Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

08 aprile 2014

Rom, normalità possibile
Avvenire, 08-04-2014
Valeria Chianese
«Guardare al domani con speranza» è il tema scelto per la Giornata internazionale dei Rom, che si festeggia oggi. Ieri a Napoli i temi dell’appuntamento presentato dalla Comunità di Sant’Egidio. La città è considerata tra le più accoglienti ma, fedele alle sue contraddizioni, è stata teatro di gravi episodi di intolleranza, come l’incendio nel 2008 del campo rom nel quartiere di Ponticelli e, appena un mese fa, l’assalto da parte degli abitanti del quartiere di Poggioreale all’insediamento nomadi a via del Riposo. Il mondo Rom è complesso e articolato. Spesso, osserva Antonio Mattone, «rappresentato in modo semplicistico, problematico e solo in riferimento a fatti di cronaca».
Non negando le difficoltà di convivenza, di integrazione e di inclusione, si tende quindi a mettere in luce quelli che qualche giorno fa il commissario europeo per la giustizia, i diritti fondamentali e la cittadinanza, Viviane Reding, ha definito «piccoli miracoli». I passi cioè che portano una società a riconoscere uguali tutti i suoi membri, nello scambio di cultura e di solidarietà.
La nascita della Giornata internazionale dei Rom risale all’8 aprile 1971, quando a Londra si riunì il primo congresso mondiale dei rom che attraverso la fondazione dell’International romani union (Irm) specificò alcuni punti fermi, probabilmente gli unici: l’inno "Jelem Jelem", composto da Janko Jovanovic, e la bandiera a strisce orizzontali, azzurre e verdi, con la ruota di carro rossa, simbolo del viaggio.
Anche se i numeri, per quanto di stima approssimativa, indicano come il nomadismo sia diventato collaterale più che perno della cultura rom. La maggior parte dei 140mila rom che vivono in Italia – sono 11 milioni e 260mila nei 47 paesi del Consiglio d’Europa – sono infatti stanziali oltre che cittadini italiani o comunitari. Solo una piccola parte dei Rom fuggiti dalla disgregazione della ex Jugoslavia manca di status giuridico. Roma, con 11.021 rom Napoli e l’hinterland; 4.500 rom, Milano, 2.500 rom, e Genova, 750 rom, sono le città italiane dove si registrano le maggiori presenze.
Da considerare, annota l’esperto Paolo Ciani, che «caratteristica italiana è di avere sul territorio un gruppo di Sinti di antico insediamento, soprattutto al Nord». L’Italia, con altri Paesi europei, si contraddistingue anche per un’altra particolarità: le comunità rom non sono riconosciute come minoranza nazionale e furono anzi escluse nella discussione della legge sulle minoranze linguistiche, la 482 del 1999.
L’Unione Europea ha individuato quattro assi fondamentali attraverso cui passano integrazione e inclusione dei Rom: occupazione, alloggio, assistenza sanitaria, accesso all’istruzione. Su quest’ultimo punto l’Italia sta compiendo grandi passi anche se non sufficienti, sottolinea Daniela Pompei, responsabile nazionale per i Rom della Comunità di Sant’Egidio, poiché «solo poco più di 11mila bambini frequentano». Eppure il 75% dei rom italiani ha meno di 15 anni. «Partire dai bambini e dalla scuola – dice – è invece una strategia vincente poiché è così che si includono le famiglie».
