Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

"Leggi razziali"

L'immigrato non è un estraneo ma un cittadino

 

Luigi Manconi  Valentina Brinis 
La sentenza emessa ieri dal Tribunale di Modena segna un punto davvero importante nella storia giudiziaria italiana in materia di immigrazione e, in particolare, di immigrazione irregolare. Quella decisione ha finalmente chiarito che la condizione di extralegalità giuridica di una persona non coincide necessariamente con l’estraneità rispetto al sistema di relazioni sociali in cui quella stessa persona si trova inserita. Insomma, la sua integrazione sociale, quando c’è, deve risultare “più forte” della sua mancata regolarizzazione. 

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Se Lucia e Renzo fossero stati stranieri

Osservatorio Italia-razzismo 

Questo matrimonio non s’ha da fare». Ed è stato proprio così per Sall e Maria Adela. Lui senegalese, lei rumena; lui irregolare, lei no. A qualche minuto dal fatidico sì il promesso sposo è stato prelevato dall’edificio comunale di Seravezza in provincia di Lucca dove si sarebbe celebrato il matrimonio e portato direttamente al Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, a Roma.

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Don Mussie Zerai denuncia la scomparsa di 400 immigrati

 (ASCA-AFP) - Roma, 17 ott - Un sacerdote che ha aiutato centinaia di rifugiati africani a lasciare in nave la Libia verso l'Italia ha chiesto alle nuove autorita' di Tripoli di indagare su un incidente avvenuto all'inizio della ribellione che sarebbe costato la vita a 400 persone. ''Nel nome dei loro cari, chiediamo la verita' sui fatti della tragedia nella quale sono scomparse circa 400 persone'', ha detto padre Mussie Zerai, che guida l'organizzazione pro-immigrati Habeshia, secondo il quale circa 335 adilti e decine di bambini di Eritrea, Etiopia e Somalia, sono scomparsi il 22 marzo scorso mentre cercavano di abbandonare la Libia poche settimane dopo l'inizio della rivoluzione contro il regime di Muammar Gheddafi.

Zerai ha riferito di testimoni che avrebbero riferito della presenza di centinaia di cadaveri di persone uccise da colpi di arma da fuoco sulle spiagge della Libia e di una sprataoria a bordo di una nave di rifugiati. ''Ora vogliamo sapere la verita''', ha aggiunto.

 

Tutte le vittime della fortezza Europa

Valentina Brinis

Duemilacentocinquantuno (2151) è il numero delle persone che nel corso dei primi nove mesi del 2011 sono morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo per raggiungere le coste dell’Italia e della Spagna. Morte oppure disperse.

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L’italia bocciata in razzismo

 

