Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

20 febbraio 2014

Il circuito Sprar funziona Perché non ampliarlo?
l'Unità, 20-02-2014
Italia-razzismo
Dal 1 febbraio 2014 sono stati aumentati i posti in accoglienza all’interno del circuito Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Si tratta di un sistema particolare in cui i migranti non ricevono solo vitto e alloggio
in un centro, ma hanno a diposizione molti altri servizi, utili al loro percorso di integrazione. I numeri che vengono resi noti annualmente sull’andamento di questi progetti, descrivono come essi incidano positivamente sulla vita delle persone accolte.
Pare siano pochi, infatti, quelli che escono senza aver appreso la lingua italiana e con principi minimi di educazione civica e di formazione all’attività lavorativa. Il successo è anche decretato dal fatto che i progetti coinvolgono quasi sempre piccoli gruppi di persone e si svolgono per lo più in piccoli paesi individuati ad hoc per la facilità di adattamento del progetto ideato.
Dalla nascita di questo sistema ad oggi migliaia di migranti hanno preso parte a progetti Sprar, a fronte di una disponibilità di pochi posti che si rinnovano ogni sei mesi. Il sistema Sprar è stato ampliato dal Viminale cinque volte dal 2012 a oggi, passando da 3mila a 16mila. Tra dicembre 2012 e novembre 2013 sono stati trovati 6.356 posti aggiuntivi e, con l’attuale finanziamento, si è arrivati a 13.020. È sicuramente un vantaggio per loro ma lo è anche per la società intera che, spesso, sottovaluta l’importanza di investire nei primi mesi dell’arrivo in Italia dei migranti. È in questa primissima fase che il migrante in fuga deve essere messo nella condizione di raccontare il proprio viaggio, il motivo per il quale si è allontanato dal Paese di origine e quello per cui vuole chiedere asilo.
L’accoglienza è utile per poter recuperare le energie e investire sul proprio futuro. Se questa possibilità non viene data
al migrante, le conseguenze saranno deleterie. Sono numerosi gli esempi di percorsi di integrazione falliti, proprio perché sono state ignorate le esigenze dettate dalla condizione di neo-arrivato. È quanto accade negli attuali Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati) in cui le persone dovrebbero rimanere fino a un massimo di 35 giorni per poi essere trasferite, qualora lo chiedessero, in un centro Sprar. La prassi è molto lontana da quanto descritto. Infatti, i tempi di permanenza sono lunghi, fino ad arrivare in alcuni casi a otto mesi e la causa è da ricercarsi nel lavoro che prosegue a rilento della Commissione Territoriale per l’Asilo. Il compito di questo organo è di valutare la storia di ogni richiedente asilo e di rispondere decretando quale tipo di protezione rilasciare. Solo a questo punto la persona potrà lasciare il Cara. Il punto è che, se in quel periodo non ha svolto alcun tipo di attività, se non quella di attendere con ansia il parere della Commissione, si porrà il problema di dove andare e che cosa fare. Finora in pochi sono riusciti a realizzare il proprio progetto migratorio. Tutti gli altri hanno seguito altre strade, alcune di queste non sempre proficue.