 


I rom senza luce della Tiburtina
Vivono in una ex tipografia risistemata da Alemanno per ospitare i clochard durante l'emergenza freddo di due anni fa, in sei per stanza, senza finestre e alla luce dei neon: «Ci tengono come animali». E ai giornalisti è vietato l'ingresso
il manifesto, 08-04-2014
Angelo Mastrandrea
"Non insistere, non posso farti entrare. Perche? Cosa vuoi che ti dica? Si sa che le camere sono senza luce». E allora facciamolo sapere al mondo: nella Best House Rom di via Visso, a Roma, gli zingari temporaneamente ospiti del Comune sono alloggiati in stanze senza finestre. L'unica luce è quella dei neon. Per questo la vita si svoJge all'aria aperta, in un cortile circondato da mura di recinzione. «Viviamo come animali», dice a più riprese una donna che si avvicina quando scopre che un giornalista è venuto a bussare alla porta del centro. Altre annuiscono e confermano. Hanno voglia di parlare, ma non ho la possibilita di verificare quanto le loro parole si avvicinino al vero, di misurare se il tasso di teatralità sia direttamente o inversamente proporzionale a quello di realismo. Il guardiano, Cesare, un dipendente della cooperativa Inopera che gestisce il centro, ha ricevuto l'ordine di non far entrare i giornalisti e non se la sente di trasgredire. Ci invita, piuttosto, a fare un giro nelle diverse occupazioni che ci sono nei dintorni, dandoci indicazioni dettagliate e precisando che anche lui abita in una casa occupata.
Qual è il motivo di tanto mistero, se sul sito web della struttura si vedono foto di stanze pulite e gente al lavoro, e si legge che «la Best House Rom dispone di 52 camere da letto climatizzate ed arredate, di servizi igienico-sanitari sufficienti per il numero degli ospiti, di una mensa con capienza 130 posti, di lavanderia, un laboratorio ludico-didattico, un laboratorio di riciclo e di una piccola palestra»? Perché impedire l'accesso ai media in una struttura comunale, d'accoglienza e non detentiva? Cos'è che non si vuole mostrare? Cesare allarga le braccia: «Beh, si sa che le camere sono senza luce».
I diritti si conquistano "a spinta"
Sono venuto in questa periferia industriale della capitale per verificare le condizioni dei rom dopo il passaggio dall'era Alemanno a quella Marino e sapevo fin dalla partenza che difficilmente sarei riuscito a spuntarla. Avevo cercato di ottenere un regolare permesso per visitare la struttura accompagnato da un fotografo, ma dopo essere rimbalzato da quest'ultima alla sede della cooperativa, poi al Campidoglio fino a incocciare in un bel no alla richiesta d'ingresso da parte dell'assessorato alle Politiche sociali, mi sono deciso a presentarmi alla Best House Rom di persona.
La via Tiburtina di Roma, abbandonato il fermento di San Lorenzo e traversati i quartieri-formicaio oltre la nuovissima stazione dell'alta velocità, assume una veste industriale man mano che ci si spinge verso il Raccordo anulare. Sale giochi dai nomi americaneggianti, skyline newyorchesi e insegne pluricolorate aggiungono un tocco di squallido kitsch. Una di queste è interamente bruciata, e una macchia nero carbone si allarga come un neo sulla pelle di questa periferia raggrinzita. Le industrie hanno quasi tutte preso il volo, lasciando scheletri di edifici incustoditi. Via Visso è una stradina anonima e insignificante che dalla Strada consolare si addentra tra le fabbrichette, ed è tutta un alternarsi di mura e cancelli. La Best House Rom si trova al numero 12. Era una stamperia, non l'unica da queste parti. Nell'età d'oro della carta quest'angolo di Roma era dedicato alla stampa di giornali, manifesti, locandine pubblicitarie. Nel '68, non lontano da qui l'occupazione di una tipografia si prolungò per tredici mesi e provoco una mobilitazione senza precedenti che fu immortalata da Ugo Gregoretti nel film Apollon, una fab- brica occupata. La colonna sonora, registrata in presa diretta, sarà successivamente pubblicata dal manifesto. Oggi la storia un po' si ripete, in maniera solo più anônima: un'altra stamperia dismessa è interamente occupata da un pugno di squatter. A farlo sapere ai passanti distratti ci pensa uno striscione. Lo slogan è figlio del disincanto nei confronti della politica istituzionale: «I diritti si conquistano a spinta».
