Morire nel Mediterraneo

 

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                         2013          1050

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

16 dicembre 2013

Immigrati, non solo emergenza I media scoprono i nuovi italiani
La Stampa, 16-12-2013  
FRANCESCA PACI
ROMA - L'Italia non è più quella dei «vu cumprà», l'espressione con cui negli anni '80 venivano identifiçati gli ambulanti stranieri, immigrati pionieri in un Paese fino a poco tempo prima costretto a emigrare, E non perché i flussi siano calati. Anzi, L'Italia è con la Spagna la nazione europea che negli ultimi 10 anni ha registrato la crescita più significativa di popolazione straniera con un incremento del 211% (in Francia è stato del 20%). Ma, nonostante le spinte populiste amplificate dalla crisi economica, è mutata in meglio la narrativa, il modo con cui raccontiamo ogni giorno quelli che inevitabilmente sono sempre meno «altri» e sempre più vicini di casa o di scrivania.
A fotografare il cambiamento (non rivoluzionario ma importante) è il primo rapporto dell'Associazione Carta di Roma presentato stamattina alla Camera dei Deputati. L'Associazione, nata due anni fa per monitorare l'applicazione del codice deontologico sui mi- granti firmato dall'Ordine dei giornalisti, la Federazione Nazionale della Stampa e una ventina di organizzazioni della società civile (Carta di Roma), fa il punto su come i media nazionali hanno raccontato gli stranieri nel 2012.
Tanto per cominciare la normalità. Diminuisce dalle prime pagine il peso della cronaca (la nera resta in testa col 39%) mentre si parla più frequentemente di demografia, economia, cultura (14%), società (22%), razzismo (13%). Fanno eccezione le testate locali (dove la cronaca resta al di sopra del 50%) ma la tendenza diffusa è quella di dare maggiore spazio alla quotidianità delle vite individuali.
Il 2012 è stato segnato da due temi significativi, gli sbarchi e lo «ius solis» (l'acquisizione della cittadinanza come conseguenza del fatto di essere nati in uno Stato). Il primo ha interessato il 20% delle notizie e il secondo il 19%. Ma il dato più interessante è il nuovo protagonismo delle seconde generazioni, i figli degli immigrati che vedono confermato nella rappresentazione della realtà il loro realissimo ruolo di mediatori culturali. Anche sull'hijab, il velo delle musulmane, c'è un lieve aggiustamento di tiro. Sebbene il 63% delle notizie religiose riguardino l'islam (un trend dominante dall'11 settembre 2001 in poi) l'approccio è meno straniante: pur identificando sempre una diversità, il velo è anche l'accessorio di ragazze non succubi ma attive nel riven- dicare i propri diritti.
Le donne restano il punto debole. Sebbene siano ormai la meta dei nuovi Cittadini figurano poco (solo il 17% delle notizie parla esclusivamente di loro contro il 53% riservato agli uomini) e nel caso di femminicidi le straniere vengono descritte con assai meno dettagli delle italiane. In compenso quando si parla di bambini stranieri viene quasi sempre rispettata la Carta di Treviso (sui diritti dei minori)
Se, come sosteneva Heidegger, il linguaggio è la casa dell'essere, siamo migliorati. O forse semplicemente la convivenza è l'antidoto più naturale all'allarmismo. A condizione di non smettere mai di monitorare.



