Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

21 maggio 2014

Soccorsi altri 400 migranti, in arrivo i 133 bambini salvati ieri
Repubblica, 21-05-14
E' previsto per questa mattina l'arrivo al porto di Augusta (Siracusa) delle due navi militari che ieri hanno soccorso oltre 500 profughi, tra cui 133 bambini e 64 donne.
I migranti sono stati tratti in salvo su due barconi in legno in balia del mare in tempesta nel Canale di Sicilia. L'operazione era stata avviata lunedò sera ma è stata interrotta nella notte a causa del maltempo. Secondo Save the children si tratta prevalentemente di siriani.
Altri 400 immigrati sono stati soccorsi nel Canale di Sicilia nell'ambito dell'operazione "Mare nostrum". La loro imbarcazione è stata raggiunta dalla nave militare "San Giorgio", che ha preso a bordo i profughi.
Sono intanto attesi oggi ad Augusta (Siracusa) i 500 stranieri, tra i quali 133 minori, prelevati lunedì dalla fregata "Grecale" e dal pattugliatore "Foscari". Ed è di ieri l'allarme di Musumeci, presidente della Commissione regionale antimafia:
"Mille minori vagano per la Sicilia"



L’odissea dei bambini sul barcone alla deriva
Salvati dalla Marina in mezzo allo Ionio. Recuperati quasi cinquecento profughi
La Stampa, 21-05-14
Laura Anello
Palermo - Tante testoline bionde e scure, una accanto all’altra, sul barcone squassato dal mare in tempesta. Quando l’hanno visto, gli uomini della Marina hanno quasi creduto che fosse un abbaglio. Invece erano proprio bambini quelli stretti l’uno all’altro sul barcone in avaria, trascinato da un’altra carretta che procedeva a fatica, tra le onde a sud di Capo Passero, estremo lembo orientale della Sicilia. Una nave di bambini. Un’immagine mai apparsa in questo mare che pure si credeva avesse visto di tutto: morti, sangue, pianti, abbracci, famiglie separate e ritrovate.
Una nave di bambini in fuga dalla Siria, dove in tre anni di guerra civile in 7 milioni sono dovuti fuggire. Uno, due, tre, quattro. Li hanno portati uno per uno sulle navi Grecale e Foscari, mentre faceva sempre più buio e il maltempo peggiorava, tra le urla e il lancio di salvagenti. Alla fine ne hanno contati 133. I più piccoli di pochi anni, i più grandi adolescenti. Arriveranno domani al porto militare di Augusta insieme con le 64 donne e i circa 250 uomini che li accompagnavano.  
«E’ l’inizio del grande esodo delle famiglie siriane, d’inverno partono solo gli uomini e solo se costretti a lasciare subito il Paese. Per mettere sul barcone mogli e figli aspettano che il tempo migliori in primavera», spiegano gli osservatori di Lampedusa. Ma qualcuno immagina pure che il barcone dei bambini sia frutto della speranza di genitori che avevano un solo posto a disposizione e l’hanno dato ai figli, affidati ad amici e parenti.
Storie che potranno essere chiarite solo domani, allo sbarco, quando arriveranno i 488 profughi. Di sicuro c’è che sono tutti sani e salvi, e non è stato facile. Le operazioni di recupero, partite lunedì sera anche con l’aiuto di tre navi mercantili, si sono interrotte nella notte. Onde troppo alte, eccessivamente rischioso portare a bordo i naufraghi. In mattinata è ricominciata la conta degli uomini, delle donne, dei bambini da issare a bordo. Ma di sicuro c’è pure che, una volta giunti a terra, tutti questi bambini affidati al mare avranno un futuro incerto.