Alle 11 del mattino il cortile della Best House Rom è affollato. Un gruppo di uomini gioca a carte, le donne fanno capannello tra loro e i ragazzi pure. Parlano volentieri, snocciolando un nutrito cahier de doléances: «Dentro è troppo buio, si vive meglio in carcere», «da quando siamo qui ci ammaliamo di continuo», le visite di parenti e amici non sono consentite e alle 11 di sera si chiudono i cancelli. Un'anziana signora con il capo velato sostiene di essere arrivata il giorno prima dalla Bosnia per incontra- re figli e nipoti e di essere stata costretta a dormire all'addiaccio, davanti all'ingresso, perché per gli estranei non c'è posto all'interno. Chiedo a Cesare quanti sono gli ospiti in questo momento. Circa 350, mi risponde, rom bosniaci e rumeni, che convivono senza particolari attriti. Fanno sei persone a camera, senza finestre e alla luce dei neon. E in più tra questi ci sono circa 200 minori.
A denunciare le condizioni dei rom di via Visso era stata l'Associazione 21 luglio, lo scorso febbraio. Ma il grido d'allarme non era stato ascoltato da nessuno. I rom non fanno audience e neppure votano, in pochi sono disposti a sposarne la causa. Per un politico, il rischio è di perdere consenso piuttosto che attrarne. Ignazio Marino ha comunque voluto incontrare, una decina di giorni fa, alcuni esponenti dell'associazione. AI termine, il sindaco di Roma si è detto convinto che si sia trattato dell'inizio di «un ottimo cammino che faremo insieme per migliorare il volto della città». Eppure il dossier dell'organizzazione umanitaria è poco clemente nei suoi confronti. Elenca uno per uno i 17 sgomberi in un anno e accende i riflettori sulle condizioni di vita degli 8 mila rom e sinti che abitano il territorio romano, capro espiatorio per eccellenza del malessere sociale in quest'Italia d'inizio millennio. Tutto sommato si è trattato di sbaraccare piccoli insediamenti abusivi, poca roba rispetto a quanto accaduto con il suo predecessora Ma i ricercatori dell'Associazione 21 luglio non si sono fermati alla superficie. Hanno chiesto una visura catastale dell'edificio che ospita la Best House Rom, scoprendo che la struttura risulta catalogata come C2, ossia un «locale utilizzato per il deposito di merci, locali di sgombero, sottotetti». «Ogni stanza ha una dimensione media di circa 12 metri quadri. Corridoi e stanze hanno un controsoffitto e sono privi di finestre. L'illuminazione sia notturna che diurna è garantita attraverso lampade al neon, mentre l'aerazione artificiale è assicurata da impianti di condizionamento. Oltre ai letti, la struttura non dispone di arredi», scrivono nel dossier, intitolato non a caso «Senza luce». Inoltre, calcolando 19 euro al giorno (più l'iva al 4%) per i 320 rom ospitati al momento della loro visita, l'amministrazione spenderebbe 6323,20 euro al mese per ogni persona. Una cifra da far impallidire qualsiasi addetto alla spending review.
All'ombra del Sacro Gra
La Best House Rom ha un nome da bed and breakfast per turisti e chissà se chi ha pensato al suo nome ha riflettuto su quel che letteralmente stava a significare: la miglior sistemazione per i rom. Qui sono stati portati gli zingari provenienti da uno dei campi attrezzati previsti dal «Piano Nomadi» dell'ex sindaco Alemarmo: quello di via della Cesarina, all'ombra di uno svincolo dei Sacro Gra sulla via Nomentana. Sono stato anche li. L'area è stata in gran parte ripulita, non ci sono più tracce della presenza degli zingari, fatta eccezione per alcuni disegni di bambini che nessuno ha staccato dalle mura di un edifício probabilmente adibito a scuola. Si trovano invece i resti del preesistente camping Nomentano. Su una lavagna all'aperto sono ben visibili i prezzi del bar, ancora in lire. Una scritta in inglese lo definisce come «il campeggio più vicino al centro storico della capitale», sebbene circondato su due lati dalla Campagna, su un terzo da un edifício dell'Asl e incastrato sotto lo svincolo del Raccordo.
