoglienza a chi fugge da miseria, guerre e persecuzioni.
Salvini, che la paura la fiuta come un cane da tartufi, ha offerto piazza Duomo alla rappresentazione di questo festiva` del livore. Giustamente, ieri, il sindaco Pisapia ha ricordato che «Milano è una città democratica che non può accettare atteggiamenti lesivi della dignità dell`essere umano solo perché straniero». Forse si farà una contro manifestazione.
Forse in piazza Duomo ci sarà più gente. Bisogna augurarselo e lavorare perché accada. Però bisogna dire chiaro che non basta. La piazza non è, e non può essere, una risposta sufficiente per Milano e per il Paese. All`apprendista stregone Salvini, che sdogana il peggio del neofascismo e della xenofobia sulla scena politica, bisogna rispondere imponendo un rovesciamento dell`agenda.
OCCORRE che, finalmente, e proprio da Milano, parta una controffensiva rispetto a questa marea di rancore xenofobo. C`è un tema su cui la Lega, e più in generale la destra, ha esercitato in questi vent`anni una sorta di interdizione permanente. Ed è quello del diritto di voto agli immigrati regolari e "lungoresidenti". Perlomeno del voto amministrativo. Un tabù al quale si è piegata, senza nemmeno vergognarsene troppo, anche la sinistra, quella riformista e quella radicale. Per non dire del silenzio pressoché assoluto dei centristi di varia e assortita ispirazione e degli stessi sindacati. Bene, proprio perché piazza Duomo sabato si è riempita di quella marea. Proprio perché Milano non può tollerare uno schiaffo di quel genere alla sua tradizione democratica e al suo spirito di accoglienza, è venuto il momento che parta da questa città un`iniziativa forte per il riconoscimento del diritto di voto quanto meno amministrativo ai milioni di immigrati regolari residenti che vivono e lavorano in questo Paese. Non si tratta di un concessione "buonista", si tratta di un diritto elementare definito dalla più pura tradizione liberale: "no taxation vwithout representation". Non si possono esigere tasse da chi non ha rappresentanza. Gli oltre duecentomila immigrati regolari che vivono e lavorano a Milano,
il milione di immigrati della Lombardia - moltissimi dei quali perfettamente integrati - i sei milioni di immigrati in Italia le tasse le pagano. Così come pagano fior di contributi previdenziali dei quali, in gran parte, non potranno usufruire. Pagano ma fin qui non hanno il diritto di esprimere la loro preferenza per i sindaci, i presidenti di Regione, i consiglieri comunali e i consiglieri regionali, e per i partiti da cui provengono o che li sostengono. Né hanno diritto di farsi votare. Dal Consiglio comunale di Milano, e dal suo sindaco, potrebbe partire un forte segnale in direzione del governo perché, come è avvenuto e sta avvenendo per il riconoscimento delle unioni civili, si metta all`ordine del giorno il diritto di voto amministrativo per gli immigrati residenti in Italia da almeno cinque anni. Potrebbe prendere la forma di un ordine del giorno votato a Palazzo Marino, di un grande convegno nazionale durante la stagione di Expo, di una campagna che restituisca a Milano il volto di una grande metropoli aperta e solidale. Di una capitale dei diritti, non del rancore e della paura razzista.



Affonda barcone, 55 in salvo a Marettimo
Avvenire, 18-10-14
Un barcone carico di immigrati è affondato la notte scorsa davanti alla costa dell'isola di Marettimo, la più remota delle isole Egadi. La Capitaneria di porto di Trapani ha recuperato 48 persone. In salvo anche 5 bambini, che sono stati ricoverati in ospedale in stato di ipotermia, e due donne. Secondo quanto ha riferito in tarda mattinata la Capitaneria di porto di Trapani, l'allarme è scattato ieri sera poco dopo le 21 quando una telefonata che parlava di un barcone in difficoltà nel mare delle Egadi è stata ricevuta dalla centrale operativa del comando generale della Guardia costiera di Roma. È scattata subito un'operazione di ricerca e sono salpate da Trapani le motovedette CP849 e CP303, che in vista di Marettino, a un miglio circa da Punta Libeccio, hanno individuato il natante inabissato.
