Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

I nuovi oriundi


Mauro Valeri
In genere la stampa sportiva (e non solo) fa una certa confusione nell’utilizzare il termine oriundo, tanto che a volte finisce per comprendere addirittura tutti coloro che, dopo essere stati cittadini di un altro paese, hanno acquisito la cittadinanza italiana. Insomma i cosiddetti naturalizzati. Stando ad una definizione così ampia, sarebbero oriundi i discendenti degli emigrati italiani, così come i figli degli immigrati divenuti italiani o chi acquisisce la cittadinanza dopo un matrimonio con un/a cittadino/a italiano/a. In realtà, in senso più stretto, per oriundo bisognerebbe intendere solo chi è nato all’estero da genitori (o con nonni) italiani e residenti all’estero. L’ambito dove il termine oriundo è stato maggiormente utilizzato è sicuramente quello dello sport. Ci sono oriundi nel rugby, nell’hockey su ghiaccio, nel baseball, nel cricket ed anche nel calcio. Ma a differenza delle altre discipline (ancora oggi considerate “straniere”), è proprio nel calcio – cioè lo sport nazionale - che il dibattito sugli oriundi è sempre stato più acceso. E c’è un motivo storico. Infatti, tutto nasce nella seconda metà degli anni Venti, quando il fascismo, con la cosiddetta Carta di Viareggio (1926), fa del calcio un ambito al servizio del regime. A tale scopo, la Carta prevedeva, tra l’altro, che nel campionato potessero giocare solo giocatori italiani. Tuttavia, nella consapevolezza che le squadre di campionato, così come la Nazionale, erano tutt’altro che competitive, venne deciso di aprire le frontiere agli oriundi, che all’epoca erano definiti “rimpatriati” (proprio a ribadire il precedente legame con l’Italia). Infatti, in base alla legge sulla cittadinanza allora in vigore (quella del 1912), era considerato cittadino italiano chiunque avesse “sangue italiano”, cioè fosse figlio o nipote di italiani, anche se nato all’estero. Questa concezione rimandava anche alla convinzione che gli italiani appartenessero alla “razza latina”, che comprendeva anche i discendenti degli emigranti italiani, nati in terre lontane. Nel giro di pochi anni arrivarono centinaia di calciatori - alcuni campioni, altri bidoni – provenienti soprattutto da quei paesi che non solo erano stati mete dell’emigrazione italiana, ma che si erano affermati in campo calcistico, come l’Argentina, l’Uruguay, il Brasile. Gli oriundi furono anche all’origine di un caso politico, quando vennero schierati nella Nazionale italiana calciatori che erano sì discendenti di italiani, ma erano cresciuti in squadre sudamericane e spesso avevano già indossato la maglia della Nazionale argentina o uruguaiana. Proprio l’Argentina accusò l’Italia di volergli rubare campioni, dato che da noi c’era il professionismo e in Sudamerica no (una sorta di foot drain, cioè di fuga dei “piedi buoni”). Il fascismo rispose alle critiche ribadendo che quei calciatori erano italiani a tutti gli effetti. E di fatto, è anche grazie a loro che l’Italia vinse la sua prima Coppa Rimet nel 1934. Poi accadde che, al momento della dichiarazione di guerra all’Etiopia, alcuni oriundi, tra cui l’ottimo Orsi e Guaita, decisero che era meglio rientrare in Argentina. Una fuga politica, che convinse il fascismo a considerare gli oriundi dei potenziali traditori e a limitarne significativamente gli arrivi. Curiosamente, il ripensamento sugli oriundi coincise anche con la messa in discussione della nostra appartenenza alla “razza latina”, a favore invece di una “razza ariana”, che si basava su presupposti falsi e ridicoli, ma capaci di far da sfondo alla tragedia delle leggi razziali.
C’è poi stato un secondo periodo d’oro degli oriundi nel calcio (e in Nazionale), negli anni Cinquanta e Sessanta, originato sempre dallo stesso motivo: migliorare il calcio italiano. Abbandonati i riferimenti alla “razza ariana”, ci si affidava ad un richiamo più nostalgico al legame che bisognava mantenere con i “figli e i nipoti dei nostri emigrati”. Anche in questa occasione, si trattava di giocatori provenienti dal sud America, che avevano giocato in precedenza con un’altra Nazionale, come l’italo-uruguaiano Schiaffino, l’italo-argentino Sivori o l’italo-brasiliano Altafini. Italiani col trattino. Fatto che sollevò nuovamente qualche polemica, smorzata però, dai positivi contributi che gli oriundi diedero, ancora una volta, al calcio italiano. Questo secondo periodo si è chiuso, per motivi demografici e sportivi, con l’ultima partita giocata in Nazionale dall’oriundo Angelo Sormani il 13 ottobre 1963. Con il passare del tempo e l’allontanarsi degli anni in cui gli italiani erano stati costretti ad emigrare, il fenomeno degli oriundi sembrava ormai in declino. Lo scandalo dei falsi