I rom della Best House dovrebbero tornare qui tra pochi mesi, appena il nuovo campo sarà ricostruito. Ma il loro ritorno non si annuncia semplice. L'Europa esige il superamento della politica del campighetto e Marino è finito nel mirino del Consiglio d'Europa, di Amnesty International e della stessa associazione 21 luglio, che chiedono la chiusura di tutti i campi e l'assegnazione di case popolari ai rom sgomberati. Inoltre, una striscia di plastica bianca e rossa circoscrive l'area sottoposta a sequestro penale, con la dicitura «zona contaminata da amianto - Eternit». Dunque da bonificare.
Davanti alla Best House incontro un uomo che ha tutta l'aria di essere uno dei leader della comunità. Dice di chiamarsi Lukas, sostiene che qui «si vive male, questo posto è una schifezza» e che i rom vogliono tornare a via della Cesarina, dove erano più liberi. Certo, le roulotte e le baracche erano fatiscenti - dice - però ora che costruiranno i bungalow ci si vivrà meglio che in passato. Ma non sarebbe preferibile trasferirsi in un'abitazione vera, gli chiedo? Lukas fa sfoggio di pragmatismo: «Vi immagina- te cosa accadrebbe se uno zingaro togliesse la casa popolare a un italiano che sta in lista d'attesa da anni? Per noi è meglio andare in un campo attrezzato». Gli pare la soluzione più praticabile. Gli altri rom annuiscono.
I paria d'Europa
È un problema non da poco: di fronte al rischio di una guerra tra poveri, i diretti interessati paiono ritrarsi. I rom sanno bene di essere i paria d'Europa: perseguitati e discriminati in molti Paesi dell'Est, vittime di veri e propri pogrom durante le guerre balcaniche, dove molti di loro avevano casa prima di essere costretti a fuggire, sgomberati e discriminati un po' ovunque. In Francia, prima ancora che facesse il giro dei mondo il caso di Leonarda, una ragazzina di 15 anni fermata durante una gita scolastica ed espulsa verso il Kosovo, paese di origine dei genitori in cui lei non era mai stata, il ministro dell'Interno Manuel Valls, non ancora premier, aveva scandalizzato l'opinione pubblica di sinistra dicendo che «i rom in Francia non si possono integrare», facendo suo l'armamentario retorico della destra lepenista. Un mese fa è passato sotto silenzio l'ennesimo sgombero fai-da-te italiano. Nel quartiere napoletano di Poggioreale, in seguito a una vox populi di molestie su una sedicenne, una cin- quantina di Cittadini ha assaltato un campo nomadi, costringendo cinquecento rom a raccogliere le loro cose e andar via. E, tornando a Roma, ha fatto il giro d'ltalia il cartello esposto da un panificio nel quartiere Tuscolano, che a più di uno ha ricordato la Germania nazista degli anni '30: «Vietato l'ingresso agli zingari». Il commerciante si è difeso sostenendo di aver agito non per razzismo bensi per esasperazione, mettendo il dito nella piaga. Come evitare che un malcontento diffuso tracimi in xenofobia senza mezzi termini, e che quest'ultima finisca per essere raccolta da una forza politica e trasformata in razzismo di Stato? In che modo impedire che si risvegli una seconda volta il mostro che dorme in fondo alle coscienze europee, che la storia si ripeta in forme inedite e non in farsa?