 I passeggeri erano riusciti a raggiungere la costa, un'impervia scogliera difficilmente accessibile via terra nell'oscurità. I soccorritori hanno perciò utilizzato una zattera gonfiabile con la quale i naufraghi sono stati trasbordati sulle motovedette. La Capitaneria di porto di Trapani ha escluso che vi siano dispersi. Le testimonianze delle persone soccorse sarebbero concordi nell'indicare che tutti i profughi presenti sul barcone sono arrivati sull'isola e sono stati prelevati. Gli immigrati hanno dichiarato di essere siriani, libici e tunisini.



Esclusivo- Per la prima volta parla il fondatore di All tv in una riunione con la redazione.
Jean Claude MBEDE FOUDA: “Così un addetto romano rifiutò di pagarmi un assegno del Presidente Napolitano”
E se l’avessimo rispedito indietro per obbedire al discorso populista di quel 2008 che segnò l’inizio della crisi economica che colpiva l’Italia e l’Europa tutta? Quell’anno Pdl e Lega Nord avevano stravinto le elezioni politiche anche grazie a uno slogan basato sul rimpatrio indiscriminato dei migranti e la chiusura delle frontiere nazionali.
Invece, è diventato un volto dell’”immigrazione positiva” che sognerebbe qualsiasi paese. Dimostrando con impegno, spirito di sacrificio e onestà che i migranti possono essere una risorsa per il paese.
Da quel 2008 Jean Claude MBEDE FOUDA, giornalista venuto dal Camerun un 24 gennaio pomeriggio forzato dalle vicissitudini di una delle ultime dettature politiche africane, è diventato un cittadino rispettato nella società italiana. Prima ha forzato le porte ermetiche dell’Ordine dei giornalisti, diventando il primo esiliato a iscriver visi, e dallo scorso gennaio sta svolgendo l’incarico di “Communications Officer” per conto della Cooperazione in Etiopia, Gibuti e Sud Sudan. Un anno fa, il 18 ottobre 2013, con l’appoggio del Fondo Europeo, il Consiglio Italiano per i rifugiati e l’OIT di Torino, lancia a Milano il progetto All-tv (www.all-tv.tv), canale televisivo online. Il primo anniversario di questo progetto accolto come una rivoluzione culturale è il pretesto per questa intervista, intrusione nella vita anche privata di un rifugiato di tutto rispetto. Che merita di essere raccontata.
All tv è nata un anno fa con l'obiettivo di diventare il primo canale televisivo multietnico d'Italia. Che bilancio fate di quell’obiettivo?
Un anno eravamo un trio multietnico, e dopo tentato senza successo di fondare un’Agenzia afro italiana (Afrikitalia.it), insieme a Cheikh Tidiane Faye e Claudia Oriolo decidemmo di creare All tv. Avevamo due obiettivi: il primo era fondare in Italia un canale televisivo che realizzasse l’ideale di una società della cittadinanza comune, con differenze accettate e rispettate. Il secondo obiettivo era creare una piattaforma di dialogo fra i popoli che vivono in Italia affinché potessimo conoscerci e discutere utilizzando la lingua che ci unisce, l'italiano. Volevamo mettere a disposizione delle nuove generazioni uno strumento di dialogo comune, e siamo contenti che in un anno circa settantaquattro giovani italiani e stranieri abbiano potuto lavorare insieme, consentendo al progetto di proseguire e progredire.
Eppure All tv è rimasto solo un “progetto” che fa fatica a diventare la tv voluta?
