Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Cronache dai Cie

Presidio al Tribunale di Roma in solidarietà con chi si ribella nei Cie
22 luglio

In seguito alla rivolta avvenuta nella notte tra il 3 e il 4 giugno scorso all’interno del Cie di Ponte Galeria,
otto reclusi, accusati di esserne stati gli istigatori, sono stati arrestati e si trovano attualmente sotto processo con l’accusa di resistenza, lesioni a pubblico ufficiale e danneggiamento.
Il 22 luglio presso il Tribunale di Roma si terrà la seconda udienza nei loro confronti.

IN SOLIDARIETÀ CON CHI SI RIBELLA ALL’INTERNO DEI CIE
GIOVEDÌ 22 LUGLIO ORE 10.00
APPUNTAMENTO DAVANTI AL TRIBUNALE DI PIAZZALE CLODIO


Di seguito l’appello che lancia la giornata.

«Fino a quando gli immigrati annegano nei nostri mari
oppure si accontentano di raccontare storie lacrimevoli e commoventi,
il buon padrone bianco sente il dovere di indignarsi e magari di protestare.
Ma non appena essi mostreranno di prendere l’iniziativa
senza chiedere il permesso,
ben pochi saranno disposti a seguirli».


La macchina delle espulsioni messa in atto dagli stati, oltre a creare un business economico intorno alla condizione di immigrazione forzata, serve ad accrescere il grado di ricattabilità degli individui, immigrati e non, costringendoli ad accettare infime condizioni di vita e di lavoro. Per guadagnare al massimo, il padrone ha bisogno di creare una categoria di persone da tenere sempre in pugno, sotto continua minaccia (l’internamento e la deportazione ne sono un esempio). Prima sfrutta i futuri migranti fino all’osso nei loro paesi e poi li attende nei cosiddetti paesi civili per continuare a speculare sulle loro spalle: in questo contesto il padrone ha sempre a disposizione una forza-lavoro terrorizzata e pronta a tutto per sopravvivere e in oltre sa bene che ogni sfruttato pur di non rimanere escluso dal mondo del lavoro si ritrova nella condizione di abbassare costantemente la testa.

Così, sotto il ricatto delle leggi e dalla propaganda razzista gli immigrati continuano ad essere messi all’angolo e resi schiavi: prima sfruttati come manodopera a basso costo fino quando il mercato lo richiede, poi reclusi e infine deportati, nei loro paesi d’origine. Tutto questo al fine di garantire continuità al privilegio della classe dominante, ad un sistema economico che non potrebbe trovare sviluppo se non ci fossero ampie masse di uomini e donne da sfruttare. Per questo motivo ovunque nel mondo nascono rivolte spontanee ed autorganizzate per opporsi alla schiavitù, allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, allo sfruttamento dell'uomo sulla terra. Oppressione, controllo sociale, odio per il "diverso", guerra tra poveri, sono elementi indispensabili per chi ha intenzione di non rinunciare ad arricchirsi sulle spalle dei poveri e mascherare la propria ingordigia tra le maglie della cosiddetta democrazia.

Lager dunque, nuovi lager della democrazia vengono definiti i Cie, la loro essenza e la gestione che ne consegue ricordano quelle dei campi di Hitler e Stalin (paragone che qualche immigrato detenuto osa fare per definire la sua prigione). Luoghi sorvegliati costantemente dalla presenza di squadrett (polizia e militari armati) in cui vengono rinchiuse persone rastrellate dalle strade senza che neanche loro ne comprendano il motivo. Tenute costrette in delle gabbie in condizioni vessatorie a subire continue umiliazioni.

Come nel resto del mondo, visto che la macchina delle espulsioni è mossa da interessi globali e ha dunque prigioni sparse in giro ovunque sul pianeta, anche in Italia, in particolare dall'introduzione delle norme varate con il pacchetto sicurezza, molti/e reclusi/e nei CIE hanno alzato la testa scegliendo di non subire passivamente e nel quotidiano i soprusi del potere. Poco più di un anno fa si consumava una rivolta durante la quale veniva incendiato e reso inagibile il CIE di Lampedusa. Da quell'episodio in poi, non è praticamente passato giorno durante il quale non si siano registrati atti di protesta e rivolta all'interno dei CIE di tutta Italia. Nel corso del tempo e a seconda dei contesti i/le reclusi/e hanno risposto in maniera diversa alla miseria della loro condizione e all’infamia dei loro aguzzini. Scioperi della fame, della sete, atti di autolesionismo come tagli sul corpo o l’ingoio di oggetti, evasioni, gesti individuali di ribellione e vere e proprie rivolte collettive.
Rivolte come quella avvenuta a Roma il 15 marzo 2010, dove sono stati procurati centinaia di migliaia di euro di danni alla struttura oppure a Gradisca d'Isonzo dove, dal 2006, i reclusi hanno distrutto gran parte del centro collezionando più di un milione di euro di danni materiali. Devastazione dell'inferno nel quale sono costretti a sopravvivere che in alcuni casi ha portato alla chiusura della struttura stessa, come nel caso del lager di Caltanissetta e quello di Crotone.

A questi episodi sono susseguite violente reazioni da parte delle forze dell’ordine che non si sono mai risparmiate, hanno pestato a sangue (attività comunque praticata indiscriminatamente e in continuazione all’interno dei Cie, come altrove del resto) e messo in pratica vere e proprie persecuzioni nei confronti dei presunti "responsabili" dei disordini, i quali sono stati trasferiti, rimpatriati, minacciati, incarcerati. La segregazione, come strumento empirico della repressione e del controllo sociale, si rinnova fino a progettare nuovi Cie a prova d'evasione: proprio quando il recluso viene chiamato "ospite del centro" e l'evasione non può essere considerata un reato, il sistema si inventa un nuovo inferno tecnologicamente avanzato. Da qui nascono i nuovi progetti di costruzione e ristrutturazione dei Cie su tutto il territorio nazionale e nel caso del lager di Ponte Galeria, bottino della cooperativa Auxilium, inizia in questi giorni una ristrutturazione della sezione maschile che comporta, nella prima fase, il trasferimento e il rilascio "con foglio di via dall'Italia" di tutte le persone rinchiuse.

