Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

L’uomo nero a Firenze

Un pazzo, o un pazzo razzista. Un uomo uccide due senegalesi in preda a una furia xenofoba. Per Luigi Manconi è la caduta del tabù del razzismo che genera gli “imprenditori dell’intolleranza”
Un uomo che apre il fuoco in due mercati di Firenze, uccide due ambulanti senegalesi, ne ferisce gravemente altri, viene raggiunto dalla polizia in un parcheggio sotterraneo e si spara al petto per evitare la cattura (o, dice un’altra versione, nel corso di uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine).

“Un pazzo”, dicono alcuni mentre un corteo di senegalesi attraversa la città (con momenti di tensione). “Un razzista”, dicono altri. “Un pazzo razzista”, dicono altri ancora, mentre il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano invita a ripudiare ogni “predicazione di razzismo”. L’uomo, Gianluca Casseri, ragioniere, solitario, cinquantenne fondatore di una rivista della destra radicale, viene descritto come “vicino” a Casa Pound. L’associazione ieri diceva: era solo un simpatizzante, lo conoscevamo appena, non siamo soliti chiedere la patente di sanità mentale.
Il sociologo Luigi Manconi studia il tema dell’intolleranza da venticinque anni. Premette che “esiste la psicopatologia ed è altamente probabile che questo criminale fosse affetto da qualche patologia grave”, e però poi dice: “Un conto sono le parole, con la loro libertà sregolata, un conto gli atti”. Da garantista Manconi ritiene “sanzionabili soltanto gli atti”, ma pensa anche che “Casa Pound debba cominciare a interrogarsi, perché è troppo lungo l’elenco degli aderenti al movimento che si sono trovati coinvolti non in propaganda, ma in azioni criminali”. Dopodiché, dice Manconi, “se nel senso comune si diffonde una sorta di automatismo che attribuisce allo straniero la responsabilità dei crimini, per un verso, e del disordine sociale, per l’altro, è inevitabile che persone variamente fragili, come la sedicenne torinese che non riesce a giustificare la propria libertà sessuale e accusa il rom o il sociopatico che cerca una sorta di rivalsa sociale, si indirizzino contro la figura del diverso da noi”. Un meccanismo, questo, che in Italia “da un lato è stato attivato e dall’altro sottovalutato”. Abbiamo vissuto per decenni “con il tabù del razzismo”, dice Manconi, perché “le subculture prevalenti nel paese – di origine socialista-comunista, religiosa-cristiana e liberaldemocratica – avevano prodotto un’interdizione morale nei confronti del razzismo, al punto che l’accusa di razzismo era quella socialmente e moralmente più riprovevole”. Come tutti i tabù, anche quello del razzismo alludeva “a una rimozione, ma costituiva anche una forma di deterrente, di tutela sociale”. C’è uno spartiacque temporale, l’autunno del 2007, dice Manconi, “l’autunno dell’omicidio di Giovanna Reggiani, uccisa a Roma da un romeno”. Fino ad allora “non era stata accolta nello spazio pubblico l’equazione romeno uguale stupratore, circolante nel discorso corrente e presso alcuni gruppi periferici o esponenti poco significativi del ceto politico”. Dopo l’omicidio Reggiani, però, “quell’equazione viene addirittura pronunciata, detta nella campagna elettorale per il comune di Roma e per le politiche del 2008”. E’ a quel punto, dice Manconi, “che il tabù del razzismo comincia a sgretolarsi e non funziona più come strumento di tutela sociale”. Questo fa sì che “la stigmatizzazione del romeno in quanto stupratore, e del rom in quanto ladro di bambini, possa dispiegarsi come automatismo nonostante l’insignificanza statistica: una ricerca mostra che, dal 1945 a oggi, non è stato mai processato alcun rom o sinti, in Italia, per rapimento di bambini, tranne un caso nel napoletano. Ma non basta ad annullare lo stereotipo”.
Nel 1988 Manconi ha scritto un saggio in cui parlava di “imprenditori politici dell’intolleranza”. Figure più che mai attuali: “Il disagio dell’impatto tra migranti e residenti è un dato incontestabile”, dice, “ed è incontestabile anche che il disagio si scarichi sulle fasce più deboli”. Ma il problema è “se la politica disinnesca o incentiva, se razionalizza le angosce e trova soluzioni intelligenti o esalta la conflittualità”. L’imprenditore dell’intolleranza “è chi avverte quel disagio, lo trasferisce sul piano pubblico e ne fa una risorsa politica”. Rispetto al 1988, dice Manconi, “gli imprenditori politici dell’intolleranza si sono evidenziati e moltiplicati in tutte le aree metropolitane delle nostre città. Spesso restano in ambito prepolitico, ma se questa presenza si sposa con forme organizzate di aggressività, ed è quello che è successo a Torino, viene agevolmente incanalata in strutture di mobilitazione già collaudate”. A questo si aggiunge “la sottovalutazione”. Manconi si chiede come mai “una destra che si dice moderna ed europea non si metta a urlare di fronte a fatti come quello di Firenze. Teme la Lega? Teme di fare il gioco del ‘nemico’? Angelino Alfano dovrebbe essere domani, subito, in prima fila in piazza a Firenze”.

il Foglio 14 dicembre 2011

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