Chiamo il Segretariato generale di Amnesty International a Londra. Sanno bene che in questo momento si trovano a remare controcorrente rispetto all'ondata di xenofobia e securitarismo che investe il continente e si attrezzano a una campagna «culturale» di lungo respiro. Preoccupati dalla situazione romana, il 14 febbraio scorso hanno inviato una lettera al sindaco Marino e si dicono «sconcertati» per la mancata risposta. L'organizzazione aveva chiesto spiegazioni perché intimorita, oltre che dagli sgomberi forzati e dalla mancata chiusura dei campi fatti costruire da Alemanno oltre il Raccordo Anulare, dalla mancata abrogazione di una circolare dell'ex sindaco con la croce celtica al collo, risalente al 18 gennaio 2013, che retrocede i rom rispetto agli italiani nell'assegnazione delle case popolari. In buona sostanza, il provvedimento non riconosce a chi vive nei campi attrezzati lo stato di disagio abitativo. Ma non è che prima le cose andassero meglio. Nella capitale il diritto alla casa per un rom è semplicemente negato: su 50 mila assegnatari di un appartamento dell'Ater, appena lo 0,02 è di provenienza gitana. Per verificare di persona la situazione il Commissario per i diritti umani dei Consiglio d'Europa Nils Muiznieks alla metà di marzo si è presentato a Roma. Nei giorni scorsi è arrivato pure John Dalhuisen, direttore del Programma Europa e Asia Centrale di Amnesty International. In un convegno organizzato per la giornata internazionale dei rom ha chiesto al sindaco di «fare chiarezza su come intenda impiegare i fondi recentemente messi a disposizione dalla Regione Lazio per la cosiddetta emergenza abitativa». Ma finora non si è mosso nulla. Eppure, ricordano alla sede romana di Amnesty, «a ottobre Marino si era impegnato a ritirare le mi- sure discriminatorie nei confronti dei rom residenti nei campi».
Il nocciolo della questione è tutto li: il nuovo sindaco si trova a ereditare una situazione creata dal suo predecessore e le organizzazioni per i diritti umani si aspettano da lui, un "liberal" attento ai diritti civili, almeno che smonti il «Piano Nomadi» della giunta di centrodestra. Anche la stamperia senza fmestre di via Visso è figlia dell'era Alemanno. Fu utilizzata per dare un tetto ai senza dimora durante l'«emergenza freddo» di due anni fa, quando a Roma nevicò dopo 25 anni, le misure di prevenzione si rivelarono inesistenti, la città si bloccò e Alemanno rimediò una figuraccia che fece il giro del mondo. Allora la neve si sciolse al primo raggio di sole, e fu l'annuncio di una primavera democratica per la capitale di un paese sull'orlo di una crisi di nervi. Oggi è già primavera, ma la stagione appare molto diversa.



Rom, falso problema. Al centro la scuola
Avvenire, 08-04-2014
Marco Impagliazzo
Si celebra oggi la Giornata internazionale dei popoli rom e sinti. È una celebrazione nata nel 1971 a Londra dove, per la prima volta, si svolse un raduno europeo della più numerosa minoranza del nostro continente. Oggi, a più di quarant’anni di distanza da quell’evento, i rom e sinti nei 28 Paesi della Ue sono stimati tra i 10 e i 12 milioni. In Italia sono circa 150mila, di cui la metà cittadini italiani e buona parte di Paesi comunitari come la Romania e la Bulgaria.
Va ricordato il dato più evidente: si tratta di una popolazione molto giovane. Il 35,7% dei rom e sinti che vive in Italia ha meno di 15 anni, mentre i loro coetanei in Europa raggiungono soltanto il 15%. C’è poi un altro dato che sfida tante categorie vecchie con cui li si guarda considerandoli nomadi: l’80% di loro sono ormai stabili. È dunque un errore affrontare la questione con le categorie del "nomadismo". Rom e sinti chiedono stabilità.
È quello che l’Europa ha capito e cerca di trasmettere ai Paesi membri. La Commissione europea nel 2011 ha delineato i quattro assi portanti della politica del continente riguardo questi popoli: inserimento nel mondo del lavoro, politica di alloggi, accesso alle cure e all’istruzione. Sono assi di una politica di integrazione che tiene conto della realtà e non di stereotipi o antichi pregiudizi.
L’integrazione appare l’unica strada per evitare fenomeni di antigitanismo nei popoli europei e di illegalità nei popoli rom e sinti. La prima integrazione deve partire dalla scuola poiché più di un terzo di questa minoranza è in età scolare. Eppure fa impressione il dato sulla frequenza scolastica. In Europa solo il 42% dei bambini rom e sinti completa la scuola primaria. I loro coetanei "gagé" raggiungono il 97,5%. Se poi si passa alla secondaria il dato è ancora più preoccupante: solo il 10% la completano. È dunque sulla scuola che bisogna lavorare. In Italia sono iscritti a scuola solamente 11.400 rom e sinti: non certo un’invasione.