«Mille minorenni immigrati, fuggiti dai Centri di prima accoglienza dell’Isola, rischiano di cadere nella rete della criminalità», dice il presidente della commissione regionale Antimafia Nello Musumeci, secondo il quale «i ragazzi e le ragazze, quasi tutti in età adolescenziale, dopo aver vagato nei primi giorni per centri abitati e campagne, finiscono quasi sempre nelle mani di spregiudicati, non solo loro connazionali, dediti allo sfruttamento della prostituzione, allo spaccio di droga o al lavoro stagionale nei campi agricoli, vittime del capolarato». Sono 1.030, sostiene, citando il dato trasmesso alla commissione dal ministero delle Politiche sociali: «minori non accompagnati, sbarcati negli ultimi mesi sulle nostre coste e non identificati in tempo o registrati con false generalità». Da inizio anno, 1300. Un problema che in realtà riguarda soprattutto gli africani.  
Ma certo è che i centri di accoglienza per gli under 18 allestiti in tutta Italia stanno scoppiando. E che i Comuni sono stati lasciati soli a gestire l’emergenza. Per legge, infatti, i minorenni senza genitori sono affidati ai sindaci, chiamati ad accoglierli e a sostentarli fino alla maggiore età: un costo che va da 80 a 100 euro al giorno, al quale l’anno scorso lo Stato ha contribuito con soli 5 milioni di euro. Un fondo lievitato a 40 milioni ma ancora non distribuito. La nave dei bambini arriva in questo caos. A puntare il dito su improvvisazioni, inadeguatezze, mancanze. A raccontare la distruzione di un Paese che perde i suoi figli. E la speranza di portarli in salvo, nonostante tutto.



La fuga solitaria dei profughi bambini.
il manifesto, 21-05-14
Carlo Lania
Devi essere molto coraggioso o molto disperato se a 12 anni decidi di lasciare tutto e attraversare il mare da solo. Di mollare il villaggio in cui sei nato, casa, famiglia, amici e partire. Bassey forse era un po` tutte e due queste cose quando l`anno scorso decise di lasciare l`Eritrea e provare a venire in Europa. A spingerlo a fuggire è stata la certezza di non avere più un futuro davanti a sé, perché il regime di Asmara obbliga ì giovani ad arruolarsi e a sparare a chi cerca di scappare attraversando la frontiera con il Sudan e con l`Etiopia. Lui, che sognava dí fare l`ingegnere. Così un giorno di marzo è uscito da scuola e, senza avvisare la famiglia e con i soldi che gli avevano mandato i fratelli maggiori, già fuggiti in Francia e
Israele, è scappato. Da solo, ma come tanti altri.
Ogni anno migliaia di bambini lasciano il paese di origine da soli per arrivare in Italia con la speranza di riuscire poi ad raggiungere il Nord Europa. Hanno dai 12 ai 17 anni e nelle statistiche sono indicati come «minori non accompagnati», per distinguerli da quelli che lo stesso viaggio lo fanno in compagnia di uno o più familiari, e sono la maggioranza: 2.744 solo nei primi quattro mesi di quest`anno, contro i 1.104 bambini arrivati con la famiglia o comunque con un adulto che si è preso cura di loro. Un fenomeno in crescita, se si considera che nei primi 8 mesi del 2013 sono stati 1.257. Fuggono da dittature, come Bassey, ma anche da guerre, persecuzioni e fame, tracciando così una mappa della disperazione in cui sono immersi molti paesi africani ma non solo. Secondo i dati raccolti da Unhcr, l`Alto commissariato dell`Onu per i rifugiati, e Save the Children,
la maggioranza di loro, 982, proviene dall`Eritrea, 389 dalla Somalia, 345 dalla Siria, 301 dall`Egitto, 236 dal Gambia,
100 dal Mali e 77 dal Sub-Sahara. I motivi per cui si trovano a dover affrontare da soli un viaggio che dura mesi e che li espone a pericoli enormi, sono i più vari. «Molto dipende dalla nazionalità», spiega Carlotta Sami, portavoce dell`Unhcr Italia. «I bambini siriani, ad esempio, vengono mandati avanti dalle famiglie perché per loro il viaggio costa meno, 800-1.000 dollari contro i 1.500 dollari chiesti per un adulto. E lo fanno nella speranza di riuscire a ricongiungersi in seguito con loro. Diverso il caso dei bambini egiziani, molti dei quali già vivono per strada nel loro Paese e partono alla ricerca di un lavoro o comunque di una possibilità di vita migliore».
