Morire nel Mediterraneo

 

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                         2013          1050

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

12 aprile 2013

Milano, discriminata per il velo: "Vuoi lavorare? Allora toglilo"
Sara, cittadina italiana figlia di egiziani, sta studiando all'università. Ha fatto ricorso al Tribunale di Lodi presentando le mail dell'azienda. "Mi piacerebbe farti lavorare perché sei molto carina, ma potresti toglierti il chador?". "Lo porto per motivi religiosi, non sono disposta". "Purtroppo gli italiani non sono flessibili"
la Repubblica.it, 12-04-2013
ZITA DAZZI
MILANO - Giovane, bella, preparata, con un carattere dinamico e allegro. Sara ha tutte le qualità. Ma indossa lo hijab, il velo tradizionale islamico. E quindi un lavoro non lo trova. Nemmeno un lavoro saltuario come la distribuzione dei volantini per strada. Nemmeno a Milano, dove donne velate lavorano da anni in Comune e anche in campo privato, per esempio nelle librerie Feltrinelli. Ma per Sara Mahmoud, 21 anni, ogni volta che entra in contatto con un datore di lavoro, arriva un rifiuto. L'ultimo no è scritto nero su bianco nella mail di risposta avuta da una società che cura eventi in Fiera, che l'ha respinta per il suo rifiuto di togliere il fazzoletto che le copre i capelli. Sara ha così deciso di rivolgersi a uno studio di avvocati specializzati in procedimenti contro la discriminazione razziale e di fare causa per ristabilire quello che ritiene un suo diritto: "Portare il velo come prescrive la mia religione senza essere ingiustamente penalizzata sul lavoro e nella società".
Parole chiare, quelle di Sara, che ha la cittadinanza italiana ed è nata a Milano, prima dei tre figli avuti da una coppia di origine egiziana, partita dal Cairo un quarto di secolo fa. Sara parla l'arabo come tutti in casa sua, ma nella vita di tutti i giorni usa l'italiano con una spiccata inflessione milanese: "Io sono cittadina di questo Paese. Studio per laurearmi in Beni Culturali all'università Statale. E come tutti ho bisogno di guadagnare qualche soldo per non pesare tutta sulle spalle della mia famiglia", spiega. Per questo si era iscritta alle mailing list di varie società che mandano periodicamente agli iscritti proposte di lavoro per eventi a Milano. Diverse volte, in passato, la ragazza era stata contattata dalle società interinali e poi respinta a causa del velo che le incornicia il volto, lasciandole completamente scoperti occhi, fronte, bocca e naso. Un velo come lo portano tante donne e che non pregiudica la possibilità di fare un documento o di frequentare luoghi pubblici. "Anche in questo caso, quando ho mandato la mia foto col curriculum alla società che organizza i volantinaggi pubblicitari i fiera, ho ricevuto subito la richiesta esplicita di levarmi lo hjiab se volevo avere il lavoro".
La mail della società non lascia dubbi: "Ciao, Sara. Mi piacerebbe farti lavorare perché sei molto carina, ma sei disponibile a toglierti il chador?". Ma la ragazza è tenace e tenta la trattativa, spiegando le sue ragioni: "Ciao Jessica, porto il velo per motivi religiosi e non sono disposta a toglierlo. Eventualmente potrei abbinarlo alla divisa". Segue una ulteriore mail della società: "Ciao Sara, immaginavo. Purtroppo i clienti non saranno mai cosi flessibili. Grazie comunque". Sara insiste: "Dovendo fare semplicemente volantinaggio, non riesco a capire a cosa devono essere flessibili i clienti". Ma questa è stata l'ultima mail del carteggio.
Pochi giorni dopo, Sara, figlia di un elettricista e di una casalinga, prende la metropolitana e bussa alla porta degli avvocati Alberto Guariso e Livio Neri. I quali, oggi stesso depositeranno un ricorso al tribunale civile di Lodi, chiedendo "accertare e dichiarare il carattere discriminatorio dei comportamenti" tenuti dalla società che ha negato il lavoro alla giovane per il velo che indossa. "Anche la Corte europea ha sempre sancito che le limitazioni che incidono sulla libertà religiosa possono essere introdotte solo a tutela di diritti personali altrettanto importanti, come la sicurezza o l'incolumità personale - commenta il legale Guariso - non certo per inseguire un presunto gradimento della clientela".