Vladimiro Zagrebelsky 
La Stampa del 9 settembre 2011
Chi aprisse in questi giorni la pagina web del Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa, sarebbe subito colpito dal primo grande titolo, che dice: «L’Italia deve proteggere meglio i diritti dei rom e dei migranti». Esso è accompagnato da una fotografia, che riproduce un manifesto, divenuto ben noto, largamente affisso sui muri di Milano durante la recente campagna elettorale per l’elezione del sindaco. Vi si legge: «Milano Zingaropoli con Pisapia» e nel testo si stigmatizza anche il progetto di costruzione di una moschea. Dunque l’Italia, la cui immagine già per altro verso non brilla ora in Europa, è nuovamente e negativamente esposta all’attenzione. E’ possibile che in Italia a pochi interessi cosa dice il Consiglio d’Europa e che le questioni legate ai diritti fondamentali siano da molti trattate con sufficienza e fastidio. Ma così non è nell’Europa di cui l’Italia è parte. E tout se tient quanto ad immagine e a opinione che gli altri hanno della sua credibilità e affidabilità.
Il documento reso noto dal Commissario ai diritti umani contiene le sue valutazioni dopo una visita in Italia nello scorso maggio.
Esso riguarda vari aspetti della situazione dei rom e dei sinti e della condizione degli immigrati nel difficile periodo legato al conflitto in Libia.
Tra le tante di cui il governo e la società civile italiana dovranno tener conto, merita attenzione quella cui si riferisce il titolo di apertura del sito del Commissario: la qualità del discorso politico e la frequenza di un tono razzista con riferimento ai rom e sinti (ma anche ai musulmani).
Sperimentiamo ogni giorno la volgarità del lessico (e dei gesti) di tanti politici. Essa caratterizza non solo le loro chiacchiere al telefono con amici e amiche (un aspetto da non trascurare di ciò che emerge dalla pubblicazione delle intercettazioni telefoniche ordinate dalla magistratura), ma anche i loro discorsi pubblici. Si tratta di un abbrutimento della dialettica politica, che naturalmente non resta in patria, ma fa subito il giro del mondo, contribuendo anch’esso allo svilimento dell’opinione internazionale sull’Italia. Ma non di questo si occupa il Commissario ai diritti umani. Egli è preoccupato per l’effetto che certi discorsi, certo linguaggio tenuto da responsabili politici, hanno sulla formazione dell’opinione pubblica, con il pericolo che essi stimolino e legittimino atteggiamenti razzisti e discriminatori. Il rapporto del Commissario cita una dichiarazione del ministro dell’Interno Maroni, riportata l’anno scorso dal Corriere della Sera nel periodo in cui la Francia espelleva i rom di nazionalità bulgara e romena. Il ministro esprimeva disappunto poiché molti rom e sinti sono cittadini italiani «e quindi non ci si può far niente». E’ solo un esempio, ma noi sappiamo quanto frequente e spesso anche aggressivo sia il linguaggio denigratorio. Qui è la posizione ufficiale e autorevole del ministro che viene in considerazione e quanto la frase sottintenda su ciò che bisognerebbe fare, se solo fosse possibile. E sul disvalore, che non è nemmeno il caso di dire, delle persone cui si riferisce. La loro dignità (che è un diritto fondamentale, proclamato dal primo articolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) è offesa ed è coltivato il terreno propizio a politiche discriminatorie e di esclusione sociale.
In un mondo che vede gravissime violazioni dei diritti fondamentali delle persone, potrebbe sembrare eccessiva l’attenzione del Commissario al linguaggio. Ma così non è. Intanto il Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa non è isolato in questa sua denunzia. La stessa preoccupazione e condanna sono già state espresse dal Comitato della Convenzione europea per la protezione delle minoranze e dal Comitato della Carta sociale europea. E poi, chi non vede che il disprezzo che cola, esplicito o implicito, dal linguaggio scelto per esprimersi lascia il segno, offende e discrimina, suggerisce che si tratta di estranei, di gente di poco o nullo valore, che non merita la considerazione che meritiamo «noi»? Razzismo dunque, tanto più condannabile e pericoloso quando si coglie nel discorso politico che in una democrazia dovrebbe essere degno e rispettoso.
 