Il 22 luglio al tribunale di Roma verranno processati gli otto immigrati imputati per la rivolta del 3 giugno all'interno del lager di Ponte Galeria a Roma mentre, dopo tre mesi, è ancora in corso il processo per i diciannove immigrati incolpati per quella scoppiata il 15 marzo. Queste denunce si vanno ad aggiungere alle innumerevoli manovre repressive dello stato in cui vengono trascinati i migranti che osano ribellarsi, come chiunque osi con atti coscienti o istintivi opporsi alla brutalità del dominio. Dunque, in un sistema in cui la normalità sono i militari nelle strade, le assoluzioni degli assassini in divisa, lo sfruttamento dell'uomo e della terra e in cui solo una piccola parte di eletti ha diritto a far sentire la sua voce, è naturale e umano che chi viene schiacciato si ribelli con ogni mezzo, con quello che in quel momento ha a disposizione.

Per tutto questo noi scegliamo di sostenere i rivoltosi di Ponte Galeria.

22 LUGLIO 2010
ORE 10:00
DAVANTI AL TRIBUNALE DI ROMA
(PIAZZALE CLODIO)


 

Tentativi di suicidio a Ponte Galeria
Giulia Torbidoni

Avrebbero preferito morire, piuttosto che essere spostati, come pacchi, da un Cie all’altro.
Oggi, due ragazzi algerini, chiusi nel Cie di Ponte Galeria a Roma, hanno tentato di impiccarsi. Uno dei due è stato portato d’urgenza in ospedale, l’altro è invece stato visto con un lenzuolo al collo e la bava alla bocca, mentre veniva trasportato in infermeria.

Inoltre, c’è un terzo uomo ferito: si tratterebbe di un immigrato rinchiuso che, nel tentativo di evasione, si sarebbe rotto una gamba e “una macchina gli avrebbe schiacciato un piede”. Secondo alcuni migranti, il piede è viola, la gamba è rotta e nessuno si occupa di lui.
Secondo un’altra testimonianza, oggi uno dei ragazzi ha dovuto portare in infermeria un suo compagno caricandoselo sulle spalle, perché nessuno si curava di lui.
Intanto, nel pomeriggio a Ponte Galeria, sono arrivate quattro pattuglie che sorveglieranno il Cie fino a domani mattina.
La notizia è stata data dall’agenzia di stampa Redattore Sociale. Se, però, si telefona al Cie e si chiedono informazioni sullo stato di salute dei due ragazzi, la risposta è: “non è successo niente”. Tutto falso?
La negazione è stata la risposta più gettonata anche pochi giorni fa, quando in seguito a una tentata evasione si sono susseguite le cariche della polizia e le proteste dei migranti che hanno bruciato materassi e lenzuola.

8 giugno 2010

 

Si cuciono le labbra per dire no. Due storie, una protesta
Veronica Ulivieri

Quasi mille chilometri di distanza separan o le storie di due stranieri, una d onna tunisina e un uomo afghano, che nei giorni scorsi, nei Cie di Bologna e di Brindisi, si sono cuciti le labbra per protesta.
Una pratica molto dolorosa, l’unica avranno pensato, per far sentire la loro voce. Lei, la chiameremo Karima, lo ha fatto per contestare il rigetto della sua richiesta di asilo politico. Lui, chiamiamolo con il nome di fantasia Hassan, per testimoniare il suo dissenso di fronte al personale del Cie che non gli avrebbe concesso di telefonare alla famiglia, in particolare ai due figli. Presi dalla rabbia e dalla disperazione, Karima e Hassan hanno preso ago e filo e si sono chiusi le labbra con dei punti. Come per dire: “La mia voce qui non vale niente. Adesso mi impedirete anche di parlare?”.
Karima, 34 anni, fuggita in Italia dalla Libia, è stata ripudiata dalla famiglia per una gravidanza fuori dal matrimonio. Il fratello l’ha minacciata di morte, il cognato ha cercato di imporle il velo. Giovedì sera, dopo aver saputo la notizia del rifiuto della sua richiesta di asilo (nonostante in patria l’aspettino violenze e maltrattamenti), ha iniziato la protesta. È stata subito soccorsa e portata all’ospedale sant'Orsola. Qui è stata visitata anche dal servizio psichiatrico: ma Karima non ha problemi o disagi psichici; è del tutto cosciente del suo gesto, capace di intendere e di volere. All’ospedale ha rifiutato ogni cura. I medici non hanno potuto toglierle il filo dalle labbra, perché si sarebbe trattato di una violazione della sua volontà.
È stata riportata al Cie, e qui ha continuato la protesta. La cucitura le permette di parlare e di bere con la cannuccia, ma non di alimentarsi. “Non mangia da due giorni e intende proseguire, perché è terrorizzata dall' idea di essere rimpatriata in Tunisia”, ha spiegato il Garante per le persone private di libertà del Comune, l' avvocato Desi Bruno, che le ha fatto visita sabato scorso. Fin dall’inizio, Karima ha chiesto di parlare con un magistrato e della sua richiesta si sta occupando l’ufficio immigrazione di Bologna.
La donna è arrivata in Italia nel 2006. I primi anni ha lavorato come badante, poi nel 2009 è stata arrestata per droga insieme all’uomo che la ospitava. Al processo, dopo otto mesi di carcere, è stata assolta e da marzo si trova nel Cie di Bologna perché non ha il permesso di soggiorno. Ha pura. In Libia ha lasciato il suo bambino, che adesso ha otto anni, ma sa che non può tornare nella sua terra, perché la ucciderebbero. “In Tunisia mi ci devono portare morta, vado in qualunque altro posto del mondo ma non fatemi tornare in Tunisia”, ha detto al Garante.
“La legge vieta il respingimento nei confronti di persone che, tornate nei loro paesi, possono subire discriminazioni e persecuzioni di ordine razziale, politico, di genere. E qui ci sono fatti specifici. Credo che si debba trovare un'altra soluzione, che non vuol dire che deve rimanere in Italia a tutti i costi”, ha detto il Garante. In questi giorni, forse già oggi, l’avvocato Roberta Zerbinati, che ha accettato di difendere Karima, avvierà le procedure per due ricorsi: uno contro l' espulsione e uno contro il diniego dell'asilo politico.
Hassan è ricoverato all’ospedale Perrino di Brindisi. La notizia della sua protesta, avvenuta nei giorni scorsi, è stata data ieri dalla Gazzetta del Mezzogiorno. All’inizio, l’uomo era stato portato al pronto soccorso, dove i medici gli avevano scucito le labbra e medicato le ferite; poi era stato riaccompagnato al Cie. Ma il giorno dopo Hassan ha ripetuto il gesto di protesta ed e' stato riportato all’ospedale, dove si trova in ricovero coatto.