Quando si fa un progetto come il nostro che è culturale, editoriale e imprenditoriale, c’è bisogno di tutti. A livello culturale, abbiamo avuto un’adesione completa del pubblico italiano. La politica ci ha messo la faccia perché l'inaugurazione ha visto un successo inusuale in Italia per un progetto simile, peraltro promosso da un cittadino nato all’estero. Abbiamo ricevuto 264 curriculum vitae da tutti i settori.  Abbiamo pubblicato 356 video e 1254 articoli. Abbiamo avuto più di tre milioni di visualizzazioni sul sito e quasi dieci milioni su Facebook. All'inizio addirittura avevamo fra venticinque e cinquanta mila visite al giorno. Questo è quello che noi potevamo dare a titolo di volontariato.  E lo abbiamo fatto.  Purtroppo, questo patrimonio e questi sforzi non hanno conosciuto adesioni a livello imprenditoriale. Non abbiamo avuto un solo euro dalle imprese e dalle autorità. Senza soldi nessuno può fare una tv. Non basta solo avere il progetto, l’idea, un business plan fatto bene. Alcune grandi imprese straniere ci hanno fatto delle promesse, chiedendoci di mettere il logo delle proprie aziende sui manifesti dell'evento inaugurale promettendo di dare un contributo economico, per poi sparire dopo il 18 ottobre.  Ecco perche, fra gli altri motivi, All tv ha sofferto ed è rimasto solo un progetto. In tutti i grandi paesi, le autorità incoraggiano la società civile a fare progetti come il nostro. Ripeto, nessuno può fare una tv senza soldi. All TV è stata un’opportunità, e lo è tuttora. Chi investirà sulla prima tv multietnica d’Italia ci guadagnerà tantissimo.
Si dice che All-TV sia quasi finita quando sei andato all’estero lasciando il progetto. È vero?
No. Per come ho concepito All tv, contavo davvero poco all'interno del progetto per il suo funzionamento. Siamo un gruppo di professionisti e apprendisti volontari e dinamici. Anche oggi senza di me, All tv gode della presenza di una trentina di ragazzi determinati a non vedere il progetto morire.  La Caporedattrice Angela Roig, che è una giornalista professionista italiana di origine peruviana, ha tenuto a galla la redazione. E l’ha fatto anche in pre-maternità (faccio tanti auguri a lei e al bimbo appena nato).  Il progetto è stato gestito con efficacia da una ragazza delle seconde generazioni intelligente e preparata, Michelle Francine Ngonmo. Queste presenze dimostrano che anche se ci fossero stati dei soldi sarei andato via una volta che mi ha chiamato l'Italia a servirla all'estero. Ad All tv è mancato il sostegno economico, non la mia figura.
A proposito, sei da Gennaio 2014 in Etiopia, dove lavori per la Missione Italiana di Cooperazione. Da chi sei stato raccomandato?
Da me stesso. Ho saputo che c'era un bando con una posizione aperta per ricoprire un ruolo che ho sempre ricoperto. Ho sempre voluto lavorare per raccontare i rapporti tra Italia e Africa, e per questo motivo avevo fondato nel 2012 il sito Afrikitalia.it, che purtroppo si è chiuso per mancanza di fondi. Sono giornalista dal 1999. Ho fatto il reporter, il capo redattore, l'inviato, il direttore, l'editore sia in Camerun, sia in Italia. Avevo qualcosa da dare alla Cooperazione italiana in Etiopia, un paese prioritario per l'Italia, per questo ho deciso di fare domanda.
Com’è il tuo lavoro per l’Italia in Etiopia?
Sono addetto alla comunicazione, ossia collaboratore tecnico. Il mio compito è di mantenere i rapporti con la stampa globale. Organizzo eventi e aiuto la stampa locale e italiana ad avere una maggiore conoscenza del nostro lavoro.
Come sei stato accolto all’interno dell’apparato diplomatico italiano?
Sono stato accolto molto bene sia dall'allora Ambasciatore Renzo Rosso e dal Direttore dell’Ufficio della Cooperazione Italiana Fabio Melloni che dall'attuale Ambasciatore Giuseppe Mistretta. La cosa bella è che non mi hanno mai considerato come un ”diverso”. Mi hanno considerato sin dall'inizio come una risorsa, e questo mi ha aiutato molto.
