Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

17 marzo 2014

Faraone (Pd): "L'immigrazione va vista come un'opportunità e non come un problema"
In un'Italia che cambia, che cresce anche grazie a chi arriva, il PD propone, nella giornata di incontro e confronto sull'immigrazione, una ricetta per farne "una risorsa da governare"
stranieriinitalia, 17-03-2014
Roma, 17 marzo 2014 - Modificare la legge Bossi-Fini "ripensandola", rendere "prioritaria" la discussione su ius soli e ius culturae per riformare la legge di cittadinanza e garantire il diritto di voto nelle amministrative agli immigrati e fare in modo che i Cie non siano più "lager".
Sono stati questi  i temi trattati sabato 15 marzo nella giornata di ascolto con enti e associazioni organizzata dal Partito Democratico "Immigrazione: una opportunità per l'Italia".
Punti chiave illustrati dal responsabile Welfare e Scuola, Davide Faraone: "L'immigrazione va vista come un'opportunità e non come un problema" e sulle politiche che la riguardano "siamo pronti a mediare con le altre forze politiche di governo". "L'ipotesi minima di modifica" della legge Bossi-Fini - prosegue Faraone - deve prevedere "la riduzione da 18 a 2 mesi della permanenza nei centri d'accoglienza, il prolungamento dei tempi di durata dei permessi di soggiorno per chi rinnova e l'abolizione della tassa sul permesso di soggiorno".
Ad oggi, questi i dati riportati, sono: "4.387.721 i cittadini stranieri regolarmente presenti in Italia, pari al 7,4% della popolazione. Gli irregolari sono stimati in 294 mila unità. Le comunità immigrate "tendono a radicarsi sul territorio" e le "naturalizzazioni" nel 2012 sono state 65.383, con un incremento del 16% sul 2011".
Faraone ha ricordato che in Italia sono: "786 mila gli studenti stranieri ovvero i Nuovi Cittadini e corrispondono all'8,8% della popolazione scolastica; in un anno, dal 2012 al 2013 sono aumentati di 30.690 unità. Il 47% è nato in Italia, con punte del 96% fra gli iscritti alla scuola primaria". Occorre "garantire la cittadinanza - propone il responsabile Scuola del PD - a chi è nato in Italia da genitore regolarmente soggiornante da almeno 5 anni o completa almeno un ciclo scolastico".
"Gli stranieri occupati in Italia sono 2,5 milioni, i disoccupati 382 mila - prosegue - e, anche se la crisi economica ha colpito più gli stranieri che gli italiani, in condizioni di oggettiva difficoltà gli stranieri sono riusciti a contribuire con l'11% del Pil. Bisogna prevedere - ha sostenuto Faraone - una riforma organica sull'apertura ai flussi legali di lavoratori immigrati, come antidoto ai clandestini. In caso di aumento delle richieste d'assunzione di colf e badanti, ad esempio, la quota già fissata potrebbe essere superata e si potrebbero prevedere corsie agevolate per l'ingresso fuori quota di professori universitari, ricercatori e personalità di chiara fama nelle arti, scienze, spettacolo e sport".
"Servono anche liste di collocamento all'estero, a cui potranno iscriversi i lavoratori stranieri, che saranno tenute da consolati e organizzazioni internazionali convenzionate con lo Stato italiano. Occorre - ha concluso - estendere a un un anno la durata dei permessi di soggiorno in caso di licenziamento dell'immigrato, che però possieda adeguati mezzi di sussistenza".