È prioritario allargare questo numero. La scuola è il vero motore dell’integrazione soprattutto se riesce a favorire la frequenza scolastica regolare. Ciò aiuta a prevenire il coinvolgimento dei bambini in attività di accattonaggio e in altre attività lavorative, educa alla convivenza fra diversi e favorisce quella continuità di contatti fra genitori e scuola che è indice di responsabilità. Il diritto alla scuola – come titola un programma di successo di inserimento scolastico della Comunità di Sant’Egidio – è il diritto al futuro.
Pochi giorni fa il Commissario europeo Viviane Reding ha affermato: «Sono avvenuti piccoli miracoli nel percorso di integrazione dei rom in alcuni Paesi europei». Sono parole incoraggianti, che si riferiscono a fatti concreti di cui sono protagonisti i rom e sinti, le istituzioni e il mondo associativo, da cui ripartire per non perdere la speranza di giungere alla piena integrazione.
Rom e i sinti continuano a rappresentare una "questione" nelle società occidentali, ma è un problema che eccede largamente la realtà oggettiva di una comunità piccola e marginale. Suscitano reazioni sproporzionate alla loro consistenza: poche migliaia in città di milioni di abitanti. Se dovessimo stare alle cronache di molti giornali, la loro rilevanza (e pericolosità) sociale è per lo più limitata a espressioni di piccola delinquenza.
Ma è un fatto che più frequentemente essi sono protagonisti, anche nelle cronache, di drammi umani, come la morte per incidenti o per freddo dei loro bambini ancora troppo estranei alla maggioranza del corpo sociale. Bisogna far crescere la partecipazione di questi popoli al loro riscatto sociale. Il fatto è che sappiamo molto poco chi sono i rom e i sinti, anche se essi vivono nelle nostre città e nei nostri Paesi da secoli.
Quali e quante differenze tra loro che non vengono nemmeno prese in considerazione! La costruzione culturale e sociale europea soltanto a fatica riesce a fare i conti con questa minoranza. Di essa continuiamo a sapere molto poco e, di conseguenza, ad assumercene poco la responsabilità. Dalla giornata internazionale che si celebra oggi venga alla nostra cultura, che ha sempre avuto l’ambizione di indagare a fondo con visioni e prospettive ogni aspetto della storia, la spinta ad approfondire una riflessione pacata e intelligente su questi popoli che hanno bisogno di integrazione. È più possibile, di quanto pensiamo e facciamo, dare loro un futuro umano e dignitoso.



Caos nelle strutture per minori: ''Augusta da sola non può farcela''
la Repubblica, 08-04-2014
“Mio padre è morto, solo mia madre è viva”. Alagie Sankaneh, 18 anni il prossimo 4 giugno, è uno dei tanti ragazzini senza genitori che sono ora ospitati in strutture d’emergenza del siracusano, tutte a carico del comune di Augusta. "La legge prevede che la gestione dei minori non accompagnati spetti al Comune in cui avviene lo sbarco – spiega Francesco Puglisi, commissario straordinario del Comune di Augusta – invece dovrebbero essere ripartiti in tutto il territorio nazionale, come avviene per i maggiorenni. Non possiamo da soli farci carico di tutta questa emergenza”.
"Con l'operazione Mare Nostrum - spiega la fondazione Terre des Hommes - il siracusano è ormai diventato la zona principale di arrivo dei migranti che attraversano il Mediterraneo, ma non è stato ancora approntato un efficiente meccanismo di trasferimento nei centri d'accoglienza". "Macroscopico - spiega Donatella Vergari, segretario generale dell'associazione - è il caso dei minori stranieri non accompagnati, circa un migliaio dall'inizio dell'anno, alloggiati per lunghi periodi in strutture talvolta non adeguate per la loro accoglienza, sia per la mancanza di personale formato, sia per la compresenza di ospiti che hanno esigenze molto diverse, quali pazienti con disabilità intellettive". "Attualmente - sottolinea ancora Vergari - l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati non richiedenti asilo è gestita dal ministero del Welfare attraverso i comuni. Questi ultimi troppe volte non hanno risorse e strumenti per far fronte al loro pronto trasferimento, per cui si produce uno stallo del sistema le cui conseguenze sono pagate ancora una volta dai minori migranti".
