Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

14 giugno 2011

 

L’odissea dei trasferimenti, Lampedusa e le nuove galere 
Terra 14 giugno 2011
Dina Galano
Se non si arriva alla pace si può sempre respingere i barconi con le navi da guerra». La frase, inserita in una copiosa intervista sulle pagine del Corsero,, proviene dal ministro Roberto Maroni e riassume esaustivamen-te il piano del governo per impedire gli arrivi e sostenere la tesi della ritorsione incoraggiata dal Colonnello. Soprattutto dopo che è stato provato che dalla Libia si parte ormai senza pagare il viaggio e che, secondo altre fonti, vi sarebbero tracce di un interessamento delle mafie italiane nel traffico mediterraneo. Ma i dati del Viminale sono puntualmente ridimensionati dalle autorità internazionali che invitano a non creare allarmismi. «Meno del 2% delle circa 900mila persone che sono fuggite dalla Libia a causa dei combattimenti e dei bombardamenti della Nato sono arrivate in Europa», ha sottolineato il capo dellAl-to commissariato dell'Orni per i rifugiati, Antonio Gu-terres. «Dei profughi che hanno lasciato la Libia, la maggioranza   provenivano da altri Paesi e lavoravano da immigrati». I tre nuovi Cie
A essere chiuso, invece, in seguito a sequestro probatorio è stato il Centro di identificazione ed espulsione creato ad hoc all'interno dell'ex caserma Andolfato di Santa Maria Capua Vetere (Caserta). Una struttura definita una «Guantanamo» per le condizioni di detenzione dei circa 90 migranti di origine tunisina, costretti a dividere in sei tende poste nel piazzale cinto da mura e filo spinato. Nella notte tra martedì e mercoledì scorso la protesta degli ospiti ha portato il centro alle fiamme e, in seguito, all'intervento della magistratura e alla chiusura del Cie. Non si contano gli atti di autolesionismo, i tafferugli e gli abusi per sedare le insurrezioni che avevano anticipato l'incendio. Secondo i difensori dei migranti «al di là delle specifiche responsabilità, l'incendio divampato nel campo conferma, senza alcuna possibilità di smentita, l'estrema pericolosità e la totale inadeguatezza del luogo in cui da un giorno all'altro è stato istituito un centro per il trattenimento coatto di centinaia di persone». Ora parte dei trattenuti è stata trasferita al Cara di Foggia, altri in quello di Crotone. L'ipotesi sempre più accreditata, tuttavia, li vede in viaggio per la Sicilia, destinazione il nuovo centro di identificazione e espulsione di Trapani. Nella contrada di Kinisia da tempo tutto è pronto per l'apertura del Centro, anche questo disposto per atto governativo. A metà aprile, infatti, con una ordinanza si trasformavano Kinisia, Santa Maria Capua Vetere e Palazzo San Gervasio in luoghi temporanei di trattenimento per i migranti fuggiti dalla Libia. Tre nuovi Ciet (in cui la T indica la temporaneità) che dovrebbero salvo proroghe rimanere in vita fino a dicembre 2011. Con il sequestro della struttura dell'ex caserma casertana e l'attesa entrata in funzione del Ciet di Kinisia, l'unico a funzionare è quello della cittadina di Palazzo San Gervasio.
Il Ciet di Palazzo (Pz) «Da circa trenta giorni i reclusi nel Ciet di Palazzo San Gervasio non riescono a incontrare nessuno che non sia gli operatori della Connecting People e i gendarmi deputati alla sicurezza», riferiscono dall'Osservatorio migranti Basilicata. «Quello di Palazzo sembra essere il Cie più isolato d'Italia non solo per la distanza che corre dai centri di potere romani e regionali ma anche per l'assenza completa di qualsiasi ente o partito vicino alla comunità e ai reclusi». Condizioni disumane all'interno, impossibilità di interlocuzione con gli avvocati all'esterno. E il timore che il centro, che in origine ospitava gli stagionali impegnati nella raccolta dei pomodori, diventi presto definitivo. Dopo l'inchiesta di Repubblica che ha mostrato le immagini shock delle violenze e della tensione tra i 57 tunisini ristretti, il governatore lucano De Filippo ha preso posizione rivendicando il diritto ad entrare, più volte negatogli. «Non ci hanno avvisato nemmeno quando è stata allestita la prima tendopoli, l'abbiamo scoperto per caso - racconta il presidente della Regione -, abbiamo avuto segnalazioni dal territorio che c'erano ruspe in movimento di notte in quella zona, l'evoluzione da Cai (centro    di    accoglienza e identificazione) a Cie è stata fatta senza nessuna informazione. Oggi sappiamo che nessuno   può   entrare» e la cosa risulta  «insopportabile». Il Partito democratico ieri ha annunciato un'interrogazione al ministro Maroni mentre altri parlamentari d'opposizione sarebbero pronti a chiedere l'autorizzazione a visitare il centro e verificare le condizioni di trattenimento. Sabato scorso erano arrivate 1.500 persone, partite su sette barconi dalle coste libiche, dopo giorni di stallo. E si è riproposto il solito cliché: centro di Lampedusa affollato, urgenza di procedere ai rimpatri, trasferimenti con la Excelsior verso la terraferma, smistamen-
to sul territorio, fermo nei Centri di identificazione. La tendopoli di Manduria, in Puglia, è tornata protagonista quando, dopo il sovraffollamento e le successive fughe nei primi mesi dell'anno, non avrebbe poi più dovuto essere utilizzata. Ma Lampedusa va svuotata delle oltre mille persone che ancora ospita. Il sindaco De Ru-beis ieri è arrivato in missione nel-
la capitale e al tavolo tecnico con il ministro allAmbiente Prestigia-como, coordinatrice degli interventi sull'isola, ha chiesto di «non far fallire le 370 imprese» che vivono di turismo. Dal ministro, la rassicurazione che «una task force sarà al lavoro per presentare la settimana prossima la scaletta degli adempimenti necessari». Perché l'estate sull'isola sarà lunga e particolarmente "calda'.
 
