Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Qualcuno si fermi (e dia un aiuto) al binario 15 Ostiense

Italia-razzismo    Osservatorio
Luigi Manconi, Valentina Calderone, Valentina Brinis

Dalla Campania all’Emilia-Romagna (per la precisione: da Salerno a Imola), all’incirca seicento chilometri, aggrappato alla motrice di un camion. Non è una sfida da Guinness dei primati, ma il viaggio fatto da un ragazzo afghano la settimana scorsa. Una storia che, nonostante somigli a quella di molti altri, riesce comunque a stupire e a commuovere.

E fa riflettere per via dell’alto rischio a cui un individuo è disposto a sottoporsi pur di fuggire. Una fuga in cui la meta non sempre è definita - e di solito, nell’immaginario e nelle aspettative del fuggiasco, non è l’Italia - a differenza della motivazione che la provoca, che è inequivocabile: la paura di essere rimandato nel Paese di origine perché lì la propria stessa vita è in pericolo. Questo rende quel viaggio appeso a un camion l’ultimo tratto di un lungo percorso, che risulta comunque preferibile alla sorte da cui si fugge. Viaggi estenuanti e interminabili che prevedono alcune soste in posti cruciali. Uno tra questi, almeno per gli afghani, è la stazione Ostiense a Roma. Qui, con il sostegno di Medici per i Diritti Umani e di altre associazioni, da sei mesi le persone sono ospitate nelle tende nella parte finale della banchina del binario 15 e non dormono più in quella che veniva chiamata la “buca” (lo scavo delle fondamenta di un edificio vicino). Ciò non è bastato a rendere la situazione meno degradata e degradante, sotto tutti i punti di vista. E, nonostante sia le istituzioni che la popolazione ne siano al corrente, nonostante si tratti di una situazione tutt’altro che “clandestina”, nulla finora è stato fatto. Cosa aspettano, dunque, le istituzioni ad affiancarsi ai cittadini e alle associazioni che già se ne occupano, e non da oggi?
l'Unità, 11-10-2011

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