I calciatori immigrati di Rosarno che giocano per il parroco
Resto al sud, 17-03-2013
Si chiama Koa Bosco e la sua storia rappresenta l’esatta antitesi della vicenda del Casablanca, la squadra di calcio composta da marocchini che, dopo aver ricevuto insulti razzisti, aveva minacciato il ritiro, rientrato oggi, dal campionato Uisp di Forlì-Cesena.
La Koa Bosco è stata costituita lo scorso anno da don Roberto Meduri, parroco della frazione Bosco di Rosarno, il quale ne è anche il presidente. Gioca nel campionato di terza categoria calabrese ed è composta da immigrati di colore facenti parte della comunità di africani ospitata nella tendopoli di San Ferdinando, a due passi da Rosarno.
Gli immigrati che ogni anno raggiungono la Piana di Gioia Tauro per raccogliere gli agrumi furono protagonisti nel gennaio del 2010 a Rosarno di una rivolta che per giorni mise a ferro e fuoco la zona. Una ribellione vera e propria che fece seguito al ferimento a colpi di fucile di due immigrati e che suscitò momenti di forte tensione.
Oggi gli immigrati che arrivano nella Piana di Gioia Tauro sono molti di meno, anche a causa della crisi agrumicola, e vivono, come nel 2010, in una situazione di forte disagio per le precarie condizioni economiche e la situazione di difficoltà igienico-sanitaria in cui versa la tendopoli in cui sono ospitati.
Il gruppo di immigrati-calciatori che milita nella Koa Bosco, grazie al suo impegno sportivo, ha trovato adesso una forma di riscatto sociale ed una nuova motivazione di vita.
L’intuizione di don Roberto Meduri si sta rivelando sempre più vincente soprattutto sul piano sociale per le soddisfazioni che ne stanno scaturendo per un gruppo di persone costrette altrimenti a fare i conti soltanto con umiliazioni e difficoltà di ogni tipo.
Ma il dato più significativo di questa vicenda è la grande simpatia ed il calore umano che suscita il Koa Bosco quando scende in campo. La squadra viene accolta ovunque con grande entusiasmo da parte degli avversari che incontra di volta in volta e del pubblico che assiste alle partite in cui è impegnata. E mai sono stati rivolti ai suoi giocatori insulti razzisti o si sono manifestate forme di boicottaggio.
Esattamente il contrario, dunque, di quanto è avvenuto a Forlì col Casablanca.
Un’esperienza che don Roberto vuole proseguire anche per i prossimi campionati in considerazione pure dei risultati soddisfacenti sul piano sportivo che la squadra sta ottenendo sotto la guida tecnica di Domenico Mammoliti, studente in teologia che si appresta a diventare diacono.
Il Koa Bosco, infatti, occupa il quarto posto della classifica del girone G del campionato di Terza categoria e può dunque aspirare alla promozione attraverso i play-off. Risultato che rappresenterebbe una grande soddisfazione per chi ha creduto in questo progetto e vuole portarlo avanti.



Nuovi europei/ Quattro donne alla ricerca della “vita migliore”
Corriere.it, 17-03-2014
Giulia Dessì
Mariya (nella foto) lo sa come ci si sente ad arrivare in un Paese nuovo quando si è già adulti, quando si accetta un lavoro come colf nonostante una laurea in matematica e un’esperienza decennale come insegnante, quando “è tutto nuovo, non conosci nessuno, non puoi parlare”. Mariya sa anche come ci si sente dieci anni dopo: “Sospesi nell’aria”.
    “Non essere più nella mia patria e non essere ancora in Italia” dice. All’inizio la infastidiva, ma adesso c’è una specie di orgoglio: sì, sono straniera!
Nemmeno Huimin si sente italiana, nonostante viva a Cagliari da nove anni. Ma a volte non si sente nemmeno cinese. Quando è arrivata in Sardegna, con un figlio di nove anni, ha avuto tante difficoltà, ma le attribuisce soprattutto al suo carattere timido e alla paura di sbagliare.
Jasvir, al contrario, le sue radici le sente eccome, anche se vuole lasciare i figli liberi perché “fa bene a loro e alla società in cui vivono.” Dopo il master in storia, si è trasferita dal Punjab in Sardegna con il marito, senza perdere di vista l’importanza di essere indipendente e contare su se stessa, come la sua religione sikh insegna.
Elizabeth, invece, non si sente straniera, anche se non ha mai cercato di annullare la sua cultura domenicana, “ma di ampliarla, integrandola con quella italiana”. Ha lasciato il suo paese perché ha sposato un italiano, dal quale ha poi divorziato per colpa dei pregiudizi. Quando è riuscita a portare il suo primo figlio dalla Repubblica Domenicana alla Sardegna, il marito diceva a tutti che era il fratello. Si vergognava.
Le loro storie sono raccontate nel documentario La vita migliore di Gabriele Meloni e Marco Spanu, realizzato da InMediAzione, associazione di promozione sociale, e AIDOS, Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo, entrambe con sede a Cagliari.
    “Il nostro obiettivo è di far vedere che cosa c’è dietro gli stereotipi, dietro quello che appare” commenta Clara Corda, vice-presidente di AIDOS Sardegna.
Il documentario infatti non offre solo uno spaccato del loro percorso di migrazione, ma racconta le storie di quattro donne alle prese con i problemi di ogni giorno – il divorzio, i figli adolescenti, il lavoro.
    “Pensavamo che Mariya ci avrebbe parlato della vita delle colf, e Huimin della comunità cinese” confessa il regista Marco Spanu, “ma la realtà si è rivelata molto più sfaccettata di quello che sembrava.”
Oggi Mariya, Huimin, Jasvir ed Elizabeth lavorano come mediatrici culturali per AIDOS Sardegna. Forti della loro esperienza, costituiscono un punto di riferimento per chi, dieci anni dopo di loro, è alla ricerca di una vita migliore.