IL DILEMMA DELL'IMMIGRATO
L'Europa oscilla fra gli estremi di chi vede le nazioni come libere praterie e chi invece le vorrebbe fortezze recintate. Ma entrambe le posizioni sono ormai utopia.
Panorama, 20-02-2014
Riccardo Paradisi
Si chiamava Pane e cioccolata il film con Nino Manfredi che raccontava la storia di un italiano emigrato in Svizzera alla ricerca di un posto di lavoro. Chi l'avrebbe mai detto (il film è del 1973) che, 40 anni dopo, l'Italia sarebbe tornata a essere terra di migranti. Che la Svizzera avrebbe chiuso le frontiere ai lavoratori stranieri in seguito a un referendum. Che in Francia la figlia di un parà dell'Oas, Marine Le Pen, avrebbe raggiunto il 34 per cento dei consensi al grido «no all'immigrazione». Che il nostro stesso Paese sarebbe diventato a sua volta il punto d'approdo di milioni di emigrati provenienti dal sud del mondo, dall'est europeo, dalla Cina.
Eppure è quanto sta accadendo mentre l'Europa oscilla fra gli estremi bipolari di chi pensa che le nazioni debbano essere una prateria libera e di chi si illude che possano essere fortezze recintate e autosufficienti. Come se nel settore dei servizi e dell'assistenza, in paesi come quelli europei che invecchiano progressivamente, non fosse indispensabile una quota di stranieri. O come se l'11,7 per cento dell'impresa nazionale italiana non fosse per esempio rappresentata da stranieri integrati che con il loro lavoro contribuiscono alla ricchezza nazionale.
Tuttavia, se fino a ieri è esistita una capacita di assorbimento di questi flussi (nel 2013 sono stati quasi 72 milioni i migranti che si sono stabiliti nei paesi europei, fonte Censis), la crisi oggi non agevola più un atteggiamento di apertura. Secondo l'ultimo rapporto dei Censis, due italiani su tre (il 65,2 per cento) pensano che gli immigrati siano troppi. Riflessi condizionati dalla paura? Sentimenti irrazionali? Secondo i dati Istat, i Cittadini non comunitari regolarmente presenti in Italia sono circa 4.300.000, accanto a loro sarebbero più di 2 milioni gli irregolari. Numeri che per l'economista Giulio Sapelli giustificano politiche di limitazione degli accessi. «L'immigrazione è sempre stata l'indice di necessita di manodopera» dice Sapelli.
«E quando si riteneva che questa fosse in esubero si è sempre fatto in modo che i flussi rallentassero. I più convinti assertori di questa politica di limitazione sono stati sempre i sindacati. In Italia ci suona strano per un motivo semplice: tranne la Cisl, i sindacati italiani non sono diretti da operai». Eppure, ricorda Sapelli, è stato Karl Marx a spiegare che cosa è un «esercito industriale di riserva», il cui effetto è quello di deprimere i livelli salariali nazionali.
Del resto il quadro che emerge dalla relazione sul mercato del lavoro dei Cittadini stranieri stilata dal ministero del Lavoro non lascia spazio a dubbi: l'offerta di lavoro garantita dagli stranieri già presenti in Italia appare più che sufficiente.
Riflettendo in questi termini si capisce anche il boom di consenso nei confronti di Marine Le Pen, che Vittorio Emanuele Parsi, docente di relazioni internazionali all'Università Cattolica di Milano, attribuisce all'ottusità dell'establishment eurocratico: «Se le élite economiche e finanziarie facessero meno sermoni sui populismi e si prendessero in carico parte dei costo sociale della globalizzazione, forse l'estrema destra non avrebbe tutta questa forza in Europa».
Europa peraltro politicamente assente nell'area dei Mediterraneo, benché sia questo lo spazio decisivo del problema. «Dopo il processo di Barcellona anche l'Unione per il Mediterraneo ha fatto perdere le sue tracce. Prima di parlare di ius soli bisognerebbe almeno iniziare a fare alcuni passi in questa direzione» dice ancora Parsi.
L'Europa come problema, dunque. Pierpaolo Donati, sociologo dell'Università di Bologna, . denuncia nelle politiche Ue l'assenza di quel principio di sussidiarietà che pure prevede il trattato di Maastricht «Sussidiarietà vuol dire autonomia delle aree locali: se ci sono nazioni che intendono seguire una loro politica sull'immigrazione, questa deve essere rispettata». Del resto è pura utopia concepire una libera circolazione di uomini senza l'adeguata copertura di welfare e di lavoro. «In Germania» continua Donati «l'assetto federale del paese garantisce un'autonomia decisionale ai Land sulle politiche migratorie e il sistema funziona meglio rispetto all'ltalia, dove la matrice culturale centralistica che vige in Europa rischia di esasperare i focolai di populismo che dilagano nel continente». Se poi è vero che l'Europa è una casa comune, sarebbe opportuno che assumesse un principio di equa ripartizione dei flussi migratori. È questo il pensiero del responsabile ufficio immigrazione della Caritas, Oliviero Forti: «Serve un accordo europeo che preveda una quota congrua di richiedenti asilo per ogni stato membro dell'Unione europea.



Lo "svuota carceri" è legge. Più detenuti rimpatriati senza passare per i Cie
Il Senato converte in legge il decreto del governo. Aumentano i casi di espulsione come alternativa alla detenzione, identificazione anticipata appena si entra in carcere
stranieriinitalia.it, 20-02-2014
Elvio Pasca
Roma - 20 febbraio 2014 - Ieri il Senato ha approvato ieri definitivamente, con 147 voti favorevoli, 95 contrari e nessun astenuto ,  il ddl n. 1288 di conversione del decreto-legge 146/2013, in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria. Un testo soprannominato “svuotacarceri” che prevede interventi specifici anche per i detenuti stranieri.
Non potrebbe essere altrimenti, se si considera che al 31 gennaio scorso, a fronte di una capienza regolamentare di 47.711 posti, nei penitenziari italiani erano presenti 61.449 detenuti e, tra questi, ben 21.167, il 34%, erano cittadini stranieri.
Lo “svuotacarceri” interviene sull' l’articolo 16 del testo unico sull’immigrazione, aumentando i casi in cui ai detenuti stranieri si applica l’espulsione come alternativa al carcere quando devono scontare una pena, anche residua, non superiore ai due anni. Vengono esclusi da questa procedura i condannati per reati particolarmente gravi e, specificatamente, i trafficanti di uomini.
Un altro intervento significativo, che traduce in legge una prassi finora applicata con difficoltà nei nostri penitenziari, riguarda l’identificazione per l’espulsione di questi detenuti, che inizierà  appena entrano in carcere in modo da porterli effettivamente rimpatriare quando usciranno. La Polizia interesserà subito le autorità consolari dei Paesi di provenienza e il ministero dell’Interno si coordinerà con quello della Giustizia.
È una misura che dovrebbe ridurre uno dei problemi maggiori dei Centri di Identificazione ed Espulsione, dove transitano molti ex detenuti in attesa di rimpatrio. Questo genera sovraffollamento nelle strutture, costringe gli ex detenuti a un ingiusto “supplemento di pena” e fa convivere in condizioni già molto difficili persone che sono finite nei Cie solo perché erano prive di un permesso di soggiorno e persone che hanno commesso crimini di gran lunga più gravi.
 