 
 
 
 
 
 
La resa di Lampedusa:"Abbandonati dai turisti"
La Stampa 14 giugno 2011
Laura Anello
LAMPEDUSA (Agrigento)
Se non fosse che in costume da bagno si è dispensati dal saluto militare, qui alla spiaggia della Guitgia sarebbe tutto uno scattare sull'attenti. «Buongiorno, capitano», scatta un tenente abbronzato trattenendosi a stento dal portarsi la mano alla testa. «Salve, maggiore», scandisce un sottufficiale unendo i talloni sulla sabbia. Sì, sono loro adesso - le forze armate finite sul fronte di una guerra annegata nell'azzurro come nel film «Mediterraneo» - i più assidui frequentatori dell'isola di Lampedusa. Colonnelli, marescialli, sergenti, funzionari della Protezione civile, operatori umanitari, medici, mediatori culturali. I turisti, quelli veri, arrivano con il contagocce. «Ottanta per cento in meno dell'anno scorso», denuncia il sindaco Dino De Rubeis, volato ieri a Roma per incontrare la neo-coordinatrice degli interventi sull'isola, il ministro siciliano dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo.
Sabato sono arrivati solo due charter, contro i sette in media dell'anno scorso. E neanche pieni. In tutto, con i voli di linea, 470 visitatori a fronte dei 3.500 dei bei tempi. Il camping «La Roccia», paradiso spartano nel verde, viaggia intorno alle cento prenotazioni su un totale di ottocento posti tra bungalow e posti per roulotte. Del casinò e del campo da golf promessi da Berlusconi due mesi fa davanti alla piazza plaudente non c'è traccia, così come degli sgravi fiscali, della moratoria sui debiti, della zona franca, dell'abbattimento sui costi del carburante per i pescatori, della candidatura dell'isola al Nobel della pace e così via.
I provvedimenti economici, proposti come emendamenti del «decreto Sviluppo», sono stati appena giudicati inammissibili dal presidente della Camera Fini, gli altri sono rimasti sogni. O incubi, visto che un bel pezzo di isola aveva riso all'idea dei golfisti in brache e cappellino su un'isola che sembra un pezzo d'Africa finita per sbaglio in Europa. «L'errore che si continua a fare qui - dice Paola La Rosa del B&B Cala Pisana, cinque stanze da cui quasi tocchi il mare - è puntare su un turismo di numeri. Questa è un'isola per pochi, un ecosistema fragilissimo, bisognerebbe piuttosto destagionalizzare, fare iniziative di qualità. Non si può pensare di risolvere il problema abbassando i prezzi dei biglietti aerei e facendo venire qui migliaia di persone ad agosto. Detto ciò, i costi dei voli sono davvero spropositati».
Squilla il telefono, neanche a farlo apposta. Quattro milanesi disdicono la prenotazione di una stanza: «Trecentocinquanta euro a persona, 1.400 euro solo per il volo: non ce la facciamo», dicono mentre rientrano Chiara e Marco, ospiti entusiasti: «L'isola dei Conigli? Un paradiso, eravamo non più di cinquanta, la spiaggia tutta per noi». Già. Gli annunciati voli a tariffe ridotte si sono rivelati poco più di una trovata pubblicitaria. Quasi una boutade la possibilità di spendere anche in alta stagione i buoni-vacanza per gli indigenti: a essere convenzionati sono in tutto due alberghi su 82, e tra i più costosi. Con il timbro «fatto» ci sono solo gli spot: più di cento passaggi televisivi, secondo il ministro Brambilla. Ma i fondali da sogno, il fascino di un'isola di bellezza estrema non sono stati sufficienti a vincere la diffidenza di coppie e famiglie, convinte di trovare qui un assedio di immigrati. Che invece approdano al porto. E spariscono, invisibili, con il loro carico di dolore e di speranza, dietro i cancelli dei centri di accoglienza e di identificazione. «Il