Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

21 luglio 2010

Immigrati, da Italia e Ue politiche dal fiato corto
EUROPA - 21 luglio 2010
CARO ORLANDO, nel dicembre scorso, Savino Pezzotta, Emma Bonino e i suoi compagni radicali, in visita in vari Centri di identificazione ed espulsione della penisola, denunciarono una situazione allarmante e irregolare: condizioni di degrado, di dolore, di vissuta sofferenza. In questi giorni, nei Cei di Gradisca d'Isonzo e di Milano sono scoppiate rivolte sanguinose. I migranti tunisini e algerini temono più di tutto i rimpatri di massa, promessi dal ministro Maroni. Come si può minacciare la gente,

in fuga dalla miseria, dalle persecuzioni, di rimandarla indietro nella "bocca del leone" ? L'Europa delle banche si sta dimostrando incapace di indirizzare i flussi migratori, inadatta a promuovere una disciplina di ampio respiro. L'Europa della moneta unica riesce a compattarsi parzialmente su certe istanze economiche, ma sulle grandi que-stioni umanitarie non è in grado di adottare
con i paesi africani una duratura politica di cooperazione, di concertazione. In Italia, le politiche antropologiche sono troppo seve¬re, hanno il fiato corto. Come può un paese di frontiera come il nostro stipulare accordi bilaterali con la Libia dittatoriale del Colon-

nello Gheddafi? Come è possibile stringere accordi con chi non riconosce le conven¬zioni internazionali sui rifugiati, con chi ultimamente ha chiuso con la forza l'ufficio dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati? La nostra politica dei respingimenti in ma¬re è decisamente esorbitante, il cosiddetto reato di clandestinità è semplicemente una brutta pagina, che andrebbe riscritta. Quan¬te volte l'opposizione e la Chiesa cattolica hanno espresso critiche a un inclemen¬te pacchetto sicurezza nei fatti punitivo e inadeguato? Forse, è lecito attendersi una revisione, un sostanziale aggiustamento di certe politiche fallimentari?
MARCELLO BUTTAZZO, LEQUILE (LE)



Sui giornali meno stereotipi "Ma l'integrazione è ancora lontana"

La Stampa 21 luglio 2010
FRANCESCA PACI
C'è stato un tempo per niente lontano in cui in Italia bastava avere il passaporto ex-tracomunitario per essere considerato il candidato più adatto alla carriera criminale. Almeno sui media, dove l'11 dicembre del 2006 il tunisino Aziz Marzouk.in virtù delle sue credenziali di poco di buono, fu condannato vox populi per la strage di Erba, salvo essere prosciolto dagli investigatori il mattino dopo. Sono passati quattro anni e l'Osservatorio Carta di Roma, nato all'indomani di quell'«imperdonabile errore di valutazione», ritiene che la situazione sia migliorata. Secondo lo studio «Il tempo delle rivolte» presentato ieri a Roma dal presidente dalla Federazione nazionale della
stampa Roberto Natale i titoli associati al binomio immigrazione-sicurezza, signori delle prime pagine fino al 2008, sono leggermente diminuiti.
«Il quadro è complesso e ambivalente ma c'è in atto una normalizzazione nell'approccio giornalistico all'argomento che riduce gli stereotipi» osserva Mario Morcellini, preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione e supervisor della ricerca. Risultato: sulle 1540 notizie monitorate nel 2008 ce ne sono ben 85 «non cattive», delle quali un terzo «neutre» e due terzi «buone». Non sarà il trionfo dell'integrazione, anche perché, sottolinea la portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati Laura Boldrini, «dopo i respingimenti introdotti nel maggio del 2009 non si parla praticamente più d'immigrazione». Ma sfogliando le pagine del
rapporto, in cui «La Stampa» viene ripetutamente lodata per gli approfondimenti pubblicati durante la protesta dei braccianti stranieri di Rosarno, si capisce che se non proprio tutti i contenuti almeno la forma mediatica è cambiata. Fosse anche solo per reagire positivamente all'ultimo rapporto del Censis sulla paura degli italiani, da cui emerge una certa diffusa insofferenza per l'invadenza sempre più ansiogena della cronaca nera.
Cosa è successo nel frattempo? Probabilmente gli immigrati che fino ad alcuni anni fa sbarcavano nel nostro paese solo per far rotta verso la più produttiva Europa del nord, hanno cominciato a mettere radici e mescolarsi fino a confondersi, buoni, cattivi, italianissimi nelle abitudini quotidiane come dimostra il sondaggio calcistico del portale Stranieri in Italia secondo il quale durante i mondiali -il 49,4% di loro tifava senza remore patriottiche per gli azzurri.
La strada è lunga e accidentata, concordano i direttoci delle principali testate. Gli stereotipi generano pregiudizi e viceversa. Basti pensare alla recente inchiesta dell'istituto Swg di Trieste sui ragazzi italiani, quasi la metà dei quali ammette di essere spaventato gli stranieri. Eppure, un passo avanti e due indietro, alla maniera delle dinamiche d'integrazione, si procede.
Chi, per dire, scommetterebbe su un intero giornale dedicato all'Africa? Pochi avventurosi. Invece il numero mono-grafico de «La Stampa» andato in edicola alla vigilia del G8 del 2009 con storie e voci del vecchio continente batté di 50 mila copie quello record di tre anni prima quando l'Italia era campione del mondo.



