Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

25 febbraio 2015

Canali d`ingresso gestiti dall`Unchr
il manifesto, 25-02-2015
Filippo Miraglla*
La condizione che vive oggi la Libia è terribile e la comunità internazionale, in primo luogo l`Unione europea, deve farsene carico, ricorrendo agli strumenti della diplomazia internazionale e alle Nazioni Unite. Evitando, come spesso è successo in passato - e nel 2011 - di mettere in campo soluzioni che producono altri problemi e instabilità.
Promuovere un`iniziativa diplomatica in Libia, che non sia l`ennesimo intervento neo coloniale a tutela degli interessi occidentali, non significa però, come il Presidente del consiglio ha sostenuto riferendosi ai flussi di migranti in arrivo sulle nostre coste, «risolvere il problema alla radice».
L`instabilità della Libia, e l`acuirsi di un conflitto con tanti soggetti e interessi diversi in campo, aumenterà il numero delle persone in fuga, ma non è la causa principale degli arrivi.
Guerre, violenze e persecuzioni riguardano diverse aree geografiche intorno al medi, terraneo e hanno costretto e costringono centinaia di migliaia di persone a cercare protezione in Europa. Non è certo impedendo di partire dalle coste libiche che diminuiranno i flussi e i morti. L`assenza di vie di accesso legali e sicure consegna i profughi nelle mani della criminalità organizzata e ne consolida il peso, anche politico, soprattutto nelle aree instabili come la Libia.
Le soluzioni si possono trovare. Con l`apertura di canali d`ingresso umanitari, che però non devono corrispondere a quello che pensano molti governi europei, ossia all`esternalizzazione delle frontiere promossa dal processo di Khartoum. Con la richiesta all`Unhcr di gestire il rilascio di lasciapassare in campi d`accoglienza di paesi intorno al Mediterraneo, senza operare nessuna selezione se non quella su base nazionale.
Oggi in Italia e in quasi tutti i paesi dell`Ue, i primi due gruppi per numero di rifugiati e richiedenti asilo sono quelli provenienti da Siria ed Eritrea. Se solo l`Ue si facesse carico di questi due gruppi si  risolverebbero quasi la metà dei problemi relativi alla sicurezza di chi tenta di arrivare in Europa.
Afgani, iracheni, nigeriani, palestinesi, tanti sono i gruppi che oggi abbandonano le loro case. Basterebbe affidare all`Unchr la gestione dei lasciapassare verso la sponda nord del Mediterraneo, con una ripartizione equa tra gli stati membri dell`Ue, per salvare un enorme numero di vite.
Probabilmente l`Ue è più interessata a spendere le risorse per pattugliare inutilmente le coste. Oppure per cofinanziare, come ha fatto il governo italiano, per più di 300 milioni di euro, un sistema radar nel sud della Libia, in pieno deserto. Appalto andato a Finmeccanica. E non abbiamo sentito nessuno dei paladini del risparmio dire una sola parola a proposito di queste risorse che basterebbero per finanziare più di 3 anni di Mare Nostrum.
Se poi consideriamo che il 2014 ha confermato, nonostante i 170 mila arrivi, che l`Italia è uno dei paesi che investe meno per l`accoglienza, con 64 mila domande d`asilo, considerando che in Germania le domande d`asilo sono state 204 mila e in Svezia più di 80 mila sempre nel 2014, capiamo come la retorica dello spreco e quella dell`invasione sono prive di fondamento e usate in modo strumentale.
Il 27 gennaio scorso, in occasione della Giornata della memoria, la Rai ha trasmesso un bel film inedito sull`arrivo degli alleati nei campi di sterminio. Una delle immagini più agghiaccianti è quella degli abitanti delle città vicine ai campi che, mentre a poche centinaia di metri dalle loro case si consumava una delle tragedie più terribili della storia dell`umanità, continuavano a vivere normalmente come se niente potesse scuoterli dal loro torpore.
Un giorno non lontano qualcuno si rivolgerà anche a noi europei e italiani per ricordarci quel che è successo sotto i nostri occhi senza che dalla civile Europa o dal bel Paese si alzasse un coro di voci capaci di fermare il massacro.
