Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

20 ottobre 2010

Merkel ha ragione
CON  L'ISLAM SBAGLIAMO
Il Tempo, 20-10-2010
RUGGERO GUARINI
Coraggioso e giusto il discorso con cui Angela Merkel ha denunciato il completo fallimento, sul fronte dei rapporti dell'Europa con l'immigrazione islamica, del miraggio multicuturalista. Coraggioso e giusto anche perché nessun premier europeo aveva finora avvertito il bisogno di sull'argomento una verità, non meno evidente che ufficialmente misconosciuta e negata, come quella finalmente spiattellata dalla Merkel. Eppure quel fallimento era inciso da sempre nella ferrea sostanza dell'islam. Della quale forse nessun grande spirito europeo colse il potere liberticida con la concisa lucidità di Jacob Burckhardt, il grande storico svizzero che con un secolo circa di anticipo previde quasi tutti gli errori e gli orrori del Novecento, compresa la nostra ignavia di fronte alla micidiale minaccia racchiusa, per la nostra civiltà, in un probabile risveglio islamico. Mi riferisco ad alcune geniali osservazioni   sull'Islam contenute  in una sua opera - Riflessioni  sullo studio della storia - pubblicata   postuma verso la fine del XIX secolo, che si attagliano  perfettamente al problema sollevato dalla Merkel: Ne riporto   soltanto   alcune:   1) «L'Islam forma gli intelletti e gli animi in modo che essi in seguito sono capaci di produrre solo questa cultura e questa forma statale, e nient'altro».    2)    «L'Islam esclude del tutto il moderno "progresso" occidentale, nelle due accezioni di questo concetto: come Stato di diritto e come sviluppo illimitato dell'industria e del commercio». 3) «Assai singolare, e difficile a trovarsi in così alto grado nella storia delle religione, è l'orgoglio   che   questa   religione ispira,  il sentimento della sua assoluta superiorità su tutte le altre, la totale impermeabilità a qualunque influsso, che si trasforma in innata presunzione e in illimitata arroganza». 4). «La cultura ebbe l'indicibile fortuna che, almeno in Occidente, lo Stato e la Chiesa non si fusero in un'unità oppressiva. Questa fusione avenne nell'Islam. Esso ha soltanto un tipo di ordinamento statale inevitabilmente dispotico, vale a dire la concentrazione del potere teocratico laico-religioso del grande califfato». 5) «L'Islam, che è una religione così tremendamente scarna, con questa sua aridità e desolante semplicità, è stato prevalentemente nocivo piuttosto che utile alla cultura, se non altro perché rende i popoli che lo professano assolutamente incapaci di passare a un'altra cultura».
Questa la vera radice dell'odio che non soltanto le frange più radicali e violente dell'islam ma le sue stesse masse più derelitte, e forse soprattutto proprio quelle condannate a emigrare in Europa, nutrono per la nostra civiltà.   È  un odio fomentato   dall'esatta percezione  di una circostanza  per loro penosa e umiliante: la singolare assenza di apporti arabo-islamici alla creazione  di quel variopinto tessuto di elementi provenienti da ogni popolo e luogo della terra che oggi è il volto "culturale" del mondo globalizzato. A questa festa dell'ibridazione   perpetua partecipano infatti, volenti o nolenti, tutti i popoli della  terra.  Tutti  fuorché   il mondo islamico. La cui cultura è certo anch'essa presente in mezzo a noi. Ma non come una parte del tutto impastata con gli altri elementi   dell'insieme,   bensì come un elemento separato, refrattario e più o meno apertamente ostile all'ambiente circostante. E in questa separatezza trova di che nutrirsi senza posa un micidiale impasto di solitudine, orgoglio e di disperazione.