 Come ti hanno accolto i tuoi colleghi?
Sono stato integrato in un team di esperti che gestiscono i vari settori del nostro lavoro nella Cooperazione. Io gestisco la comunicazione che è centrale per qualsiasi struttura e mi metto in contatto con tutti. E quando lavori lì dentro e al mio posto capisci che ci sono tanti italiani, soprattutto all'estero, che amano davvero il nostro Paese.
Com’e la Cooperazione Italiana?
Ho visto che l’Italia fa tanto nella Cooperazione. Aiuta concretamente con ospedali, formazione di medici, progetti d’acqua e di educazione, sostegno all’agricoltura e all’impresa. Con poche risorse, l’Italia sta facendo davvero tanto. L’ho visto dal vivo e devo testimoniare.
Quanto tempo rimarrai al tuo posto in Etiopia?
Faccio quello che amo fare, comunicare, e lavorare per l'Italia è un privilegio unico per qualsiasi cittadino. Non m’interressa lo stipendio. M’interessa scrivere la storia.  Le generazioni future ricorderanno quello che stiamo facendo oggi. Per questo vivo lontano dalle mie figlie che amo intensamente.
Questa è integrazione. Tu sei arrivato in Italia solo sei anni fa. Come si fa ad arrivare dove sei arrivato tu?  
La mia integrazione in Italia non è stata facile, come quella di tanti altri migranti. Sopratutto per un rifugiato arrivato nel 2008, quando la crisi attuale iniziava davvero. Io ho accettato la sfida di soffrire. E ho sofferto tanto in Italia per percorrere la mia strada, perché spesso non c’è posto per l’immigrazione qualificata. Ho sofferto la fame e lo sfratto, ho distribuito volantini.
Perché sei in esilio?
Perché ho voluto essere onesto con me stesso e con la società. Quando ho visto come i giornalisti per sfuggire alla povertà si ”vendono” alle autorità e ai poteri forti, la mia fine naturale era l’esilio. Ho sofferto molto, l’esilio non è un gioco. Ho tanti amici in Camerun, ma li vedo in Europa.
Come ti senti oggi?
Sono contento di aver salvato la mia famiglia, la mia vita. Vedete quanti giornalisti e intellettuali sono morti dopo di me in Camerun e nessuno dice nulla. Quando sono venuto in Italia, la mia famiglia si era rifugiata in una chiesa. Non conoscevo la mia secondogenita neonata. Mi mancavano. Non avevo soldi al mio arrivo. E non parlavo l’italiano. A Crotone per quattro mesi, pregavo cinque volte al giorno per avere l’asilo. Ora vivo in Italia e vedo crescere le mie figlie in tutta sicurezza. Sono arrivato in Italia giovanissimo, e la mia energia la metto al servizio del mio nuovo paese.
Com’è la vita di un richiedente asilo?
In Italia la differenza tra il richiedente asilo e il titolare della protezione cui e stato riconosciuto lo status di rifugiato è che il secondo ha dei documenti. A parte questo, siete uguali. Non avete nulla. Il lavoro non c’è. Non parlate italiano. Non avete nessun sostegno. In quel settore, lo stato ha abbandonato tutto al volontariato purtroppo. A volte I centri d’accoglienza sono come delle carceri. Anche se ero arrivato con un visto regolare e un passaporto consegnato alle autorità, non sono stato trattato diversamente. Il mio primo choc fu essere trasferito a Crotone da Varese Ero in una stanza con cinque altri ragazzi con una mentalità molto diversa. Si battevano, a volte c’era del sangue. Venuto a Roma con i documenti per rifare la mia vita, andavo al Circo Massimo ogni giorno a cercare un po’ di centesimi di euro per terra. Per la mia fortuna ogni giorno trovavo almeno un euro e così telefonavo a mia moglie per dirle di essere forte che avrei fatto di tutto per portarla di nuovo con me. È stata dura, poi sono riuscito grazie all’Associazione Greencaccord, il Cir e l’Unhcr a portarle in Italia. Ho conosciuto Raffaella, la mia seconda figlia, all’aeroporto di Fiumicino. All’inizio eravamo in un centro di prima accoglienza, una sola stanza. Era vietato cucinare e Raffaella, che aveva otto mesi, richiedeva il latte. La responsabile era abbastanza rigida, per cui riscaldavamo il latte clandestinamente con il rischio di farsi espellere dal centro. È stato così fino a quando ho incontrato l’ex ministro Claudio Martelli, che stava lanciando un progetto di formazione per una web tv. Grazie a quel progetto sono uscito nel 2010 dal centro d’accoglienza, e sono andato a Milano per lavorare. Oggi vivo a Gallarate.