*Vicepresidente Arci



L'intervista Paolo Gentiloni (ministro degli Esteri)
«Clandestini, l`Europa deve fare di più in un anno sbarchi quasi raddoppiati»
«Sono arrivati in 7.882 rispetto ai 4.548 del 2014  A Triton servono subito maggiori mezzi e risorse
«L`Italia non accetterà una spartizione della Libia i singoli Paesi però hanno diritto a difendersi»
Il Messaggero, 25-02-2015
Marco Ventura
L`Europa s`impegni di più sull`immigrazione, con una vera condivisione di tutte. le fasi, dai paesi d`origine a quelli di transito, fino alle ultime miglia e all`accoglienza. E assegni a Triton più mezzi e più risorse». Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni porrà la questione al Consiglio dei capi-diplomazia della Ue il 16 marzo. «I flussi migratori irregolari stanno proseguendo, anzi aumentano: dal primo gennaio sono arrivati in 7882, rispetto ai 4548 dello stesso periodo dell`anno scorso. Sono grato per la tempestività con la quale in risposta a una mia lettera la Commissione ha rifinanziato Triton con fondi d`emergenza e l`ha prorogata. Ma occorre di più».
Triton va spostata in avanti?
«Va rafforzata. Lasciamo stare le piccole dispute: Triton ha un obbligo di ricerca e soccorso in mare come Mare Nostrum. C`è poca differenza nel raggio d`azione fra 50 e 30 miglia dalle nostre coste, considerando che la Libia è a poco più di 200. Quei migranti che per il 90 per cento arrivano dalla Libia non  sono libici, ma siriani e di altri paesi africani, che trovano in Libia un paese senza controllo, e organizzazioni criminali che generano il 10 per cento del PIL libico. Un problema non solo italiano ma europeo».
L`Italia proporrà un italiano il 13 marzo, come successore dell`inviato dell`Onu in Libia, lo spagnolo Bernardino Leon?
«Non posso commentare ipotesi future. Certo, il nostro interesse per la crisi libica è evidente».
Per intervenire è proprio necessario il mandata dell`Onu?
«Di fronte a minacce dirette siamo attivati con tutti i nostri servizi di intelligente e i nostri apparati di sicurezza e non siamo certo un paese indifeso. Del resto tutti i trattati internazionali, a cominciare dalla carta delle Nazioni Unite, consentono ai singoli paesi di difendere i propri interessi e i propri cittadini. Abbiamo espresso totale comprensione nei confronti dell`Egitto dopo la strage di cristiani copti sulla spiaggia di Sirte che si concludeva con una delle tante minacce simboliche al nostro paese. Ma l`investimento comune dev`es- sere in un governo di riconciliazione e unità nazionale tra tutte le forze che respingono estremismo e terrorismo. La minaccia del Daesh (Isis) contro Tobruk, Misurata e Tripoli dovrebbe indurre molti a scegliere la strada del negoziato».
Anche in vista di un`operazione di peace-keeping?
«Spetta all`Onu esprimersi. Una cosa è l`azione di lotta e contrasto al terrorismo, altra gli interventi militari. Almeno la base della soluzione dev`essere interna alla Libia. Interventi unilaterali per costringere al negoziato sarebbero velleitari. L`Italia farà per intero la sua parte, ma senza improbabili avventure».
L`Italia accetterà una spartizione della Libia?
«Non esiste che una delle parti possa occupare l`intero paese. Accettare una divisione o un conflitto permanente non solo sarebbe un errore, ma sarebbe contro i nostri interessi nazionali. Anche per questo abbiamo contribuito a sostenere istituzioni come la National Oil Company o la Banca centrale libica».
Si sente un ministro «crociato»?
«La propaganda del Daesh va in questa direzione. Si parla di crociate, di bandiere nere su San Pietro, di Roma come nemica del mondo musulmano. Noi lottiamo contro il terrorismo del Daesh, certo non contro l`Islam che anzi è oggetto di una specie di sequestro da parte di forze terroriste di varia natura, non solo del Daesh. Al linguaggio di questa lugubre propaganda contrapponiamo le armi del contrasto alla minaccia terroristica e quelle della condivisione con la comunità islamica e musulmana. Altro che crociate!».
Spostiamoci in Europa. Come giudica il piano di riforme greco?
«Un primo atto anche coraggioso che va nella direzione giusta, dovendo Tsipras fare i conti con una crisi traumatica e qualche critica interna. Da parte greca e europea mi pare si sia adottata la chiave della flessibilità politica. Interessa all`Italia che ciò si inserisca in un progressivo cambiamento della politica economica Ue che Francia e Italia, insieme ad altri paesi, stanno promuovendo nell`interesse di tutta l`Unione. Debiti e regole non si cancellano, ma il senso di marcia dell`Unione deve cambiare».