Viaggi a dir poco difficili. Chi ce la fa spesso racconta storie in cui dominano violenze e ricatti. Come Bassey. «Dopo essere
rimasto cinque mesi in un campo in Etiopia - racconta Alessio Fasulo, coordinatore degli interventi per la frontiera Sud
di Save the Children, che ha raccolto la testimonianza - Bassey è arrivato in Libia dove non è mai uscito di casa per paura di subire violenze. Per arrivare in Italia aveva concordato un prezzo di 1.600 dollari, ma in Libia i trafficanti hanno preteso altri 500 dollari per proseguire il viaggio». Una volta lasciato il proprio Paese, gli eritrei hanno due soli percorsi da seguire per arrivare in Europa. Il primo passa per il Sinai e Israele. Il secondo per il Sudan e Libia. Entrambi sono pericolosissimi. Nel Sinai infatti opera da tempo una banda di beduini che rapisce i migranti chiedendo poi un riscatto alle famiglie per liberarli.
Un traffico che secondo il rapporto «The Human Trafficking Cycle: Sinai e beyond», scritto dalla docente universitaria
Miriam van Reisen, dalla giornalista Meron Estefanos e da Alganesh Fisseheye, presidente dell`ong Gandhi, negli ultimi
cinque anni ha fruttato ai banditi 600 milioni di dollari grazie a violenze terribili. «Una ragazzo eritreo - ricorda ancora Carlotta Sami - mi ha raccontato di aver visto morire davanti ai suoi occhi un amico al quale avevano dato fuoco. I migranti vengono torturati dai trafficanti che chiamano al cellulare le famiglie chiedendo soldi per liberarli. Un altro ragazzo, sempre eritreo, mi ha detto invece di essere stato rinchiuso in Libia in capannoni dove la sera arrivavano le milizie che torturavano gli uomini e violentavano le donne». Proprio le donne rappresentano un altro capitolo doloroso. Si calcola che il 20% di quante
riescono ad arrivare in Italia abbiano viaggiato da sole e una percentuale molto alta di loro è incinta, conseguenza delle violenze subite nei mesi trascorsi prigioniere in Libia. «Dopo l`ultimo sbarco abbiamo avuto donne in stato di choc che parlavano da sole - denuncia Carlotta Sami Sarebbe importante offrire a donne e bambini un`assistenza psicologica al momento della prima accog,lienza, e questo purtroppo non avviene».
Ma chi ce la fa rivendica ancora il diritto a fuggire. E i bambini che hanno attraversato il Mediterraneo non accettano di fermarsi in una delle strutture di prima accoglienza che li ospitano dopo essere sbarcati in Sicilia. Sempre Save the Children ha denunciato come degli 800 minori arrivati via mare a Porto Empedocle, Catania e Augusta tra il 9 e il 14 aprile scorsi, almeno 500, in maggioranza eritrei, somali ed egiziani, sono fuggiti. «I minori che arrivano nel nostro paese - ha spiegato nei giorni scorsi Raffaela Milano, direttore dei programmi Italia-Europa dell`associazione il più delle volte vogliono raggiungere mete già prestabilite, in Italia o all`estero, dove trovare lavoro e condizioni di vita migliori.
Viste le difficoltà a ottenere in modo legale e tempestivo un ricongiungimento familiare e il caos assoluto che regna nelle
strutture adibite alla prima accoglienza, i ragazzi decidono di scappare e di affrontare il viaggio affidandosi spesso ad adulti che speculano sulla loro condizione». Il rischio per questi bambini è infatti che, una volta giunti finalmente in Europa, possano finire nelle mani di chi punta soprattutto a speculare su di loro sfruttandoli sessualmente o come manovalanza in nero.



Un ponte di cui essere orgogliosi
La Stampa, 21-05-14
Mario Calabresi
Parlare di immigrati ormai è diventato difficilissimo, nessuno ha più pazienza d’ascoltare, i più moderati restano in silenzio, gli altri o invitano a rispedire ogni barca a destinazione o a girare la testa dall’altra parte quando fanno naufragio.