«Multikulti» in panne

il Sole, 20-10-2010
Ci sono voluti un po'di anni ma alla fine l'amara verità è venuta agalla e a gettare la spugna è stata la signora Merkel, che ha affermato senza troppe storie che il multiculturalismo è fallito. C'è insofferenza se non fastidio nei confronti di questa nuova forma di colonizzazione che non piace a nessuno, le cospicue avanzate dei vari movimenti di estrema destra che confinano con le formazioni filo-naziste sono la prova che gli europei sono sul punto di dire basta. Si chiama LePen in Francia, si chiama Bossi in Italia, si chiama Fpó in Austria ma si chiama anche English Defence League, non c 'è regione europea dove non vi sia una formazione ostile all’immigrazione. Quello che meraviglia di più è che i convinti sostenitori dell 'integrazione a tutti i costi ora tacciono.
Lettera firmata
Il dibattito in corso in Germania sull'immigrazione è molto interessante: le esplosive dichiarazioni della cancelliera Merkel hanno seguito di pochi giorni quelle, non meno clamorose, del leader bavarese Horst Seehofer, alleato di ferro della Cdu, secondo il quale la Germania dovrebbe bloccare l'ingresso di immigrati turchi e arabi. In realtà, la Germania ha bisogno delle braccia di lavoratori specializzati provenienti da altri paesi: gli ultimi dati dimostrano che dal 2008 il paese sta perdendo più residenti di quanti ne attragga. Proprio per questo, molti sospettano che la posizione del leader della Csu rappresenti il tentativo dibloccare sul nascere partiti populisti del genere di quelli ricordati dal lettore (ma ci sono anche quelli svedese, danese e olandese). Insomma, un campanello d'allarme sull'esigenza, riproposta di recente dallo studioso anglo-olandese Ian Buruma, che ipartiti europei si dotino di politiche coerenti e credibili sull'immigrazione anche la sinistra, ha specificato, se non vuole contribuire anch'essa al successo delle pulsioni più incontrollabili.
Risponde Salvatore Carrubba



«Eterni stranieri, quindi colpevoli»

Corriere della Sera 20 ottobre 2010
Maria Serena Natale
Precarietà esistenziale, migrazioni incrociate, paura dello straniero. Zygmunt Bauman, l’eminente sociologo polacco teorico della «modernità liquida» nata dalla fine delle «grandi narrazioni», inquadra il caso rom nella riflessione sull’«età delle diaspore e il sentimento d’incertezza che caratterizza le nostre società, diventato fonte di legittimazione alternativa per lo Stato contemporaneo».
Professor Bauman, quali meccanismi vede dietro la linea dura di Sarkozy?
«Additare lo straniero come responsabile del malessere sociale sta diventando un’abitudine globale. Nel caso delle espulsioni è in gioco il conflitto inseriti-outsider esaminato mezzo secolo fa da Norbert Elias: più di amici e nemici, gli outsider sono imprevedibili, il senso d’impotenza che deriva dall’incapacità di intuire le loro risposte ci umilia». Con i rom la dinamica è amplificata? «Sì, perché sono percepiti come perpetui stranieri, colpevoli fino a prova contraria, preceduti da storie di criminalità più o meno accertate ma assenti dai luoghi deputati alla formazione delle opinioni, privi di élite capaci di promuovere le ragioni delle comunità».
Le ansie legate ai flussi migratori sono un tratto dominante di quella che lei descrive come una diaspora universale.
«Oggi assistiamo a ondate migratorie organizzate per arcipelaghi planetari e interconnessi di insediamenti etnici, religiosi, linguistici. Ogni Paese è virtualmente bacino di emigrazione e meta di immigrazione, le rotte non sono più determinate da legami imperial-coloniali: queste diaspore frammentate e trasversali ci impongono di ridefinire il rapporto tra identità e cittadinanza, individuo e luogo fisico, vicinato e appartenenza». Come risponde la politica? «Lo Stato contemporaneo proclama come primo compito del potere la rimozione dei vincoli alle attività orientate al profitto. Diventa così prioritario per i governi trovare al senso di vulnerabilità dei cittadini cause non riconducibili al libero mercato ma a rischi di altra natura. La priorità è la sicurezza, minacciata da pericoli per la persona fisica, la proprietà e l’ambiente che possono venire da pandemie, attività criminali, condotte anti-sociali di sottoclassi, terrorismo globale ma anche da gang giovanili, pedofili, stalker, mendicanti, regimi alimentari insani».
Uno stato d’allerta permanente. «Nel quale è impossibile sapere dove e quando le parole diventeranno carne. La mancata materializzazione di una catastrofe paventata è presentata come il trionfo della ragione governativa su un fato ostile, risultato di vigilanza e cura delle autorità».
Come va ridefinito il patto sociale?
«La migrazione universale porta in primo piano e per la prima volta nella storia l’arte del convivere con la differenza. Un’alterità non più concepita come transitoria richiede un ripensamento delle reti sociali, più tolleranza e solidarietà, nuove abilità e competenze».
E come s’innesta questa differenza radicale sul terreno del multiculturalismo?