Cittadini in transito
Italiani e seconde generazioni: siamo tutti “cittadini in transito”
Corriere.it, 20-02-2014
Livia Grossi
   “Voi, figli di seconda generazione, siete come dei minatori che tentano di scavare un varco per ottenere la cittadinanza; ma noi italiani, invece, che ce l’abbiamo, fino a che punto possiamo esercitare veramente i nostri diritti?”.
 Una domanda che potremmo farci tutti, in questo tempo in cui la parola ‘cittadino’ da un punto di vista politico e personale, mette in crisi molti di noi. La compagnia teatrale Alma Rosé affronta la questione con il suo spettacolo-concerto, “Cittadini in transito” (in scena dal 20 al 23 febbraio al Teatro Atir Ringhiera, via Boifava, 17 – ore 20.45. Domenica: ore 16, 15 euro). Una riflessione a più voci che ha per protagonistal’identità di chi è nato in Italia da genitori stranieri o nel nostro Paese ci è cresciuto, ma non può legalmente dirsi italiano. Sull’altro fronte chi è italiano da sempre, ma si domanda quali siano le sue reali possibilità d’intervento alla vita pubblica del Paese.
    “Più che dimostrare quanto una persona sia dentro un pezzo di carta,bisognerebbe chiedersi quanta Italia c’è dentro una persona”, affermano Manuel Ferreira ed Elena Lolli, protagonisti dello spettacolo.
 Tra le testimonianze in scena, quella di un ragazzo italo-pachistano che si batte per diventare avvocato, e la storia di una militante eritrea che in una manifestazione dell’arcigay capisce che finora si è impegnata a difendere i diritti di tutti tranne il suo, quello di amare chi desidera. Questioni quotidiane che sul palco diventano argomenti di vero confronto collettivo, con chi la realtà di ‘cittadino in transito’ la vive sulla propria pelle. Sul finale di ogni replica sul palco molti ospiti: Pierfrancesco Majorino, Seble Woldeghiorghis, Rassmea Salah, Reas Syed, Medhin Paolos, Alessandro Capelli, Don Roberto Davanzo, Francesco Wu. La musica non può che essere dell’Orchestra di Via Padova, l’ensamble più multietnico della città .



Il dono di Jang: 30 mila euro alle scuole della sua città
Giovane imprenditore di origine cinese regala quaderni, penne e altro materiale a elementari e medie di Pistoia. “Un modo per combattere la crisi”
stranieriinitalia.it, 20-02-2014
Pistoia 20 febbraio 2014 – Quaderni, penne, risme di carta, ma anche detersivi per tenere puliti pavimenti e banchi. Trentamila euro di prodotti  donati da un giovane imprenditore di origine cinese alle scuole della sua città, Pistoia.
Johnny Jang,   30 anni, vive nella città toscana da quando ne aveva quindici. Ha appena aperto un supermercato in periferia, dove si vende un po’ di tutto, tranne alimentari, e ci tiene a precisare che “il  70 % è merce italiana e solo il 30% cinese”. Ieri ha incontrato i dirigenti di sette scuole elementari e medie per presentare loro “W la scuola”, che altro non è che un  maxi regalo.
“Siamo molto contenti di aiutare la collettività. Vivo a Pistoia da quasi metà della mia vita e conosco il territorio” ha spiegato Jang promettendo che l’anno prossimo ripeterà l’iniziativa. “Un gesto questo – ha aggiunto – che vuole combattere il momento di crisi che stiamo attraversando, soprattutto nel settore scolastico, dove i tagli sono stati enormi, e gli amministratori, sono stati costretti ad aumentare, anche se sotto la forma di contributo volontario, le varie tasse scolastiche”.
I dirigenti scolastici ringraziano. “Abbiamo accolto davvero con sorpresa questo regalo sia per la qualità che per la quantità del contenuto – ha spiegato uno di loro alla stampa locale - I prodotti sono tutti certificati a norma CE e fanno davvero comodo alle risorse limitate della scuola che, essendo ormai la scuola dell'autonomia, deve trovare i contributi nelle risorse del territorio”.
 

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