24 maggio 2010

 

 

Due scioperi

Due scioperi della fame, a Roma e a Torino. Individuali, a dimostrazione di una determinazione che va al di là dell’ordinario e che sa difendere se stessa anche quando è al di fuori delle lotte collettive, ma che rappresenta un po’ il filo tra una ondata di lotta e quella successiva.
A Roma, B. è in sciopero della fame da 22 giorni, ha già perso 16 chili ma non ha alcuna intenzione di smettere: vuole rivedere suo figlio, nato in Italia. Ora non si regge in piedi, e i suoi compagni di cella lo debbono sostenere a braccio per ogni cosa. La settimana scorsa ha ingoiato tutto quello che aveva sotto mano: una batteria da radio, una lametta, della candeggina e dello shampoo. L’ambulanza è arrivata dopo mezz’ora, l’ha accompagnato all’ospedale per la lavanda gastrica, e dopo un paio di giorni l’ha riportato al Centro come se niente fosse. Ora parla a fatica, a causa del tubo che gli hanno infilato in gola durante il ricovero…
A Torino, Mohammed è in sciopero da 21 giorni, e da tre si rifiuta pure di bere. In Italia si stava costruendo una vita, tanto che ha ancora il mutuo da pagare per la casa. Da quando è in sciopero, i medici della Croce Rossa del Centro lo visitano svogliatamente, limitandosi a misurargli la pressione. Fuorché la settimana scorsa: c’era una troupe della Rai in visita, ed allora in infermeria l’hanno portato di soppiatto, e gli hanno fatto una bella visita accurata e completa, «anche i piedi, mi hanno visitato».


Per far pressione sulla Croce Rossa in solidarietà con Mohammed, i solidali di Torino invitano tutti a chiamare i numeri del Cie (011-558 9918, 011-558 8778 e 011-5589815) e protestare.

 

 

 

Di nuovo a Ponte Galeria
Stefano Galieni

Sono tornati dietro le sbarre del Cie di Ponte Galeria, 15 dei 18 trattenuti accusati di essere stati i fomentatori della rivolta esplosa durante la notte di lunedì nel centro. Per altri tre che avevano pendenze giudiziarie è scattata la custodia cautelare e sono ora nel carcere di Regina Coeli. Per tutti comunque sono in corso le indagini. Le imputazioni vanno dal danneggiamento, alla devastazione, all’aggressione a pubblico ufficiale, entro 6 mesi si dovrebbe tornare in giudizio. Ancora non chiari i motivi della rivolta, la quarta in un mese. Tutto è iniziato a detta dei trattenuti intorno alle 23, a seguito delle percosse che avrebbe subito un ragazzo da parte degli agenti di sorveglianza. Secondo fonti della questura i subbugli sarebbero scoppiati per fornire un diversivo a 4 ragazzi magrebini che, con un piano ben studiato, sono riusciti a fuggire, secondo un'altra ricostruzione, presentata in tribunale, e a detta dei legali poco credibile, il caos sarebbe scoppiato dopo il tentativo di fuga in parte fallito. Ma la tensione evidentemente non si era mai interrotta: l’aumento a sei mesi del limite massimo di trattenimento ha reso il luogo sempre più simile ad un penitenziario in cui vigono le stesse dinamiche con in più elementi di totale disperazione. La sezione maschile è quella che da sempre da più segnali di ribellione. Il centro è ora gestito dalla cooperativa Auxilium, per quasi un anno la precedente gestione, della Croce Rossa, otteneva solo proroghe mensili e nel frattempo la struttura, di per se inadatta a trattenere persone per periodi così lunghi, è stata lasciata in uno stato di abbandono e di sporcizia, i lavori di manutenzione non venivano svolti e si sono avuti anche problemi derivanti da una cattiva gestione sanitaria. I nuovi gestori, subentrati il primo marzo, con una gara d’appalto pubblica in cui hanno promesso migliori servizi ad un costo più basso, hanno cercato di ricostruire una immagine del centro più presentabile. Sono stati riaperti gli “spacci” per generi di prima necessità, acquistabili con una tesserina da cambiare ogni due giorni del valore di 7 euro, sono state riverniciate pareti e riparati gli impianti di condizionamento dell’aria. Il personale medico dichiara di essersi dato da fare per far superare ai trattenuti la dipendenza da sedativi che molti avevano maturato nei mesi precedenti ed è cambiato il fornitore dei pasti, ora è la cooperativa “La Cascina” legata a Comunione e Liberazione, che fa arrivare da Tor Vergata le confezioni già preparate. Miglioramenti di facciata che non modificano affatto la vita nel centro. Stesse le sbarre, lunghi tempi in attesa di soluzioni individuali che non arrivano, storie minime di esistenze che per errori compiuti o per fatalità dovute ad una legislazione razzista precipitano in uno zoo umano. Gabbie più pulite forse, ma sempre gabbie restano. Rivolte, scioperi della fame, atti di autolesionismo si sono incrementati, frutto della rabbia di chi non accetta di essere detenuto senza ragione. La parlamentare radicale Rita Bernardini, che si è informata sull’accaduto parla di almeno 200 mila euro di danni arrecati alla struttura, l’ex consigliere regionale Anna Pizzo si era recata all’poche ore dopo la fine della rivolta per avere notizie. Ovviamente non ha potuto avere accesso alla struttura ma i gestori tendevano a minimizzare l’entità dell’accaduto che invece diveniva di ora in ora sempre più grave. I trattenuti hanno telefonato due volte durante la notte ad una radio di movimento per raccontare l’accaduto. Si sentivano rumori lontani forti, come di spari o di lacrimogeni, hanno parlato di polizia in assetto anti sommossa che ha circondato il centro mentre le fiamme divampavano. Temevano di essere pestati e, sempre nella sezione maschile, sono saliti sui tetti. Alle 5 circa la situazione è tornata alla normalità e a quel punto, sempre a quanto riferito dai migranti, c’è stata una vera e propria ispezione individuale. Hanno separato i “buoni” dai “cattivi” cercando di individuare coloro che potevano essere i fautori della rivolta. In 18 sono stati prelevati e portati in carcere e poi processati per direttissima, per i 15 tornati nel cie, non è scattata la custodia cautelare in quanto fermati alcune ore dopo la rivolta e non in flagranza di reato. Ora si stanno riparando i danni alla struttura sapendo perfettamente che si tratta solo di aspettare l’ennesima scintilla per ripiombare nel caos. Lunedì notte, a quanto dichiarato dalla questura, la polizia avrebbe scelto di non entrare per non alzare il livello di tensione ma Ponte Galeria resta una vera e propria bomba ad orologeria difficile da disinnescare. A poco servono misure palliative o il trasferimento delle persone più pronte a ribellarsi. Molti non hanno nulla da perdere, sanno che il proprio destino è legato all’opportunità di uscire liberi da quelle gabbie, ad ogni costo, anche a rischio della vita propria e altrui. Chiuderlo è l’unica soluzione possibile, il timer è già in funzione.