 Sei diventato il primo rifugiato iscritto all'ordine dei giornalisti in Italia.
È stata una gioia incredibile. Quando ho ricevuto il mio tesserino dall’Ordine dei Giornalisti, ho sentito come se mi avessero restituito una vita rubata. Essere giornalista fa parte di me. La mia battaglia è durata tre anni, e devo dire che avevo già perso ogni speranza perché il Ministero della Giustizia non rispondeva alle mie richieste. Fino a quando ho conosciuto l'associazione “A Buon Diritto”, fondata dal Senatore Luigi Manconi e molto vicina a persone socialmente deboli. Valentina Brinis, molto colpita dalla mia battaglia ha deciso di farne un caso rappresentativo. Anche per mostrare ad altri rifugiati che è possibile rifarsi anche intellettualmente.  È stata una battaglia diplomatica, accademica e politica, perché per un rifugiato diventato un nemico del regime era difficile avere alcuni documenti. L'ambasciata d'Italia in Camerun mi ha aiutato molto a raccogliere alcuni documenti. Poi, avendo lavorato per testate internazionali come la Radio Vaticana e Voice of America, ho potuto avere degli attestati verificabili. Ma è stata dura fino al decreto del Ministero della Giustizia, l'esame di stato e il tesserino del giornalista professionista.
Perchè hai nascosto quell’assegno del Capo dello Stato?
Avevo fatto la promessa al Presidente della Repubblica di non parlarne prima di un certo tempo. Speravo di farlo appena lui si fosse ritirato dall'incarico per omaggiarlo. Ero a Roma, in un Centro di prima accoglienza, e ricevevamo un buono pasto settimanale da 5 euro. Avevo tentato di fare un po’ di tutto per uscire da questa situazione, non sono uno che non si muove, anzi, ma era tutto bloccato. Allora avevo deciso di scrivere una lettera al Presidente della Repubblica per dirgli che, se in Italia soffriamo tutti, per noi che in Italia non abbiamo nessuno lo è ancora di più. Ringrazio i collaboratori del Capo dello Stato, perche sono stati molto sensibili.  Dopo una settimana ho ricevuto una riposta del Presidente. Poi un assegno simbolico che mi ha fatto pervenire tramite la Prefettura di Roma.
Di quanto era l’assegno?
Permettetemi di non dirlo. Un assegno, seppur simbolico, dal Presidente, non ci credevo. Neanche i miei amici lo sanno. Un’addetta della banca rifiutò di pagarmi quando vide la firma sull’assegno. Mi chiese chi me l’avesse dato, ed io risposi: “ Il Presidente della Repubblica”. Al che lei replicò: “Beato te, salutami il Capo dello Stato la prossima volta”. Finalmente il responsabile di quella banca vide che era tutto regolare e pagò l’assegno.
Quel gesto del Presidente Giorgio Napolitano mi ha cambiato, perché nella sua lettera mi chiedeva di non mollare. E quelle parole mi hanno accompagnato in tutto ciò che ho fatto in Italia fino ad oggi.
Sei sposato. Tua moglie si è adeguata all’esilio?