Fuga dai Cie, l'estate calda da clandestini

Dina Galano
Terra 21 luglio 2010
Habib è salito sul tetto del Centro di identificazione ed espulsione di corso Brunelleschi a Torino. Una protesta per evitare l'espulsione verso il suo Paese d'origine, la Tunisia; l'ultimo disperato tentativo di difendere il diritto alla libertà. Dopo quasi sei mesi di trattenimento in condizioni disperate, durante le quali gli sono stati somministrati medicinali scaduti e negate cure primarie come testimoniano gli stessi reclusi, lo aspetta soltanto il rimpatrio. Abbandono e reclusione forzata, per il solo fatto di essere "irregolari" per la legge italiana, intensificano l'insofferenza, scaldano gli animi e inducono molti ad atti di auto-lesionismo e scioperi della fame. Qualche volta si tenta la fuga, come è accaduto nel fine settimana nel Cie di via Corelli a Milano e in quello di Gradisca d'Isonzo. Ma, date le condizioni, sarebbe improprio definirle rivolte.
Secondo fonti locali e la rete antirazzista che è in contatto con i reclusi, dopo l'insurrezione al Cie di Gradisca d'Isonzo i mi¬granti avrebbero raccontato di essere stati rinchiusi nei cameroni, senza possibilità di movimento nelle aree comuni, con il cibo fatto passare attraverso le grate senza che la polizia apra nemmeno i cancelli. La denuncia delle condizioni di trattenimento degradante è notoria, convalidata da rapporti di istituzioni europee come il Comitato contro la tortura (Cpt) e di ong autorevoli come Medici senza frontiere. La diffusione di malattie come la scabbia, ma anche la situazione di sovraffollamento e di ini-doneità delle strutture sono state più volte certificate. Al punto che perfino i governatori di quelle quattro Regioni che dovrebbero ospitare i nuovi centri voluti dal ministro Maroni sembrano volersi sottrarre alla decisione. Dopo il diniego della Giunta toscana, ieri anche il presidente delle Marche, Gian Mario Spacca, ha chiarito «l'indisponibilità a condividere la scelta di realizzare un Cie nel territorio». Spiegandone lucidamente i motivi, in una lettera inviata al ministero dell'Interno. «Il trattenimento dei cittadini immigrati in attesa di identificazione si è rivelato ai limiti della legalità, causa di dispersioni di famiglie e fenomeni di autolesionismo e suicidio», si ribadisce ricordando come la Regione si fosse espressa simil-mente già in passato. I centri, per Spacca, sono articolati in modo da «essere considerati lesivi dei diritti umani e fuorviante negli scopi che perseguono». Ciononostante il piano di contrasto alla "clandestinità" a firma leghista prevede la costruzione in tempi brevi di quattro istituti (oltre nei due luoghi citati, uno in Veneto e uno in Calabria) fino a realizzare almeno un centro in ogni territorio regionale. Mentre si moltiplicano i tentativi di fuga dai tredici attualmente esistenti, Medici senza frontiere avverte che, complice il caldo estivo, la situazione «rischia di rivelarsi esplosiva». Milano e Gradisca sono, insomma, ennesimi campanelli d'allarme. Ma i tentativi di evasio¬ne, poi, portano a processo con accuse di danneggiamento, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale che comportano pene che, nel massimo, possono arrrivare a dieci anni di carcere. In questi ca-si, spiega l'avvocato Liliana Marcantonio che cura la difesa di nove migranti coinvolti nella rivolta del 3 giugno scorso al Cie di Ponte Galeria a Roma, «l'unica possibilità è far valere lo stato di necessità. Per le condizioni pietose in cui sono ristretti per la sola colpa di essere regolari, per la pesante pressione fìsica e psicologica, confidiamo che sia rico-nosciuta dal giudice». L'udienza sui fatti di Ponte Galeria, prevista per domani, con ogni probabilità slitterà anche perchè gli avvocati di parte non sanno nemmeno con esattezza dove siano stati trasferiti i loro assistiti. L'ennesima prova che «il diritto di difesa per i migranti è fortemente limitato», aggiunge Marcantonio auspicando «che siano aboliti per-ché la nostra Costituzione prevede il contrario».