 

Milano, sciopero della fame nel Cie di Via Corelli

(RED.SOC.) MILANO - Si mobilitano anche i detenuti del Centro di identificazione ed espulsionedi via Corelli a Milano, da ieri sera in sciopero della fame. Il cibo e' stato rifiutato in tutte e tre le sezioni (uomini, donne e transessuali) che al momento raccolgono circa 80 persone. Protestano contro il prolungamento della detenzione a sei mesi e in segno di solidarieta' con quanto avvenutonella notte del 30 marzo nel Cie di Ponte Galeria di Roma.

(www.redattoresociale.it) 17:25 01-04-10

31 marzo 2010
Rita Bernardini visita il Centro di Identificazione ed espulsione di Ponte Galeria
http://www.radioradicale.it/scheda/300621


Rivolta a Ponte Galeria, danni per 200 mila euro
Corriere della Sera, 31 marzo 2010
La battaglia è cominciata all’improvviso, lunedì notte: una trentina di immigrati, per lo più pregiudicati per gravi reati, hanno dato vita a una rivolta nel Cie di Ponte Galena. Giovani sui tetti, lanci di mattonelle e bottiglie contro gli agenti di polizia, materassi e cuscini incendiati nelle camerate. Caos, fumo e fiamme, che si sono rapidamente propagate all’impianto di areazione al sottotetto della struttura d’accoglienza.

"Volevano far evadere quattro immigrati", spiegano gli investigatori, intervenuti in forze per riportare l’ordine. Ma non è stato facile. Tre agenti sono rimasti contusi negli scontri che si sono protratti a lungo nel Centro di identificazione ed espulsione, dove solo pochi giorni fa i movimenti antagonisti avevano organizzato una manifestazione all’esterno della struttura. Anche allora c’erano stati incidenti, con due stranieri arrestati. Lunedì notte, al termine di un paio d’ore ad alta tensione, gli investigatori, coordinati dal dirigente dell’Ufficio immigrazione Maurizio Improta, hanno arrestato diciotto extra-comunitari ospiti del Cie.

Alcuni di loro sono pluripregiudicati, clandestini, con una fedina penale dove spiccano reati come violenza sessuale e tentato omicidio. Ora sono accusati di resistenza, violenza e lesioni a pubblico ufficiale, danneggiamento di beni dello Stato, incendio doloso. Questa mattina saranno processati per direttissima 14 evasi sono invece riusciti a guadagnare i cancelli del Cie, smontati nonostante pesassero quasi 6 quintali, e a sparire nei campi.

Anche loro sono pregiudicati: un egiziano e un marocchino vengono considerati pericolosi, gli altri due avrebbero approfittato della situazione. Ora sono ricercati dappertutto. Ma, dagli accertamenti della polizia, c’è il sospetto che l’azione di lunedì notte sia stata un diversivo per provocare un’evasione di massa che non è riuscita per il pronto intervento degli agenti. E anche quello che gli immigrati del Cie possano aver avuto contatti diretti con l’esterno, con il telefonino, con ambienti estremisti e dell’antagonismo. Le indagini proseguono. Intanto i danni alla struttura ammontano a 200 mila euro.

Rivolta al Cie Roma giudice non convalida arresti
Apcom, 31 marzo 2010
Non convalidati gli arresti di 18 immigrati, fermati in seguito alle proteste avvenute la scorsa notte nel centro di identificazione ed accoglienza (Cie) di Ponte Galeria a Roma. Il giudice Francesco Rugarli della II sezione penale del tribunale di Roma ha ritenuto che non sussistesse la flagranza. Il provvedimento, comune a tutti e 18 gli indagati, non ha portato alla remissione in libertà per tre di loro, per precedenti penali a loro carico. Gli atti sono stati trasmessi dal giudice al pm Eleonora Fini, che dovrà ora svolgere accertamenti. Secondo quanto ipotizzato dagli investigatori della Questura le proteste sarebbero state una sorta di diversivo per agevolare la fuga di quattro stranieri.

I reati contestati a vario titolo vanno dalle minacce, violenza e lesioni a pubblico ufficiale al danneggiamento. Gli extracomunitari, quasi tutti egiziani, in aula, davanti al giudice, hanno spiegato di ritenersi estranei a quanto avvenuto. I difensori hanno argomentato, fuori dall’aula d’udienza: "Sono stati presi a caso e l’assenza di riprese video non permette di ricostruire l’accaduto". In base a quanto raccontato da un agente un gruppo di extracomunitari ha inscenato la protesta arrampicandosi sul tetto della struttura, lanciando bottiglie d’acqua, pezzi di mattonelle ed altri oggetti contro gli uomini del personale di vigilanza. Il giudice Rugarli ha fatto cadere il reato di incendio perché non c’era materiale infiammabile e per le scarse dimensioni del rogo. I tre immigrati che non sono tornati al Cie, come gli altri 15, sono rimasti in carcere in ragione di precedenti penali per reati contro la persona. Un piccolo presidio dei movimenti antagonisti, fuori dal tribunale, ha seguito l’udienza. Su uno striscione era scritto: "Non si processa la libertà".