L'esilio non è facile. Ho la fortuna di avere una moglie che mi ama e che mi ha seguito. Sono sette anni che non vede i suoi genitori!
Come vi siete conosciuti?
Ci siamo incontrati nell'estate del 2000. Ero un giovanissimo giornalista laureato e fiero. Ero stato mandato via dalla tv di stato, e prima di diventare capo ufficio stampa per la Federcalcio camerunense ero andato a fare il volontario presso una radio cattolica. Lei venne a visitare la radio, che trasmetteva preghiere e musica cristiana. Scrissi il numero di telefono della radio e lo passai a un giovane del suo gruppo. Ci mise un mese prima di chiamare, su incitazione di sua madre! Io in quei tempi cercavo una ragazza con cui costruire una famiglia. Credo molto nel matrimonio. Quando ci siamo visti, mi è piaciuta subito, e dopo non ci siamo mai più lasciati. Litighiamo spesso, colpa delle difficoltà a volte economiche e anche dell’ambiente, perché l'esilio è duro. Ma l’amore prevale sempre.
Qual è il tuo rapporto con le comunità straniere d’Italia?
Anche prima di All Tv, la gente mi vedeva in Tv e mi riconosceva per strada in Italia. Oggi ricevo tanti messaggi di persone che mi dicono quanto gli piace la mia idea dell’integrazione, tutto quello che faccio. All tv è finito sulle copertine di tanti giornali importanti in Italia e in Europa, e persino alcune comunità sudamericane hanno riconosciuto che stavo facendo bene per l’interesse dei migranti. Ma sapete chi non ha mai voluto parlare di All tv? Le comunità africane! La mia Africa. Mi vogliono cancellare, non m’invitano a nulla. Per loro All tv non esiste.  
Come spieghi quest’atteggiamento di cittadini stranieri?
Tanti stranieri arrivati decine d’anni fa hanno scelto di vedere in me solo un rifugiato arrivato da poco e che fa loro ombra. Lavorare con gli italiani è spesso più facile che collaborare con cittadini d'origine straniera. A lavoro, sull'autobus, in città, i ragazzi di origine straniera cresciuti o addirittura nati in Italia sono quelli che più di tutti mi hanno discriminato.
Come si può correggere quest’atteggiamento?
La mia opinione è che vi sono stati discorsi e percorsi sbagliati, c’è stata una cultura della divisione. I nati in Italia vogliono essere più italiani di tutti. Ce l’hanno con gli Italiani e con i rifugiati. Poi qualcuno ha promosso piccoli giornali in lingue delle varie etnie, e questo secondo me crea un ulteriore distacco. Se uno straniero che arriva in Italia non impara l'italiano, come farà a integrarsi? Questo discorso mi è valso le minacce da parte di italiani e stranieri che operano in quel settore. Ma se vogliamo un cambiamento culturale, gli stranieri devono integrarsi e imparare l’italiano.
Sei durissimo con i ragazzi delle seconde generazioni...
Questo significa che sono duro con le mie figlie. Perché voglio il loro bene!
I ragazzi delle seconde generazioni devono puntare in alto studiando più di tutti. Altrimenti faranno sempre e solo lavori non qualificati: baby sitter, commessa, pizzaiolo. Integrarsi è secondo me prendere il meglio che offre la società italiana. Studiare può aiutare le comunità straniere a cambiare la propria immagine. Le mie figlie sanno cosa mi aspetto da loro: la laurea!
Qual è il tuo rapporto con Cecile Kyenge?
Un rapporto cordiale, di rispetto e professionale. Abbiamo fatto tanto insieme per la lotta per i diritti civili in Italia. Per me è stata un modello, mi ha ispirato. Ma ho un riflesso da giornalista e con certe persone importanti il rapporto spesso rimane molto professionale. Cosi è sempre stato con Cecile, nonostante la mia grandissima ammirazione. Tutti nuovi italiani dovrebbero imparare da lei. È arrivata in Italia a diciotto anni tra tante difficoltà, ha voluto studiare e oggi è un medico specialista.  Se vogliono essere rispettati, i nuovi italiani devono puntare a essere medici specialisti, giornalisti professionisti, ingegneri. Così saranno rispettati dalla società. Ecco la mia idea d’integrazione.