FRATTINI, MULTICULTURALISMO SI' MA CON REGOLE PRECISE

(ASCA) - Roma, 20 ott - ''Il multiculturalismo e' un dato di fatto ma non puo' essere senza regole''. Lo ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini, commentando, ai microfoni di radio Anch'io, le ultime dichiarazioni della cancelliera Merkel. ''Una posizione, la sua - ha detto - che noi abbiamo da tempo. Si deve potenziare il ragionaento UE per invitare immigrati regolari e contrastare la clandestinita' che e' un vero e proprio traffico di schiavi del 21mo secolo.
Accoglienza per chi vuole venire a lavorare regolarmente, dunque e rigore per chi non rispetta le nostre leggi''.
Per venire in Italia, e in Europa, ha spiegato il ministro, ''il primo requisito e' che si impari la lingua del Paese dove si vive e si lavora. La seconda caratteristica, indispensabile per potersi integrare, e' che si conoscano e si rispettino le leggi di questo Paese. Quando vediamo che vi sono comunita' in cui si giustificano i matrimoni poligamici in terra europea, quando vediamo che si ammette che una donna puo' essere sottomessa e tragicamente persino uccisa perche' vuole sposarsi con un ragazzo cristiano europeo, quella non e' integrazione ma disintegrazione e dobbiamo colpirla



L'IMMIGRAZIONE E I DIKTAT LEGHISTI

DALL'EMERGENZA ALL'INTEGRAZIONE
l'Unità, 20-10-2010
Andrea Olivero
PRESIDENTE NAZIONALE ACLI
La questione della cittadinanza italiana per i minori nati nel nostro Paese da genitori stranieri non può più essere rimandata. Se n'è parlato con insistenza in questi giorni nel mondo cattolico, riunito a Reggio Calabria per l'appuntamento tradizionale delle Settimane Sociali: 1200 delegati provenienti dalle 227 diocesi italiane per elaborare - era il tema di quest'anno - un'Agenda di speranza per il futuro del Paese.
Quale sia oggi il "sentimento" dei cattolici italiani nei confronti dei figli degli immigrati lo si evince inequivocabilmente da queste parole, contenute nel Documento preparatorio: «Per i loro genitori fare famiglia e figli in Italia è stato un atto importante, un modo per provare ad annodare il loro futuro al nostro. Quei bambini rappresentano per noi un frutto stupendo di quell'atto di fiducia e speranza. Rappresentano una realtà e una disponibilità che non debbono essere ignorate. Costituiscono forse il punto più giusto e più urgente da cui ripartire». Un sentimento al quale si aggiunge la consapevolezza che «nella società italiana di domani i figli degli immigrati giocheranno un ruolo importante», per cui «il riconoscimento della cittadinanza da parte dello Stato italiano è solo una condizione, certo necessaria ma non sufficiente, per una piena interazione/integrazione delle seconde generazioni». Attorno a quest'analisi e alla proposta di cittadinanza ai minori il mondo cattolico radunato a Reggio Calabria si è ritrovato unito. Per un cristiano impegnato in politica - è stato detto in quella sede - l'inclusione degli stranieri è uno dei "valori non negoziabili". Eppure la politica, quella che avrebbe la forza per decidere, non sembra affatto intenzionata a muoversi in questa direzione. Quella stessa politica, che ama richiamarsi ai valori cristiani della nostra tradizione, finge di non sentire quello che chiedono i cristiani in carne ed ossa, le associazioni cattoliche, gli organismi pastorali della Chiesa italiana. Benedetto XVI lo ha detto con chiarezza anche in questa occasione: è necessario passare dalla fase dell'emergenza a quella dell'integrazione; le persone che vengono nel nostro Paese devono potersi integrare «con il loro lavoro e il patrimonio della loro tradizione», senza cioè dover rinnegare se stessi, per contribuire con il loro «protagonismo» alla costruzione di una «società migliore». Anche queste parole rimarranno probabilmente inascoltate, perché permane in realtà, malgrado le dichiarazioni, una lettura "neopagana" del problema migratorio, come se la fede in questo ambito non avesse alcuna rilevanza pubblica. Di fatto, sulla questione migratoria, è la Lega ad esercitare oggi in Italia una vera egemonia culturale e politica. A detrimento dei diritti di cittadinanza di tutti, nativi e migranti.?



