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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

4 marzo 2010

L'ultima beffa agli immigrati, spunta la sanatoria trappola
Input contraddittori dal Viminale. Prima rassicura gli stranieri, poi avalla il giro di vitedal nostro inviato PAOLO RUMIZ
La Repubblica, 4 marzo 2010
TRIESTE - Come criminali comuni, magnaccia o spacciatori di droga. Gli immigrati che hanno fatto domanda di sanatoria ma in passato non hanno rispettato un decreto di espulsione vanno rispediti a casa.Non ovunque, ma così, come gira agli uffici stranieri delle questure. Qua e là, alla chetichella, partendo dalla provincia, che nessuno mangi la foglia in anticipo. Uno sì e l'altro no, in modo che tutti restino col fiato sospeso. Funziona così la sanatoria Maroni: inflessibile in alcune province, a maglie larghe altrove. Una dicotomia interpretativa che colora la carta d'Italia come le chiazze del morbillo.

Durezza a Trieste, Rimini, Perugia. Clemenza a Milano, Venezia, Bologna e in altre province. Incertezza ovunque, di conseguenza. La voce si è sparsa e gli immigrati si scoprono a bagnomaria, con un contratto regolare in mano ma senza sapere ancora se saranno espulsi o no. In gran parte africani, gli stessi che la mafia ha preso a fucilate a Rosarno. I più visibili, quelli espulsi più di frequente, dunque più ricattabili e di conseguenza a costo più basso sul mercato del lavoro. L'incertezza del diritto in Italia la vedi sulla pelle degli stranieri.

La storia si gioca negli ultimi sette mesi, da quando parte la sanatoria Maroni. A monte, la contraddizione insita nella precedente legge Bossi-Fini, che all'articolo 14 individua nella mancata ottemperanza all'espulsione l'unico reato veniale del codice per il quale è previsto l'arresto obbligatorio. Come dire: non hai fatto niente, ma ti ficco dentro lo stesso. Di fronte a questa incertezza del diritto, molte organizzazioni vogliono vederci chiaro. I condannati per mancata obbedienza al decreto di espulsione possono fare domanda, sì o no?


La Confartigianato di Rimini per esempio, città che in seguito vedrà espulsioni, pone il quesito al Viminale. Ottiene circostanziata risposta ufficiale via mail in 48 ore: la richiesta si può fare. Data: 23 settembre 2009. Anche il buon senso dice che non può essere altrimenti. Che cosa si deve sanare se non una precedente illegalità? Che senso avrebbe impedire la legalizzazione di coloro che sono stati illegali? Insomma: lasciate che le pecorelle vengano a noi con fiducia.

Tutto sembra mettersi bene. Il ministero raccomanda alle prefetture, che devono istruire le domande, di lavorare con larghezza. Ovunque si instaura un clima di efficienza ecumenica. Traduttori, mediatori culturali, rispetto. L'Italia sembra improvvisamente un altro Paese. Ma attenzione: la raccomandazione del Viminale non avviene per iscritto ma con telefonate dirette a ogni prefetto d'Italia. L'elettore medio non deve sapere che questo governo tratta gli immigrati come persone.

Ma i prefetti non si formalizzano e la macchina s'avvia. Scatta l'emersione. Decine di migliaia di stranieri escono dalle catacombe, trovano datori di lavoro per un contratto, spesso minimale ma sufficiente. Pagano l'Inps e le varie tasse di regolarizzazione. Firmano montagne di carte. Fanno lo stesso i cittadini italiani che li hanno assunti. Ma l'ultima parola spetta alla questura, che deve controllare la fedina degli stranieri.

E qui il clima cambia di colpo. Alcune questure convocano gli immigrati, comunicano il respingimento della domanda e, contestualmente, il decreto di espulsione. Il pollo è lì, si è autoconsegnato con i documenti in mano, e viene caricato su un aereo. La sua colpa è appunto quella individuata dalla Bossi-Fini: avere ignorato la condanna all'espulsione. Il tutto gli viene spiegato senza preavviso prefettizio e senza dar tempo al malcapitato di consultare un legale. Via subito. Il caso di Trieste.