I due personaggi policiti preferiti in Italia?
Il Presidente Napolitano e la presidente della Camera Laura Boldrini. Il primo è l’essenza della saggezza. Si è sacrificato nonostante l'età per il bene del paese. La seconda è una politica moderna. Abbiamo lavorato insieme nel campo delle migrazioni, è' rimasta la stessa persona semplice e onesta.
E il Premier Renzi?
Ha tanta energia, tanta buona volontà. Ha un grande amore per l’Italia. Sta facendo bene e speriamo riesca a portare avanti le riforme che servono. Personalmente avrei voluto vedere nella sua squadra di governo Cecile Kyenge. In Italia ci sono tanti cittadini diversi per nascita, colore, religione, storia. Questo messaggio non deve mai mancare.
Che cosa pensi dello ”Ius Soli”?
La cittadinanza è la volontà di un cittadino straniero di fare di se stesso un membro della comunità nazionale, dunque deve essere meritata. Avere la cittadinanza non è avere un passaporto, così come essere integrati non è avere un lavoro e uno stipendio. Penso che la cittadinanza debba essere riconosciuta ai ragazzi nati o cresciuti in Italia, ma dopo un percorso scolastico determinato e prima di una certa età, per non creare uno choc psicologico. Ho l'abitudine di ripetere che l'integrazione passa anche dall'aiuto all'integrazione lavorativa dei genitori, perché se mia figlia per mangiare deve aspettare da me sempre un prodotto della Caritas, se non ha i soldi per fare una gita scolastica crescerà con questo riflesso d'inferiorità psicologica. Queste piccole cose devono accompagnare un processo vero d’integrazione.
Cosa pensi del dibattito sull'articolo 18?
 Prima di pensare alle tutele, il lavoro lo dobbiamo trovare. Sono per un contratto unico che dia a tutti le stesse garanzie.
Segui ancora la nazionale di calcio del Camerun?
 Certamente. La squadra del Camerun fa parte di me. Ho viaggiato tanto con essa e con alcuni giocatori ho vissuto cose straordinarie. Però non mi sono meravigliato per quello che è successo ai mondiali in Brasile, perché la politica ha usato il calcio dando ad alcuni giocatori, peraltro strapagati in Europa, troppo potere. È un peccato. Comunque seguo la nazionale del Camerun così come quella italiana. Il calcio è la mia passione più grande.
Qual è oggi il tuo rapporto con Samuel Eto'o, figura importante del calcio internazionale e del Camerun?
Samuel (Eto’o) ha fatto la storia del calcio. È un campione ma gli sono mancate la leadership e l’umiltà. Ha tenuto una nazione in ostaggio con la scusa dei premi non pagati. Una vergogna per uno che dalla nazione ha ricevuto tutto. Non permetto a un giocatore seppur milionario di insultare la bandiera come ha fatto Eto’o prima dei mondiali.
Hai incontrato Papa Francesco!
Sì, un evento unico nella mia vita, anche perche non ci speravo tanto. Era il primo settembre scorso. Ero stato invitato fra le stelle del calcio mondiale alla partita per la Pace. È stato il momento più bello della mia vita. Il Santo Padre è una persona dolce e allegra che trasmette gioia, energia e speranza. In cinque minuti mi ha cambiato profondamente.
Dove ti senti meglio essendo in esilio?
Sono di Gallarate! Mi sento emozionato quando lascio l'Etiopia per tornare a Gallarate, in Italia. Accetterei volentieri un riconoscimento come gallaratese nel mondo! A Gallarate mi piace andare in giro per la città a piedi. Mi sento sicuro, mi sento bene.
(Marsela Koci)

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