30 marzo 2010 “Tra le 23.30 di lunedì 29 e le 2.00 del mattino del 30 marzo, il Centro di Identificazione e di Espulsione di Ponte Galeria a Roma, è stato teatro di scontri tra gli “ospiti” (così vengono definiti i reclusi), e agenti della polizia di Stato. Read More Numerosi focolai di incendio, spari, violenze. All’origine ci sarebbe un pestaggio di cui sarebbe stato vittima uno degli stranieri del centro. Le proteste a Ponte Galerie sono frequenti e sarebbero altrettanto frequenti gli abusi a opera di agenti di polizia. I motivi delle proteste vanno cercati nelle pessime condizioni igienico sanitarie, nella drammatica carenza di servizi, nell’abbandono psicologico e sociale nel quale vengono lasciati gli ospiti. La loro permanenza nel Cie è stata prolungata fino a sei mesi, a seguito dell’approvazione del “pacchetto sicurezza”, ed è destinata concludersi con l’espulsione. Dalle informazioni raccolte si apprende che è pratica estremamente diffusa la somministrazione di psicofarmaci, che aumentano lo stato di prostrazione degli stranieri, privi di qualunque assistenza legale e spesso tenuti all’oscuro della loro sorte futura. I Cie, e Ponte Galeria in particolare, si confermano come luoghi dove il rispetto della legalità e la tutela dei diritti umani sono decisamente un optional.”
Valentina Brinis Valentina Calderone

 


50 persone "spedite" in Nigeria

Questa mattina (18 marzo 2010) la deportazione annunciata ha avuto luogo: 50 persone sono state prelevate dal Cie di Ponte Galeria a Roma e sono state caricate su un volo charter diretto in Nigeria, partito dall'Inghilterra e messo a disposizione da Frontex, l'agenzia dell'UE che gestisce le frontiere esterne della fortezza Europa. Joy, Hellen e Florence sono ancora a Ponte Galeria nelle loro celle: per oggi i loro nomi non erano nella lista, ma c'è sempre la possibilità che nei prossimi giorni venga organizzato nell'ombra un altro viaggio, perché la loro denuncia - nei Cie la polizia stupra - è troppo scomoda. A Roma un gruppo di antirazziste antirazzisti ha manifestato davanti all'Ambasciata nigeriana (in via Orazio nel quartiere Prati), per protestare contro questa ennesima deportazione di massa, per denunciare che molte delle donne deportate sono in realtà vittime di tratta e per ribadire che Joy, Hellen e Florence non possono essere ridotte al silenzio. A Torino invece gli antirazzisti hanno protestato davanti alla sede della Corce rossa italiana, complice della gestione dei Cie.

 


 

Video

Il tempo sospeso, Crash, Marzia Marzolla e Fabio Trappolini

 

 

Protesta nel Cie di Ponte Galeria, gli immigrati salgono sui tetti
E fuori sit in dei manifestanti «antirazzisti» che poi hanno inscenato una dimostrazione a Viale Trastevere
ROMA - Immigrati del Centro identificazione ed espulsione di Ponte Galeria sono saliti sul tetto della struttura questo pomeriggio mentre all’esterno era in corso una manifestazione contro il Cie indetta dalla rete “Antrirazzisti antirazzisti Roma”. Gli immigrati, una ventina, hanno inscenato una protesta sul tetto del reparto uomini e alcuni di loro sono stati visti infliggersi atti di autolesionismo. Alle 18 i manifestanti esterni si sono diretti verso la ferrovia Roma Fiumicino e ne hanno bloccato il transito per circa mezz’ora. L’azione è scattata quando sul tetto del Cie è intervenuto un gruppo di agenti del Reparto interforze presente nel Cie. I manifestanti poi saliti su un convoglio sono tornati a Roma. Scesi alla stazione di Trastevere hanno inscenato una piccola dimostrazione sul viale, gettando alcuni cassonetti in mezzo alla strada. Intanto al Cie gli immigrati venivano fatti rientrare nel reparto.

«ILLEGALITA'» - Luigi Nieri, assessore regionale, presente alla manifestazione dice: «Un assessore regionale può andare ovunque, ho parlato col prefetto non mi è stato possibile entrare, questo la dice lunga sullo stato di illegalità di questi centri».

Paolo Brogi
13 marzo 2010(ultima modifica: 14 marzo 2010) - Corriere della Sera

 

 

 

 

 

Marcia indietro della Cassazione: espulsi anche con i figli in Italia

Ansa 11 MARCH 2010

ROMA - Marcia indietro della Cassazione in tema di immigrazione: gli immigrati irregolari, con figli minori che studiano in Italia, non possono chiedere di restare nel nostro Paese sostenendo che la loro espulsione provocherebbe un trauma "sentimentale" e un calo nel rendimento scolastico dei figli. Infatti, secondo il nuovo orientamento della suprema corte che smentisce una recente sentenza, l'esigenza di garantire la tutela alla legalità delle frontiere prevale sulle esigenze di tutela del diritto allo studio dei minori.

La Cassazione - con la sentenza n. 5856 - ha respinto il ricorso di un immigrato albanese, con moglie in attesa della cittadinanza italiana e due figli minori residente a Busto Arsizio (VA), per ottenere l'autorizzazione a restare in Italia in nome del diritto del "sano sviluppo psicofisico" dei suoi bambini che sarebbe stato alterato dall'allontanamento del loro papà. I supremi giudici gli hanno risposto che è consentito agli irregolari la permanenza in Italia per un periodo di tempo determinato solo in nome di "gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore se determinati da una situazione d'emergenza".

