L'Italia oriunda

(Sangue e carta bollata)
Emiliano Boschetto
Christian Ledesma, regista della Lazio con doppio passaporto, nato e cresciuto in Argentina, è stato convocato in Nazionale, terzo oriundo dell’era moderna.

“Tu che te occupi di immigrazione e sei pure laziale (due cose che spesso mi vengono attribuite come peccati gravi) sarai contento adesso?”.
Si, da laziale. Ma non lo sono affatto per l’Italia, e non solo per quella calcistica.

“Caro Prandelli: meno Camoranesi e più Balotelli”.

Prandelli “(…) davanti alla drammatica débacle del calcio italiano ha proposto di aprire agli oriundi: se hanno la cittadinanza - dice in sostanza - non c’è problema.
E no caro Cesare, il problema c’è eccome. Proprio ora che finalmente anche in Italia ci si batte perché il confine della cittadinanza non sia più tracciato solo dal sangue che ti scorre nelle vene ma piuttosto dall’appartenenza civica, non vogliamo certo finire perché sia stabilito in base ad un mero percorso burocratico.
Italiano sia semplicemente chi vive, condivide e contribuisce al destino di una stessa comunità di persone legate ad una terra. E’anche per questo comune sentire che ci emozioniamo - in maniera spesso patologica - alle note dell’inno di Mameli prima di una partita. Forse è per lo stesso motivo, o almeno ci piace crederlo, che si emozionano persino quei ragazzi miliardari che sognavano proprio quella maglia – come penso ognuno di noi – rincorrendo il pallone in cortile a ricreazione. Ma quali colori sognava invece un Camoranesi? E quali i papabili Amauri, Zarate o il roccioso Cristian Ledesma? Sinceramente non mi emozionerei a vederli cantare l’inno italiano (ma credo neanche loro). Verrebbero invece i brividi vedendolo fare a Balotelli, Okaka o Obgonna, frutti dei nostri vivai e delle nostre scuole. E ancora di più quando sentiremo cantare Fernando Warnakulasuriya, talentuoso esterno di origine cingalese, o Mohammed Yusuf, piccolo genio di genitori algerini, ragazzi cresciuti, e non solo calcisticamente, in Italia. Diramare le convocazioni in base al solo passaporto è invece un segnale di involuzione. Innanzitutto perché non si investe sul futuro e sulla qualità – ovvero sui settori giovanili. Si mette piuttosto una toppa importando presunto talento ed aggirando così le ragioni strutturali di una crisi che si radica nella ancestrale incapacità – non solo calcistica a dire il vero – di innovare e di scommettere sui giovani. Ma è soprattutto sbagliato dal punto di vista civile: merita la nazionale chi è italiano per appartenenza, per vissuto. Perché è frutto dell’Italia - nel bene e nel male - dei suoi cortili e dei suoi prati, delle sue scuole e delle sue strade, dei suoi campacci di periferia soprattutto, e non chi ha ereditato un cognome da un lontano e spesso sconosciuto passato.
L’Italia a chi la ama, diceva qualcuno. L’Italia a chi la vive e a chi la sente propria, più semplicemente".

http://www.scuoladipolitica.it/static/magazine/Caro-Prandelli-meno-Camoranesi-e-pi%C3%B9-Balotelli-209.aspx
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