Governo Merkel, la sfida di Aydan “la turca” “Da Berlino segnale forte per tutti i migranti”
La nuova ministra all’Integrazione:“La xenofobia, un male europeo”
la Repubblica, 16-12-2013
ANDREA TARQUINI
BERLINO — «Non penso al mio successo personale, ma al segnale per tutti i migranti in Europa». Elegante in giacca grigia e pantaloni neri, Aydan Özoguz trattiene l’emozione del momento. 46 anni, figlia di turchi emigrati qui nel 1958 che mantennero la famiglia lavorando sodo nella loro bottega di alimentari, da domani sarà ministro per i migranti, lavorerà alla Cancelleria a pochi passi dall’ufficio di Angela Merkel. Laureata in letteratura anglosassone, Spd come il marito, una figlia, è la novità del momento: prima donna di origine turca chiamata nell’esecutivo.
Ministro Özoguz, da chi ha ricevuto le prime felicitazioni?
«Da molti politici tedeschi. E da un solo ministro turco, il titolare dei rapporti con l’Unione europea ».
Vede la nomina come un balzo in carriera?
«No. È un chiaro segnale a migranti e cittadini d’origine straniera. Hanno salito altri gradini nella scala verso il sentirsi a casa. Significa che un migrante che voglia impegnarsi, anche in politica, perché si sente parte di questo paese, può farlo, fino a entrare nel governo».
E per i molti giovani tedeschi d’origine turca?
«È l’incoraggiamento a sentirsi accettati anche con un nome difficile. Proprio loro sono stati i più calorosi con me: da ieri mattina ricevo sms e e-mail di congratulazioni a valanga da giovani d’origine straniera seguaci d’ogni partito. Divisi in politica, si sentono uniti dalla storia d’immigrazione loro o dei genitori, perché significa non vivere ancora la piena normalità».
Perché ha scelto di darsi alla politica?
«L’ho scelto dodici anni fa, il tema dell’integrazione era già vivo. Sono felice di potermi concentrare nel governo sul tema: è la sfida di decidere insieme che cosa tiene unita questa società. La sfida di evitare spaccature, di chiarire malintesi — quando si parlano lingue diverse, quando emergono insicurezze — per un vera distensione interna».
Lavorerà a un passo dalla cancelliera, che rapporto ha con lei?
«Nei negoziati per il governo abbiamo cominciato a conoscerci, ci siamo sempre strette la mano, ora lavorerò là accanto a lei, al massimo livello in cui si possa sedere in Germania. È una sfida che accetto volentieri».
Molti migranti criticano il compromesso Spd-Cdu/Csu sulla doppia cittadinanza. Che ne dice?
«È un compromesso, ma toglie un’ansia soprattutto ai più giovani e ai più piccoli: non dovranno più, da maggiorenni, scegliere se essere cittadini di questo o quest’altro Stato, quando invece si sentono appartenenti a entrambi ».
Lei è simbolo d’un doppio successo: per le donne e per i migranti. Come si sente, sul piano delle emozioni?
«È molto bello, è molto importante. Proprio per molte donne che sperano nell’integrazione per una vita migliore. Se non parlano tedesco si sentono molto insicure. Ho lavorato molto con le Ong che aiutano queste donne a emanciparsi. Da donna il tema integrazione lo vivi in modo speciale. Per questo impegno vale la pena anche di lavorare a Berlino con marito e figlia ad Amburgo, mio marito è al mio fianco. Saprò essere sia ministro a tempo pieno sia mamma, col suo aiuto».
È ottimista sul lavoro con Angela Merkel, donna ma conservatrice?
«La signora Merkel è aperta su molti temi. Proviamo. Ma ricordi: è stata la cancelliera a creare in passato il ministero per i migranti. Perciò sono molto ottimista che andremo avanti».
Ovunque in Europa il populismo xenofobo avanza. Quanto lo teme?
«È un problema che prendo molto sul serio. Prima di tutto pensando alle elezioni europee ho chiesto di fare del confronto col populismo xenofobo una priorità. Situazione meno acuta in Germania per via del passato, però c’è stata la Nsu (il partito armato neonazista che ha assassinato per anni migranti, ndr).
Ovunque ci sono tendenze molto pericolose. Perciò è importantissimo che una società sappia mostrarsi unita e forte con tanti diversi volti, nomi e origini. Il nuovo governo aumenterà di molto gli aiuti alle organizzazioni antirazziste, anche questo è un segnale chiaro».



Alfano: "Sullo ius soli si può lavorare"
"Ma deve essere strettamente collegato al ciclo scolastico"
stranieriinitalia.it, 16-12-2013
Roma, 16 dicembre 2013 - "Non possiamo accogliere tutti. Sullo ius soli si può lavorare, ma deve essere chiaro che non possiamo aprire la porta a tutti e lo ius soli deve essere strettamente collegato al ciclo scolastico".
Lo ha detto il vicepremier e ministro dell’Interno Angelino Alfano a 'In mezz’ora' di Lucia Annunziata.
"Se mi si viene a dire che il bambino nato in Italia che studia in Italia è italiano - ha commentato Alfano - da parte nostra c'è disponibilità, ma l'Italia non deve diventare un'immensa sala parto in cui si viene per far nascere italiano un bambino, siamo comunque per la linea dura contro l'immigrazione clandestina".