La voce gira, e gli immigrati si organizzano, cercano patrocinio legale. Alcuni consegnano i passaporti ai loro datori di lavoro, non si sa mai. Tutti fiutano il trappolone, temono che la larghezza iniziale sia stata propedeutica alla chiusura successiva. E intanto partono nuove domande al Viminale. Il giornale di Trieste, per esempio, segnala la cosa al ministro, il quale risponde, ma con un appunto anonimo, cioè senza firma, compilato dalla stessa questura.

C'è scritto: la condanna per mancata obbedienza all'espulsione è da considerarsi reato grave, tant'è vero che comporta arresto obbligatorio. La cacciata dall'Italia è dunque legittima. L'esatto contrario di quanto sostenuto ufficialmente il 23 settembre. Ora nemmeno al ministero ci capiscono più niente. Gli uffici cui fanno capo le prefettura ignorano quanto pensano e fanno al piano di sopra gli uffici delle questure. Il marasma è tale che le stesse questure chiedono istruzioni, vedi Pavia e Alessandria. E il ministro risponde con appunti senza firma perché non può sostenere un nonsenso e contraddirsi.

"Noi applichiamo la legge" dichiara il questore di Trieste, il quale peraltro aggiunge subito dopo che il reato in questione "può rientrare" tra quelli ostativi alla concessione della sanatoria. "Può rientrare", si badi bene: non "rientra". Dunque quell'interpretazione è, per sua stessa ammissione, facoltativa. Ed è quanto avviene, per l'appunto, in giro per l'Italia. Chi vuol mostrare i muscoli col ministro espelle; gli altri no. E le prefetture, laddove subalterne alle questure, si adeguano all'anarchia interpretativa. Sulla quale sarebbe ora che il ministro si pronunciasse in prima persona, in nome dello stato di diritto.



La destra xenofoba avanza in Olanda
Napolitano: «E' un segno preoccupante»

Corriere della Sera 04 marzo 2010

BRUXELLES - Un «segno preoccupante»: così il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha commentato la vittoria registrata in Olanda da forze come quella di Geert Wilders che hanno una caratterizzazione xenofoba e puntano a una nazionalizzazione delle loro politiche rispetto all'Europa. «Sono tendenze fuori dalla storia e fuori dalla realtà», ha detto ancora Napolitano, parlando in inglese al fianco del presidente del Parlamento europeo Jerzy Buzek con cui aveva appena avuto un faccia a facca. L'idea di tornare al passato, ha detto ancora il Capo dello Stato, costituisce una «pericolosissima e anacronistica illusione» che forse si basa sul fatto che le forze politiche tradizionalmente favorevoli all'Europa, «non si battono in modo persuasivo per l'affermazione del ruolo dell'Europa unita». Napolitano ha poi affermato che «i cittadini europei non possono aspettarsi niente di nuovo da un angusto approccio nazionale».

LE ELEZIONI IN OLANDA - Il commento di Napolitano arriva con la conferma delle tendenze che emergono dallo scrutinio dei voti per le elezioni amministrative olandesi, che evidenziano un calo dei consensi per i principali partiti di governo e la crescita per quelli all'opposizione, a partire appunto dal partito xenofobo anti-islam di Geert Wilders. Con il Pvv di Wilders, emergono come vincitori di queste consultazioni i due partiti liberali Vvd e il piccolo D66, mentre i laburisti PdvA di Wouter Bos, al 93% delle schede scrutinate, ottiene solo il 16% dei suffragi, contro il 23,45% delle precedenti amministrative, circa sei punti in meno. In calo di due punti anche il partito dei cristiano-democratici (Cda) del premier Jan Peter Balkenende. Il partito di Wilders si afferma come primo partito nella città dormitorio di Almere, ad est di Amsterdam, guadagna ma non sfonda all'Aja dove si afferma come secondo partito. I laburisti perdono consensi anche in città tradizionalmente della sinistra come Amsterdam dove guadagnano invece i liberali del D66.





