La clausola "razziale" del decreto sul processo breve
Sulla proposta di processo breve si sono levate molte voci, più o meno contrarie.

Oltre a tutte le considerazioni che sono state fatte sulla contraddittorietà di una legge che priverebbe migliaia di cittadini vittime di reato della possibilità di ottenere giustizia, c’è un altro aspetto che vogliamo evidenziare. Quello che tradisce la chiara ispirazione xenofoba della maggioranza parlamentare, che quella legge vorrebbe.
Nel tentativo di scrivere una normativa presentabile, infatti, è stata espressamente esclusa la possibilità di prescrizione di tutti quei reati di grave allarme sociale, come quelli di mafia e di terrorismo. Ma nell’elenco dei reati esclusi, ecco comparire quello, appena approvato, di immigrazione clandestina, tanto caro alla Lega Nord.
Qual è il messaggio che si vede in controluce? I cittadini devono temere i mafiosi, i terroristi e gli immigrati. L’equazione conseguente è chiara: l’immigrato irregolare come il grande criminale. La risposta a tutto ciò, viene dalla Corte Costituzionale, secondo cui la mancanza del permesso di soggiorno – ovvero la clandestinità - «non è univocamente sintomatica […] di una particolare pericolosità sociale» (sentenza n. 78/2007); e si critica l’affiorare di tendenze volte a «considerare le persone in condizioni di povertà come pericolose e colpevoli» (sentenza n. 519/1995). Pensiamo che la legge sul “processo breve” sia destinata a non vedere la luce: almeno nei termini finora prospettati. E confidiamo che, se invece dovesse accadere, non si aggiunga infamia a infamia, inserendo una clausola “razziale” discriminatoria. Sarebbe un ulteriore contributo a quella “produzione di intolleranza per via istituzionale” che è forse oggi il pericolo maggiore.

Share/Save/Bookmark