Sfruttamento dell'immigrazione e truffa allo Stato per 28 milioni di euro, tre arresti
Documenti manomessi per far risultare minorenni migliaia di bengalesi che pagavano dai dieci ai ventimila euro arrivare a Roma clandestini
Corriere della sera, 12-04-2013
Rinaldo Frignani
ROMA - Migliaia di giovani bengalesi sfruttati, fatti passare per minorenni, affidati ai centri di accoglienza del Comune con documenti falsi e poi utilizzati nella manodopera clandestina. Una truffa da 28 milioni di euro alle casse del Campidoglio che andava avanti almeno dal 2010 e che è stata scoperta dai vigili urbani che, giovedì mattina, hanno arrestato tre immigrati bengalesi - due fratelli quarantenni e la moglie di uno di loro, ristoratori a Vermicino - e identificato centinaia di ragazzi maggiorenni. Ma i primi a essere raggirati erano proprio loro, costretti con le loro famiglie a pagare dai dieci ai ventimila euro per il trasferimento da clandestini fino a Roma dove venivano presi in custodia dall'organizzazione.
DOCUMENTI MANOMESSI - Il sistema prevedeva il ritiro immediato del passaporto e la produzione di documenti falsi sui quali le fotografie venivano ritoccate al computer per ringiovanire i bengalesi e farli sembrare minorenni. In questo modo venivano poi mandati a chiedere l'assistenza comunale negli uffici delle Politiche sociali a carico della collettività. Si calcola che negli ultimi tre anni abbiano beneficiato di questo trattamento non meno di 2.700 ragazzi. Molti di essi non ne avevano diritto, come dimostrato anche da un controllo svolto nelle settimane scorse dagli investigatori della Municipale, diretti dal vice comandante Antonio Di Maggio, d'accorso con la procura dei minorenni: su trenta giovani stranieri accompagnati all'ospedale militare del Celio per essere sottoposti a esami radiografici in grado di accertarne l'età effettiva (al massimo con un anno di scarto), ben 23 sono risultati maggiorenni e cinque sono riusciti ad allontanarsi durante le visite mediche.
L'INCHIESTA - All'inizio della settimana alcune centinaia di ragazzi bengalesi si erano riuniti fuori dall'assessorato alle Politiche sociali in via Merulana per protestare proprio contro gli accertamenti clinici ai quali venivano sottoposti alcuni connazionali. Si trattava di una parte dell'indagine giunta adesso a un secondo step. Ma l'inchiesta non si è conclusa. Oltre ai tre arrestati - ai quali sono stati sequestrati decine di passaporti di immigrati clandestini, documenti falsi e fotografie - gli investigatori stanno verificando dove gli stranieri venivano sfruttati e che tipo di lavori.
LA TRUFFA DEI ROM - La vicenda portata alla luce dai vigili urbani arriva poche settimane dopo l'inchiesta con 88 nomadi denunciati per truffa e falso per aver ottenuto negli anni scorsi centinaia di alloggi nei container di alcuni campi attrezzati della Capitale e l'assistenza del Comune sottoscrivendo false dichiarazioni nelle quali risultavano nullatenenti e appartenenti a famiglie disagiate. In realtà, come hanno scoperto insieme Municipale, Poste e Guardia di finanza, si trattava di persone con conti postali anche di 300 mila euro per un totale di oltre 10 milioni. Nei confronti dei rom indagati è scattata l'espulsione dai campi per assegnare gli alloggi a chi ne aveva realmente bisogno, ma una coppia - con beni per 100 mila euro - ha ottenuto dal Tar un provvedimento di sospensione dell'allontanamento fino alla fine di aprile.