IMMIGRATI: MARONI, RESPINGIMENTI IN LIBIA SEMPRE NELLA MASSIMA LEGALITA'
(ASCA) - Roma, 2 mar - I riaccompagnamenti in Libia di immigrati respinti dall'Italia sono avvenuti ''sempre nel quadro di un'assoluta legalita' nazionale e internazionale'' e, in questi casi, ''non e' stata mai negata dall'Italia la possibilita' di richiedere asilo politico''. Lo ha affermato questa sera al Senato il Ministro dell'Interno Roberto Maroni intervenuto in Aula nel corso della discussione su alcune mozioni sull'immigrazione.

Maroni ha difeso le politiche del governo in tema di immigrazione, anche per quanto riguarda il reato di clandestinita' che, a suo dire, e' riuscito a bloccare gli arrivi a Lampedusa e far calare del 13,9% i reati commessi nel 2009 da immigrati nel nostro paese. Maroni ha poi affermato che da quando e' stato introdotto il reato di clandestinita' sono state riscontrate 15 mila denunce.

Per quanto riguarda, invece, i rapporti con la Libia e il mancato rispetto dei diritti umani, Maroni ha ricordato che Tripoli ha firmato un Trattato complementare e piu' esteso della Convenzione di Ginevra.

''Da parte nostra - ha aggiunto il Ministro - non abbiamo mai negato, quando ci e' stata richiesta, la possibilita' di chiedere asilo e quando ci e' stata richiesta la protezione umanitaria la riconsegna alla Libia non e' mai avvenuta''.





Immigrati, Bitonci contro Zanonato

"Qui si rischia come in via Padova"
Dopo il corteo dei migranti del primo marzo, sbotta il deputato leghista che è anche sindaco di Cittadella, per il quale la città del Santo è come il ghetto milanese: "Ci sono trentamila stranieri registrati all’Anagrafe e popolano ormai interi quartieri"
Massimo Bitonci

PADOVA. «Non è possibile che ogni volta che organizziamo una manifestazione a Padova, dobbiamo essere protetti dalle forze dell’o rdine». A sbottare è l’onorevole Massimo Bitonci, deputato del carroccio, che lunedì sera, alla Fornace Carotta, ha partecipato al convegno sulla sicurezza promosso dalla Lega Nord. «Quando sono arrivato in prossimità di via Siracusa - sottolinea Bitonci - la zona risultava completamente militarizzata, con tutte le strade di accesso bloccate dalle camionette, che controllavano ad una ad una sia le persone dirette al convegno sia i passanti e i residenti».

L’esponente del Carroccio sostiene che «la situazione in città rischia di esplodere, sulla falsariga di quello che è successo in via Padova a Milano. I dati sono eclatanti: nel capoluogo vivono ormai, oltre ai clandestini, ben 30 mila immigrati registrati all’A nagrafe. Insomma gli extracomunitari rappresentano il 14-15% della cittadinanza e i rumeni sono un terzo della popolazione stranieri. Il problema è che si stanno creando dei quartieri-ghetto in cui vivono solo immigrati. In questo contesto il sindaco di Padova, che non disdegna di farsi chiamare “sceriffo rosso”, lascia campo libero a immigrati clandestini, spacciatori e delinquenti, che ormai sono padroni di intere vie e quartieri, da via Manara a via Cairoli alla zona Stanga e che mettono a rischio la sicurezza dei padovani».

Il primo cittadino di Cittadella mette in guardia i padovani «dalla politica degli assembramenti che tanto piace all’assessore alla Casa Antonino Pipitone. Non vi è alcun controllo, da parte della Polizia municipale, sull’ospitalità che gli stranieri offrono ai loro connazionali clandestini che arrivano in città».