Queste situazioni d'emergenza, però, non sono quelle che hanno una "tendenziale stabilità " come la frequenza della scuola da parte dei minori e il normale processo educativo formativo che sono situazioni di "essenziale normalità ". Se così non fosse, dice la Cassazione, le norme che consentano la permanenza per motivi d'emergenza anche a chi è irregolare, finirebbero con il "legittimare l'inserimento di famiglie di stranieri strumentalizzando l'infanzia". Con questa pronuncia, inoltre, i supremi giudici tacciano la precedente decisione della stessa Cassazione che aveva dato il via libera alla permanenza di un papà irregolare, definendola come "riduttiva in quanto orientata alla sola salvaguardia delle esigenze del minore, omettendone l'inquadramento sistematico nel complessivo impianto normativo" della legge sull'immigrazione

 

 

 

Il Cie di Ponte Galeria
Carlotta De Leo

26 febbraio 2010 - Corriere della Sera
Ponte Galeria, la Croce rossa lascia il Cie
Perso l'appalto perché costiamo troppo"


Dal 1° marzo l'ente pubblico non si occuperà più degli immigrati: ma non si può risparmiare sull'assistenza
ROMA - Da lunedì primo marzo, gli operatori della Croce Rossa usciranno dal Cie di Ponte Galeria. Il Centro di identificazione ed espulsione alle porte di Roma avrà un nuovo ente gestore. L’avvicendamento non fa piacere a Francesco Rocca, commissario straordinario della Croce Rossa Italiana (Cri) che gestisce la struttura dalla sua apertura, nel 1998.
«La Cri è un ente pubblico e che non può essere messo alla pari di una cooperativa che, in generale, può essere più o meno di dubbia fama» ha detto Rocca durante un convegno sull'immigrazione. Con tutta probabilità, ad aggiudicarsi la gara di appalto per il Cie di Ponte Galeria è stata la cooperativa Auxilium che si occupa della gestione del Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Bari.

FUORI LA CROCE ROSSA - La Croce Rossa Italiana lascia Ponte Galeria perché ha perso il bando. «La gara vinta dalla cooperativa è legittima – spiega Rocca - ma da lunedì prossimo 60 operatori della Cri vengono tolti alle istituzioni». Annunciando la novità, Rocca ha sollecitato le istituzioni a «definire a livello nazionale il ruolo» della più grande organizzazione di volontariato italiana.
«Noi - ha detto Rocca - siamo sempre pronti a rispondere alle istituzioni, non ci tiriamo mai indietro di fronte ai bisogni e lavoriamo con successo. Ma chiediamo che la Cri abbia un ruolo definito. Siamo un ente pubblico e come tale possiamo stipulare convenzioni poi però siamo costretti alla gara. Non è accettabile essere messi alla pari di una cooperativa che, in generale, può essere più o meno di dubbia fama».

NESSUN RISPARMIO - Secondo Rocca non si può parlare di risparmio quando si parla di emergenza umanitaria e di assistenza. «Non si può perdere una gara perché noi rispettiamo le leggi – aggiunge - applichiamo i contratti collettivi, ma abbiamo un costo del lavoro leggermente superiore legato alla nostra natura pubblica». E poi aggiunge: «In passato siamo stati attaccati perché lavoriamo nei Cie. Io ho sempre rivendicato questa presenza perché è garanzia del rispetto dei trattati umanitari. Dal primo marzo, però, il Cie di Ponte Galeria va al privato che ha attenzione all'aspetto umanitario ma anche al bilancio, cosa di cui noi non abbiamo mai tenuto conto».

LA GARA – Sin dalla sua apertura, il Cie di Roma è sempre stato gestito dalla Cri. A fine ottobre, però, è scaduta la proroga dell'ultimo appalto e si è proceduto a istituire una gara. A spuntarla sembra essere stata l’Auxilium, la cooperativa lucana che gestisce il Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Bari e che, in passato, è stata coinvolta nell’inchiesta del pm di Potenza John Woodcock su presunte irregolarità nell'apertura dei mini centri per i richiedenti asilo allestiti fin dal 2008 per tamponare l'ondata di sbarchi di immigrati.
Di seguito pubblichiamo le notizie inviateci dal gruppo Cronache dai Cie e da silenzioassordante (Radio Onda Rossa).
Esplode la rivolta a Ponte Galeria
Senza riscaldamenti e senza acqua calda: questo è l'inverno in gabbia tra le sbarre e il cemento del Cie Ponte Galeria a Roma.
Due mesi interi senza assistenza sanitaria, ma i potenti sedativi – la "terapia quotidiana" che viene somministrata ai reclusi – curano perfettamente la sofferenza. «Diamo fondo alle scorte, dal 1° marzo finiscono i giochi» – questa è stata la strategia degli operatori della Croce rossa negli ultimi giorni della loro gestione.

Nel lager della capitale, basta tentare il suicidio per cinque volte in un mese e alla fine un posto in ospedale lo si ottiene di sicuro... Questa è la triste storia di Boukili Wid, liberato tre giorni fa, dopo l'ennesimo e pericolosissimo tentativo di togliersi la vita.
Concedere la libertà a una persona disperata è stato l'ultimo atto pietoso e caritatevole che la Croce Rossa ha compiuto all'interno del suo prezioso salvadanaio: il bottino di guerra è stato ridotto all'osso ed è ora di passare la palla al nuovo ente gestore: la cooperativa Auxilium (che gestisce il Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Bari).

I migranti rinchiusi nella sezione maschile, dopo lo sciopero della fame del 12 febbraio scorso, hanno ricevuto un amorevole consiglio dai medici del presidio sanitario: «Continuate a protestare perché dal 1° marzo arrivano quelli che stanno facendo un casino a Bari. Dovrete restare chiusi nelle celle tutto il giorno, avrete diritto solo a due ore d'aria e non esisterà più la mensa... mangerete rinchiusi nelle vostre gabbie».

I giornalisti non aspettano il 1° marzo a Ponte Galeria: i riflettori sono spenti perché qui non c'è facebook e nemmeno la CGIL. Ma i reclusi della sezione maschile decidono comunque di organizzare la propria giornata di lotta.

28 febbraio 2010, ore 22.00
Croce rossa e Auxilium s'incontrano per il passaggio delle consegne e la polizia è il contorno immancabile a questo importante avvenimento. Sono tutti troppo impegnati a stringersi le mani (se le saranno lavate? il più pulito c'ha la rogna), troppo concentrati su questo grande affare...
Dalla parte opposta, nell'ala inaugurata pochi mesi fa, si carica un bel respiro, si prende la rincorsa... e parte la fuga.
Solo un ragazzo riesce a raggiungere il muro di cinta e a tentare il salto verso la libertà. Ma viene inseguito, pestato brutalmente e rispedito subito in cella come «un esempio per tutti gli altri reclusi».
La rabbia esplode, non c'è altro da fare: «Ponte Galeria sta bruciando! Tutto va a fuoco, materassi e coperte, tutto va a fuoco!».
Per due ore le fiamme si propagano nel lager, ma la polizia costringe tutti a tornare nelle celle, pestando chi si oppone.
Solo intorno alle 02.00 di notte la strategia cambia: tutti in fila per un'altra "terapia" forzata.