nostro appeal non è stato sufficiente a spazzare dalla mente mesi e mesi di notizie negative», dice Damiano Lombardo, presidente di Federalberghi nelle isole Pelagie, una posizione diventata di trincea. E se gli alberghi arrancano, gli affittacamere in nero (un comparto pari a quello regolare, duemila posti letto o giù di lì), tremano ancora di più. «Qui - racconta Mauro Seminara, palermitano trasferito da tre anni - ci sono centinaia di famiglie che campano tutto l'anno con l'affitto di tre stanzette ai turisti e un lavoro da cameriere in un hotel. Saltato l'uno e l'altro, non resta che la fame».
Antonio Martello, presidente del Consorzio albergatori, è uno dei pionieri del turismo lampedusano: «Un danno paragonabile a una calamità naturale», dice passeggiando per il corso che la sera è deserto. Solo i militari a fare i galanti con le sparute turiste in short: «Permette, signorina?». Per le turiste il corteggiamento è assicurato. Dovrebbero metterlo nei depliant.
 
 
 
Progetto scaduto, sfrattati dalla Caritas
Il Messaggero di Rieti 14 giugno 2011
Erano entrati con l'obiettivo nel tessuto sociale e lavorati^ di ritrovarsi in mezzo alla stra accoglierà la richiesta di sfi proprio dall'associazione ine; il loro processo di integrazio:Il gruppo volontario II San capo alla Caritas diocesana, giovani somali, poco più che in Italia come rifugiati polit illegalmentel'abitazione, in pi a loro disposizione proprio da di proprietà della parrocchia S quale ha stipulato un eoo tra 630 euro mensili. Situazione] ciata in tribunale (l'udienza è dopo il ricorso possessorio pri vocato Emanuele Chiarine!] gruppo li Samaritano e della p; stino, al quale i quattro somali vocato Rossella Giamogante} in quanto ritengono cessata La battaglia va avanti e scorso anno, dopi che locatari., hanno tentato inutilmente di rientrare in possesso dell'appartamento e nonostante due q ue-rele presentate in procura (una dalla Caritas) per denunciare l'occupazione abusi va da parte degli stranieri, per due dei quali è scaduto il programma Sprar, il sistema di protezione predisposto dal min istero per richiedenti asilo e rifugiati, in base al quale gli era stato concesso di usufruire della casa. Gli stranieri, però, non vogliono lasciare l'alloggio (destinato a ospitare altri rifugiati) perchè, sostengono, la breve durata del programma non ha permesso loro di trovare un lavoro né tantomeno di imparare a parlare la lingua italiana, elemento basilare per inserirsi nel contesto del territorio nazionale.
Tesi che l'avvocato Giamogante propone nell'atto di opposizione allo sfratto, con il quale sostiene che i quattro somal i non sono stati protagonisti di uno spoglio violento e clandestino della casa (come ritiene la parrocchia di S.Agostino, proprietaria dell'immobile), mahannoch iesto l'autorizzazione a restare nell'abita-zione (in realtà occupano una sola stanza) alla responsabile del progetto Sprar del quale. peraltro, hanno beneficiato solo in due e soltanto per quattro mesi. Davvero troppo poco, sostiene la Giamogante, per sperare in un loro inserimento. Il 13 luglio è stata fissata la prima udienza davanti al giudice, ma la speranza (non espressa apertamente) è che si possa giungere a una soluzione extragiudiziale, con l'individuazione di unanuova sistemazione per i quattro somali che eviti loro di trasformarsi in veri e propri clandestini sul territorio. Situazione che accomuna tanti degli stranieri che stanno affluendo nella provincia reatina (gli ultimi sono giunti dopo gli sbarchi a Lampedusa) e dirottati in. strutture spesso situate in zone isolale e senza prospettive di lavoro.
 