Una campagna nazionale sui diritti di cittadinanza e per il diritto di voto ai migranti

arcireport
Un appello per una campagna che porti al deposito in Parlamento di due proposte di legge di iniziativa popolare, questo in sintesi quanto deciso a al Meeting di Cecina durante un incontro che ha visto una partecipazione ampia e qualificata di esponenti di associazioni, del sindacato, degli enti locali e dei partiti. L’appello, sottoscritto inizialmente da un comitato promotore di singole personalità, parte da un dato: oggi in Italia vivono quasi 900.000 minori stranieri, la maggior parte dei quali nati nel nostro paese, ma che solo al compimento della maggiore età si vedono riconosciuto il diritto a chiederne la cittadinanza. Sono ragazze e ragazzi che spesso non hanno nemmeno mai visto il paese d’origine dei loro genitori e che si considerano a tutti gli effetti parte della comunità in cui vivono. Questi ‘nuovi’ cittadini non godono però degli stessi diritti e delle stesse opportunità degli altri, sono ‘meno uguali’ e questo genera ingiustizie che vanno sanate. I firmatari dell’appello si impegnano quindi a lanciare una campagna volta a promuovere in ogni ambito l’uguaglianza tra cittadini stranieri e italiani, contribuire a rimuovere gli ostacoli che ne impediscano la concreta realizzazione, favorire la partecipazione e il protagonismo dei migranti in tutti i settori. Lo sbocco delle decine di iniziative di sensibilizzazione che verranno organizzate da settembre in tutta Italia, sarà la presentazione in Parlamento di due proposte di legge, una che riformi la normativa attualmente in vigore sulla cittadinanza, introducendo il principio dello ius soli; l’altra che riconosca ai migranti il diritto di voto nelle elezioni amministrative.