(video di Alessandro Puglia)



Cittadinanza. Alla Camera le storie delle seconde generazioni, "fino alla riforma"
Kyenge: “Ogni giorno in Aula parleremo di un ragazzo o di una ragazza ancora senza cittadinanza”. Come Samira Mangoud, nata e morta a Roma da straniera in Italia
stranieriinitalia.it, 07-04-2014
Roma – 7 aprile 2014 – Le storie delle seconde generazioni arrivano alla Camera dei Deputati. Verranno raccontate in Aula finchè da quei banchi uscirà una nuova la legge secondo la quale i ragazzi e le ragazze che crescono qui sono italiani anche se hanno mamme e papà immigrati.
È la nuova iniziativa per la riforma della cittadinanza lanciata in questi giorni da un gruppo di deputati di diversi schieramenti capeggiati da Cècile Kyenge. I più numerosi sono i parlamentari del PD, ma si contano anche adesioni di SEL,  Pi, Sc, Socialisti e, unica per ora dal centrodestra, Renata Polverini di FI.
“L'Italia conta circa un milione di giovani nati e/o cresciuti qui. Per la legge restano stranieri, anche se non lo sono Considerano l’Italia la loro casa, la loro Nazione, ma questa Nazione non li considera suoi cittadini. E loro non hanno un'altra patria” spiegano presentando l’iniziativa, che vuole “dare voce in Parlamento ai nuovi italiani”.
“Finché in quest’Aula non discuteremo la nuova legge sulla cittadinanza, i firmatari di questa iniziativa racconteranno ogni giorno la storia di un ragazzo o di una ragazza ancora senza cittadinanza” ha annunciato giovedì Kyenge prendendo la parola a Montecitorio. Saranno “storie di speranze, dolori, peripezie burocratiche, disillusione, storie di tutti i giorni, fatte anche di successi in salita ma successi ancora più veri e specchio della loro voglia di essere italiani”.
La prima storia, raccontata in Aula dalla deputata di PI Fucsia Fitzgerald Nissoli, è stata quella di Samira Mangoud, attivista della Rete G2 nata a Roma nel 1980, da madre filippina e padre egiziano.
“Ho una laurea come assistente sociale e lavoro per uno sportello informativo sull'handicap del comune di Roma” raccontava Samira nel 2007 in una lettera denuncia. “Dopo un contratto a tempo determinato me ne hanno fatto uno a progetto mentre tutte le mie colleghe hanno avuto un contratto a tempo determinato, più lungo, e che dà più tutele rispetto a me e questo non per le mie incapacità professionali ma perché non ho ottenuto il passaporto italiano e le leggi sono poco chiare”.
“A 18 anni – spiegava la ragazza - non avevo fatto domanda per diventare cittadina italiana, nessuno me lo aveva detto, così ora nonostante la mia laurea, il comune non mi assume perché sono una cittadina filippina. Io sono nata qui e sono sempre vissuta qui. Mi considero italiana, eppure devo accontentarmi di meno soldi e garanzie e fare causa al comune per discriminazione”.
Samira è morta a Roma il 20 febbraio del 2010, a soli 29 anni, prima che il giudice decidesse sul suo caso. “Il problema di Samira Mangoud, come di molte seconde generazioni – ha spiegato Fitzgerald Nissoli - è quello di non sapere di dover richiedere la cittadinanza italiana tra i 18 e i 19 anni come previsto dalla legge, per l'acquisizione della cittadinanza italiana per i figli di immigrati extracomunitari. Di conseguenza, Samira è rimasta cittadina straniera in un Paese a lei non affatto estraneo, visto che era l'unico dove avesse mai vissuto”.
