Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

13 settembre 2012

Nuove mafie.140 mila persone usate come merce
Lampedusa, gli scafisti lasciano in mare i migranti
il Fatto, 13-09-2012
M. Luisa Mastrogiovanni
Continuano a sbarcare quasi ogni giorno sulle coste della Puglia, della Calabria ionica e della Sicilia orientale. Ma non utilizzano più le vecchie carrette del mare usate dagli albanesi. Nessuna Vlora ha più toccato in due decenni le coste italiane. In vent’anni il fenomeno dell’immigrazione clandestina (trafficking e smuggling, cioè traffico di uomini con scopo di sfruttamento sessuale e lavorativo e “contrabbando” di persone) è mutato, in parallelo con i cambiamenti politici dei Paesi africani, Mediorientali e asiatici, con le leggi sull’immigrazione sempre più restrittive, con le tecnologie di comunicazione sempre più globali, con l’aumento della domanda del mercato europeo di manodopera a basso costo, sia per sesso che per lavoro.
SI STIMA CHE SIANO 55mila i migranti che ogni anno entrano illegalmente in Europa, vittime di smuggling, il “contrabbando di persone, generando un volume d’affari di 150 milioni di dollari. E che il traffico di uomini per lo sfruttamento sessuale o lavorativo, trafficking in human beings, generi un volume annuale d’affari pari a tre miliardi di dollari, trasformando in merce 140mila persone. Il secondo business più lucroso al mondo dopo quello della droga. Per i nuovi trafficanti d’uomini, anche la parola “mafia” è superata.
“Il quadro sta cambiando molto rapidamente – dice Rob Wainwright, direttore dell’Europol, con sede a L’Aia – in passato c’erano le grandi organizzazioni mafiose dall’Italia, dalla Colombia, dalla Turchia che lavoravano solo all’interno delle loro comunità. Oggi invece assistiamo allo sviluppo di un modello di business più dinamico: gruppi criminali più piccoli, più flessibili, più efficienti che operano fra loro in un’atmosfera molto più collaborativa. Non si fanno la guerra, ma creano reti in collegamento con diversi paesi europei, africani e mediorientali”.
ALLA STESSA CONCLUSIONE sono arrivate le indagini del Dipartimento antitrafficking della Polizia greca, diretto da Georgios Vanikiotis: “Si tratta di organizzazioni moderne, di recente costituzione, composte da diversi “nuclei”, sul modello delle organizzazioni terroristiche. Usano gli stessi metodi: non si conoscono l’un l’altro e i membri di rango basso non sanno neanche per chi lavorano”.
“Questo rende il lavoro della polizia ancora più impegnativo – dice Wainwright – e riflette un cambiamento nella società in generale, che ha aperto opportunità di business per le nuove mafie, che rispondono in maniera dinamica alle domande del mercato”. Le nuove mafie agiscono come vere e proprie agenzie di servizi: specializzandosi in differenti “segmenti” e trafficando indifferentemente uomini, armi, droga. “Addirittura – sottolinea Wainwright – per il traffico di uomini, sono previste tariffe differenziate a seconda del tragitto usato e dei mezzi di trasporto. Chi ha 25mi-la dollari da spendere, in anticipo, può riuscire ad arrivare clandestino in Europa su voli charter o di linea, con imbarco ad Istanbul”.
I DISPERATI che continuano ad arrivare sulle coste pugliesi, invece, hanno pagato fino a diecimila dollari. Afghani, pachi-stani, indiani, iraniani, iracheni, turchi, somali, ghanesi, eritrei, tunisini, marocchini, perfino cinesi e georgiani, convergono su un tratto del fiume Evros al confine tra Turchia e Grecia, e da lì raggiungono i principali porti turchi a piedi o in automobile. Da Bodrum, Antalya, Izmir, s’imbarcano su barche a vela, oppure su yacht o sui classici gommoni con due motori fuoribordo da 500 cavalli l’uno; fanno tappa a Patrasso o Lefkada per fare rifornimenti.
La tariffa più bassa prevede invece l’imbarco a Patrasso sui tir in partenza per l’Italia. È la vecchia rotta seguita negli anni Novanta dalla mafia turca di Aksaray per trasportare i curdi in Europa, riaperta dalle nuove mafie nel 2008, all’indomani degli accordi tra Italia e Libia, quando è diventato più arduo (ma non impossibile) sbarcare a Lampedusa.