arcireport
Solo 14 su mille immigrati ufficialmente residenti in Italia riescono a ottenere la cittadinanza (dati Eurostat), a fronte di una media dei paesi Ue di 23. Dei quasi 900mila minori stranieri presenti (il 22,2% dei residenti), oltre il 60% è nato nel nostro Paese, ma solo al compimento della maggiore età si vedrà riconosciuto il diritto a chiederne la cittadinanza. Si tratta di bambini e ragazzi che non sono venuti dall’estero, spesso non hanno nemmeno ai visto il Paese d’origine dei loro genitori e considerano l’Italia il loro paese. Questi ‘nuovi cittadini’ non godono però degli stessi diritti e delle stesse opportunità degli altri. Anzi, di fronte trovano molto spesso ostacoli e limitazioni del tutto ingiustificate, che danno luogo a ingiustizie e persecuzioni. Provvedere a sanare queste disuguaglianze è un compito non più rinviabile. Da troppo tempo se ne discute senza arrivare mai ad un’azione legislativa che codifichi questi diritti, come invece sarebbe necessario per costruire quel futuro di convivenza, giustizia ed uguaglianza che consenta ad ogni individuo che nasca nel nostro paese di essere a tutti gli effetti cittadina/o italiana/o. Di questo si è discusso nell’incontro che si è tenuto al Meeting antirazzista di Cecina lo scorso 16 luglio, insieme a molti interlocutori del mondo dell’associazionismo, del sindacato, degli enti locali, dei partiti. Tutti, pur nella diversità di culture e ruoli, hanno concordato sulla necessità di lanciare una grande Campagna unitaria sui diritti di cittadinanza e per il diritto di voto, accogliendo i contenuti di un appello che verrà lanciato da un comitato promotore di singole personalità, a cui si potrà aderire a livello collettivo o individuale. A settembre si partirà con iniziative nei diversi settori di intervento di ognuno degli aderenti - nelle scuole, come nei luoghi di lavoro o nei circoli - con l’obiettivo promuovere in ogni ambito l’uguaglianza tra le persone di origine straniera e italiana, operando affinchè vengano rimossi gli ostacoli che ne impediscono la piena realizzazione; per favorire la partecipazione e il protagonismo dei migranti in tutti i settori sociali, lavorativi e culturali. Lo sbocco di questo percorso sarà il deposito in Parlamento di due proposte di legge di iniziativa popolare. Una che riformi la normativa sulla cittadinanza con l’introduzione dello ius soli (diritto che deriva dalla nascita su un determinato territorio), aggiornando i concetti di nazione e nazionalità sulla base del senso di appartenenza a una comunità; l’altra che riconosca ai migranti il diritto di voto nelle consultazioni locali, quale strumento più alto di responsabilità sociale e politica. La raccolta delle firme necessarie al deposito delle proposte di legge sarà anche un mezzo per aggregare energie, sollecitare riflessioni e iniziative, riportare il tema della cittadinanza all’attenzione dell’opinione pubblica e al centro del dibattito politico.



Islam, il centro destra perde la bussola

Saleh Zaghloul – italiarazzismo.it
Dall’articolo de La Stampa del 15 luglio “E la battaglia contro il niqab parla l’arabo”, si evince che il centro destra (e lo stesso giornale), per sostenere la propria proposta di proibire il velo integrale in Italia, prende esempio dai paesi arabi, che hanno proibito il velo, licenziato le donne con il velo, non le fanno salire in taxi, entrare nei ristoranti, avvicinarsi alla spiaggia. Il centro destra non vive un momento particolarmente felice, ma non ci si aspettava che la confusione fosse a questi punti: da una parte sostiene che tutti i paesi del Medio Oriente sono governati da regimi non democratici, dall’altra ci invita a prenderli come punto di riferimento per le nostri leggi. “Con una legge contro il burqa – afferma Ahmad Gianpiero Vincenzo, presidente dell’Associazione Intellettuali Musulmani Italiani - si otterrebbe solo che le donne in questione, per fortuna molto poche in Italia, resterebbero segregate in casa. Piuttosto andrebbero varate norme che garantiscano l’assistenza sociale contro le discriminazioni ed i comportamenti forzati all’interno delle famiglie”. A parte intellettuali musulmani, sinistra italiana, francese ed araba, è stato lo stesso presidente Barak Obama, l’8 giugno 2009, nel suo famoso discorso del Cairo ad invitare i paesi occidentali a non ostacolare i musulmani nella pratica della loro religione, criticando quei paesi che dettano “gli abiti che una donna deve portare”. Coerentemente, alcuni giorni fa, il portavoce del Dipartimento di Stato Philip Crowley, ha dichiarato l’opposizione di Washington al disegno di legge volto a proibire il velo integrale in Francia: “non crediamo sia opportuno legiferare su ciò che le persone hanno diritto o non hanno diritto di indossare in conformità con le loro credenze religiose”. Ed ha aggiunto che negli Stati Uniti adottiamo altre misure per raggiungere un equilibrio tra sicurezza da un lato e il rispetto della libertà religiosa e dei suoi simboli dall'altro.  Il centro destra, portato alla confusione da atteggiamenti xenofobi e islamofobi di alcuni suoi personaggi, sembra aver completamente perso la bussola: ma siamo veramente sicuri che in questioni di libertà e democrazia sia meglio seguire i regimi arabi piuttosto che gli Stati Uniti d’America?