Il segretario provinciale del Carroccio, Maurizio Conte, mette l’a ccento sui tanti extracomunitari che perdono il lavoro qui in Veneto e che non riescono più a tirare avanti. A questo punto s’i mpongono delle politiche di rimpatrio, visto che anche tanti padovani e veneti si trovano in difficoltà lavorativa. I pochi fondi del sociale, d’altra parte, sono quasi completamente devoluti agli extracomunitari che magari hanno acceso un mutuo e che non sanno più come arrivare alla fine del mese».
(03 marzo 2010)




04-03-10
CIVILTA' CATTOLICA, SERVE RIFORMA LEGGE CITTADINANZA
(ASCA) - Citta' del Vaticano, 4 mar - ''Sarebbe auspicabile cancellare una situazione sfavorevole all'integrazione costituita dalla mancata concessione della cittadinanza, a determinate condizioni, piu' ampie di quelle attuali, allo straniero che nasce in Italia''. Lo scrive, nell'edizione in uscita oggi, la Civilta' Cattolica, il quindicinale dei gesuiti pubblicato con l'imprimatur della Segreteria di Stato vaticana.

Al termine di un'ampia analisi della situazione dell'immigrazione in Italia, e in particolare a Roma, firmata da p. Michele Simone, Civilta' Cattolica afferma che ''il provvedimento piu' urgente e' rendere piu' celere la concessione del permesso di soggiorno a coloro che, avendone i requisiti, ne hanno fatto richiesta, secondo le norme in vigore''. ''In attesa poi - prosegue il periodico dei gesuiti - che in un futuro non ancora prevedibile si riesca a formulare e ad approvare un provvedimento organico in tema di accoglienza dell'immigrazione, sarebbe auspicabile canellare una situazione sfavorevole all'integrazione costituita dalla mancata concessione della cittadinanza, a determinate condizioni, piu' ampie di quelle attuali, allo straniero che nasce in Italia''. ''In molti Stati - afferma ancora p.

Simone - come Stati Uniti, Canada, Brasile e cosi' via, chi nasce nel Paese ne acquisisce automaticamente la cittadinanza. In Italia questo non avviene, tanto che quando un minorenne immigrato raggiunge il diciottesimo anno di eta', deve avviare subito la pratica per la concessione del permesso di soggiorno, altrimenti viene espulso e deve lasciare la famiglia d'origine che vive in Italia''.

L'immigrazione, conclude Civilta' Cattolica, non e' piu' un ''fenomeno emergenziale'' ma ''nonstante tale convinzione, in genere si rimane molto lontani dal trarne sempre le dovute conseguenze''.







Zingaretti ha annunciato il sostegno alla legge Sarubbi-Granata

Sì a nuove regole per la cittadinanza
CINQUE GIORNI, 04-03-2010
L'annuncio in occasione degli "Stati Generali della Cittadinanza" organizzati ieri pomeriggio a Palazzo Valentini. A presentare l' iniziativa e' stato il presidente della Provincia Nicola Zingaretti in compagnia dell' assessore delle Politiche sociali Claudio Cecchini.


La Provincia di Roma sostiene la proposta di legge Sarubbi-Granata che riforma le regole per la cittadinanza agli stranieri in Italia. E per annunciarlo sceglie un' occasione importante: gli ' Stati Generali della Cittadinanza' organizzati ieri pomeriggio a Palazzo Valentini. A presentare 1' iniziativa e' stato il presidente della Provincia, Nicola Zingaretti in compagnia dell' assessore delle Politiche sociali, Claudio Cecchini. "Sono d' accordo con il ministro Meloni : l' Italia e' di chi la ama e di chi ci nasce, e quindi e' giusto e, direi anche scontato, che calciatori giovani, bravi e professionali come
Stefano Okaka, Mario Balotelli e Angelo Ogbonna siano nella nostra Nazionale (Under 21, ndr) ". Zingaretti ha poi risposto indirettamente al ministro della Gioventù', Giorgia Meloni, ed al leghista Mario Borghezio che avevano parlato della vicenda dei tre azzurrini. "Come Italiano -ha detto-sene orgoglioso che questi tre ragazzi indossino la maglia azzurra e abbiano l' occasione per dare il loro contributo alla nazionale Under 21. Mi auguro che quanto sta avvenendo nel calcio aiuti a comprendere quanto l' immigrazione possa essere una risorsa per tutti e quanto sia importante sostenere nuove leggi contro la miope semplificazione immigrazione  uguale problemi della sicurezza". Per Zingaretti c'è la necessità di nuove norme e nuove leggi "per declinare nuovi diritti e nuovi doveri, per essere tutti più' forti" ma deve essere chiaro "il contributo che gli immigrati rappresentano per il nostro Paese in tutti i settori."