Rom, Bruxelles sospende le misure contro l'Eliseo

La Stampa, 20-10-2010
MARCO ZATTERIN

BRUXELLES - Tutto come previsto, la Commissione ha deciso di chiudere il caso dei rom espulsi dalla Francia nel corso dell'estate. «Hanno fatto ciò che abbiamo chiesto», ha spiegato Viviane Reding - responsabile Ue per la Giustizia - nell'annunciare che non ci sarà alcuna procedura d'infrazione per Parigi. Ne aveva minacciate ben due ai primi di settembre, la commissaria lussemburghese, una per violazione delle regole sulla libera circolazione, l'altra per comportamento discriminatorio nei confronti della minoranza gitana. Della sua offensiva nulla è rimasto. L'hanno messa in un angolo per aver usato parole effettivamente eccessive contro Sarkozy e le hanno svuotato il dossier. Per l'Eliseo è un trionfo; per i migranti è difficile dire altrettanto.
Tre settimane fa, la Commissione Ue aveva intimato al governo francese di presentare entro il 15 ottobre una proposta di legge, con relativo calendario di attuazione, per a mettersi in regola con i dettami Ue sulla libera circolazione dei cittadini. In caso contrario, sarebbe finito sotto processo. Il testo è arrivato venerdì, con le modifiche attese per quanto riguarda le garanzie da offrire a chi viola la legge. Le misure dovranno essere adottate nel 2011. Bruxelles assicura che continuerà a vigilare sui francesi, il cui presidente ha parlato di «ragione che finalmente trionfa».
La decisione solleva parecchi interrogativi. Uno riguarda il «colpo di spugna» di Bruxelles. «L'attenzione al futuro non fa giustizia per chi ha sofferto sinora», ha sottolineato Amnesty International. Il senso è che accettando l'impegno a correggere la legge come condizione per scongiurare l'infrazione, si ammette che in precedenza i comportamenti sono stati irregolari; tuttavia, non li si sanziona. Allo stesso tempo, si dimentica completamente il problema della discriminazione. La Reding, nella sua sparata settembrina, aveva detto di pensare che le espulsioni non fossero state decise «caso per caso». C'era persino una circolare che puntava il dito sulla comunità rom. Come se non fosse mai esìstita. Temendo «una base legale insufficiente», il capitolo non è stato mai veramente considerato.
Il rischio, a questo punto, è che il dibattito svanisca insieme con la disputa francese. La questione delle comunità viaggianti è al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica, sottolineavano ieri sera fonti europee, soprattutto per le implicazioni sulla sicurezza che comporta. «Il problema va affrontato a livello europeo - si insisteva -, perché in assenza di confini nessuno può pensare di farlo da solo». Nel bel mezzo della disputa si era parlato di summit per affontare il drammatico nodo. Il dibattito pare caduto. Intanto, i rom allontanati dalla Francia se ne vanno in giro per l'Europa. L'unica a spingere per nuove inchieste e colloqui è la sinistra del Parlamento europeo. Gli altri, per adesso, tacciono.