Informazione e immigrati Ancora troppi stereotipi

Jolanda Bufalini
21 luglio 2010 l'Unità
Il turning point è la strage di Erba, un fatto di cronaca nera che più nera non si può. Ma anche un fatto di ordinario razzismo: il primo sospettato dell’orrenda strage fu il padre e marito e suocero marocchino di tre delle vittime. È allora che, per iniziativa dell’Unhcr e della Fnsi nasce la Carta di Roma. Lo stereotipo razzista entra nei fatti di cronaca come la lama nel burro, complici la fragilità culturale e l’imperativo categorico del giornalismo: vendere copie, vincere la gara dell’audience, giocare sulla paura. Poi c’è il tempo della rivolta: gli eventi di Rosarno per i quali i grafici mostrano un picco di attenzione dell’opinione pubblica che stacca persino gli eventi sportivi. È così che matura il progetto di un osservatorio coordinato da Mario Morcellini (La Sapienza, Roma) ma al quale partecipano molti altri atenei, da Torino a Palermo: un network con l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, con le associazioni, i politici, gli imprenditori che si occupano dei problemi dell’immigrazione per tenere sotto osservazione le testate giornalistiche, i loro vizi e le loro virtù, in bilico fra il mostro sbattuto in prima pagina, salvo poi a ricredersi e il “buonismo” dietro cui si nasconde un’altra insidia. La spiega Mario Calabresi, direttore della Stampa: «Un punto di vista buono suona bene se si parla di immigrazione ma non suonerebbe bene se quella benevolenza fosse rivolta al potere politico». Vuol dire che non può essere quello l’approccio corretto di chi fa il mestiere del giornalista. Approccio corretto è, per esempio, «la normalità della presenza dei macedoni senza cui in Piemonte non si produrrebbe più Barolo» O la normalità dei lavoratori stagionali nella raccolta delle arance, dei pomodori, dell’uva.
Bad news and Good news vengono fuori dal rapporto sul nostro mestiere. Cattivo, lo sottolinea Laura Boldrini, è «l’atteggiamento acritico con cui si accolgono le dichiarazioni istituzionali».

Per esempio: il ministro dell’interno Maroni che all’origine della rivolta di Rosarno mette «la troppa tolleranza verso i clandestini». Quando invece, il 70% dei braccianti avevano regolare permesso di soggiorno ma lavoravano in nero. Clandestini, quindi, i datori di lavoro. Per esempio quando si indica come obiettivo di contrasto agli ingressi irregolari Lampedusa: poche migliaia di persone a fronte dei 400mila l’anno di nuovi immigrati che arrivano. E ora si indica Malpensa, «ma all’aeroporto milanese sono pochissimi quelli che tentano l’ingresso irregolare». Disperati sì ma fessi no, verrebbe da dire, e lo spiega Claudio Martelli, che firmò da ministro la prima legge sull’immigrazione italiana: «Almeno la metà dei respinti di Lampedusa hanno diritto all’ingresso perché vengono da teatri di guerra mentre ve lo immaginate uno che tenta di superare senza documenti la barriera doganale di un grande aeroporto internazionale?».

Fra le cattive notizie Laura Boldrini ricorda un titolo di Feltri: «Sta volta hanno ragione i negri». La parola negro ha una storia ed è una storia di disprezzo. E verrebbe da aggiungere un titolo tre volte razzista: gli immigrati africani hanno di solito torto, fa notizia, quindi, che abbiano ragione ma, guarda caso, hanno ragione contro una popolazione del sud, «terroni», direbbe Feltri.
Fra le notizie buone c’è, invece, l’attenzione alle spiegazioni sociali, di contesto che una parte del gionalismo ha cercato durante i giorni della rivolta (particolarmente elogiata La Stampa): l’erogazione dei finanziamenti Ue ai frutti lasciati sugli alberi, il prezzo bassissimo pagato per le arance al coltivatore.

Fra le notizie buone c’è anche l’ingresso, nelle testate nazionali, di giornalisti e scrittori che parlano in prima persona della condizione degli immigrati, come Igiaba Scego e Amara Lakhous sulle pagine de L’Unità. Peccato, nota Concita De Gregorio, che siano «cose che non fanno notizia, così come da noi non fa notizia ciò che è importante nel resto del mondo». In Italia, «ha vinto il giornalismo del gossip - fa eco Marco Sassano - eppure noi le inchieste le sapevamo fare».







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