«Noi, UN PARTITO VERO LA GENTE LO HA CAPITO»

SANDRO BONDI, IGNAZIO LA RUSSA e DENIS VERDINI
CORRIERE DELLA SERA, 04-03-2010
Egregio Direttore, le critiche all'operato del governo, anche quelle più aspre, sono il sale della democrazia e contribuiscono, se bene intese, a correggere i possibili errori e a fare meglio. Vi sono critiche, invece, come quelle dell'editoriale di ieri del Corriere, che finiscono purtroppo per essere sterili in quanto non scaturiscono da un'onesta riflessione sulla realtà, bensì da un pensiero auto-referenziale, come direbbero gli intellettuali.
Un pensiero che nel caso di Ernesto Galli della Loggia viene ripetuto senza alcuna variazione di nota da più di quindici anni.
La premessa da cui parte il ragionamento di Galli della Loggia è che la scomparsa della cosiddetta prima Repubblica, in seguito alla crisi del comunismo e al fenomeno di Tangentopoli, avrebbe deter¬minato il venir meno di «tutte le culture politiche che la modernità italiana era riuscita a mettere in campo nel Novecento».
Questo vuoto non sarebbe stato riempito da nessuna nuova idea, da nessuna novità nella classe politica, cosicché in quindici anni — prosegue il politologo — la destra italiana, nonostante il consenso di cui gode e le aspettative suscitate nel Paese, non avrebbe saputo costruire un partito degno di questo nome e soprattutto non avrebbe saputo dimostrare di avere «il gusto e la capacità di governare».
Le tesi dell'editorialista non sono affatto nuove, anzi sono l'ennesima riproposizione delle stesse accuse, questa volta però formulate con una animosità e una preconcetta ostilità che contrasta con la disposizione dello studioso e dell' uomo di pensiero.
Galli della Loggia sviluppa il suo ragionamento come se la storia non ci fosse, come se i fatti non esistessero, in un ambiente praticamente sterile in compagnia unicamente dei suoi libri prediletti e delle sue personalissime elucubrazioni.
Ma la realtà dei fatti non si cancella con i pregiudizi. Il presidente Berlusconi, in maniera inaspettata e imprevedibile per chi come lui era stato fino ad allora un imprenditore di successo, ha agito nel pie-