 
 
La tendopoli si ripopola e nasce la polemica con Oria
Lavocedimanduria.it 14 giugno 2011
MANDURIA – Novecento profughi provenienti dai paesi sud sahariani fuggiti dalla Libia e sbarcati a Lampedusa sono stati accolti ieri nel centro di accoglienza provvisoria di Manduria che ne conteneva già 570 del precedente sbarco. Tutti molto giovani, un centinaio di donne e 26 minori, saranno ora identificati dal personale dell’Ufficio immigrazione della questura prima della destinazione nei centri di seconda accoglienza previsti dal piano nazionale Stato – regioni con il coordinamento delle prefetture, della Protezione civile e delle Caritas. Tra le donne giunte ieri, alcune erano incinte e pertanto sono state sottoposte a controlli ginecologici dell’ospedale Marianna Giannuzzi di Manduria. Nessuna di loro è a termine. Tra le tante gravide transitate nella tendopoli sulla Manduria-Oria, nessuna ancora ha partorito sul posto. I novecento di ieri sono arrivati nel primo pomeriggio al porto di Taranto a bordo della nave traghetto Excelsior che ne conteneva in tutto 1.091. Una piccola parte è stata trasferita nel centro d’accoglienza di Mapochiaro, in Molise. L’arrivo dei nuovi profughi accende la polemica del sindaco di Oria, Cosimo Pomarico che in una lettera indirizzata al ministro del turismo Michela Brambilla ha criticato l’esclusione del suo comune dallo «spot risarcitorio» da trasmettere sulle reti televisive nazionali prodotto dal Ministero del turismo per la promozione turistica del Mezzogiorno. «Dopo aver appreso del taglio di Oria dallo spot promozionale – scrive il primo cittadino del centrosinistra – ho deciso di scrivere esprimendoLe tutto il mio sdegno dinanzi a una decisione che, al danno dell’emergenza immigrazione, aggiunge la beffa dell’indifferenza da parte del Suo Governo». Manduria è invece presente nello spot.
 
 
 