Quando penso a un migrante… rivedo me stessa (di Rossella Paschi)
il fatto, 17-03-2014
Erika Farris
Rubrica mensile che nasce per mettere in risalto l’immagine con la quale fumettisti, cantautori, scrittori e artisti in generale hanno scelto di rappresentare la figura del migrante, tra immagini, musica e parole.
Oggi pubblichiamo un racconto della scrittrice triestina Rossella Paschi, ex interprete alla Commissione Europea di Bruxelles. Autrice delle commedie teatrali La colazione inglese e Vacanze, fra i suoi numerosi racconti e traduzioni, nel 2011 ha pubblicato la sua opera più importante: Il segretario di Nino (Edizioni Arterigere).
 Non passate dal bosco
“Non passate dal bosco, ci sono gli italiani!” Ci ammonivano le Fräulein del collegio quando ci davano il permesso di andare a piedi, da sole, fino al vicino villaggio di Klosters. Poi guardavano me e mia sorella e ci dicevano, un po’ contrite: “Scusate, non sono italiani come voi… sono italiani… di un altro genere.” Sapevamo bene il tedesco, lingua succhiata con il latte materno, ma avremmo capito anche lo Schwyzerdütsch a forza di sentirlo tutti i giorni. Anzi, qualche frase sarebbe persino entrata nel lessico famigliare, tipo: “Muluf und inestopfe!”, “Apri la bocca e ingoia!”. Quello era infatti un sanatorio per bambini svizzeri convalescenti di malattie ai polmoni, e noi ci eravamo finite lì per caso, assieme alla tedesca Gretl con le trecce e alla bella Françoise, un’alsaziana della mia età che parlava il tedesco correntemente come noi.
Oltre a non essere malaticce, eravamo anche le uniche autorizzate a uscire da sole, soprattutto se avevano delle incombenze da affidarci. Non era un collegio svizzero elegante per bambini stranieri della buona società, come avevo lasciato intendere io quando andavo in giro a raccontare che quell’estate mia sorella, di nove anni, e io, di dodici, saremmo andate in vacanza in un Kinderheim vicino a Davos, elegante stazione di villeggiatura più conosciuta di Klosters. È vero che gli italiani del bosco sul cui limitare dovevamo passare per forza mentre loro stavano a segare, limare e piallare, ci facevano la corte nonostante fossimo poco più che bambine. Però con discrezione, quasi con affetto fraterno, non erano né volgari né insistenti. E noi, a quell’età, sotto sotto gongolavamo.
Anche la famiglia di mio padre, ebrei italiani originari delle più disparate province dell’impero austro-ungarico, era emigrata in Svizzera durante la guerra. Nel corso della notte mio zio, mia zia con il bambino di 11 mesi, mia nonna e il cognato zoppo con sua moglie avevano attraversato clandestinamente il torrente Tresa su un ponte improvvisato di assi di legno. Mia cugina Patrizia sarebbe nata in un campo di rifugiati. Con l’aiuto di due contrabbandieri mio padre li avrebbe raggiunti più tardi, dopo una rocambolesca fuga dalla polizia fascista.
Una volta arrivata all’età della ragione io ho deciso di andarmene di casa. Sono emigrata a Bruxelles con in tasca un contratto d’oro che mi era stato presentato su un vassoio d’argento dalla Commissione Europea. Nei locali frequentati dai funzionari europei dovevo subire la spietata concorrenza delle ragazze belghe mandate lì dalla mamma a cercare marito. Meglio se italiano: più bello, più divertente, più elegante.
A Bruxelles continuano ad affluire giovani di tutti i paesi che sperano di trovare un lavoro, sia pure saltuario. E non si sa mai, che si riesca a catturare un partner con un contratto quanto meno decente. Perché i contratti non sono più d’oro e mancano i vassoi per presentarli.



