L'omicidio di Sanaa Dafani
Un delitto d'onore e altri delitti
Laura Balbo

Ci sono oggi due notizie pesantissime che ci riguardano come persone che vivono in una società-in-cambiamento (così preferisco dire: si dice anche società multietnica, multiculturale, multireligiosa). Ma premetto questo: ce ne sono appunto due che mi hanno profondamente colpita, ma soltanto una è al centro dell’attenzione.

La prima, resa molto visibile dai quotidiani e dalla televisione, è la tragica morte  della giovane marocchina Sanaa Dafani, uccisa dal padre il quale non accettava che avesse un rapporto con un italiano ( dunque non di religione e tradizione islamica). E si ricorda anche che tre anni fa -in circostanze simili- un fatto di violenza e di intolleranza (familiare, va aggiunto)  ha posto fine alla vita di un’altra giovane, Hina Saleem.
Padri che non accettano giovani donne che “scelgono”. Poter decidere della propria vita è un valore che difendiamo, è un dato di possibilità e di libertà. Questo in molti, moltissimi – donne e uomini - vogliamo affermare. Inaccettabile, inconcepibile, suona una notizia in cui un padre ritenga di imporre  il suo potere e la sua violenza sulla figlia. Comportamenti e dati  culturali che -ricordiamolo- per secoli e millenni hanno segnato anche la nostra storia, accettati e praticati in forme molto simili: ragazze non libere di decidere, ma costrette alla vita in convento; donne date a mariti che non avevano conosciuto e tantomeno scelto; le vite di quelle non maritate che restavano in famiglia senza aver voce, sottomesse, private di una esistenza vera. Di  questo dobbiamo ricordarci: rende più forte, e insieme consapevole della complessità del tutto, il nostro impegno di solidarietà e  l’urgenza di realizzare  cambiamenti (appunto, per una società “multi”: etnica, razziale, religiosa).
Ma dovremmo anche essere consapevoli che non è facile. Lo sappiamo da vicende in altri paesi europei. Indignazione e dolore, certo. Ma come affrontare sia le  misure da prendere, sia il meccanismo delle informazioni che ci vengono date, anche questo è un punto cruciale.
Arrivo allora all’altra notizia di una morte inaccettabile: a tredici anni, si è impiccato. Ho trovato, direi per caso, poche righe in una colonna laterale (la  pagina, su repubblica, è  dedicata alla “nuova influenza”; niente sul Corriere della Sera e nemmeno nei notiziari televisivi).
Trascrivo: “ha provato ancora una volta a fare quei compiti di matematica per le vacanze che aveva trascurato perché gli erano ostici”. “… un ragazzino cinese di tredici anni, cittadino italiano a tutti gi effetti…pare non avesse accettato la bocciatura .. e, al secondo giorno di scuola, ha avuto paura di affrontare il nuovo anno di studi”.  Si è suicidato. Soffermiamoci su questa vicenda. Per riuscire a fare i compiti a casa, e soprattutto quelli delle vacanze bisogna che qualcuno in famiglia riesca a stargli vicino, ad aiutarli, i bambini e i ragazzi. E’ una questione che, facendo in particolare riferimento alle situazione di famiglie di “immigrati”, dovrebbe metterci davanti agli occhi i pesanti, indiretti, invisibili meccanismi della selezione scolastica. Genitori che non sottraggono tempo al lavoro, che magari non parlano italiano o non hanno frequentato la scuola (certamente non la nostra, dunque programmi e metodi da loro ignorati). Su questi processi sarebbe facile raccogliere informazioni e dati, ma non ci sono per ora ricerche. E  certo non se ne parla nei media.
Sono  televisione e quotidiani che forniscono idee,  chiavi interpretative del reale,  stereotipi. Questione fondamentale che nella giornata di cui parlo è diventata esemplare. Alla notizia dell’omicidio messo in atto dal padre marocchino si aggiunge, in apertura del TG2, quella dell’aggressione di una donna rom a un anziano.

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