 
Da JFK agli schiavisti L'isola dei radicai chic sfrutta i clandestini
Libero 14 giugno 2011
Alessandro Bonelli
Martha's Vineyard, buen retiro estivo dei democratici Vip americani, pullula di clandestini. L'isola del Massachusetts amata dai Kennedy come dagli Obama darebbe infatti lavoro a un numero imprecisato di immigrati illegali, soprattutto brasiliani. Un segreto ben custodito dai residenti (poco più di 15.000 anime, che salgono a oltre 100.000 in alta stagione), ma rivelato ora da un anonimo blogger locale. I suoi messaggi stanno facendo il giro d'America e rischiano di mettere in imbarazzo il presidente stesso, che fa regolarmente tappa a Vineyard con la famiglia durante le vacanze estive. Altri frequentatori sono Bill e Hillary Clinton, la figlia Chel-sea, affiliati vari del clan Kennedy e uno stuolo di intellettuali afro-americani fra cui il regista Spyke Lee.
Ma ci sono anche tanti poveracci costretti allo sfruttamento pur di sbarcare il lunario. Nell'isola solo i brasiliani sarebbero 3.500, il quadruplo di quelli denunciati. Ad affermarlo è un'organizzazione della diaspora carioca, L'anonimo cittadino spiega che in questo modo i salari si abbattono del 40%, in villaggi dove la vita costa in media il 50% in più che nel resto degli Stati Uniti. I commercianti negano tutto, ma il blogger li vuole stanare. Ha creato una apposita pagina per veicolare la sua denuncia. E ai concittadini chiede di fare nomi e cognomi dei presunti sfruttatori, trincerandosi però dietro l'anonimato. Scrive infatti: «Lo scopo di questo sito è rendere noti i problemi connessi con l'immigrazione clandestina a Martha's Vineyard, e di offrire un forum per individuare i responsabili di tali problemi. Ogni sforzo sarà fatto per mantenere la riservatezza e proteggere l'anonimato dei partecipanti. Alcuni dei nostri vicini si sono arricchiti dando aiuto e sostegno a una invasione di immigrati clandestini nella nostra terra natale. Ma la loro festa è finita». Segue una sfilza di discussioni in cui il blogger riceve in equa misura attestati di soldiarietà e insulti. Non mancano segnalazioni degli ipotetici aguzzini. Un clima da caccia alle streghe che non aiuta certo la pacifica convivenza, ma che ha rotto un muro di omertà aprendo il dibattito.
Anche gli imprenditori ammettono che per rispondere alle esigenze di alta stagione le imprese hanno spesso impiegato chiunque fosse disponibile, e che le autorità hanno chiuso un occhio. «Il sistema si è rotto», ha detto Dennis Darosa, presidente di un'associazione locale. «Dovresti avere la testa nella sabbia per non accorgertene». Ma il lavoro prestato dai lavoratori privi di documenti «è fondamentale», ha aggiunto. «Senza di loro, staremmo tutti peggio e dovremmo chiudere le nostre aziende». Secondo Nancy Gardella, direttore della Camera di commercio,  sull'isola manca la
forza lavoro. «Gli imprenditori fanno il possibile per assumere personale locale», si difende.
Il blogger però non è d'accordo. La «profonda frustrazione», scrive, nasce dalla «sensazione che i nostri governi locali, statali e federali abbiano completamente abdicato alla loro responsabilità di proteggere i nostri interessi. I nostri mezzi di sussistenza e i servizi sociali della comunità sono messi seriamente a rischio». Questo anche perché gli illegali sono stati incoraggiati dai politici locali «a prendere una parte sempre maggiore dei pochi posti di lavoro», mentre allo stesso tempo tagliavano il welfare.
Secondo il blogger l'iniziativa ha avuto una risposta enorme, i cittadini chiedono di applicare le leggi sull'immigrazione. Altri però sono scettici. Come Richard, proprietario di un'impresa di pulizie: «È così che funziona. Chi pensi che pulisca le camere e serva i pasti, quando i Clinton e gli Obama sono in città?».
 
 
 
 
SIRIA:PER L'ONU PIU' DI 10MILA PROFUGHI IN FUGA DA VIOLENZE
Agi 13 giugno 2011
New York - Sono piu' di 10mila i profughi siriani in fuga dalla violenta repressione del regime di Bashar Assad che hanno cercato rifugio nei Paesi vicini. A fornire la stima e' il portavoce degli Affari umanitari delle Nazioni Unite, Stephanie Bunker, specificando che almeno 5mila sono scappati in Turchia, mentre altri 5mila hanno attraversato la frontiera con il Libano.
 
