Il lavoratore invisibile e senza diritti è sempre migrante

 

Italia-razzismo  
Silvio Di Francia   
È uno dei più colpiti dalla crisi, la sua busta paga reca 300 euro in meno rispetto a quella del collega italiano, è più esposto di altri lavoratori alla prospettiva di perdere il lavoro. E’ questo, in sintesi, l’identikit del lavoratore immigrato in Italia, come tratteggiato dal “Primo Rapporto Annuale sull’Economia dell’Immigrazione” curato, per Il Mulino, dalla Fondazione Leone Moressa.
 Ma, anche se questo è il quadro che emerge da una diseguaglianza storica, alla quale si aggiungono gli effetti della crisi, ciò non deve indurre a sottovalutare il peso cruciale del contributo che il lavoro immigrato reca alla nostra economia.
Se, infatti, gli stranieri rappresentano la parte della popolazione che più ha subìto l’effetto negativo della crisi, con un tasso di disoccupazione che passa dall’8,5% del 2008 all’11,6% del 2010 e con tassi d’indigenza più elevati, evidenziati dal 37% di famiglie straniere sotto la soglia di povertà, rimane significativo il dato rappresentato dal 5,1% del totale dichiarato e i quasi 6 miliardi incassati dall’Irpef pari al 4,1 % del totale dell’imposta netta.
Questi pochi e scarni dati, non rendono giustizia, naturalmente, del lavoro imponente e complesso e della mole di dati contenuti dallo studio della Fondazione Moressa; eppure raccontano, già in queste poche righe, quanto l’immigrazione sia - e non da oggi - questione rilevantissima che riguarda il lavoro e lo sviluppo economico. O meglio: questione di cui sono consapevoli forze sindacali e imprenditoriali, studiosi dell’economia e amministratori locali eppure, colpevolmente marginale nella discussione pubblica. 
l'Unità, 12-11-2011
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