no di una drammatica temperie storica e politica, prendendo decisioni sofferte, assumendosi il peso e la responsabilità di difendere le ragioni di chi fino ad allora aveva, pur con limiti ed errori, con luci e ombre, garantito all'Italia la democrazia e il benessere.
È suo, e soltanto suo, il merito di aver salvato quel che si poteva e quel che si doveva salvare del pas¬sato, pur essendo egli consapevo¬le che quella storia era giunta al capolinea ed aveva determinato, soprattutto attraverso il consociativi-
smo tra Pci e Dc e il cancro della partitocrazia, una crisi di fiducia tra i cittadini e lo Stato, l'enorme debito pubblico, la dissoluzione di ogni forma di autorità e di meritocrazia, e infine una congenita debolezza delle istituzioni e dell'apparato economico del Paese.
Nelle vesti di leader politico, Berlusconi si è fatto carico di tutti questi problemi, ricostruendo dalle macerie una nuova casa dei moderati, con la nascita di Forza Italia, e portando subito alla vittoria un programma di governo nel segno della modernizzazione liberale dello Stato e dell'economia italiana.
Se c'è un vuoto nella politica italiana, questo è sicuramente a sinistra, perché se è vero che l'unico partito erede della Prima Repubblica è il Pd, è altrettanto certo che questo partito, epigono del compromesso storico e del cattocomunismo, si è portato dietro l'antico patto di potere tra Pci e sinistra Dc che, quando è stato messo alla prova del governo, ha fragorosamente e sistematicamente fallito.
Di tutto questo, nell'editoriale di Galli della Loggia non si trova traccia alcuna. Uno studioso come lui può disinteressarsene, pur facendo torto al rigore dei propri studi, ma la realtà dei fatti rimane. Per fortuna dell'Italia e degli italiani, Berlusconi ha avuto la forza di non soccombere di fronte al peso delle infinite inchieste giudiziarie, di fronte alla sofferenza che ciò ha determinato nella sua vita e in quella delle persone a lui più care. Per fortuna dell'Italia ha continuato nel suo im¬pegno, pur in condizioni difficilissi¬me, dovendo combattere su più fronti contemporaneamente. Anche ora, mentre le scriviamo, questa battaglia contro il premier prosegue, nonostante il rischio di lasciare il Paese stremato. Berlusconi ha detto più volte che lascerà l'impegno politico solo quando avrà portato a compimento una riforma costituzionale della giustizia che

renda il nostro un Paese pienamente democratico. Poiché ha sempre mantenuto le promesse, siamo certi che così sarà.
Nel 1994, grazie a quella che lui stesso ha definito una lucida e lungimirante follia, Berlusconi ha impedito agli eredi del Pci di conquistare il potere senza avere avviato un processo di autentico rinnovamento. Nello stesso tempo ha consentito lo sdoganamento della destra italiana post-fascista verso un approdo di piena legittimità democratica. Può rivendicare a giusta ragione l'evoluzione della Lega di Bossi da movimento secessionista ad un partito nazionale di governo. Infine ha fortemente voluto la nascita del nuovo partito dei moderati, il Popolo della libertà, prima forza politica in Italia, vincendo resistenze e incomprensioni anche all'interno della nostra parte politica.
Noi stiamo cercando di dare corpo e sostanza al bipolarismo, e di mettere a disposizione del premier una forza all'altezza delle enormi aspettative che ha suscitato nel Paese. Non è ancora passato un anno dal congresso fondativo, e molte cose sono già state fatte. Fondere due tradizioni non è certo un'impresa facile.
Tutto questo pare poco a Galli della Loggia? Tutto questo gli sembra estraneo all'universo della politica? Forse un intellettuale come lui non lo comprende né lo gradisce, ma quello che è importante è che il popolo italiano lo ha ben compreso e ancora oggi esprime un consenso sempre più convinto "a queste prospettive politiche.
Su un altro punto dissentiamo totalmente e radicalmente dall'analisi dell'editorialista del Corriere. Sulla questione del governo. Per Berlusconi la politica è l'arte del fare e del ben governare, nell'interesse del proprio Paese. Tutto il suo impegno e tutti i suoi sforzi sono stati indirizzati a questo fine ultimo e preminente. Crediamo che i risultati siano lì a dimostrare che siamo sulla buona strada perché il governo di centrodestra ha continuato a lavorare per tutti gli italiani. Abbiamo affrontato e risolto emergenze vecchie e nuove. Abbiamo affrontato e risolto lo scandalo dei rifiuti in Campania; siamo intervenuti dopo il terremoto in Abruzzo con una rapidità ed efficienza senza precedenti; abbiamo salvato l'Alitalia dal fallimento e dalla svendita a gruppi stranieri. Stiamo conducendo una lotta senza quartiere contro la criminalità organizzata e le mafie,