 
 
 
Cie blindato, De Filippo non può entrare "Il Ministero ha fatto tutto in segreto"
La Repubblica 12 giugno 2011
Raffaella Cosentino
POTENZA - Il presidente della Regione Basilicata Vito De Filippo interviene sul caso della Guantanamo di Palazzo San Gervasio (Pz) denunciato dal nuovo sito "RE Le Inchieste" di Repubblica-Espresso con la pubblicazione di un video choc girato dagli stessi tunisini reclusi nel Centro di identificazione e di espulsione. Le immagini hanno bucato la censura imposta dal Viminale su tutti i centri per migranti, nei quali dal primo aprile non possono entrare i giornalisti, né gli avvocati difensori. I deputati Jean Leonard Touadì e Giuseppe Giulietti hanno proposto di inviare una delegazione parlamentare al centro lucano  per incontrare anche gli avvocati e le associazioni. 
De Filippo (che già ieri aveva preso posizione) ha chiesto di poter visitare la struttura al prefetto di Potenza, ma nemmeno lui è stato ancora autorizzato. "E' doveroso per il ministero dell'Interno lasciare entrare la massima autorità democratica di un territorio non fosse altro perché siamo in condizioni di collaborare anche meglio se ci fanno visitare il centro e se ci parlano di più", dice il governatore lucano, denunciando che la Regione è stata estromessa.  "Non ci hanno avvisato nemmeno quando è stata allestita la prima tendopoli, il centro di accoglienza e di identificazione (Cai)  -  spiega De Filippo - l'abbiamo scoperto per caso, abbiamo avuto segnalazioni dal territorio che c'erano ruspe in movimento di notte  in quella zona, l'evoluzione da Cai a Cie è stata fatta senza nessuna informazione, pur avendo noi ottime relazioni con il prefetto di Potenza. Oggi sappiamo che nessuno può entrare nemmeno gli avvocati e l'Osservatorio Migranti fa comunicati duri ogni giorno per il rispetto dei diritti". Per il governatore la cosa risulta "insopportabile" perché la Basilicata è stata fra le prime regioni a dare la disponibilità all'accoglienza per i profughi della guerra in Libia, "a differenza di altri come i veneti". Sono 180 i rifugiati ospitati a piccoli gruppi in varie cittadine lucane, un modello sostenuto dalle autorità locali a differenza dei maxi campi profughi e delle tendopoli. 
La trasformazione da centro di assistenza a prigione è avvenuta nel giro di tre ore. Il 18 aprile alle ore 13 sono andati via gli ultimi tunisini che hanno ottenuto il permesso umanitario temporaneo perché sbarcati entro la mezzanotte del 5 aprile. Nella stessa giornata, alle 16 sono arrivati i primi reclusi del Cie temporaneo. Il decreto del Presidente del Consiglio che trasforma la tendopoli in Cie è stato fatto 3 giorni più tardi, il 21 aprile con effetto retroattivo. Le tende sono state circondate da una gabbia alta 5 metri e in tre giorni è stato costruito un muro alto tre. Un altro che arriva a 5 metri è quasi pronto sul retro del campo. I posti sono 100, divisi in 18 tende da sei. Fervono i lavori edilizi in quella che dovrebbe essere una struttura di reclusione soltanto fino al 31 dicembre, ma a questo punto potrebbe diventare permanente. Le tende saranno sostituite da container e al di sotto, sul piazzale di cemento si stanno avviando lavori per fare un sistema di raffreddamento per l'estate  e di riscaldamento per l'inverno. Il luogo è complicato da raggiungere, isolato nelle campagne fra le province di Potenza, Bari e Foggia. E' considerevole la spesa per trasferirvi forzatamente gruppi di migranti sbarcati in Sicilia.
Tra poche settimane arriveranno in massa dal foggiano, come ogni anno, centinaia di braccianti stagionali stranieri per la raccolta del pomodoro. Fino a due anni fa erano alloggiati proprio nella struttura diventata Cie. Nel 2010 il comune la chiuse per la mancanza di norme igieniche nonostante 200mila euro stanziati dalla Regione. Quindi, come l'estate scorsa, i braccianti decisivi per l'economia agricola del territorio, dormiranno nei casolari abbandonati e in rifugi di fortuna come 'la grotta Paradiso'. A meno che non si trovi una soluzione diversa con l'incontro fra Regione e comune previsto per il 20 giugno. La gestione del campo non ha ricadute economiche dirette sulla zona, visto che l'appalto è andato senza bando al consorzio trapanese Connecting People. Nel Cie, oltre agli agenti, lavorano 25 persone dello staff, di cui 22 assunte dalla cooperativa "Il Filo di Arianna" di Venosa, che solitamente opera con i disabili. Intanto il sindaco Federico Pagano (Udc) non risponde a domande per telefono.  "Non è garbato  -  dice - se vuole un'intervista deve chiamare in comune ma non certo al cellulare, mi può trovare dopo il 20 giugno, questa settimana sono impegnato con la festa patronale, domani c'è la processione di Sant'Antonio".   
 