L'accoglienza diventa un mestiere Un corso di formazione post-laurea
Avrà luogo a Foligno (Perugia) a partire dal 30 maggio prossimo ed avrà valoro a livello nazionale. Il corso prevede 150 ore di lezioni, fino al 25 ottobre prossimo: lezioni frontali, visite sul campo, simulazioni, laboratori
la Repubblica, 12-04-2013
FOLIGNO - L'accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati diventa un lavoro riconosciuto. Dal 30 maggio a Foligno (in provincia di Perugia) avrà luogo il primo corso di alta formazione per "Tecnico in accoglienza per richiedenti asilo, rifugiati e titolari di protezione internazionale". Per la prima volta l'operatore impegnato nella relazione d'aiuto verso richiedenti asilo e rifugiati diventa una qualifica professionale riconosciuta a livello nazionale.
Un lavoro con persone vulnerabili. Un percorso di alta formazione post-universitaria organizzato da In Migrazione Onlus e dal Centro Studi Città di Foligno, volto al raggiungimento di uno standard di conoscenze, abilità e competenze adatte a lavorare con e per soggetti vulnerabili, dove può risultare insufficiente la sola formazione di base nel sociale. Il programma prevede 150 ore di formazione intensiva dal 30 maggio al 25 ottobre 2013, con lezioni frontali di specialisti del settore, visite sul campo, role play, simulazioni, attivazioni esperienziali e laboratori.
I patrocini. Il corso in "tecnico in accoglienza per richiedenti asilo, rifugiati e titolari di protezione internazionale" è inserito nel Catalogo Unico Regionale dell'offerta formativa individuale della Regione Umbria e si svolgerà a Foligno (PG). Il corso è realizzato con il patrocinio dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e in collaborazione con Programma Integra, Fondazione IntegrA/Azione e la Cooperativa Be Free.



Dona un libro per gli immigrati nei Cara e riceverai un buono sconto per acquistarne altri.
Da oggi fino al 18 aprile l’iniziativa nelle librerie Feltrinelli in collaborazione con la Fondazione IntegrA/Azione.
Immigrazioneoggi, 12-04-2013
Restituisci il libro che non usi per donarlo agli immigrati e riceverai in cambio un buono sconto per l’acquisto di nuovi libri. È l’iniziativa che partirà da oggi nelle librerie Feltrinelli a sostegno della Fondazione IntegrA/Azione.
Le nostre case sono piene di libri. Quelli che abbiamo letto e ci hanno entusiasmato, che speriamo di rileggere, che faremo leggere ai nostri figli, che ci serviranno per lavoro e per studio. Libri insomma intoccabili e necessari. Poi ci sono quelli che non ci sono piaciuti, i regali sbagliati, gli acquisti incauti, le letture non fondamentali. Libri che occupano spazio, producono polvere, che a noi non servono più ma che potrebbero vivere ancora nelle mani di nuovi lettori, magari privi dei minimi mezzi per entrare da clienti in libreria, migranti che studiano la nostra lingua e devono impratichirsi sul corpo vivo di un testo.
Da qui l’iniziativa delle Librerie Feltrinelli per “dare nuova vita ai libri, aiutando giovani immigrati oltre che l’ambiente. Chiunque porterà un proprio libro da casa – non più di un libro al giorno per ogni giorno della promozione – e lo consegnerà in una libreria Feltrinelli, riceverà in cambio un buono del valore di 5 euro, spendibile fino al 18 aprile in qualsiasi punto vendita Feltrinelli a fronte di una spesa minima di 20 euro.
I libri così raccolti purché appartenenti a letteratura, saggistica, scolastica e testi didattici, corsi di lingue, enciclopedie e dizionari ecc. compresi testi in lingue straniere, verranno donati alla Fondazione IntegrA/Azione per progetti di alfabetizzazione e corsi di lingua italiana per stranieri. La Fondazione catalogherà e distribuirà i volumi raccolti all’interno dei centri dell’immigrazione del Ministero dell’interno, nello specifico i Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) dove verranno utilizzati nelle scuole di italiano L2 oltre a essere a disposizione in piccole strutture bibliotecarie dove gli ospiti del centro potranno prendere i volumi in prestito o leggerli sul posto.