2 marzo 2010 - Proprio mentre fuori si svolgevano le
mobilitazioni contro il razzismo e lo sfruttamento del lavoro migrante,
nel
Cie di Ponte Galeria si insediavano i nuovi gestori e scoppiava la
rivolta.
Subito dopo, il 3 marzo, i reclusi del Cie di Milano hanno iniziato uno
sciopero della fame che si è esteso immediatamente ai Cie di Torino,
Bologna, Gradisca e Roma.

Un compagno del comitato antirazzista milanese racconta il presidio che si
è svolto oggi pomeriggio davanti al Cie di via Corelli a Milano, per
sostenere i reclusi e le recluse in sciopero della fame, facendo arrivare
dentro delle bevande che non siano "dopate", a differenza di quelle
somministrate dai gestori del centro.

3 marzo 2010 - Comincia lo sciopero della fame nel Cie di via Corelli

4 marzo 2010 - I reclusi e le recluse del Cie di via Corelli a Milano continuano con grande determinazione lo sciopero della fame iniziato ieri, contro il prolungamento della detenzione fino a sei mesi, contro le terribili condizioni di vita nel Cie e in solidarieta' con i redattori di Macerie arrestati a Torino solo perche' dicono la verita'.
Sono in continua comunicazione con gli altri Cie e questo li rende ancora piu' forti.Sono in continua comunicazione con gli altri Cie e questo li rende ancora piu' forti.

Nella giornata un gruppo di solidali ha portato loro dei succhi di frutta e altre bevande.



4 marzo 2010 - Oggi è iniziato lo sciopero della fame anche a Torino, dove ha aderito tutta la sezione gialla.

A Roma continua lo sciopero della sezione A, come a Bologna e a Gradisca.

A Bari i reclusi si sono riuniti in assemblea per decidere cosa fare...





6 marzo 2010 - A Corelli, dopo giorni di sciopero della fame i detenuti e le detenute cominciano ad essere debilitati ed indeboliti. Ad alcune ragazze del reparto trans sono state fatte flebo di liquidi; una è stata portata in ospedale. I detenuti hanno fatto la richiesta per esser pesati e controllati costantemente da personale medico, come è prassi durante ogni sciopero della fame, ma questo, nel centro di Corelli, non avviene. Tuttavia, nonostante le difficoltà, i reclusi continuano con determinazione, supportati anche dalla solidarietà degli antirazzisti che continuamente portano acqua e succhi al centro e mantengono ininterrottamente i contatti. Anche a Roma una ventina di reclusi continua lo sciopero. I gestori portano il cibo e loro lo rimandano indietro. Alcuni che avevano iniziato autonomamente lo sciopero qualche giorno prima degli altri oramai sono 10 giorni che non mangiano e sono molto provati. A differenza che a Milano i reclusi sembra che siano pesati e monitorati regolarmente ma la nuova cooperativa subentrata alla Croce Rossa nella gestione del centro non permette che i solidali portino i succhi e le bevande dall’esterno. Ciascun recluso ha in dotazione solo un litro d’acqua al giorno diviso in due bottigliette da mezzo litro, una la mattina ed una la sera. E solo con questo portano avanti la loro lotta. A Torino intanto e lo sciopero continua a staffetta. Bologna invece è un caso a parte. Dopo due giorni che non si avevano più notizie da dentro i reclusi hanno risposto alle chiamate dei solidali. Lo sciopero si è interrotto dopo il primo giorno, tranne che per un recluso che continua il suo sciopero della fame in solitaria e per motivi personali. Il motivo di questa difficoltà è presto detto: in questo cie infatti sembra sia una prassi quella di drogare con tranquillanti il cibo dei reclusi, al punto tale che ogni volta che li si chiama rispondono del tutto intontiti ed addormentati, quale che sia l’ora del giorno in cui li si senta.


Di seguito riportiamo alcune dichiarazioni raccolte dalle sezioni trans del cie di Corelli.

“Siamo in 20 persone che stiamo facendo lo sciopero della fame. In ogni stanza siamo in 4 persone. I muri son pieni di muffa le lenzuola vengono cambiate una volta alla settimana mentre le coperte non vengono mai cambiato. Ogni 15 giorni ci danno un bagnoschiuma. Alla sera dobbiamo pulire noi la stanza con la scopa e il secchio. Le finestre sono senza tende così la mattina presto entra la luce. Noi siamo obbligate a mettere le coperte sulla finestra per dormire. Il bagno è uno schifo. E’ molto sporco. Gli scarichi son tutti intasati, dobbiamo fare per forza i nostri bisogni in piedi. Alle 8 e mezza di mattina ci portano un bicchiere di latte e una brioche. Non possiamo bere le cose calde se non con la macchinetta a pagamento. Il cibo è molto scadente, ci portano spesso il tacchino. Noi che abbiamo il silicone non possiamo mangiare il tacchino. Per questo a molte di noi sono venute infiammazioni alle protesi ai fianchi al seno nei glutei. Quando andiamo alla croce rossa per i nostri problemi di salute ci danno dei tranquillanti per togliere il dolore, ma queste gocce ci fanno addormentare. Quando abbiamo troppo dolore ci danno la tachipirina.”

“Io mi chiamo […] sono qua da una settimana. Ho subito iniziato lo sciopero della fame perché non possiamo stare qua 6 mesi. Inoltre sono sieropositiva, avevo da fare gli esami del sangue per valutare quali medicamenti prendere invece son stata portata qui e mi hanno fatto saltare la visita. Ho avuto tre giorni la febbre molto alta. Stavo così male che mi hanno portato in ospedale al policlinico per un blocco intestinale. Dopo di che mi hanno riportato in Corelli sempre senza le medicine per l’hiv. Io sono in Italia da nove anni, mi sono ammalata in Italia e non posso stare qua dentro. Abbiamo bisogno di mantenerci e di mantenere la nostra famiglia al paese. Noi vogliamo la nostra libertà perché non abbiamo fatto nulla e ci obbligano a stare qua dentro senza potere fare nulla. C’è una psicologa che viene dentro una volta alla settimana, ma tanto alla fine ci danno sempre 30 gocce di Valium o per dormire e via…poi diventiamo tutte dipendenti”