Vanikiotis, del Dipartimento antitrafficking della Polizia greca, spiega il fenomeno: “Le leggi anti-immigrazione più restrittive, approvate in Italia, Malta e Spagna, hanno spinto un gran numero di persone a spostarsi dal-l’Africa occidentale verso l’Africa orientale e da lì ad arrivare in Europa attraverso la Turchia e la Grecia. Perfino dalla Nigeria, Somalia e Sudan, arrivano in Italia seguendo questa tratta”.
È LA “TEORIA DEI RUBINETTI” di Cataldo Motta, capo della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, che da vent’anni indaga sui fenomeni migratori: “Chiuso un rubinetto – afferma il magistrato riferendosi alla tratta libica – se ne riapre subito un altro. Le popolazioni in fuga dalla guerra e dalla povertà fanno un giro immensamente più lungo, pagando molti più soldi, riuscendo ad arrivare comunque in Italia, perché le mafie transnazionali riescono a organizzarsi velocemente tanto quanto i cambiamenti politici in atto, trovando subito nuovi percorsi”.
I diversi nuclei comunicano tra loro con cellulari satellitari; ed è seguendo le tracce dei gps, così come il flusso del denaro accreditato su alcuni conti delle agenzie di money transfer che la Procura di Lecce, coordinando le indagini sul territorio italiano e in diversi paesi europei, ha smantellato un “nucleo” che faceva base proprio ad Aksaray, Pietro Grasso, Procuratore nazionale antimafia, ha spiegato che “l’operazione è stata effettuata per la prima volta dalla sezione Antimafia, perché per la prima volta è stato contestato un reato di nuova competenza delle direzioni distrettuali antimafia, quello di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina previsto dal sesto comma dell’articolo 416 del codice penale”.



Italia-Malta: il ministro Terzi ha sottoscritto un memorandum di collaborazione per il controllo dei flussi migratori.
Visita ufficiale a La Valletta accompagnato dai tecnici del Viminale e della Guardia costiera.
Immigrazioneoggi, 13-09-2012
Un’intesa per rafforzare la collaborazione tra Italia e Malta nel contrasto dell’immigrazione clandestina. È questo il punto principale, tra le politiche euromediterranee, sottoscritto ieri dal ministro degli Esteri Giulio Terzi nella sua visita ufficiale a La Valletta.
Il titolare della Farnesina ha incontrato il collega Tonio Borg, il premier Lawrence Gonzi e il presidente George Abela. Terzi, accompagnato da una delegazione di alti funzionari dei ministeri dell’Interno, Difesa, Ambiente e Sviluppo economico, nonché della Guardia costiera, ha firmato un memorandum d’intesa proprio sui temi dell’immigrazione.
“La nostra priorità è salvare vite umane” ha dichiarato il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, in un intervento davanti alla Commissione Esteri del Parlamento maltese. “Dobbiamo cooperare e dividere equamente le responsabilità come abbiamo fatto finora”, ha aggiunto il titolare della Farnesina. “Se cooperiamo in mare e coordiniamo le nostre politiche in tutti i contesti, nell’Ue e fuori dall’Ue, sarà più facile chiedere aiuto a Bruxelles e alle principali organizzazioni internazionali”, ha sottolineato il ministro.
Con i rappresentanti dell’Isola, Terzi ha anche condotto un “focus” sulle politiche mediterranee per la riunione del dialogo 5+5 che si terrà a Malta il prossimo 5 ottobre e a cui parteciperà il premier Mario Monti.



Tunisia, i guardiacoste ignorarono i migranti
Alcuni mezzi navali tunisini avrebbero intercettato il natante poi affondato a Lampedusa quando ancora si trovava in acque territoriali della Tunisia. si sarebbero limitati a seguirlo senza intervenire, nonostante le evidenti difficoltà. E' quanto sostiene uno dei migranti ospitati nel centro di accoglienza di Lampedusa, intervistato da Radio Mosaique 1. Al governo di Tunisi risultano disperse 36 persone. Gli echi dalla Libia
la Repubblica, 12-09-2012
TUNISI - Alcuni guardacoste tunisini avrebbero intercettato il natante poi affondato a Lampedusa quando ancora si trovava in acque territoriali della Tunisia, limitandosi a seguirlo e non intervenendo, nonostante le sue evidenti difficoltà. E' quanto ha sostenuto uno dei tunisini attualmente ospitati nel centro di accoglienza di Lampedusa, Mohamed Mouldi Rezgui, intervistato da una emittente tunisina, Radio Mosaique 2. "Abbiamo preso il largo intorno alla mezzanotte - ha detto Rezgui - i guardacoste ci hanno seguito sino alla frontiera (cioè alla fine delle acque territoriali tunisine) senza aiutarci; hanno fatto delle sequenze video da bordo di un battello chiamato Alyssa. Poi ci hanno detto di fare attenzione, malgrado avessero visto i nostri problemi nel proseguiire la navigazione e con il carburante quasi finito".