Il delitto di Maricica e i ragazzi del muretto figli dei pregiudizi

l'Unita, 20-10-2010
Osservatorio Italia-razzismo
Poche ore dopo la morte di Maricica Hahaianu, il sindaco di Roma Alemanno annunciava l’intenzione del Comune di Roma di costituirsi parte civile, aggiungendo che si deve superare «ogni pregiudizio» verso la comunità rumena. Nel vicino quartiere di Cinecittà, gli amici di Alessio Burtone, l’aggressore di Maricica, esprimevano solidarietà ricorrendo a maldestre difese, come quelle riportate da questo giornale: «che dovremmo dire noi che i mariti delle romene stuprano le nostre ragazze” oppure “quella poteva avere nella borsa un ombrello”. Intendiamoci: bene ha fatto il sindaco di Roma a offrire solidarietà; così come appaiono per quello che sono le parole dei giovani di Cinecittà: pregiudizi, talmente inefficaci come attenuanti da rivelarsi paradossalmente aggravanti, qualora assunti come difesa.
Quello che colpisce è, piuttosto, il richiamo all’ombrello, vale a dire alla vicenda di Doina Matei, la giovane rumena responsabile – di nuovo la scena è il metrò di Roma – della morte di un’altra giovane, Vanessa Russo. Nello spazio temporale (2007-2010) tra i due episodi, accomunati da evidenti somiglianze (l’irreparabilità della morte, la rovina dei due responsabili “preterintenzionali”) ci sono le tante parole pronunciate da istituzioni, autorità pubbliche, esponenti della politica, compreso il sindaco di Roma. Un tempo durante il quale l’intera comunità rumena (o buona parte di essa) è stata dipinta come causa di degrado, insicurezza, pericolosità sociale. Così come insicura e aggressiva è stata dichiarata la città nella quale sono avvenuti i due episodi. Difficile, poi, far capire ai ragazzi del muretto di Cinecittà, quanto poco quei pregiudizi possano aiutare Alessio Burtone.



Nasce l’Associazione Bangladesh Community di Modena per il sostegno agli immigrati

Sassuolo2000, 20-10-2010
Sono tante le difficoltà che un cittadino straniero che arriva nel nostro paese deve affrontare, come, per esempio, la ricerca di una casa, di un lavoro, il ricongiungimento familiare, o, semplicemente, fare i conti con la burocrazia. Senza contare, poi, il confronto quotidiano con una cultura diversa da quella del paese di origine, in una parola: integrazione.Senza considerare, poi, che, in un momento particolarmente difficile come quello che stiamo attraversando, anche ad uno straniero che risiede stabilmente in Italia da molti anni, può succedere di perdere il lavoro o la casa. Condizione, peraltro, comune anche a tanti cittadini italiani.
Proprio per fornire un aiuto concreto ai cittadini stranieri emigrati in Italia, ma anche per promuovere l’integrazione ed il sostegno a distanza di popolazioni in difficoltà nei loro paesi di origine, su iniziativa della comunità bengalese di Modena è nata l’Associazione di volontariato Bangladesh Community di Modena. I soci fondatori sono 24 giovani bengalesi che vivono e lavorano nella nostra città da diversi anni e che hanno affrontato le normali difficoltà legate all’immigrazione. Proprio partendo da questa esperienza personale, desiderano mettersi a disposizione della comunità per offrire il loro aiuto a quanti stiano attraversando un momento difficile.
“Attraverso la nostra associazione di volontariato – spiega Torun Sarder, presidente dell’Associazione – intendiamo mettere in campo azioni per promuovere la solidarietà, la partecipazione e l’integrazione sotto ogni forma. Vogliamo, inoltre, offrire il nostro supporto e la consulenza a tutti coloro che vivono in Italia, che siano cittadini comunitari, extracomunitari o italiani, donne, bambini o disabili. Pensiamo, inoltre, che l’integrazione sia fondamentale per una corretta e rispettosa convivenza. Perciò, nei nostri progetti, rientra anche l’istituzione di corsi di lingua e cultura italiana per cittadini stranieri, in particolare provenienti dal Bangladesh. Inoltre, intendiamo promuovere incontri multiculturali per fare conoscere le nostre tradizioni e la nostra cultura e per confrontarci con quella degli altri. Desideriamo, insomma, promuovere un’immagine positiva, collaborativa e propositiva dell’immigrazione, sfatando i pregiudizi che, purtroppo permangono nei confronti degli immigrati”.
Tra le finalità dell’Associazione Bangladesh Community Modena anche il sostegno a distanza delle popolazioni in difficoltà nel loro paese di origine, attraverso iniziative e raccolta fondi, l’organizzazione di incontri periodici ricreativi e di socializzazione, proposte di corsi per promuovere la conoscenza della cultura e della lingua del paese di origine, rivolta agli immigrati di seconda generazione, l’organizzazione di mostre, convegni, spettacoli il cui ricavato potrà servire per il sostegno concreto delle persone in difficoltà che si rivolgeranno all’associazione.
Info: Associazione Bangladesh Community di Modena - via Santa Maria delle Assi 3, Modena. Tel 339/5463615 – 328/4719280 – 329/4542023 – Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
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