Andiamo a Est...
«Verso la Russia? Abbiamo condi- viso un atteggiamento di fermezza nella Nato e nella Ue, rafforzando la sorveglianza aerea nei Paesi baltici e con le sanzioni, pur essendo l`Italia uno dei paesi che ne hanno sofferto di più. Noi con altri abbiamo però detto che questa fermezza non deve tradursi in chiusura al dialogo ma in un atteggiamento costruttivo da verificare giorno per giorno. In diversi teatri di crisi, dalla Siria alla Libia e all`Iran, la Russia è un attore da coinvolgere positivamente. È chiaro che le chiavi della soluzione sono in mano a Putin. Non possiamo accettare un conflitto congelato permanente in Ucraina».



Dai rom ricorsi e accuse all`Italia E per l`Europa i cattivi siamo noi
Nell`ultimo rapporto, il Consiglio di Strasburgo si lamenta ancora: è troppo lento il processo per dare più diritti agli zingari. Ed è l`ennesima condanna
il Giornale, 25-02-2015
Andrea Cuomo
Italia rimandata in Rom. Secondo l`Europa non garantiamo alla minoranza (140mila unità) tutti i suoi diritti. Una constatazione che contrasta con il sospetto e il senso di minaccia con cui la gran parte degli Italiani guarda ogni giorno le bande che pattugliano i cassonetti, che assediano i viaggiatori nelle grandi stazioni, che hanno fama di mandare le ragazzine a borseggiare i passeggeri di autobus e metrò. Esasperazione contro diritti. Pregiudizi contro utopie. Cultura contro cultura. Tutto molto difficile, molto scivoloso. Ma secondo il Consiglio d`Europa (da non confondersi con l`Ue: ha sede a Strasburgo, ha 47 membri compresi Georgia, Armenia, Azerbaigian e Turchia e il compito di «promuovere la democrazia, i diritti dell`uomo, l`identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa» attraverso iniziative comunque non vincolanti) la colpa è tutta nostra.
Uno dei suoi organi, l`Ecri, la commissione europea contro il razzismo e l`intolleranza, nel suo ultimo rapporto sul nostro Paese si lamenta: l`Italia dal febbraio 2012 ha fatto qualche passo avanti, ma il processo che deve portare al pieno rispetto dei diritti dei Rom «è lento». L`Ecri si riferisce in particolare agli sgomberi dai campi e invita Roma a dare piena protezione ai Rom sulla base di ciò che prevede il diritto internazionale e a rispettare il principio del non refoulement, cioè del non respingimento, evitando le espulsioni immediate e definitive. Non solo: secondo Strasburgo serve una più efficace e tempestiva individuazione dei migranti che hanno bisogno di protezione internazionale e di consulenza legale. E che l`Unar, l`ufficio italiano antidiscriminazioni razziali, ancora legato al dipartimento delle Pari Opportunità di Palazzo Chigi, sia indipendente dal governo, abbia competenze più ampie e il potere di rappresentare le vittime di discriminazione
davanti ai tribunali italiani. Va detto che l`Europa da molti anni martella l`Italia perché faccia di più a favore dei Rom. L`anno scorso il commissario dei Diritti Umani del Consiglio d`Europa, Nils Muiznieks, aveva raccolto da esponenti di Amnesty International Italia informazioni sui diritti umani dei Rom tra «sgomberi forzati, segregazione in campo in condizioni abitative gravemente inadeguate ed esclusione dall`edilizia residenziale pubblica». Nel rapporto di tre anni fa l` ente chiedeva all`Italia di «intensificare gli sforzi per combattere la discriminazione nei confronti dei Rom in vari settori, quali l`occupazione e la salute» e di «porre rimedio alla situazione di emarginazione, di svantaggio, di discriminazione di cui soffrono i Rom». Nel 2011 il Consiglio d`Europa parlava di «situazione notevolmente deteriorata per Rom e Sinti in Italia». L`anno prima era stato il Cohre (Centro per i diritti alla casa e gli sfratti) a mettere sotto accusa l`Italia. E negli anni precedenti un coro di imputazioni: «Condizioni di vita scandalose per la comunità Rom» (2010); «Pochi progressi nell` effettiva protezione dei diritti umani di Rom e Sinti» (2008); «La decisione di istituire un commissario nazionale per l`emergenza Rom si fonda su pregiudizi e non fa che perpetuarli» (2008); «È cruciale fare una distinzione tra chi commette delitti e la stragrande maggioranza» (2008); «Pregiudizi sociali, atti di discriminazione ed episodi di violenza, talvolta anche da parte della polizia contro Rom e immigrati» (2002). L`Associazione Nazione Rom ha annunciato un ricorso al Tar contro la delibera con cui la Regione Lazio ha ratificato l`istituzione del Tavolo regionale per l'inclusione e l`integrazione sociale delle popolazioni Rom, Sinti e Caminanti perché, non prevedendo la presenza come membri di rappresentanti delle minoranze, violerebbe gli accordi quadro strutturali europei e la stessa strategia nazionale di inclusione dell`Unar.