La questione è trattata solo in termini economici: prima ci si preoccupa dei costi di salvataggio e accoglienza, poi della minaccia che rappresentano per la sicurezza o per il nostro già disastrato mercato del lavoro. Inutile cercare di discutere razionalmente, guardare i numeri che mostrano che sono molti di più quelli che si stabiliscono in Germania, in Francia o in Svezia. Noi siamo terra di passaggio non meta finale.
Poi leggi il racconto di quella madre che è riuscita a tenere a galla per un’ora il figlio di otto anni, prima di morire all’arrivo dei soccorsi, e senti che qualcosa non funziona più, dentro e fuori di noi. Guardi la foto qui accanto e scopri che su questa barca verde e rossa alla deriva ci sono 133 bambini, che ieri sera sono stati asciugati, rifocillati e hanno dormito sotto una coperta grazie alla Marina Militare italiana che li ha salvati. Sono siriani, in fuga dalla guerra con i loro genitori.  L’operazione Mare Nostrum ne ha salvati 30 mila da ottobre a oggi. Per molti è una colpa, un ponte che andrebbe ritirato al più presto. Ma forse è anche l’unica mano che tendiamo verso una serie di conflitti che non vogliamo vedere.
Il nostro sport nazionale è ripetere ad alta voce che l’Italia fa schifo, che non c’è niente da difendere, che siamo perduti. E se il nostro riscatto stesse nel riscoprire che siamo capaci di umanità? Mi attirerò una bella dose di critiche, ma ho voglia di dire che sono orgoglioso di appartenere a una nazione che manda i militari a salvare le famiglie e non a sparargli addosso.  



Nessun funerale per i 17 migranti morti, il superstite: “Sono 249 i dispersi”
“Non fare il funerale significa non avere rispetto per l’umanità”. La Comunità islamica di Sicilia lancia un ulteriore appello per commemorare i 17 morti del barcone affondato a largo delle coste libiche. Secondo la testimonianza di un superstite i dispersi sarebbero 249, tra cui tanti bambini.
la Repubblica, 21-05-14
ALESSANDRO PUGLIA
Sono già state tutte saldate le 17 bare dei migranti morti del barcone affondato a largo delle coste libiche. Tra queste ci sono quelle delle due bambine che non sono state identificate. Nel silenzio delle istituzioni il luogo per la sepoltura sarà la fossa comune del Cimitero di Catania (foto alessandro puglia)
Le diciassette bare dei migranti morti nel barcone affondato a largo della Libia sono state già tutte saldate nella camera mortuaria del cimitero di Catania. Cinque, ad oggi, sono i cadaveri identificati tra cui quello di una donna nigeriana incinta. Pochi metri più avanti, alle spalle delle confraternite del cimitero c’è una grande fossa comune. Qui, con ogni probabilità, verranno seppelliti i 17 migranti. Senza un funerale.
A lanciare un appello alle istituzioni affinché “questa ennesima tragedia non si chiuda come se nulla fosse” sono Kheit Abdelhafid, Imam e presidente della Comunità islamica siciliana e Mohammad Hannoun, presidente della Comunità siro-palestinese in Italia. “Eravamo presenti ad Agrigento quando per i morti di Lampedusa non è stata detta neanche una preghiera. Questa volta è peggio perché sembra proprio una dimenticanza da parte delle autorità”.
Nel giorno dell’arrivo della fregata Grecale della marina militare al porto di Catania l’Imam della moschea siciliana aveva infatti chiesto al sottosegretario all’Interno, Domenico Manzione: “Un funerale dignitoso per i 17 morti”. Ma fino ad oggi non ha ricevuto nessuna risposta, nessuna telefonata da parte della Prefettura o dal Comune.
Il bilancio dei dispersi intanto è destinato ad aumentare. Secondo la testimonianza di un superstite raccolta da Nawall Sofie, interprete del tribunale di Catania e attivista per i diritti umani: “In quel barcone c’erano 450 persone. Trecento le persone senza salvagente, tanti i bambini. E solo chi sapeva nuotare è riuscito a salvarsi”.