passaporti (cioè di calciatori stranieri con false ascendenze italiane), esploso all’inizio del 2000, sembrava avergli dato il colpo di grazia. Ed invece non è stato così, anche perché la riforma della legge sulla cittadinanza del 1992, confermava il principio prevalente dello jus sanguinis. Così, il 12 febbraio 2003, dopo quasi 40 anni, un nuovo oriundo tornava in Nazionale: Mauro German Camoranesi, nato nel 1976 in Argentina, per la precisione a Tandil, paese di 110.000 abitanti, dove quasi un residente su quattro può vantare origini italiane. A emigrare in Argentina era stato il nonno di Mauro, originario delle Marche. Il suo esordio in maglia azzurra è avvenuto dopo appena tre anni dal suo arrivo in Italia ed è stato segnato da qualche polemica (ancora rintracciabile su internet), incentrata sulla sua scarsa “italianità”, sebbene lui non avesse mai indossato la maglia dell’Argentina. In realtà, è un esordio che, forse casualmente, ha coinciso con un ritorno del dibattito politico sugli oriundi. Poche settimane prima dell’esordio di Camoranesi, infatti, la Regione Veneto approvava una legge nella quale prevedeva interventi a favore dei “discendenti di terza generazione” dei veneti nel mondo. Analogamente, prendeva il via un dibattito sull’elezione nel Parlamento italiano di rappresentanti italiani residenti all’estero, che darà vita ad una “nuova governance cosmopolita”, ad una “rappresentanza delle diaspore italiane”, che però fa ancora molta fatica ad esprimere le sue reali potenzialità. Inoltre, con una modifica normativa entrata in vigore nell’ottobre 2004, l’Italia accettava la possibilità che un cittadino italiano avesse la doppia cittadinanza. Tutto ciò ha avuto notevoli ripercussione anche nel calcio, dove ci sono stati diversi tentativi, più o meno onesti, di schierare formazioni composte quasi completamente da oriundi (come il Venezia nel 2004/05, o il Fiorenzuola allenato dal “mitico” Mario Kempes, esperienza da cui è stato tratto il film “Sogni di cuoio”). Meno evidenti invece le ripercussioni nella Nazionale maggiore, anche per via delle regole calcistiche che impongono limiti a giocare per più rappresentative nazionali. Comunque, Camoranesi, a conferma del ruolo positivo svolto dagli oriundi, è stato tra gli artefici della vittoria della Nazionale italiana del Mondiale 2006 ed è oggi, con 50 presenze, l’oriundo ad aver indossato più volte la maglia azzurra, in una classifica composta da trentasei calciatori, per lo più nati in Argentina. Per chi credeva che l’esordio di Camoranesi restasse un caso a sé, ha dovuto ricredersi, proprio per le trasformazioni politiche a cui abbiamo fatto prima cenno, e che sembrano favorire l’avvio di un terzo periodo di inserimento degli oriundi in Nazionale. Qualcosa sta di sicuro avvenendo nelle Nazionali giovanili. Il 16 novembre 2007, con la maglia della Nazionale Under 21, ha infatti esordito Pablo Daniel Osvaldo, nato a Buenos Aires nel 1986, cresciuto calcisticamente in Argentina, arrivato in Italia nel gennaio 2006. Quando è stato convocato in Nazionale, qualcuno ha nuovamente storto il naso, poiché lo considerava un “argentino purosangue”. Osvaldo ha comunque fatto parte anche della Nazionale Olimpica scesa in campo a Pechino. Ora, l’allenatore della Nazionale Under 21 ha convocato, per la prossima gara, un altro oriundo: Matias Ezequiel Schelotto, noto anche con il soprannome di el galgo, il levriero, per via del suo modo di correre, in cui unisce eleganza e forza. Anche Schelotto è nato in Argentina, a Buenos Aires, nel 1989, ed è diventato italiano a gennaio di quest’anno per via del nonno nato a Cogoleto, Genova, ed emigrato in Sud America. A questi oriundi potremmo aggiungere anche altri calciatori nati all’estero, dal almeno un genitore italiano, ma giunti in Italia nei primi anni di vita, come Dellafiore, nato in Argentina, o Santacroce, nato in Brasile: il primo ha già giocato nelle Nazionali Under 16, Under 20, Under 21 e nella Nazionale Olimpica di Pechino; il secondo nella Nazionale Under 21. In questo caso però si tratterebbe di calciatori di “formazione calcistica italiana”. Di certo è che nelle Nazionali giovanili (Under 17, Under 19 e Under 20) ha già esordito un altro oriundo italo-argentino: Fernando Martin Forestieri, nato a Rosario nel 1990, da genitori originari della Sicilia. Se è assai probabile che il trentasettesimo oriundo che indosserà la maglia della Nazionale maggiore sarà un ragazzo nato in Argentina, resta da chiedersi se il calcio possa rappresentare uno specchio di ciò che è stato il passato ed è il presente di un paese come l’Italia, e possa facilitare un dibattito dove l’a cosiddetta “italianità” sia declinata in senso cosmopolita.

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