Ancora immigrati a Lampedusa
Sono giunti sull'isola i 275 extracomunitari soccorsi dalla nave San Marco della Marina militare (nella foto). Altri 76 erano arrivati precedentemente.
LiveSicilia.it, 16-12-2013
LAMPEDUSA (AGRIGENTO) - Sono arrivati, altri 275 extracomunitari stamattina a Lampedusa. I migranti erano stati soccorsi dalla nave San Marco, nel Canale di Sicilia. Sono adesso complessivamente 680 le persone nel centro d'accoglienza di contrada Imbriacola. Stanotte, dopo essere stati soccorsi dalla nave Cassiopea della Marina, erano giunti sull'isola altri 76 migranti.
Il barcone con 275 migranti a bordo è stato localizzato a circa 110 miglia a sud di Lampedusa durante un'attività di pattugliamento aereo da parte degli elicotteri della Marina militare, con il supporto delle motovedetta CP 403 della Capitaneria di Porto. Scattati i soccorsi, i marinai dell'unità si sono trovati davanti a un barcone ormai impossibilitato alla navigazione a causa del sovraffollamento e totale assenza di dotazioni di sicurezza: tra le 257 persone a bordo, 39 donne di cui 2 incinte, e 15 bambini, anche di pochi anni, provenienti per lo più da Eritrea, Siria, Etiopia e Tunisia. L'operazione, resa complessa dall'oscurità, si è conclusa positivamente alle 22.23 utilizzando due gommoni veloci e un mezzo da sbarco, solitamente in uso alla Brigata Marina San Marco. Tutti i migranti hanno ricevuto una pronta assistenza sanitaria dal personale medico di bordo, supportato dai medici della Fondazione Rava, e anche se molto provati sono in buone condizioni di salute. Sono stati rifocillati e accuditi dai membri dell'equipaggio fra i quali è scattata da subito una gara di solidarietà.

 