Gli immigrati a «Der Spiegel»: «Torturati con cavi elettrici»
Intanto l`Ue paga gulag per profughi in Ucraina Nel 2012 l`Italia fu condannata per i campi in Libia. Oggi Bruxelles li finanzia a Kiev
il Giornale, 25-02-2015
Gian Micalessin
La condanna all`Italia della Corte Europea per i diritti umani di Strasburgo del febbraio 2012 la ricordano tutti. La condanna all`Europa perla segregazione degli immigrati nei campi di detenzione ucraini finanziati con i fondi di Bruxelles l`aspettiamo ancora. Intanto arriva però la denuncia del settimanale tedesco Der Spiegel che nel suo ultimo numero definisce quei campi la «Guantanamo dell`Est». Una Guantanamo pagata coni soldi dei cittadini europei e gestita con la muta accondiscendenza di quell`Alto Commissariato per i Rifugiati dell`Onu sempre in prima fila quando si tratta di denunciare l`accoglienza riservata ai clandestini nel nostro paese.
Sugli autentici lager edificati in Ucraina e progettati per tenervi recluso chiunque s`avvicini alla frontiera europea senza documenti validi nessuna sembra aver nulla da obbiettare. Strasburgo e Bruxelles, del resto, non paiono aver nulla da dire neppure sulle torture inflitte agli immigrati dalle guardie di frontiera ucraine. Eppure stando a quanto raccontato a Der Spiegel dagli immigrati rinchiusi in quei centri la situazione non sembra proprio rosea. Hasan Hirsi, un rifugiato somalo 21 enne, detenuto per tre anni in Ucraina, riferisce al settimanale tedesco di esser stato ripetutamente picchiato e di esser stato torturato con scariche elettriche nel corso degli interrogatori.
Il resoconto combacia con il rapporto di «Human Right Watch» in cui si elencano le sevizie inferte ai migranti dalle guardie di frontiera ucraine. «Mi hanno legato a una sedia, mi hanno attaccato gli elettrodi alle orecchie e mi hanno inferto tante scosse», racconta a Human Right Watch un rifugiato afghano. Se la brutalità delle guardie ucraine può non meravigliare più sconcertante è invece l`esistenza di un piano europeo studiato per esternalizzare la questione migranti, ovvero affidare a stati esterni ai nostri confini la gestione dei nuovi lager. Cifre e bilanci, però, parlano chiaro. I 30 milioni di Euro messi a disposizione per costruire le strutture d`accoglienza temporanea, dove i fermati restano al massimo 10 giorni e i centri di detenzione dove gli immigrati possono trascorrere fino a 12 mesi, vengono finanziati in base al cosiddetto «accordo di riammissione» firmato da Kiev e Bruxelles nel 2008. La parte più interessante di quell`accordo è il resoconto di spesa in cui si spiega come sono stati spesi e da chi sono stati incassati quei 30 milioni. Scorrendolo scopriamo che 4 se li è pappati Arup, una società di consulenza britannica incaricata di preparare la progettazione della rete di nuovi gulag. Eppure, «Der Spiegel» a parte, nessuno sembra contestare nulla. L`Alto Commissariato per i Rifugiati, l`organizzazione che tramite l`allora portavoce Laura Boldrini martellava il nostro governo, arriva a dichiararsi compiaciuto per l`efficienza dei nuovi gulag ucraini e a pubblicare sul proprio sito le foto di alcuni reclusi definiti «felici» e «ben integrati». L`aspetto più scandaloso è però il permanere dell`accordo. Qualsiasi persona di buon senso ridomanderebbe infatti come strutture del genere possano continuare a funzionare in un paese stremato dalla guerra civile e costretto a fronteggiare le transumanze di cinque milioni di sfollati in fuga dalle provincie orientali occupate dalle milizie filo russe. L`Europa, primaresponsabile di una guerra civile innescata in seguito alle profferte di Bruxelles, non sembra invece assolutamente turbata. E così la Guantanamo finanziata con i nostri soldi può continuare a finanziare. Tanto per critiche, pianti e rimproveri ci sono sempre i profughi salvati dall`Italia.