 
 
 
Da rivoluzionari a prigionieri Nell'inferno dei centri d'accoglienza
La Repubblica 10 giugno 2011
Raffaella Cosentino
PALAZZO SAN GERVASIO (PZ) - Sembra un'enorme gabbia per uccelli con la rete alta cinque metri, ma dentro, in un ettaro di sterrato e cemento, ci sono 18 tende della protezione civile e 57 tunisini intrappolati in attesa del rimpatrio forzato. Vivono blindati da una recinzione di ferro a maglie molto fitte, in uno spazio ristretto con l'orizzonte che si chiude sul muro di cinta alto tre metri e un altro alle spalle ancora in costruzione che arriva a cinque. Un piccolo quadrato di cemento che nasconde alla vista una delle tante Guantanamo italiane. E' il Centro di identificazione e di espulsione temporaneo di Palazzo San Gervasio (Pz), nato il primo aprile come centro di accoglienza e trasformato in una struttura di reclusione fino al 31 dicembre 2011 con un'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 aprile. Stessa sorte è toccata ad altre due tendopoli a Kinisia, su una pista dismessa dell'aeroporto di Trapani, e a Santa Maria Capua Vetere (Ce).
Isolati nelle campagne lucane al confine con la Puglia, i giovani della rivoluzione dei gelsomini vedono svanire in un incubo il sogno dell'Europa. "Ammar 404" era il nome dato alla censura del dittatore Ben Alì dagli internauti tunisini. 1305 è il numero della circolare interna del Viminale che instaura la censura sui centri per migranti in Italia a partire dal primo aprile, vietandone di fatto l'accesso ai giornalisti "fino a nuova disposizione". In questo momento è più facile entrare in un carcere di massima sicurezza che in una tendopoli. In base alla circolare firmata dal ministro Roberto Maroni anche alcuni parlamentari sono stati respinti senza poter esercitare la prerogativa costituzionale del sindacato ispettivo. E' successo nei due centri di contrada Imbriacola  e dell'ex base Loran a Lampedusa ai deputati democratici Andrea Sarubbi e Furio Colombo, presidente del Comitato Diritti Umani della Camera.
A Palazzo San Gervasio è rimasto fuori il capogruppo dell'Italia dei Valori al Senato, Felice Belisario. Mentre le porte si sono aperte per l'arcivescovo di Acerenza Giovanni Ricchiuti. Dopo questi episodi, le prefetture hanno concesso di entrare anche a individui singoli come Parlamentari e consiglieri regionali. Ma non ai giornalisti. Soltanto la prefettura di Potenza ci ha autorizzati a vedere il Cie di Palazzo San Gervasio, dove siamo riusciti a parlare con i reclusi. Nonostante la recinzione di mezzo, siamo riusciti ad avere l'unico video disponibile su questi centri, girato dagli stessi detenuti. Nelle immagini si vedono una rivolta e un tentativo di fuga di massa con persone ferite e agenti in tenuta antisommossa. E' una prova inequivocabile che la tensione è alle stelle e rischiano di scoppiare nuovi disordini.
Come quelli che l'8 giugno hanno portato alla chiusura e al sequestro del Cie casertano nell'ex caserma Andolfato, devastato da un incendio negli scontri fra polizia e migranti. Scioperi della fame, persone che ingoiano pezzi di vetro o si tagliano le vene: le proteste estreme dei reclusi nei Cie lanciano l'allarme su abusi al limite della tortura psicologica. Il gruppo arrivato il 14 maggio con un volo aereo direttamente da Lampedusa a Napoli e poi in autobus fino a Palazzo San Gervasio, era composto di 90 persone. Quelli che mancano all'appello sono riusciti a fuggire. Gli agenti hanno sequestrato le scarpe da tennis ai rimanenti, per impedirgli di arrampicarsi sulla recinzione e lanciarsi nel vuoto alla ricerca della libertà. Adesso i detenuti hanno ai piedi le ciabatte.
La polizia e i gestori di Connecting People ci assicurano che è tutto tranquillo, a parte le lamentele degli 'ospiti' per la mancanza di peperoncino nelle pietanze. I video testimoniano l'esatto contrario. Centri creati sull'onda dell'emergenza in luoghi isolati non consentono la tutela dei più elementari diritti umani e sospendono la Costituzione. Non solo l'articolo 21 sulla libertà di stampa, ma anche l'articolo 24 sul diritto alla difesa. Per un mese i prigionieri di Palazzo San Gervasio hanno chiesto inutilmente di  incontrare un avvocato. Anche i difensori devono essere 'autorizzati' per entrare. "Le pratiche di chi ha fatto richiesta sono ferme in prefettura" dice Maria Giovanna Fanelli, responsabile del campo per Connecting people, il noto consorzio che gestisce molti altri centri e ha avuto l'appalto per questo campo senza bando. I reclusi nei Cie hanno diritto a una scheda telefonica a settimana, ma non ci sono le cabine.
"Siamo in attesa dell'ok della questura" si giustifica Fanelli. E' saltato anche il diritto di avere un foglio nella propria lingua sulla procedura per chiedere asilo politico."Abbiamo firmato la convenzione pochi giorni fa  -  spiega la responsabile - non abbiamo avuto tempo di stampare l'informativa, lo diciamo a voce". In passato, il Cie di Palazzo San Gervasio, un'ex fabbrica di laterizi confiscata a un boss, accoglieva i braccianti stranieri della raccolta del pomodoro che ora alloggeranno nei casolari abbandonati. Meno di un anno fa, il comune l'aveva chiuso perché violava le norme igieniche e di sicurezza. Ora per trasferire le persone, adattare la struttura e gestirla spendiamo almeno due milioni di euro. Le cifre sono ufficiose. Quelle ufficiali, in questa ennesima emergenza gestita dalla Protezione civile, non è dato saperle.
 