«Razzismo? Tutto inventato» Il Casablanca diventa un caso
Dopo la denuncia della squadra marocchina gli avversari scrivono al sindaco: «Menzogne» E per solidarietà alcuni team si sospendono
Corriere.it, 17-03-2014
Il Casablanca, squadra di calcio Uisp di ForlìIl Casablanca, squadra di calcio Uisp di Forlì
BOLOGNA - Sembrava chiuso il caso della squadra del Casablanca, iscritta al campionato amatori di calcio Uisp di Forlì: la formazione composta da immigrati marocchini aveva lamentato insulti razzisti nella partita di campionato contro il Club Juventinità di Forlimpopoli e in origine aveva scelto di reagire ritirandosi dal campionato (scelta che aveva portato la Uisp forlivese a sospendere l’intero torneo dopo l’episodio), poi ci aveva ripensato «per non darla vinta ai razzisti». Dopo un incontro con il sindaco di Forlì Roberto Balzani la squadra aveva scelto di continuare a giocare indossando la maglia «no al razzismo», come accaduto domenica mattina al ritorno sul campo nella partita contro il Castelnuovo. L’elemento nuovo della vicenda è la reazione fortissima del Club Juventinità, che non ci sta a passare per razzista: l’allenatore Gabriele Severi ha spiegato le ragioni della squadra in una lunga e dura lettera al sindaco di Forlì e sabato la sua squadra si è rifiutata di scendere in campo. Una scelta resa ancora più clamorosa dal fatto che altre tre squadre nel weekend (il Leoncelli, il Bertinoro e il Polis Romagna) non sono scese in campo, solidali con il Club Juventinità e in segno di protesta contro la Uisp forlivese.
LA LETTERA E IL CASO – Nella lettera-fiume al sindaco Balzani, Severi accusa: «abbiamo subito un’umiliazione che difficilmente sarà sanata». Già, perché ripercorrendo i fatti della gara il tecnico spiega che dopo un primo tempo molto tumultuoso («volano calci, uno sputo di un giocatore marocchino a un mio giocatore, offese pesanti tipo italiani di m…») era stato lui stesso a chiedere all’arbitro di sospendere la gara all’intervallo, essendoci animi molto agitati. Dopo un chiarimento, la partita riprende e nella ripresa «io stesso soccorro un loro giocatore infortunato con il ghiaccio spray e uno dei miei ragazzi getta il pallone fuori per soccorrere un loro giocatore, alla faccia del razzismo». Ma il vero nodo della questione sarebbe un altro: «Uno dei loro giocatori più forti ci risultava squalificato e ce lo ritroviamo in campo. A fine partita chiediamo all’arbitro la distinta coi nominativi e vediamo che il giocatore squalificato era stato nascosto e inserito un altro nominativo: abbiamo fatto reclamo ufficiale per illecito sportivo alla Uisp il lunedì, al mercoledì la Uisp nel comunicato ufficiale spiega che lo avrebbe preso in esame e il giorno dopo, giovedì, è uscita la notizia sul razzismo». Il tutto senza che l’arbitro abbia accennato sul suo referto ad espressioni razziste: «Perché i giocatori non hanno denunciato le offese subito dopo la partita di sabato?».
LE REAZIONI – E’ arrabbiato e deluso, Severi, che definisce una «farsa» tutta la vicenda e svela che «la società probabilmente andrà per vie legali» contro il giornalista «per sua stessa ammissione amico del capitano del Casablanca» che ha pubblicato la notizia. Ma, come detto, si è andati oltre a quella lettera: nel weekend il Club Juventinità non ha giocato, «perché mancava lo spirito gioviale che precede ogni partita. Ci sentiamo abbandonati dalla Uisp, fin dal primo giorno». Operaio 49enne, padre di tre figli, per Severi è una beffa doppia perché è delegato Fiom della Marcegaglia: «E’ un sindacato basato su valori antirazzisti, se i miei avessero detto cose del genere non avrei chiesto scusa solo al Casablanca ma a tutta Italia. Siamo stati condannati senza essere interpellati e neanche processati, la Uisp ha legittimato la versione del Casablanca. L’unica solidarietà ci è arrivata da tante società che militano nei campionati Uisp, gente comune che ci conosce bene e questo è importante». Da qui, il clamoroso rifiuto di giocare di altre tre squadre nell’ultimo weekend: una protesta che minaccia di allargarsi ad altre formazioni. Martedì il presidente della sezione calcio della Uisp di Forlì Giuseppe Giletto Lazzaro ha indetto una riunione straordinaria con tutte le società per parlare dell’accaduto: una patata che si preannuncia davvero bollente.



 

Share/Save/Bookmark
 


 

Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
leggi tutto>

Mappamondo
>Parole
>Numeri

Microfono,
la notizia che non c'è.

leggi tutto>

Nero lavoro nero.
leggi tutto>

Leggi razziali.
leggi tutto>

Extra-
comunicare

leggi tutto>

All'ultimo
stadio

leggi tutto>

L'ombelico-
del mondo

Contatti


Links