Il razzismo e i suoi anticorpi. Al Lido nasce l’appello L.I.S.A.
E così che al Lido essere sì isola ma non isolati, diventare isola solidale e accogliente
Melting Pot Europa, 24-02-3015
Riccardo Bottazzo
Se la calunnia è un venticello, la disinformazione è un tornado. Tra quelle tre o quattro decine di persone che mercoledì scorso si sono mobilitate contro l’arrivo dei profughi al Lido non ne trovavi una che fosse informata su quanto stava realmente accadendo, su quali e quanti profughi sarebbero stati ospitati negli spazi della colonia Morosini, e per quanto tempo. "Diverse centinaia di persone" qualcuno diceva. "E altre ne arriveranno se non facciamo qualcosa" aggiungeva qualcun altro. "Tutti terroristi dell’Isis" paventavano altri. Tanto è vero che dal fondo del gruppo si levavano voci nascoste che urlavano "Assassini, assassini".
Adesso, confondere chi fugge dagli assassini con gli assassini stessi, può significare solo due cose: disinformazione, come abbiamo già detto, o malafede. Due ingredienti che entrano a badilate in questa brutta storia.
La disinformazione intanto. Colpa nostra, che non sempre ci diamo la briga di esaminare nella sua completezza e sotto tutti i punti di vista, salvo poi parlare come se fossimo professori. Colpa anche dei giornalisti che si lasciano andare a sensazionalismi e sempre meno spesso vanno alla fonte della notizia per verificarla (il terrorista "veneziano" anzi no, tunisino, ucciso dalla combattente curda, è solo un esempio). Ma colpa anche di un Governo che continua a gestire una questione, come quella degli arrivi che oramai è endemica, con la consueta ottica dell’emergenza, lasciando campo ad improvvisazioni, demandando la coordinazione a personale non competente, aprendo spazi gestionali a dei veri e propri delinquenti, pronti a trasformare l’accoglienza in un business alquanto redditizio.
Poi c’è la malafede. Come quella di qualcuno in testa al gruppo dei protestatari, incazzato solo perché nel business sopra citato, questa volta non ci è entrato. Oppure come quella di politici senza scrupoli che leggono in situazioni come queste uno strumento utile per incrementare il loro bacino di consensi. Qui, tra tanti, facciamo solo il nome del segretario della Lega, Matteo Salvini, che non ha perso l’occasione di twittare una infamata dopo l’altra sulla pelle di un pugno di disgraziati.
Eppure, proprio la manifestazione contro i 37 profughi e la marea nera di cazzate che hanno sollevato nei social ha avuto perlomeno due effetti positivi. Uno, poco noto perché queste cose non girano nei giornali, è la forte presa di posizione del presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Veneto, Gianluca Amadori, che ha scritto una lettera a tutti i colleghi invitandoli a seguire "un’informazione rigorosa e corretta".
Partendo dalla considerazione che mai come in questi anni la credibilità dei massa media ha raggiunto livelli così infimi. Riferendosi anche alle troppe "bufale" pubblicate come notizie vere, il presidente ha invitato chi scrive ad "evitare sentimenti di ostilità generalizzata nei confronti di interi popoli o categorie o gruppi". Ed ha concluso: "Ciascuno di noi può fare molto, nello svolgimento del lavoro quotidiano, per fermare l’attuale deriva". Augurandoci che l’invito del presidente non rimanga inascoltato, ci permettiamo di ricordare che esiste anche un collegio di disciplina deontologica al quale chiunque può segnalare gli abusi compiuti dalla stampa.