La comunità etiope a Milano si è unita. E non era scontato
Corriere.it, 16-12-2013
Daniel Lemlem
Uno dei primissimi insegnamenti che apprende l’essere umano è quello di farsi sentire: un neonato, quando ancora non possiede l’uso della parola, è già consapevole che l’unico mezzo di cui dispone per attirare a se l’attenzione della mamma è piangere. Se è affamato o infastidito, non potendo parlare, utilizza l’unico strumento a sua disposizione: la voce. E così strilla. Quando non si possiede la parola, urlare forse diventa l’unico mezzo per farsi sentire.
    Questo è quello che è accaduto a Milano il 23 Novembre in P.zza S.Babila, sulla scia delle altre grandi città europee e del mondo in cui nei giorni precedenti le persone si erano già mobilitate per protestare. In una mattina d’inverno, molto fredda, in una piazza centrale del capoluogo lombardo, la comunità etiope di Milano ha indetto una manifestazione di protesta pacifica per dire a gran voce di fermare le violenze contro il popolo etiope in Arabia Saudita. STOP ALLA VIOLENZA IN ARABIA SAUDITA CONTRO IL POPOLO ETIOPE
È questo il primo slogan che potente si diffonde nella piazza tra i circa cento presenti del presidio che lo intonano a gran voce. Un coro di protesta, di solidarietà ma anche di speranza e allo stesso tempo di frustrazione. Da New York a Los Angeles, a Stoccolma, Parigi, Londra, Roma, Milano… tutti i figli d’Etiopia che vivono in diaspora si sono uniti per gridare al mondo di ascoltare. Tutto il circuito dell’informazione libera internazionale e le varie ONG hanno completamente taciuto sulla situazione saudita: una storia che non può non essere raccontata. Tutto nasce nel momento in cui il governo saudita, a seguito delle recenti modifiche alla legge sul lavoro, non appena scaduti i termini della sanatoria concessa ai lavoratori stranieri per adeguarsi alle nuove regole ha obbligato tutti i cittadini stranieri irregolari a lasciare il paese entro 24 ore. La comunità etiope del posto si è esposta manifestando contro questo provvedimento e a quel punto è diventata vittima sacrificale di una vergognosa caccia all’uomo, anzi “caccia all’etiope”.
Per giorni si è consumata una mattanza in cui numerosi cittadini sauditi, trasformatisi in belve feroci assetate di sangue, in molti casi con la connivenza di membri delle stesse forze dell’ordine, si sono riversati nelle vie delle città in veste di “giustizieri” fai da te, andando casa per casa a “stanare” i nemici, coloro che si sono permessi di opporsi all’espulsione indiscriminata degli stranieri dal paese. Sono stati giorni in cui per essere picchiato, violentato, decapitato, a prescindere dall’età, credo o sesso bastava essere identificato come etiope (indipendentemente dalla propria posizione regolare o meno all’interno del paese). Ciò che colpisce è che, sebbene gli stessi autori di queste atrocità non abbiano esitato a filmare e pubblicare sul web i loro crimini queste notizie sembrano non essere affatto pervenute all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale. Esistono silenzi più assordanti del fragore del più grande di tutti i terremoti, verità sommerse da un mare di petrolio che tutto copre.
Noi figli d’Etiopia ci siamo ritrovati ad essere proprio come quel neonato che non possiede parola e di conseguenza ci siamo riuniti tutti quanti in un solo grido per richiamare l’attenzione delle istituzioni e dei mezzi di informazione e fare concretamente qualcosa. Tra le grosse bandiere nazionali etiopi e i vari striscioni scritti in italiano ci sono stati alcuni cartelloni con delle immagini molto forti, fotogrammi che trafiggono: bambine maltrattate, picchiate, impiccate…scene che hanno avuto il potere di distogliere i passanti, anche se per un attimo, dalla frenesia che ci porta ad essere schiavi della lancetta dell’orologio così impegnati da interessarci solo a ciò che ci riguarda strettamente, osservando tutto il resto in modo superficiale e continuando ad andare avanti. Negli Usa dicono “The show must go on”…
Varie persone si alternano al megafono per esprimere un pensiero in lingua amarica e in italiano, anche io prendo la parola, io che mi sento figlio del mondo, nato in Italia da padre etiope e madre eritrea, mi sento come mai vicino al mio popolo e lo urlo con tutto il fiato che ho in corpo. È un momento importante di unione: W l’l'Etiopia! W Etiopia! W l’Africa! W il mondo! Eritrea ed Etiopia fratelli e sorelle! Siamo tutti figli di Dio! Stop alla violenza! Ripeto più volte queste parole molto semplici ma che riassumono l’essenza del mio pensiero. Credo davvero che il segreto della vita risieda nella semplicità. Sono tre ore cariche di molteplici significati, ma credo che il più importante sia stato quello di vedere il popolo etiope – che al suo interno presenta un’ infinità di diversità culturali, di lingue ufficiali (se ne contano più di 80), di centinaia di etnie e tribù differenti e di quelle diversità che spesso in Africa sfociano in guerre sanguinose tra clan e gruppi rivali,  come le dita di una mano che si chiudono in un solo pugno per gridare ad alta voce l’amore per la madrepatria.



