Una su mille ce la fa
La storia di Doris. Dalla riduzione in schiavitù alla protezione umanitaria

Questa è la storia di Doris, una donna nata in Nigeria nel 1983. Una storia dura ma a lieto fine, e la riprova di come il ricorso alla protezione internazionale possa diventare una via d’uscita valida dallo sfruttamento e dalla riduzione in schiavitù. Doris vive nel suo paese d’origine fino a quando, lei e il fidanzato decidono di venire in Italia per trovare un lavoro e provare a condurre una vita migliore.
Appena arrivati in Italia, l’allora fidanzato nigeriano la abbandona nel nord Italia da una signora, della stessa nazionalità, che diventerà successivamente la sua “madame”. I fatti sono ormai palesi, l’uomo ha venduto Doris alla “madame” per una somma spropositata di decina di migliaia di euro nel cui pacchetto era compreso anche il prezzo della richiesta del visto turistico d’ingresso in Italia e il biglietto di viaggio.
La donna prova a ribellarsi, ma al primo tentativo di opposizione la “madame” le si scaglia contro, tagliandole una ciocca di capelli e un pezzettino di unghia, praticamente mettendo in scena un rito di magia nera chiamato “wodoo”!
Spaventata per la propria incolumità fisica e per le conseguenze che il rito di magia nera poteva avere anche sui suoi piccoli bambini lasciati in Nigeria, si sottomette agli ordini impartiti e accetta il giorno dopo di andare sulla strada per pagare il suo debito.
Alla “madame” venivano consegnati i soldi di ogni prestazione sessuale ricavati dalla giornata lavorativa e alla stessa veniva corrisposto il necessario per le spese di vitto e alloggio.
Durante un rapporto sessuale non protetto con un cliente contrae il virus hiv, dopo aver effettuato gli esami scopre di essere sieropositiva.
Decide così di lasciar perdere tutto e allontanarsi dalla casa dove la “madame” la teneva segregata ma è comunque costretta a continuare a pagare il debito facendo altri lavori.
Da allora è sempre impaurita dalle minacce e dalle pressioni che arrivano dalla “madame” e della sua rete organizzativa per il saldo del debito contratto anni prima. Anche la situazione clinica della stessa continua a peggiorare giorno dopo giorno.
Con l’aiuto di un conoscente, nel 2009, si trasferisce in Sicilia dove cerca di trovare un lavoro per mantenersi. Qui fa amicizia con un ragazzo che la aiuterà in tutto e per tutto.
Ad agosto del 2009 di ritorno dal mare, viene fermata da una pattuglia di carabinieri per un controllo e, con addosso il solo costume da bagno, viene trattenuta presso i locali della polizia. Qui le viene contestato un decreto di espulsione del Prefetto e viene trattenuta presso il CIE di Ponte Galeria su ordine del Questore di Roma.
Anche gli operatori del Numero Verde per richiedenti asilo e rifugiati dell'ARCI si impegnano per impedire il rimpatrio e si adoperano per far emergere l'ingiustizia di questo provvedimento.
Presso gli Uffici di Ponte Galeria cerca di spiegare la sua situazione, nonostante questo il Giudice di Pace di Roma convalida il fermo presso il centro. Decide così di chiedere aiuto alle autorità formalizzando una richiesta di asilo politico. A metà ottobre 2009 viene sentita dalla Commissione Territoriale per la Protezione Internazionale di Roma nella cui occasione, alla presenza del rappresentante delle autorità di p.s., le viene riconosciuto la tutela di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

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