Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri
La signora E. G.  e le mutilazioni genitali
La signora E.G. è nata a Benin City, città dello stato federale dell’Edo situato a sud della Nigeria nel 1980. È entrata in Italia dalla frontiera di Lampedusa a settembre del 2008 e sprovvista di un documento di riconoscimento, ha chiesto la protezione internazionale e ha  alloggiato nel centro CARA di Borgo Mezzanone. Ha  incontrato la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Foggia ad Aprile 2009. Il giorno stesso dell’udienza la commissione ha deciso di non riconoscere la protezione internazionale, rigettando la richiesta della signora. Adesso vive a Castel Volturno in provincia di Caserta, lì dove la rete di solidarietà tra africani può aiutare a sopravvivere anche chi come lei non ha un lavoro.
Lo sportello ARCI-CGIL ha raccolto la sua storia. In questo caso ha fornito un legale, organizzato una visita all'ASL con un medico formato grazie al progetto Zahra, che si occupa di stilare progetti formativi nell'ambito di una Rete di tutela dei diritti delle donne e ha inoltre preparato un fascicolo sulle mutilazioni
La storia di E.G. è molto complessa, dopo una settimana dalla sua nascita subisce una mutilazione genitale, pratica tradizionale in alcune parti della Nigeria. Non ha mai conosciuto la madre e il padre muore in un incidente stradale quando lei ha sei anni. Da questo momento va a vivere dalla zia a Port Harcourt, una città a sud est della Nigeria. A diciotto anni si lega a un uomo, con il quale non si sposa legalmente che è di etnia benin. Questo uomo muore nel 2004 durante un inseguimento. Era un poliziotto ed è stato sparato perché aveva scoperto dei ladri e stava cercando di arrestarli. A questo punto la signora torna ad Ugbayon nello stato dell’Edo. Secondo tradizione, una volta tornata al villaggio la signora deve risposarsi anche se con il suo primo marito non si era mai sposata legalmente. Le viene trovato lo sposo ma prima di sposarsi deve sottoporsi a una ulteriore mutilazione genitale, secondo tradizione. La signora cerca di opporsi in tutti i modi ma i suoi genitori chiamano ugualmente un dottore per effettuare l’intervento. Il 10 aprile 2007 tutto è pronto, ma E.G. si ribella e nasce una colluttazione durante la quale ferisce gravemente un suo parente. I parenti avvertono la polizia che arresta la signora con l’accusa di tentato omicidio. Tenta di spiegare ai poliziotti i motivi del suo comportamento, ma questi le rispondono che la tradizione va comunque rispettata. Stando a quanto riferisce la signora i poliziotti le hanno fatto capire che sarebbe rimasta in carcere finché non si fosse decisa a sottoporsi a questa pratica tradizionale. La detenzione nel carcere di Abudu dura 10 giorni, in una cella con alcuni uomini subendo le loro violenze sessuali. Inoltre le condizione igieniche sono pessime e il cibo scarso. I poliziotti non intervengono mai in sua difesa ma fortunatamente un’ispettrice, avendo scoperto le dure condizioni che la signora è costretta a subire, l’aiuta a lasciare il carcere e le dà anche dei soldi per la fuga invitandola a lasciare il territorio nazionale. Da questo momento inizia il viaggio di E.G. verso l’Italia. La signora parte dall’Edo il 20 aprile ed arriva ad Agades in Niger con un autobus. Lì conosce una signora di nome mamma Joe con la quale si è trasferita a Tripoli in Libia e per la quale lavora come aiutante. Quella signora viene arrestata nel gennaio 2008 ed espulsa. Per non avere lo stesso destino di mamma Joe la signora E.G. decide di imbarcarsi per l’Italia partendo dalla Libia. E qui torniamo al punto di partenza della nostra storia, l’arrivo in Italia e l’incontro con la commissione. La signora conferisce in lingua inglese alla presenza di un interprete. Le viene chiesto se vuole essere intervistata dall’intera Commissione Territoriale o da un solo componente. La signora dichiara che preferisce essere intervistata da un solo componente per motivi di riservatezza e tranquillità. Da questa risposta si potrebbe evincere che la signora abbia probabilmente subito qualche trauma. Le viene poi chiesto di raccontare la sua storia e se è in grado di fornire documenti o altre prove a sostegno della sua domanda, ma purtroppo la signora non può fornirne. Come già detto, lo stesso giorno la Commissione Territoriale risponde e decide di non riconoscere alla signora E.G. né lo status di rifugiato né la protezione sussidiaria. Avverso la decisione della Commissione Territoriale la signora E.G. presenta ricorso presso il Tribunale di Bari,  come previsto dalla legge, il 14 aprile 2009. Il punto centrale su quale si basa il ricorso è che le mutilazioni genitali femminili non possono essere considerate soltanto come una tradizione ma soprattutto come una pratica che mette a repentaglio  la vita e l’integrità fisica e psichica delle donne. Vengono praticate in società a carattere patriarcale in cui il ruolo della donna è sottoposto a quello dell’uomo. Le mutilazioni dei genitali femminili, praticate nei primi anni di età delle bambine in 28 paesi dell’Africa sub-sahariana, per motivi non terapeutici, ledono la salute delle donne che vi sono sottoposte. Infatti, nella tradizione, queste mutilazioni non sono considerate un atto di violenza su minore, ma un atto di attenzione e cura della famiglia verso la bambina. Ma è una violazione fondamentale dei diritti umani che pone la donna in uno stato di totale subordinazione morale e sociale.
Se rimandata in Nigeria E.G.  potrebbe essere costretta a sottoporsi a questa pratica, rischiando per la sua integrità fisica e per la sua vita. Inoltre, come la signora stessa riferisce nell’intervista con la Commissione Territoriale, ella correrebbe il rischio di essere malmenata dalla famiglia e  sarebbe condannata per la fuga dalla prigione.
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