Una ricostruzione incompleta. Sono trascorsi 6 giorni dal salvataggio di 56 migranti, recuperati dalla Capitaneria sull'isolotto di Lampione. Nonostante i dubbi sul racconto fornito dai migranti, le ricerche dei dispersi continuano, sebbne finora in mare siano stati trovati solo due corpi. La Guardia Costiera sta proseguendo nel pattugliamento di un vasto tratto di mare impiegando 5 motovedette, un aereo e un elicottero. A far dubitare che un naufragio sia avvenuto, oltre al mancato ritrovamento dell'imbarcazione, c'è anche il racconto fatto al telefono ai familiari in Tunisia di due delle 56 persone soccorse, ora ospiti del centro di accoglienza di Lampedusa.
Quei 36 che risultano dispersi. Ai parenti i due hanno dato un'altra versione che, a quanto pare, confermerebbero i sospetti degli inquirenti: e cioè che sarebbero stati scaricati dagli scafisti, poi fuggiti, vicino Lampione. Nel tratto di mare percorso a nuoto fino all'isolotto due tunisini - un ragazzo e una ragazza - sarebbero annegati. Agli investigatori, però i sopravvissuti continuano a parlare di naufragio: tanto che le autorità consolari tunisine, arrivate a Lampedusa per seguire la vicenda, avrebbero un elenco coi nomi di 36 connazionali che risultano "dispersi". Dopo la visita ieri di una delegazione diplomatica, guidata dall'ambasciatore in Italia, stamani altri due sottosegretari del governo di Tunisi, Khaled Ben Mbarak e Samir Ben Amir, hanno incontrato il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini. Il sindaco ha auspicato una maggiore collaborazione tra il governo tunisino e quello italiano, "per impedire il ripetersi di queste tragedie in mare".
La protesta dei familiari. I familiari di alcuni dei dispersi, cui si sono uniti altri giovani della città, hanno attaccato e incendiato ieri notte le caserme della polizia e della gendarmeria di El Fahs, a 61 chilometri a sud di Tunisi. Gli attacchi sono scattati quando è stata resa nota dal Ministero degli Esteri la lista ufficiale dei sopravvisuti al naufragio e che è stata ritenuta sbagliata. In particolare, a scatenare la rabbia dei congiunti dei dispersi sono state le differenze rilevate tra due liste nominative. All'attacco e all'incendio delle sedi di polizia e gendarmeria sono seguiti scontri in strada, nel corso dei quali le forze di sicurezza hanno effettuato un fitto lancio di granate lacrimogene per disperdere la folla, ma anche per impedire che altri uffici pubblici facessero la stessa fine delle due caserme. Secondo un primo bilancio, tredici persone, tutte di giovane età, sono state sottoposte a fermo.
Gli echi degli attacchi in Libia. Nel frattempo, gli echi degli attacchi mortali in Libia contro la sede diplomatica Usa, ha suscitato reazioni anche in Tunisia. Un centinaio di musulmani Salafiti si sono radunati di fronte l'ambasciata americana nella capitale, manifestando il proprio dissenso riguardo al film ritenuto blasfemo sulla vita di Maometto, prodotto negli Stati Uniti, che ha scatenato disordini in Egitto e in Libia. Lo riferisce un fotografo dell'Afp presente sul posto. La polizia ha circondato con veicoli blindati l'aerea diplomatica con l'obiettivo di tutelare il personale che si trovava nello stabile. L'Ambasciata degli Stati Uniti a Tunisi ha lanciato un appello ai suoi concittadini residenti in Tunisia affinché adottino tutte le precauzioni necessarie, visto il crescere della tensione anti-americana a causa del contestato film. Ai cittadini Usa l'ambasciata consiglia prudenza negli spostamenti e di evitare le zone dove potrebbero determinarsi grandi concentramenti di persone, anche quelle che dovrebbero essere pacifiche. Al momento, l'ambasciata e i suoi uffici consolari - fortemente presidiati dalle forze di sicurezza - sono operativi, ma non si può escludere che vengano decise modifiche alla loro apertura in caso di un deterioramento della situazione.  