Il superstite è Idris Amara, eritreo, tra i primi a scendere dalla nave della marina in una sedia a rotelle: “Un pezzo di legno del barcone gli si è infilzato sul fianco sinistro, l’ho incontrato in ospedale, mi ha detto con precisione che il numero di dispersi è di 249 persone – racconta Nawal - Dice di essere sicuro perché prima di partire hanno fatto la conta è c’è stata una lite tra i due scafisti di terra sul numero delle persone che dovevano salire sul barcone”.
Per la procura etnea i dispersi accertati “Sono dieci, ma potrebbero essere di più – spiega il procuratore Giovanni Salvi – E’ difficile però che siano più di duecento considerate le caratteristiche dell’imbarcazione”.
Idris, il superstite eritreo, ieri è stato dimesso dall’ospedale Vittorio Emanuele ed è subito andato in cerca della moglie, Lamlam, sbarcata con lui insieme agli altri 209 superstiti. Dopo una settimana si sono ricongiunti in quel palazzetto anonimo di fronte alla Cittadella universitaria, dove si trovano altri superstiti, presidiato da polizia, carabinieri e guardia di finanza.


 
L`Italia si sveglia: «Onu e Ue pensino alla Libia»
Dopo mesi di silenzio, Renzi chiama in causa la comunità internazionale
il Giornale, 21-05-14
Rolla Scolari
La crisi della sicurezza in Libia rende più difficile i queste ore la gestione dell` emergenza immigrazione: la marina
italiana ieri ha soccorso due barconi con 500 migranti, tra cui 133 minori. Le imbarcazioni provengono dalle coste libiche, sempre più terra di nessuno. Per il premier Matteo Renzi dovrebbe essere l` Onu a gestire i campi profughi in loco. Il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha parlato di una situazione complicata dal fatto che ora è impo ssibile fare accordi con un Paese così instabile. Si è tenuta ieri a P alazzo Chigi una riunione di coordinamento sugli eventi in Libia in vista degli appuntamenti internazionali del premier: il vertice Ue de127 e il G7 di giugno. L`Europ a manderà in Libia «inviati speciali dei singoli Paesi e lo faremo anche noi. Ma poi qual è l`idea dell`Ue?Intendo porre la questione al Consiglio europeo e al G7, come ho fatto con il segretario Onu», ha detto Renzi. Per il premier è la mancata presenza della comunità internazionale in Libia ad aprire le porte a «fondamentalisti che non erano lì prima».
Dopo unweekend diviolenze, a Tripoli ieri uffici e negozi hanno aperto regolarmente e le compagnie straniere non sembrano per ora considerare un`evacuazione, anche se la F arnesina ha consigliato il rientro, Arabia Saudita e Algeria hanno chiuso le sedi diplomatiche e gli americani hanno raddoppiato il numero di aerei presenti nella base italiana di Sigonella.
I deputati del Parlamento libico attaccato domenica dagli uomini armati del generale Khalifa Haftar si sono richiusi ieri nella hall di un grande albergo sul lungomare di Trip oli.Ilpor tavoce del Congresso nazionale, controllato in maggioranza dai Fratelli musulmani e altri gruppi islamisti, ha chiesto alle truppe note come lo «Scudo libico centrale» di mobilitarsi.
I gruppi armati, di cui fanno parte brigate di Misurata, cittadina a Est di Tripoli che ha svolto un ruolo centrale
nel collasso del regime di Muammar Gheddafi nel 2011, sono ritenuti affiliati a forze politiche islamiste e si oppongono a milizie delle montagne dell`Ovest e del villaggio di Zintan, che in questo momento combattono con il generaleH eftar. L` exmilitare sostiene di avere l`appoggio dell`esercito e ha inquadrato la sua operazione come «una purga» degli islamisti dalla Libia, rubando dal copione egiziano del generale AbdelFattah Al Sisi.