La Giornata dei Rom e dei Sinti fra verità e menzogne elettorali
I cartelloni elettorali del sindaco Alemanno che campeggiano con la scritta: "Insieme per la legalità - 1075 sgomberi", stridono assai con le iniiziative organizzate per sensibilizzare l'opinione pubblica sui diritti delle persone appartenenti alle due etnie. E contrasta con l'esortazione della Presidente della Camera Luara Boldrini di "essere orgogliosi della loro identità"
la Repubblica.it, 11-04-2013
GIOVANNI CARBOTTI e CAMILLO MAFFIA
ROMA - Mentre la Presidente della Camera Laura Boldrini esorta la delegazione di ragazzi Rom a Montecitorio a "essere orgogliosi della loro identità e appartenenza", in occasione della Giornata Internazionale dei Rom e Sinti, viene spontaneo chiedersi cos'hanno provato quegli otto ad attraversare la città di Roma per recarsi in piazza Montecitorio. Non si può non immaginare questi ragazzi guardare i cartelloni elettorali del sindaco Alemanno che campeggiano con la scritta: "Insieme per la legalità - 1075 sgomberi".
Gli orrori degli sgomberi. Lo slogan scorre davanti ai loro occhi, rievocando l'orrore degli sgomberi forzati, privi di alternativa d'alloggio oppure, nella migliore delle ipotesi, propedeutici al trasferimento su base etnica nei "villaggi della solidarietà" fatiscenti quando non letali, come il campo nomadi di via di Salone in cui i bambini che non muoiono per epatite perché hanno bevuto l'acqua erogata nei container giocano fra topi e cumuli di rifiuti. Ma l'accanimento verso i Rom, a Roma, non ha limiti, e non è un'esclusiva del centrodestra. Anzi: Cristina Alicata, membro della direzione regionale del Pd, parla senza mezzi termini delle "file di Rom che quando ci sono le primarie si scoprono appassionati di politica", sottolineando che "il razzismo non c'entra nulla, sono voti comprati". Se si fosse recata al campo nomadi di via dei Candoni almeno una volta, ad esempio, saprebbe perché Ion Bambalau intende querelarla:
"Voto e ne sono orgoglioso". "E' la terza volta che voto e ne sono orgoglioso", ha dichiarato il portavoce del campo, la cui candidatura è auspicata da molti sul territorio anche nel PD da diversi anni, proprio per via del suo impegno politico e della sua sensibilità sociale. Bambalau non è l'unico: da Riba, coordinatore de La Barbuta, allo storico portavoce del campo di via Salviati Mirko Grga, non sono pochi i Rom capitolini che, soprattutto dopo il piano nomadi, comprendono sempre di più l'importanza di una rappresentanza democratica, e la trasmettono ai loro familiari e vicini.
I romani non lo sanno. Di tutto questo, i cittadini romani sono ignari, e fondano la loro opinione sui racconti di Alemanno e Belviso che parlano di conti correnti milionari e auto di grossa cilindrata nei campi nomadi, dimenticando di precisare che le cifre trovate sui libretti delle famiglie residenti non provengono tutte da attività illecite, ma più spesso sono il frutto di decenni di risparmi guadagnati onestamente con la raccolta del ferro, che i Rom stessi non sanno come dichiarare. Anzi, come fa notare M. de La Barbuta: "Magari raccogliere il ferro non fosse un lavoro nero. Non rischierei il sequestro del furgone, come è successo ad altri". Già, il furgone: l'auto di grossa cilindrata che la gente identifica con Ferrari e macchine di lusso, grazie all'opportuna scelta delle parole. Ma si sa, i Rom sono un popolo particolare, che tende a diventare milionario appena inizia la campagna elettorale.
"Quale milionario vivrebbe in un posto come questo?" Ride R., indicando l'immensa distesa d'immondizia che precede l'ingresso al campo de La Barbuta, la stessa indicata da Jimmy Ghione in un recente servizio di Striscia la Notizia. Che confonde però il territorio di Ciampino con quello di Roma Capitale, la cui Giunta ha voluto contro le proteste del sindaco Lupi l'enorme ghetto, in cui 650 persone dovrebbero integrarsi isolate da qualunque contatto con il resto del tessuto sociale. Tanto che si attende ancora l'esito del ricorso presentato da ASGI e Associazione 21 Luglio contro questo campo, in cui si evidenzia il suo carattere discriminatorio ma non solo: il luogo non è idoneo a ospitare un insediamento umano per le condizioni igieniche, l'aria insalubre e l'inquinamento acustico. Oltre 30 milioni di euro per un piano nomadi i cui sgomberi hanno danneggiato la scolarizzazione e la salute dei minori, dividendo i Rom tra trasferimenti forzati in ghetti videosorvegliati e la fuga dalle ruspe verso centinaia di nuovi micro-insediamenti abusivi.