 
 
 
Bari - Torneo dell'Immigrazione, quarti finale con Georgia-Nigeria e Afghanistan-Senegal semifinali
Puglialive.net 13 giugno 2011
Saranno Georgia-Nigeria e Afghanistan-Senegal le semifinali del I Torneo dell’Immigrazione UN.IT.I (Unione Italiana Immigrati), campionato di calcio per immigrati sostenuto dalla UIL di Puglia e di Bari e dal Patronato ITAL e organizzato in collaborazione con Abusuan, JOMA e SOMED. Grande spettacolo sia sugli spalti che in campo nel corso della giornata inaugurale, disputatasi ieri presso il centro sportivo di San Pio (ex Enziteto). Quarto di finale senza storia tra i padroni di casa dell’Italia (rappresentata dai volontari della SerBari) e la Georgia, accompagnata da almeno 200 scatenati tifosi. I bianchi dell’Est si sono infatti imposti con un secco 8-0, sbarcando così in una semifinale a dir poco pirotecnica che li vedrà opposti alle verdi “Super Aquile” della Nigeria, che si sono sbarazzate 10-0 della pur volenterosa Eritrea. Dall’altra parte del tabellone un doppio 2-0 ha classificato l’Afghanistan (vincitore sulla Romania/Albania) e il Senegal (su una buona selezione delle Mauritius) alla fase successiva. Da segnalare la straordinaria correttezza di giocatori e sostenitori presenti alla manifestazione dell’UN.IT.I: ben due compagini (Eritrea e Albania/Romania) hanno addirittura concluso i propri match senza commettere neanche un fallo ai danni degli avversari, prendendo il largo nella speciale classifica per il premio “Fair Play” offerto dall’ADOC (Associazione Difesa e Orientamento Consumatori) di Puglia. Il prossimo appuntamento con il I Torneo dell’Immigrazione è fissato per il 26 giugno, a partire dalle ore 9, ora in cui scatteranno le semifinali. La finale è invece prevista per le 12,30 e sarà seguita dalla cerimonia di chiusura e dalla premiazione.
 
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Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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