Approfitta anche dell`indignazione creata dal fatto che a inizio anno il Parlamento si sia arrogato una proroga del mandato fino a dicembre. Ora, l`Assemblea rifiuta una richiesta del governo di sospendere i propri lavori fino a nuove elezioni, indette ieri per il 25 giugno.



"Italiani, aiutateci non siamo criminali" L`urlo dei bimbi in fuga dalla Siria  
I bimbi profughi della Siria "Italia, prendici con te"
La Repubblica, 21-05-14
ALESSANDRA ZINITI
PALERMO
WE ARE not criminale". Non siamo criminali. "We urgently need humanitarian corridors". Abbiamo bisogno di corridoi umanitari. Poi una firma, una data, 21 aprile 2014, e gli occhioni smarriti di una bimba di pochi mesi che sembra reggere con le sue manine un foglio a quadretti al quale 144 siriani in fuga dal loro Paese hanno affidato un disperato grido d`aiuto. A scrivere quelle sei righe rivolte all`Europa, è stato il papà della bimba, Nazir.
L'uomo adesso, insieme ad almeno un centinaio di connazionali, sarebbe bloccato da otto giorni su un barcone, in acque
egiziane, al largo di Alessandria, "ostaggio" degli scafisti che aspettano di incrementare il numero delle persone da
trasportare prima di affrontare la traversata.
Così come era già successo un mese fa quando Nazir, quella volta insieme alla moglie e allefiglie, si era imbarcato per un viaggio poi interrotto e finito con il ritorno in Egitto e la cattura da parte della polizia. Tre settimane di prigionia, in condizioni inimmaginabili, con la minaccia del rimpatrio in Siria. Nel commissariato di Al Rashid, ad Alessandria, Nazir e i suoi amici hanno deciso dí affidare alle immagini strazianti dei loro figli prigionieri con loro la richiesta di aiuto all`Occidente scattando le foto che sono arrivate fino a Repubblica. Perché questa volta, nel secondo tentativo di traversata del Canale di Sicilia che lo potrebbe presto vedere in uno dei barconi soccorsi dalle camente in Italia il mediatore che na raccolto la sua richiesta di aiuto, Nazir ha raccontato: «La sera della partenza ci hanno portato in spiaggia e da li, a gruppi di 30 su piccole imbarcazioni, condotti sul barcone. Eravamo circa in 250. Arrivati in acque internazionali è esplosa una lite tra gli scafisti a bordo e quelli a terra che pretendevano che tornassimo indietro per imbarcare altre 50 persone. "Ma siamo in acque internazionali, stiamo lanciando l`sos per farci venire a prendere", gli rispondevano da bordo. Abbiamo fatto avanti e indietro per sei giorni e alla fine siamo stati noi stessi a chiedere di tornare indietro. Non c`era cibo e l`acqua era poca, piccole falle rischiavano di farci affondare. Alla fine siamo tornati e appena toccato terra ci hanno arrestato e portato al commissariato di Al Rashid. Era la notte tra i114 e il 15 aprile».
E poi? Pensavano di venire rilasciati subito e invece a lasciare la prigione il giorno dopo sono stati gli scafisti. Per tre settimane i "prigionieri" siriani sono stati tenuti sotto la minaccia del rimpatrio immediato "per mandare un messaggio - è stato detto loro- a tutti quelli che tenteranno di lasciare l`Egitto via mare". È stato in quei giorni che Nazir ha pensato di affidare il suo grido d`aiuto all`immagine della sua bimba di pochi mesi ritratta con un telefonino. E alle
altre foto che qui pubblichiamo. Il 30 aprile, 18 di quei profughi son ostatí trasferiti in un`altra prigione e privati dei loro cellulari.
Di loro non si sa più nulla. Qualche giorno dopo, per tutti gli altri, è arrivata la liberazione. Paura e sofferenza hanno convinto Nazir a riprovare la via del mare, questa volta da solo, lasciando la famiglia ad Alessandria. Ma prima di lui in Italia è arrivatala foto della sua bimba.
(ha collaborato Alessandro Puglia)

 

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