Corigliano, "Tu lavori, i prendo i soldi", dietro i mandarini di Natale violenza e tensioni
All'inizio della stagione di raccolta degli agrumi la tensione a sfondo razzista cresce tra italiani e stranieri. In gioco il delicato equilibrio tra lavoratori sottopagati e falsi braccianti. Sullo sfondo: donne assassinate, incendi, sfruttamento, 'ndrangheta. Non manca niente nella Piana di Sibari, uno dei distretti agricoli più importanti del Sud. Che produce metà delle clementine che stanno arrivando sulle nostre tavole
la Repubblica.it, 13-12-2013
ANTONELLO MANGANO
Corigliano, "Tu lavori, i prendo i soldi", dietro i mandarini di Natale violenza e tensioni
CORIGLIANO (CS) - La tensione sta crescendo. Tra italiani e stranieri dell'Est l'equilibrio è fragile. Questa è una zona dove i salari sempre più bassi - siamo ormai a 10 euro al giorno - hanno espulso gli altri braccianti, i magrebini sono praticamente spartiti. Raccogliere le clementine di Sibari è "un lavoro che gli africani non fanno più". Il patto sociale tra autoctoni e no è basato su una regola unica: voi nei campi a raccogliere, noi a casa a prendere l'indennità Inps. Finora è andata bene.
L'esercito dei falsi braccianti. Ma dopo l'inchiesta "Senza Terra" della Procura di Cosenza sembra che tutto possa saltare. L'esercito di falsi braccianti che riceve la disoccupazione, appunto, senza aver visto un metro di terreno rischia il blocco delle indennità. Qualche rumeno che lavora tutto l'anno inizia a chiedere i suoi diritti. Il welfare del lavoro stagionale è nato per permettere a chi lavora saltuariamente di non patire la fame. Oggi serve a tutt'altro. Le tabelle Inps sono surreali. Settantenni calabresi lavorano sistematicamente 101 giornate (quelle sufficienti a prendere i soldi), aitanti ventenni rumeni non superano le cinque.
Il lavoro che gli africani non fanno più. Piccole, dolci e senza semi. Sono le clementine che a Natale invadono i supermercati italiani. Probabilmente tutti ne mangeremo almeno una. Senza sapere cosa c'è dietro. Negli ultimi tempi il distretto agricolo della Piana di Sibari è diventato un concentrato di violenza e sopraffazione che colpisce soprattutto le donne. A cui si oppongono, pericolosamente in solitudine, altre donne. Ma fuori dai riflettori ancora accesi sulla vicina Rosarno. Lo scorso ottobre alcuni automezzi andarono a fuoco nella piazza principale del paese, proprio sotto il castello che domina il paese. Erano i mezzi dei caporali, secondo alcuni. Furgoni guidati da stranieri che conducono i braccianti nei campi. In un comune sciolto per 'ndrangheta, nessuno compie in autonomia un atto del genere in pieno centro. Ma finora nessuna ipotesi è stata confermata.
Gli annunci ambigui. A dicembre, come ogni anno, arrivano migliaia di lavoratori dell'Est per raccogliere la frutta a salari infimi. Attirati da annunci ambigui, reclutati da agenzie, portati da parenti e amici. Salgono su un pullman che attraversa mezza Europa. Scendono a una fermata annotata su un foglietto di carta. Chiamano un cellulare. Dormono in uno scantinato condiviso con decine di altre persone, uomini e donne insieme. Il mattino dopo un furgone li porterà negli agrumeti. Dieci ore di lavoro e nessuna domanda. Vengono da Botosani, la provincia più povera della Romania. Oltre un anno fa  -  il 24 novembre - sei di loro furono falciati da un treno mentre attraversavano un passaggio a livello. Morirono senza sapere dove si trovavano, con la beffa dell'unico treno del giorno che li stroncava.
Le donne doppiamente sfruttate. Le donne sono tante e doppiamente sfruttate. Il lavoro agricolo si sovrappone alla prostituzione. Tratta ma non solo. In strada ti può portare il fidanzato, spiegandoti che è per breve tempo e tra poco sarà tutto finito. Pochi euro per una giornata nei campi, poco più per una prestazione sessuale. Sulla famigerata statale 106, per circa 600 metri, una surreale zona a luci rosse che sa tanto di autorizzazione mafiosa. Ma che non protegge dalla violenza omicida.
Un sacco nero. Florentina l'hanno ritrovata in un sacco nero, di quelli della spazzatura. Un cliente le aveva chiesto di convivere e lasciare la strada. Il rifiuto l'ha pagato con una decina di coltellate. Il padre è venuto a riprendersi il corpo ma gli hanno spiegato che una salma torna in patria solo se ha il "passaporto mortuario". Stranamente, l'Italia che si era commossa per la morte della quindicenne Fabiana Luzzi, ha serenamente ignorato la fine violenta di una ragazza rumena. Morta in circostanze altrettanto tragiche e nello stesso paese. Ogni settimana la cronaca nera riporta di aggressioni a donne dell'Est, spesso letali. La forma mentis dei criminaloidi locali è semplice: la donna è un oggetto. E se non c'è un uomo che la vendica è meno di un oggetto.
Gli scontri tra protettori albanesi e rumeni. Campagne e prostituzione, un binomio sempre più frequente in tutto il Sud. Lo scorso ferragosto un albanese è stato ammazzato sulla spiaggia di Schiavonea. È rimasto per ore nella sabbia prima che lo ritrovassero. Scontri tra protettori, rumeni contro albanesi? Nella spettrale zona industriale si trovano improbabili "discoteche rumene", ai margini dei campi nascono locali equivoci dove si vende carne umana. Violenza selvaggia sulle donne, grave sfruttamento dei lavoratori, 'ndrangheta, truffe di massa e prostituzione. Non manca niente. Ma è anche uno dei distretti agricoli più ricchi del Sud. I maggiori supermercati italiani comprano qui. Sulla nostra tavola natalizia, la prossima volta che vedremo un mandarino, dovremo pensare a quello che nasconde.

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