La velleità e la realtà

Luigi Manconi
l'Unità 20 febbraio 2011
Sarà pure logora l’immagine del cucchiaino che pretende di svuotare il mare, ma stavolta – davanti a quel Mediterraneo brulicante di fuggiaschi e alle goffe parole dei nostri governanti – può risultare pertinente: e, tuttavia, inadeguata a dare l’esatta misura della sproporzione tra l’enormità dei fatti e la gracilità delle risposte.

Risposte di breve, brevissimo respiro se è vero, come è vero, che anche la parola d’ordine  orgogliosamente rivendicata dell’azzeramento degli sbarchi si è rivelata un messaggio vaniloquente. Ne è uscita ridicolizzata, ad appena pochi mesi dal suo proclamato successo, la velleitaria “strategia del Mediterraneo” del Governo italiano. Come stupirsene? La politica dei respingimenti e del pattugliamento delle due sponde del Mediterraneo era destinata inevitabilmente - per ragioni demografiche, economiche e sociali – al fallimento: ma Silvio Berlusconi, Roberto Maroni e Franco Frattini hanno provato a farci credere il contrario. O forse (il che, per certi versi, è persino più inquietante) erano proprio loro i primi a crederci davvero. Viene da domandarsi: ma che giornali e libri leggono e a quali paper e dossier ricorrono, questi nostri statisti? Ignorando pervicacemente i dati di realtà e gli effetti dei processi di globalizzazione, hanno affidato l’intera politica per l’immigrazione a due pilastri, la cui fragilità non ha tardato a rivelarsi: a) la chiusura delle frontiere dell’Italia meridionale e insulare; b) la sudditanza del governo nei confronti dei regimi dispotici dell’Africa settentrionale. Esemplare come sempre, tra inconsapevole umorismo nero e sgangherata politica estera, Berlusconi che, mentre la Libia insorge, dice di “non voler disturbare Mohamed Gheddafi”. Di quei due pilastri della politica per l’immigrazione, il primo ha ceduto immediatamente: il blocco degli sbarchi a Lampedusa ha prodotto l’incremento degli arrivi via mare in Sardegna, in Calabria e in Puglia e, attraverso itinerari più lunghi e pericolosi, in altre regioni. Questi flussi hanno una relazione diretta con i movimenti interni ai paesi di provenienza e si contraggono o si espandono in rapporto alle dinamiche dei blocchi di potere lì dominanti. La crisi che ha scosso e continua  a scuotere paesi come la Tunisia, l’Algeria, l’Egitto, la Libia e altri ancora, ha effetti contraddittori: nel breve periodo, produce fughe collettive ma anche nuove ragioni per restare e costruire lì un futuro diverso. Nel medio e lungo periodo, determinerà grandi movimenti migratori: sia perché l’irrisolta crisi economica mondiale non offre adeguate soluzioni locali, sia perché le nuove generazioni non possono trovare in quei paesi risorse adeguate alle proprie crescenti aspettative. I nuovi migranti saranno giovani e giovanissimi, provenienti da controverse esperienze di democrazia, con livelli medio-alti di istruzione ed elevate competenze tecnico-scientifiche, dotati di strumenti di informazione e comunicazione e titolari di una identità storico culturale, disposta alla negoziazione ma non alla rinuncia. La sfida che ci aspetta è, dunque, assai difficile. Meglio esserne consapevoli che affidarsi alle motovedette della Marina italiana.

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