A Ponte Galeria ancora bocche cucite per protesta

Jolanda Bufalini
«Perché siamo qui?», non riescono a capire perché siano stati rinchiusi, senza aver compiuto alcun reato, in un luogo che non è un carcere maè peggio. E non sanno per quanto tempo ci resteranno. ll Cie di Ponte Galeria, Centro di identificazione ed espulsione. Che significa «trattenuto», «proroga», «convalida», parole intraducibili coniate dalla burocrazia di un paese sconosciuto? È una situazione che fa impazzire, che fa ammalare, è una incertezza senza fine, spiega Valentina Brinis che a Ponte Galeria è andata con Valentina Calderoni e Luigi Manconi, presidente della commissione parlamentare per i diritti umani.

Sono in 15, di nazionalità marocchina, 13 di loro si sono cuciti le labbra,come fu anche alla vigilia di Natale. Ma non sono gli stessi di Natale. Il capo della protesta di allora è stato rimpatriato un paio di settimane fa, adesso il portavoce non ha le labbra cucite. Altri particolari li racconta Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio: nove di loro sono arrivati al Cie direttamente da Lampedusa, il viaggio nel barcone, con tutto quello che si può immaginare, con il rischio del naufragio, di affogare. E, prima, sembra che alcuni di loro abbiano fatto tappa in Libia, dove sono stati trattati come schiavi, come bestie. Hanno già conosciuto l’inferno, le vessazioni dei trafficanti che li hanno traghettati fino alle nostre coste.
Avrebbero bisogno di tutto, di assistenza fisica e psicologica, di avviamento, di conoscere i rudimenti su come funziona il paese dove sono sbarcati. Invece sono chiusi in un non luogo che faticano a comprendere.
Poi arriva la notizia, al Cie di Caltanissetta i loro connazionali, sbarcati insieme a loro a Lampedusa, sono stati «dismessi». Dismessi, che significa? Significa che sono usciti, sono liberi. Poco importa che in tasca abbiano un foglio di via e se non se ne andranno volontariamente potrebbero essere ripresi e rimpatriati forzatamente. Sei libero, una chancece l’hai.Lanotizia da Caltanissetta - racconta Valentina Brinis - è stata la scintilla, l’esasperazione si è trasformata in rivolta.
Khalid Chaouki, parlamentare Pd e coordinatore del gruppo interparlamentare sull’immigrazione, è appena arrivato a Strasburgo per il Consiglio d’Europa, dove si parlerà anche di queste problematiche, dell’accoglienza, del rispetto dei diritti umani. Spiega l’imbarazzo, la difficoltà di fronte a cui si troverà la delegazione italiana. È in programma, per il 13 febbraio, una relazione sulle condizioni nei centri di accoglienza e nei Cie in Italia: «L’Italia è già stata più volte condannata per violazione delle convenzioni internazionali sui diritti umani». Ora la delegazione italiana vorrebbe «prevenire nuovi attacchi», «è certo un bene che il Consiglio d’Europa vigili ma è anche importante riuscire ad evitare, come paese, una nuova condanna». La situazione di Ponte Galeria è «il frutto di una indifferenza che dura da dicembre», quando Chaouki si rinchiuse volontariamente nel centro di Lampedusa, per raccontare a tutti le condizioni di cattività ed esasperazione. Il problema è «la lentezza » delle procedure, che possono portare a una conclusione diversa il percorso di chi è al Cie. A Ponte Galeria sono ancora rinchiusi «Giulietta e Romeo» tunisini, la ragazza perseguitata dalla famiglia fino alla tortura, per la contrarietà al matrimonio con il suo «Romeo». Eppure, nel loro caso, il giudice ha stabilito «una proroga del termine di rimpatrio».
L’autorità giudiziaria si è mossa ma non sono seguiti atti concreti. Casi diversi, conclusioni diverse. Alcuni dei rinchiusi avrebbero diritto al permesso umanitario, altri dovrebbero essere rimpatriati.
Ma le autorità diplomatiche di alcuni paesi, tunisine, nigeriane, non si muovono volentieri e non sono sollecitate adeguatamente dal Viminale. La legge prevede che, per chi è incarcere, l’identificazione avvenga lì. Invece anche i carcerati finiscono al Cie.Esi crea una promiscuità e una gerarchie, in cui chi viene dalla scuola del carcere è un leader naturale.
Le notizie da Ponte Galeria sono frammentarie e contraddittorie, in parte arrivano dalle delegazioni per i diritti umani, dalle Ong come «FateCIEntrare », altre da qualche telefonata clandestina.
Per paradosso, dice Chaouki, «in carcere, ci sono più garanzie». Una gestione già pessima che peggiorerà, si risparmia sui Cie con gare al massimo ribasso, come è appena avvenuto a Ponte Galeria. Forse si risparmierebbe di più chiudendoli: «Solo il 40% dei rinchiusi nei Cie - spiega Valentina Brinis - viene rimpatriato, quantità che corrisponde all’1 per cento degli stranieri  irregolari in Italia».
l'Unità, 27-01-2014

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