Quella irresponsabile parodia del profeta
“L’innocenza degli islamici" la rozza parodia del Profeta che infiamma le piazze
Autori misteriosi e un budget da 5 milioni di dollari
la Repubblica, 13-09-2012
Adriano Sofri
Sesso, pedofilia e violenza in un cocktail triviale delle controversie anti-Islam
Un´opera ridicola con l´intento preciso di mancare di rispetto ai fedeli
CHE un film, anche il più grossolano, o un romanzo, o dei disegni satirici, possano scatenare furia di folle e linciaggio (e pretesti di guerre e guerre di pretesti) è solo un segno della durata strenua, e spesso della recrudescenza, dello stato ferino sopra il quale la civiltà è passata come una vernice trasparente. E la smisurata differenza fra i modi di sentire e di sfruttare l´esperienza religiosa non può essere ignorata.
Il cosiddetto reverendo Terry Jones, che si compiace periodicamente di farla grossa bruciando Corani in pubblico e si è precipitato ieri sulla nuova occasione, è un fanatico impostore, e ha una quantità di colleghi e concorrenti nella nostra parte di mondo. Ma nei giorni appena scorsi, quando si giocava il destino della bambina pachistana Rimsha, undicenne cristiana con la sindrome di Down, accusata calunniosamente di aver bruciato alcune pagine del Corano e incarcerata, non ci furono assalti alle ambasciate e nemmeno, salvo che mi siano sfuggiti, più misurate manifestazioni di sdegno di fronte a una simile infamia. Le differenze ci sono, e fanno sì che non si possa cavarsela una volta per tutte, in nome della libertà d´espressione da una parte, o del rispetto per i sentimenti altrui dall´altra.
La reazione che ha improvvisamente incendiato, in un 11 settembre, il Cairo e Bengasi, e contagerà altri paesi, è opera di farabutti professionali e di folle fanatizzate, e nessun pretesto basta a giustificarle. C´è però un cartello all´ingresso del pianeta di oggi, che avvisa del pericolo d´incendio, e avverte di non giocare con le scintille. Dunque guardiamo il film, anzi il trailer del film, che ha fatto da scintilla questa volta. Ha covato a lungo, del resto, poco guardato in un paio di siti YouTube, pochissimo in un cinema di Hollywood. Poi i piromani l´hanno scoperto.
Ad aprire il trailer (quasi 14 minuti sulle due ore del film intero) si ha subito l’impressione di aver sbagliato il filmato, e che qui si tratti di una parodia abborracciata. Invece è proprio lui, costato 5 milioni di dollari e tre mesi di riprese, dice l´autore: soldi e mesi buttati, quanto alla fattura tecnica. Titolo: "L´innocenza dei musulmani", che vuol dire il contrario. Il proposito è di rivelare «la vera vita di Muhammad». Si apre con l´aggressione di un manipolo di islamisti fanatici a una farmacia gestita da cristiani copti, che assassinano una giovane donna e devastano il locale. La polizia egiziana, arrivata in assetto di guerra su una jeep, non interviene: non fino a che avranno completato l´opera, ordina il loro capo. Un vegliardo musulmano ordina a sua volta ai suoi giovani scherani di dare fuoco a tutto ciò che è cristiano. Il farmacista dice ai suoi di casa che la polizia islamica ha arrestato 14 mila cristiani per costringerli a confessare gli omicidi, e formula un´equazione secondo cui l´uomo più un fattore sconosciuto x è uguale al terrorismo islamico; il terrorismo islamico senza quella x è l´uomo. Che cosa è x, sta allo spettatore scoprirlo.
Dopo la premessa contemporanea, si passa alla nascita di Maometto. Sono spezzoni di racconto, com´è del trailer, e questo accentua l´effetto grossolanamente caricaturale. Un uomo giovane intima al padre di prendere il bambino con sé e di allevarlo, magari come uno schiavo. E di chiamarlo Muhammad, nome che significherebbe di padre ignoto - bastardo.
Scena successiva: le visioni del giovane Muhammad sono curate da una fanciulla. «Lo vedi?» «Sì». «Metti la testa fra le mie cosce. Lo vedi ancora?» «No». Segue una scena di investitura di un asino come primo animale musulmano. Un asino parlante, che risponde alle domande, per esempio se gli piacciano le donne: no, non gli piacciono. Ora viene dichiarato il proposito di Muhammad di fare un libro a metà fra la Torah e il Nuovo testamento, per cui si chiede l´aiuto del cugino, morto il quale Muhammad, disperato, vuole andare a buttarsi giù dalla montagna, o trovare un altro espediente.