“Io ho avuto un incidente molto grave fuori da qua. Ero ancora in cura con la fisioterapia e invece mi hanno presa e portata al cie. Mi ero fratturata la scapola sinistra il femore e il ginocchio. Qui spesso la ferita alla gamba mi si infiamma. Vado in infermeria, mi danno una crema idratante e basta. Molte di noi sono state prese a Pisa, chi ci viene a trovare ha diritto a 7 minuti di colloquio dopo 5 ore di viaggio… È pieno ovunque di scarafaggi e vermi nei water e nella doccia. La polizia ci maltratta, ci trattano come cani, ci insultano dicendo che siamo tutti gay, fanno battute sessiste nei nostri confronti. Quando diciamo cose che non gli vanno bene ci danno schiaffoni in faccia, per qualunque cosa ci aggrediscono e ci trattano come se non fossimo come esseri umani, con totale disprezzo. Sappiamo che una trans a Natale s’è suicidata qua dentro… c’è una ragazza dentro da quattro mesi che ha visto quello che è successo quando la ragazza si è suicidata e ora è del tutto fuori di testa, perché una persona normale non può sopravvivere qua dentro e molti vedono come unica uscita la morte… Ci sono persone con casi psichiatrici e dobbiamo vivere tutti assieme in una situazione di conflitto, con diverse patologie tutti assieme e qua entro siamo costretti a convivere con malattie diverse, neppure in carcere è così.”

Ed una testimonianza dal reparto donne:

“Mi chiamo [...]vi racconterò la mia storia. Sono arrivata in Italia come turista perché mi piaceva molto questo paese. L’ultima volta mi ha fermato la polizia, mi hanno chiesto il permesso di soggiorno. Io avevo solo il visto come turista ma mi hanno portato in questura dove son stata 3 giorni e poi in Corelli. Mi hanno presa il 26 gennaio e avevo in tasca il biglietto dell’aereo per tornare in Brasile il 16 febbraio…beh son ancora qui. Ora dovrò uscire da questo paese come una criminale, scortata dai poliziotti. Non immaginavo che in Italia potesse esistere un posto come questo. Mi sento inutile, sto molto male. Ci trattano come animali, e questo è solo l’inizio… dovremo fare sei mesi in questo inferno per poi uscire di qua con un’espulsione per dieci anni.

Chiediamo a tutti che ci ascoltino che anche se ci dicono clandestini siamo gente di buon cuore. Siamo venuti in cerca di una vita migliore. Stiamo facendo lo sciopero per fare capire alla gente che siamo esseri umani e abbiamo il diritto di vivere qua come tutti gli altri e che non ci possono togliere la libertà. Ci dovrebbero esser altri modi per ottenere questo pezzo di carta senza passare da questo inferno. È veramente una legge ingiusta, non so chi l’ha inventata e non vogliamo rispettarla. Per noi l’unica opzione che abbiamo è lottare.”


Dal gruppo Cronache dai Cie


5 marzo 2010 - Anche nel Cie di Ponte Galeria, a Roma, i reclusi sono in sciopero della
fame da tre giorni. Un compagno ci aggiorna su come procede la protesta
dentro e sulle iniziative di solidarietà all'esterno. Anche nella capitale
gli antirazzisti e le antirazziste si stanno attivando per far arrivare
delle bevande ai reclusi. Inoltre invitano tutti e tutte a partecipare al
presidio che si svolgerà davanti al Cie di Ponte Galeria sabato 13 marzo,
a
partire dalle 11.00 del mattino, con i microfoni aperti per chiunque
voglia
contribuire a far sentire la propria solidarietà all'interno e a
scavalcare
quelle mura.

da Silenzioassordante - Radio Onda Rossa

Da stamattina i reclusi e le recluse del Cie di via Corelli a Milano sono in sciopero della fame per protestare contro il prolungamento della reclusione fino a sei mesi.


Non c'e' piu' speranza: fine dello sciopero della fame a Ponte Galeria

Mar 8, 2010 fine dello sciopero della fame a Ponte Galeria
Fonte: Radio Onda Rossa
Sono giorni difficili a Ponte Galeria, i reclusi che stavano facendo lo sciopero della fame a un certo punto non ce l'hanno fatta più e hanno smesso: "Solo in due o tre stanno continuando, ma per problemi personali. Noi altri abbiamo smesso perchè la gente, ormai, ha cominciato a mollare. Non c'e' piu' speranza".
"I motivi della protesta sono tanti: sia per la vita qui dentro, sia per il tempo che dobbiamo passare: sei mesi sono troppi". E poi il cibo "e' una schifezza, non si puo' mangiare: io per esempio in due mesi ho perso otto chili e adesso ho paura di andare alla bilancia".
La vita dentro quel lager e' una tortura continua: una tortura mentale, una tortura psicologica.
Con l'arrivo dei nuovi gestori non e' cambiato nulla: e' cambiata la gente - dalla Croce rossa ad Auxilium - ma la regola e' sempre quella, anzi forse qualcosa e' peggio. Il cibo e' sempre scaduto e privo di vitamine, mentre il riscaldamento continua a essere fuori uso.
La nuova cooperativa ha assunto anche degli immigrati per lavorare nel centro: bengalesi, africani... ci sono anche un giordano, un siriano e una ragazza marocchina. Erano disoccupati e ora hanno un lavoro, percio' sono felici e non si pongono troppe domande. Del resto, se non avessero questa "opportunita'", anche loro domani potrebbero ritrovarsi rinchiusi in un Cie.
Un altro recluso, che ha deciso di continuare a oltranza lo sciopero della fame, spiega come si sopravvive con due sole bottigliette d'acqua da mezzo litro al giorno. Si tratta di un uomo che vive in Italia da quattro anni e fuori c'e' la sua famiglia che lo aspetta. Accanto a lui c'e' un altro recluso, di circa vent'anni, che dopo dieci giorni senza mangiare ormai sembra "un morto che cammina". Del resto il cibo procura un effetto strano nel Cie: dopo aver mangiato viene subito voglia di mettersi a letto a dormire. Ovviamente, anche durante lo sciopero della fame, continua la somministrazione di psicofarmaci ai reclusi.
E poi questa legge e' ingiusta ripetono tutti non e' possibile che una persona che esce dal carcere venga riportata nel Cie, che e' "peggio di un carcere". Ti buttano qua "come un animale".
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