Il razzismo è federale
Luigi Manconi  Federica Resta
Un'intolleranza decentrata, una discriminazione periferica, una sorta di «razzismo federale», devoluto e disseminato, ecco ciò che emerge con forza da qualche tempo. La mappa dell'aggressività selettiva e sperequatrice, è agevolmente ricostruibile esaminando ordinanze e delibere che, a partire da decisioni di Giunte e di consigli comunali, intervengono potentemente sulle relazioni sociali e sui comportamenti individuali.
Precedenza agli italiani nelle graduatorie per le case popolari, per i posti negli asili, per i sussidi economici e le integrazioni di reddito, divieto di iscrizione all'anagrafe degli stranieri con precedenti penali e con un reddito inferiore all'importo dell'assegno sociale, limiti al riconoscimento dell'abitabilità degli edifici, mancata erogazione del bonus bebè alle famiglie immigrate, «norme anti-kebab», divieto di tenere riunioni pubbliche in lingue diverse da quella italiana, preavviso di almeno trenta giorni all'autorità locale di pubblica sicurezza per «chi promuove o dirige funzioni, cerimonie o pratiche religiose aperte al pubblico, fuori dai luoghi destinati al culto». E altro (molto altro) ancora.
È quanto previsto non da leggi di un secolo fa, ma da recentissime ordinanze di molti comuni italiani, rese possibili da una norma del primo decreto sicurezza varato in questa legislatura (d.l. 92/2008).
Nella più ottimistica delle ipotesi, sullo sfondo potrebbe esserci - almeno per quei sindaci non dichiaratamente xenofobi - la teoria, elaborata dall'allora primo cittadino di New York, Rudolph Giuliani, delle Broken windows (finestre rotte). Insomma quei provvedimenti dovrebbero consentire di eliminare le cause profonde del crimine, nella presunzione che laddove le finestre rotte e le cabine divelte non vengano riparate, si ingeneri nella collettività una percezione di degrado e di mancato controllo: e questo favorirebbe la diffusione di fenomeni criminali.
Ma gli effetti concreti di quelle ordinanze certificano il fallimento di una simile «utopia negativa». Anche grazie all'ambivalenza del concetto di «sicurezza urbana» e al fatto che a emanarle, quelle ordinanze, sono stati finora, in prevalenza, sindaci ispirati da una concezione autoritaria e xenofoba, fino al razzismo. E quel concetto stravolto di sicurezza urbana tende a ridursi al diritto dei cittadini italiani (pienamente integrati e conformi allo stereotipo di «normalità» diffuso nel discorso pubblico) a non essere «turbati», nelle loro «piccole patrie», dalla presenza di soggetti estranei.
Il fatto che le ordinanze più recenti, emanate da sindaci leghisti, siano dirette a escludere dall'esercizio di diritti fondamentali (istruzione, libertà di culto, abitazione, etc.) proprio gli stranieri, dimostra come quelle decisioni rappresentano strumenti assai pericolosi, capaci di fare ciò che neppure una legge potrebbe. Si pensi infatti che la sentenza 306/2008 della Corte costituzionale ha dichiarato illegittima una legge che escludeva gli immigrati privi dei requisiti di reddito già stabiliti per la carta di soggiorno dal diritto a fruire dell'indennità per invalidità civile. Ovviamente, anche le ordinanze dei sindaci non sono, per fortuna, del tutto immuni dal controllo di legalità (dovendo del resto rispettare almeno i princìpi generali dell'ordinamento): alcune di esse sono state infatti annullate dal giudice amministrativo, come nel caso dell'ordinanza del comune di Trenzano che limitava la libertà di riunione, colpendo di fatto le comunità islamiche; o come nel caso dell'ordinanza anti-accattonaggio del comune di Selvazzano Dentro.
E tuttavia il controllo giurisdizionale non può eliminare i danni più profondi prodotti dalle ordinanze nel tessuto sociale e nella cultura condivisa: la costruzione di una categoria di «non-persone» private dei diritti e delle libertà fondamentali, che vanno riconosciuti all'essere umano in quanto tale e non in ragione della sua cittadinanza. Un percorso degenerativo porta infatti dalle prime ordinanze contingibili e urgenti emanate prima del decreto-sicurezza del 2008 a quelle odierne.
Se si pensa al provvedimento capostipite, quello «contro i lavavetri», del sindaco di Firenze (agosto 2008), si ricorderà che il rischio allora paventato era quello di un «federalismo penale», conseguente alla combinazione tra una norma penale in bianco (il reato di inosservanza di provvedimenti dell'Autorità: art. 650 c.p.) e i precetti amministrativi contenuti nelle ordinanze. Combinazione, questa, che finiva con il rendere penalmente illecito un comportamento altrove assolutamente legittimo, solo in virtù di un'ordinanza che lo vietava in un determinato territorio.
Oggi, con l'estensione dei poteri dei sindaci, il rischio è ben maggiore e consiste nella realizzazione di un vero e proprio federalismo delle libertà e dei diritti fondamentali, tutto in chiave restrittiva e repressiva, invocato ancora una volta contro coloro che dispongono solo della propria «nuda vita».
Ilmanifesto 30 aprile 2010
 
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