Mr Facebook: "Apriamo agli immigrati, sono la chiave dell'economia della conoscenza"
Le riflessioni di Mark Zuckerberg: “Le risorse più importanti sono persone di talento che educhiamo e attraiamo nel nostro Paese. Oggi le cacciamo. I miei bisnonni arrivarono a Ellis Island, io ho creato un’azienda”
Stranieriinitalia.it, 12-04-2013
Roma – 12 aprile 2013 - “Siamo una nazione di immigrati, ma abbiamo una strana politica dell’immigrazione. Una politica che non è adatta al  mondo di oggi”.
Lo scrive Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, in un editoriale pubblicato ieri dal Washington Post. L’occasione per lanciare FWD.us, un gruppo di pressione politica creato insieme ad altri leader della comunità tecnologica che ha tra i suoi primi obiettivi la riforma dell’immigrazione, interventi sul sistema scolastico e investimenti per la ricerca.
“L’economia di oggi – sottolinea– è basata soprattutto sulla conoscenza e sulle idee. Le risorse più importanti sono persone di talento che educhiamo e attraiamo nel nostro Paese. Un’economia della conoscenza può crescere ulteriormente, creare lavori migliori e garantire una qualità della vita più alta per tutti nella nostra nazione”.
Per guidare il mondo in questa nuova economica, gli Usa hanno bisogno delle “persone più talentuose e operose”. “Dobbiamo formare e attrarre i migliori” scrive Zuckerberg.
E chiede: “Perché cacciamo il 40% degli studenti stranieri diplomati in matematica e scienze dopo averli formati? Perché offriamo così pochi visti per lavoratori qualificati? Perché non permettiamo agli imprenditori di trasferirsi qui se hanno i mezzi per avviare un’azienda che creerà nuovi lavori?”.
“I miei bisnonni arrivarono a Ellis Island”, ricorda il numero uno di Facebook. “I miei nonni erano un postino e un poliziotti. I miei genitori sono dottori. Io ho creato un’azienda. Niente di tutto questo sarebbe successo senza una politica dell’immigrazione aperta, un grande sistema educativo e la comunità scientifica leader mondiale che ha creato Internet”.
Leggi:
Facebook’s Mark Zuckerberg: Immigration and the knowledge economy (Washington Post)
 

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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