Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Le mamme tunisine e il diritto alla verità

Italia-razzismo
Continua a crescere in maniera inarrestabile il numero delle persone morte in mare nel tentativo di raggiungere le coste dell’Europa. Il dato che accompagna questo aumento è quello che riguarda il numero di interventi politici, di articoli di giornale o di servizi televisivi che ne danno notizia e ne tracciano i contorni. Si tratta, ahinoi, di una cifra molto vicino allo zero. È  questo il motivo che ha spinto, nei giorni scorsi, il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini,  a lanciare, attraverso i microfoni della rubrica di Radio Tre, Fahrenheit, un appello rivolto all’Unione Europea. Un discorso in cui si mette in risalto la solitudine provata dagli abitanti dell’isola di fronte ai numerosi cadaveri a cui dare una dignitosa sepoltura.

Nonostante si tratti di cifre irrisorie rispetto alle persone considerate disperse, i loculi messi a disposizione dal Comune nel cimitero dell’isola sono terminati. E così - si legge nell’appello - dopo l’ennesimo ritrovamento di salme avvenuto il 3 novembre, il sindaco è stato costretto a chiedere aiuto attraverso la Prefettura ai Sindaci della provincia per poterli seppellire. Ma la sua critica non si limita a questo: il sindaco scrive  di essere “indignata dall’assuefazione che sembra avere contagiato tutti” e di essere “scandalizzata dal silenzio di un Europa che ha appena ricevuto il Nobel della Pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propria guerra”. Parole difficili da smentire. Il numero delle persone che perdono la vita in quella traversata è impressionante, oltre che crudele. Basta pensare che solo nel 2011 i morti sono stati 2160. Occorre inoltre considerare che non si tratta di un  dato reale e definitivo, difficile da ottenere a causa delle condizioni di totale precarietà e insicurezza in cui si svolgono quei viaggi. A provocare la tragedia è la coincidenza di più irregolarità: irregolarità delle imbarcazioni, del numero dei passeggeri, di chi li trasporta in Italia e delle condizioni di navigazione. Ecco perché i dispersi - quelli che al momento dell’approdo mancano all’appello -sono 6-7 ogni giorno. E spetta ai superstiti il compito di raccontare la tragedia dei compagni di viaggio che non ce l’hanno fatta. Tocca a loro dare un volto, associare una biografia e a volte offrire un fiore, a chi a quella fuga non è sopravvissuto. Un compito ingrato, ma dovuto, dal momento che se non fosse per loro, di quei dispersi forse non ci sarebbe quasi traccia. Quasi, appunto. Perché la famiglia di chi fugge insiste fino allo sfinimento pur di ottenere qualche, anche minima, notizia sul proprio caro. Come sta accadendo con i parenti dei tunisini di cui si sono perse le tracce poco dopo la partenza avvenuta a marzo del 2011. Le famiglie, da quel momento, di fronte all’irrisolvibile dubbio sulla sorte dei loro figli (sbarcati o naufragati?) manifestano davanti all’Ambasciata tunisina in Italia e a quella italiana in Tunisia, senza risultati. E senza che quei genitori possano mai mettere in pace la propria anima.
l'Unità, 15-11-2012

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