Poi addestra a catturare donne bambini e animali, e uccidere tutti gli uomini. Dei bambini, usare e abusare. Quanto alla Costituzione, basta e avanza il Corano. Segue una lezione sull´eccezione per cui le donne, anche sposate, devono darsi a lui che è il maestro. Poi l´interpretazione del passo biblico sulla distruzione di Gerico: dunque ora tocca agli ebrei ritirarsi in Palestina o accettare l´estorsione. Chiunque non segua l´Islam del resto ha solo due scelte: pagare o morire. Adesso i suoi, dopo essere andati a procurargli la sposa bambina, si chiedono se non sia anche omosessuale. Un´anziana donna che ne denuncia le malefatte viene legata per le gambe a due cammelli e oscenamente squartata. Un giovane ebreo viene torturato e trucidato davanti a sua moglie, muore pregando che Dio se ne ricordi. Ora sono le sue donne che lo inseguono a colpi di ciabatta nella tenda, perché ha tradito Aisha.
Ho riassunto così dettagliatamente il trailer non perché pensassi che i miei eventuali lettori non l´abbiano guardato - l´avranno fatto, per lo più - ma perché a rileggere la sceneggiatura in compendio, sia pure accanto a trivialità troppo spinte, si scopre che gran parte delle notizie su cui è costruita appartengono da sempre alla controversia storica e alla polemica anti-islamica. Offensivo degli altrui sentimenti è il modo di trattarle. Il «rispetto» - il proposito di non dare scandalo - è parente stretto dell´ipocrisia, ma una dose di ipocrisia è indispensabile ai rapporti umani, quelli privati come quelli fra i popoli e gli Stati. Gli autori di questo ridicolo film sembrano essersi proposti come ideale la mancanza di rispetto e la cialtroneria. Decidendo di essere irresponsabili, se ne sono presi la responsabilità. «Non pensavamo…», diranno loro. Nemmeno l´allora ministro in maglietta di questa Repubblica, Roberto Calderoli, pensava che avrebbero assaltato il consolato italiano a Bengasi, e che negli scontri sarebbero morte 14 persone. Succedeva sei anni fa. Qualche giorno fa hanno revocato la scorta di otto persone che senza interruzione, anche in sua assenza, presidiava una sua villa nel bergamasco. La situazione del mondo è infatti tragicomica.



Scontro sui nomadi Amnesty attacca Belviso
Il Messaggero, 13-09-2012
ELENA PANARELLA
L'Italia non merita bei voti per quanto riguarda la condizione delle comunítà rom e la discriminazione di queste minoranze, e sotto questo aspetto il Governo attuale non si discosta granché da quelle precedente. La pesante accusa arriva da Amnesty International, che ha presentato ieri a Roma un dossier su «sgomberi forzati e segregazione dei rom in Italia», chiedendo una modifica urgente di politiche e leggi che discriminano queste eomunità.
L'affondo arriva il giorno dopo le frasi del vicesindaco, Sveva Beiviso: «Chi crede che si possa fare una corsia preferenziale per dare ai rom le case, se lo può scordare». Alle buone intenzioni contenute nella «Strategia nazionale d'inclusione di rom sinti e camminanti» presentata dal Governo italiano all'Ue nel febbraio scorso, hanno sottolineato la presidente di Amnesty Italia, Christine Weise e la ricercatrice Elisa De Pieri, non sono seguiti i fatti, «Centinaia di rom sono stati vittime di sgomberi forzati a Roma e a Milano, rimanendo senza alloggio - secondo Amnesty - I piani per chiudere i campi autorizzati e quelli tollerati vanno avanti, nonostante dieci mesi fa il Consiglio di Stato abbia dichiarato illegittima l'emergenza nomadi dichiarata dal governo Berlusconi.
Sentenza contro la quale tra l'altro, è stato puntualizzato, il governo Monti ha fatto ricorso, dimostrando quindí una contraddizione nelle due politiche». L'associazíone punta il dito contro la Capitale: «La recente apertura di un nuovo campo segregato, La Barbuta, fuori Roma, è un essempio assai evidente di come le autorità non intendano cambiare».
Dopo il ricorso di alcune famiglie rom rimaste a Tor de'Cenci il 27 agosto il Tar del Lazio ha sospeso temporaneamente l'ordinanza del sindaco e ha ricordato all'amministrazione le responsabilità del mantenimento di adeguate condizioní di salute e di igiene dei rom. Nell'affrontare il tema dei contestati trasferimenti di rom  dal campo tollerato di Tor de' Cenci a quello nuovo della Barbuta, il vicesindaco aveva sottolineato: «Siamo in attesa della sentenza dei Tar sul ricorso fatto da alcuni nomadi. Una soluzione alternativa ai campi nonc'è», Intanto per sollecitare il governo a una rapida soluzione, sono state già raccolte diecimila firme.

 

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