Quando Emma aprì la strada all'"invasione" dei romeni

04-03-2010
Il bollino in regola che Bonino vanta di avere è pieno di buchi: nel 2007 infatti.
Nicomara
ROMA - Il bollino in regola che oggi la candidata del centrosinistra alla Regione Lazio Emma Bonino ostenta con arroganza è pieno di buchi. Un esempio? La questione romeni. «Voglio dare un caloroso benvenuto ai 30 milioni di cittadini e cittadine che entreranno a far parte dell'Unione Europea». Era il primo gennaio del 2007 e l'allora ministro perle Politiche Europee apriva con queste parole la conferenza stampa convocata per celebrare l'ingresso di Romania e Bulgaria nella grande famiglia comunitaria. Dimenticava però di spiegare la fretta di accogliere i 283.078 immigrati romeni che di lì a fine anno si sarebbero riversati nel nostro Paese. La radicale propagandava una posizione politica, discutibile e discussa già allora, che con il tempo si sarebbe dimostrata un clamoroso abbaglio.
Al centro del dibattito c'era l'adesione-non adesione dell'Italia alla moratoria "offerta" dalla normativa europea agli Stati che volevano limitare il potenziale impatto immigratorio dovuto all'ingresso dei due Paesi dell'Est. Fino al 31 dicembre 2006 la legge in vigore, la Bossi-Fini, aveva tutto sommato limitato i flussi. Se l'Italia avesse deciso di utilizzare là moratoria, nei primi due anni successivi all'adesione di Romania e Bulgaria avrebbe mantenuto molte tutele. Gli ingressi per lavoro subordinato sarebbero stati regolati ancora dai decreti flussi annuali, mentre per i lavoratori autonomi

(di gran lunga una minoranza) non ci sarebbe stata alcuna restrizione. La gran parte di Paesi euro-pei aveva già dichiarato che si sarebbe avvalsa della moratoria: Spagna, Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca, Austria, Germania e Olanda. L'Italia fece la scelta opposta:
Perché? Il ministro Bonino spiegava che «la moratoria sulla libera circolazione dei lavoratori non serve: basta - esclamava in quella famosa conferenza - con la paura dell'invasione. Ne ho vissute tante, dal 1986 con la Spagna, la Grecia e il Portogallo, al 2004 con l'idraulico polacco, ad oggi e non si sono verificate mai». L'esponente radicale invitava tutti a «smetterla con il mito dell'emigrazione di massa». I numeri nei due anni successivi le avrebbero dato cla-morosamente torto. Come detto in 12 mesi sbarcarono nel nostro Paese 283.078 immigrati rumeni. L'indagine annuale dell'Istat pubblicata il 9 ottobre 2009 si apriva queste parole: «Boom di immigrati nel 2007 in Italia, i romeni che sono addirittura quasi raddoppiati». Secondo l'istituto di statistica si trattava «dell'incremento più elevato mai registrato nel corso della storia dell'immigrazione nel nostro Paese, da imputa-re al forte aumento degli immigrati  di cittadinanza romena, che sono cresciuti nell'ultimo anno dell'82,7 per cento». Nel 2008 l'Istat ha certificato un altra ondata corposa di arrivi, pari a 190.000. Praticamente nel giro di due anni

la comunità romena è raddoppiata, arrivando a toccare quota 796.000 persone.
La responsabilità di una svista cosi grave va ascritta al governo Prodi e al ministro competente in materia che era, appunto Emma Bonino Sbagliava. Come ci si poteva aspettare il gran numero di immigrati provenienti dalla Romania è stato mal digerito dal sistema Paese. La maggior parte dei nuovi arrivati non sono riusciti a trovare un impiego, una casa, un sostentamento economico. Allo smarrimento è seguito il disagio, al disagio la delinquenza, alla delinquenza la violenza. L'ondata di reati perpetrati da cittadini di origine romena culminò il 1 novembre 2007 con la morte di Giovanna Reggiani, violentata e uccisa a Roma da un giovane di 23 anni. Quel tragico episodio condizionò pesantemente la vita sociale e politica  dell'Italia  nei mesi successivi. L'ondata emotiva che ne scaturì fu tra i fattori che determinarono l'avvicendamentò tra centrosinistra e centrodestra a Palazzo Chigi e al Campidoglio.  Pagò  politicamente chi aveva la responsabilità politica di un errore di valutazione clamoroso.
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