EP



Flussi. Il Viminale: "Domande esaminate solo se ci sono quote disponibili"
Ecco cosa è cambiato con il decreto legislativo 40/2014. La circolare del ministero dell’interno
stranieriinitalia.it, 08-04-2014
Roma – 8 aprile 2014 – Più informazione ai cittadini stranieri sui diritti connessi al loro permesso di soggiorno, la dicitura “perm. Unico per lavoro” sui documenti che consentono di lavorare, nulla osta al lavoro rilasciati entro sessanta giorni e domande per i flussi d’ingresso non stagionali esaminate solo se ci sono ancora quote disponibili.
Sono novità previste dal decreto legislativo 40/2014, in vigore da domenica scorsa, che dà attuazione alla direttiva 2011/98/Ue sul permesso unico. Il Ministero dell’interno le illustra in una circolare indirizzata a tutti gli Sportelli Unici per l’Immigrazione.
Per quanto riguarda i flussi, il Viminale chiarisce che “le domande che, al momento della presentazione, sono eccedenti rispetto ai limiti numerici determinati con le quote, potranno eventualmente essere trattate nel caso in cui, esaminate le domande precedenti, risultino successivamente quote non utilizzate ovvero diversamente ripartite dal Ministero del lavoro, sulla base delle effettive necessità riscontrate nel mercato del lavoro”.
La trattazione di queste domande “sarà avviata nel momento in cui la direzione territoriale del lavoro comunicherà telematicamente la disponibilità della quota. Il sistema informatico del ministero dell’interno sarà adeguato in modo da consentire al datore di lavoro di conoscere in tempo reale la posizione della propria richiesta rispetto alle quote assegnate alla provincia di riferimento, nonché in modo da consentire l’interazione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali”.



Moschea a Milano, Scola dice sì anche al minareto: "Purché non la facciano in piazza Duomo"
L'arcivescovo del capoluogo lombardo, sostenitore del dialogo interreligioso, interviene nel dibattito dopo che la comunità islamica ha presentato un progetto, a proprio carico, da 10 milioni
la Repubblica, 07-04-2014
ZITA DAZZI
Moschea a Milano, Scola dice sì anche al minareto: "Purché non la facciano in piazza Duomo"Il cardinale Angelo Scola (fotogramma)
"Sì alla moschea, anche con cupola e minareto, basta che non lo facciano proprio in piazza Duomo". Con un sorriso l'arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, per la prima volta sdogana anche l'aspetto architettonico del luogo di culto atteso dalla comunità islamica cittadina in vista di Expo 2015. Un tema che il Comune sta affrontando in questi giorni anche alla luce di un progetto da 10 milioni di euro interamente a carico della comunità islamica.
In passato il cardinale aveva già detto di essere favorevole alla possibilità che per 100mila musulmani venisse realizzata una vera moschea in città, dato che oggi gli islamici pregano in scantinati e palestre. Ma quando si parlava della eventualità che questo luogo di preghiera avesse il minareto, il porporato era sembrato tiepido, chiedendo che l'edificio avesse forme architettoniche "rispettose delle tradizioni italiane".
Oggi, invece, a margine di un convegno sui giovani all'Università Cattolica, l'apertura: "Il diritto di culto non é tale finché non ci sono luoghi di culto. Questo vale anche per i musulmani. Il problema è vedere chi sta dietro a chi domanda la moschea. E a quali condizioni: chiedersi se la comunità è effettiva e unita oppure se c'è un intervento dall'esterno, a opera di Paesi stranieri. E ancora: "L'intervento deve essere fatto nel rispetto delle tradizioni del Paese. La fede cattolica non ha alcuna difficoltà a dialogare con altre religioni: anzi, il dialogo interreligioso ne è una delle condizioni profonde  Si tratta solo di vedere come fare questo passo. Le istituzioni devono avere garanzie sull'uso di questo luogo, sulla lingua che deve parlare l'imam e su quali attività vi verranno svolte".
Quanto al minareto, il cardinale è esplicito: "Io non farei grandi problemi riguardo ai minareti: certo, purché non lo vogliano fare in piazza del Duomo".


 

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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