Secondo e più importante effetto collaterale della manifestazione del Lido, è stata l’immediata e decisa presa di posizione contraria di tanti, tanti cittadini. Se il razzismo è una brutta malattia, come una brutta malattia produce anche i suoi anticorpi. L’anticorpo in questione è Lisa, acronimo per Lido Isola Solidale e Accogliente. Un appello lanciato da tante cittadine e cittadini residenti, dagli attivisti del nutrito arcipelago associazionista e ambientalista della Laguna e dalle ragazze e dai ragazzi dei centri sociali di Venezia. Persone che, come dicono in chiusura del loro comunicato, vogliono semplicemente "restare umani nel momento in cui qualcuno, giunto disperato da un’altra parte del mondo, ci chiede di fare spazio in quella che consideriamo casa nostra".
"Ai nostri concittadini - si legge nell’appello - chiediamo di non aver paura. Un tempo molti nostri nonni furono profughi, emigrati, esiliati. Un giorno potremmo esserlo noi, o i nostri figli. Invitiamo tutti a considerare cosa può significare un’accoglienza degna e dignitosa".
Degna e dignitosa, appunto. Due parole che non sono state inserite a casa. L’accoglienza va bene ma che sia una accoglienza degna di questo nome, capace di dare una risposta ai bisogni dei profughi e che rispetti i bisogni di chi al Lido ci abita da una vita.
Un’accoglienza, per dirla tutta, come l’Italia non è mai stata capace di offrire. In questo senso, l’arrivo dei 37 rifugiati è una opportunità per cambiare strada e dimostrare al mondo e soprattutto a noi stessi che non solo l’isola del Lido, ma tutta la nostra penisola è Solidale e Accogliente.
vedi sito La pagina Facebook di L.I.S.A.



800 mila figli di immigrati nelle scuole italiane, uno su due è nato qui
I dati del ministero dell'Istruzione sulle sfide di una scuola sempre più multiculturale. Giannini: “Puntare sulla lingua”
stranieriinitalia.it, 24-02-2015
Roma – 24 febbraio 2015 - Il Consiglio dei Ministri del 27 febbraio dovrebbe partorire la tanto annunciata riforma della scuola. Tra le novità, ce ne saranno alcune che riguarderanno i figli di immigrati che siedono tra i banchi, ad esempio per quanto riguarda la prima accoglienza, con l'insegnamento dell'italiano come seconda lingua.
L’integrazione di questi ragazzi sarà uno “dei punti cardine del decreto ‘La Buona Scuola’”, perché “la scuola è la base, la cornice ideale per diventare cittadini sostanziali” ha detto giovedì scorso a Roma il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini. Apriva un evento intitolato ‘Le scuole in contesti multiculturali. Promuovere e governare l’integrazione’, al quale hanno partecipato 250 fra presidi, insegnanti, studenti, genitori e rappresentanti di associazioni.
“Vogliamo fornire alle istituzioni scolastiche gli strumenti scientifici, didattici e organizzativi adeguati e dare centralità alla formazione linguistica perché la lingua è passaporto di comunicazione e integrazione” ha sottolineato Giannini. Con l'occasione, è stata presentata una sintesi del nuovo rapporto “Alunni con cittadinanza non italiana. Tra difficoltà e successi”, realizzato dal ministero e dall'Ismu e in corso di pubblicazione.
Il rapporto mostra il nuovo volto della nostra scuola, dove nell'anno scolastico 2003/2004 c'erano quasi 803 mila bambini e ragazzi con cittadinanza non italiana, il 9% del totale degli alunni. Rispetto al 2001/2002, quando erano 196 mila e rappresentavano  il 2,2% della popolazione scolastica, sono quadruplicati.
Se si crede a quello che c'è scritto sui loro documenti, i più numerosi sono gli studenti romeni (154.621), albanesi (107.847) e marocchini (101.176), ma continuare a considerarli stranieri è un errore da matita rossa. Anche perché oltre la metà di queste nuove leve (per la precisione 415.283, il 51,7 per cento) è nato in Italia e presto o tardi, piaccia o no ai nostri legislatori, prenderà la cittadinanza italiana.
Piuttosto, bisognerebbe ragionare sulle difficoltà che questi alunni incontrano nel loro percorso scolastico. Il rapporto sottolinea infatti come i loro tassi di ritardo e ripetenza siano sensibilmente più alti rispetto a quelli degli italiani, in tutti gli ordini scolastici. Un gap da colmare perché la scuola sia davvero “buona” per tutti.

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