Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

29 aprile 2010

Rapporto-  Il Comitato europeo contro la tortura torna ad accusare il governo italiano: violati gli obblighi di soccorso e di protezione internazionale.

A farne le spese i migranti intercettati in mare e rispediti in Africa
Respingimenti inumani

Terra, 29-04-2010
Dina Galano

Sono duri i toni con cui questa volta si è modulato il linguaggio diplomatico del Comitato europeo contro la tortura (Cpt). Biasimo e raccomandazioni stringenti diretti al governo italiano, colpito nel cuore della sua politica di contrasto all'immigrazione clandestina e di controllo delle frontiere. Il rapporto pubblicato ieri dall'organismo europeo, basato sulle visite effettuate nel nostro Paese dal 27 al 31 luglio 2009, non fa sconti e invita a riesaminare la prassi dei respingimenti. «La politica dell'Italia di intercettare migranti in mare e obbligarli a ritornare in Libia - si legge nel documento - viola i principi sanciti dalla Convenzione europea per i diritti umani». Ma ad essere contraddetti sono anche gli obblighi del soccorso e assistenza in mare, il diritto a garantire la protezione internazionale, di fornire le cure appropriate, di proteggere chi, in conseguenza della deportazione in un Paese non sicuro, risulta maggiormente esposto al rischio di torture e trattamenti inumani (principio di non refoulement). Inoltre, non meno significativo, il Comitato ha sottolineato che è stato leso anche «l'obbligo a carico delle autorità nazionali di fornire le informazioni utili all'indagine, come previsto dai doveri di collaborazione stabiliti nella Convenzione». Infatti la delegazione, che ha visitato quattro centri di trattenimento per migranti irregolari e minori stranieri tra cui il Cie romano di Ponte Galena, ha incontrato «l'ottima cooperazione delle autorità locali che hanno permesso di visitare e parlare in privato con le persone da ascoltare», mentre «non ha avuto accesso a documenti e informazioni richieste a livello centrale». Un atteggiamento poco amichevole che ha trovato conferma nella risposta che il governo italiano ha fornito alle conclusioni del Cpt. Il ministero degli Affari esteri ha smentito di non aver fornito cibo, acqua e cure durante le operazioni di respingimento; ha negato l'uso della forza su persone già in condizioni disperate; ha altresì giustificato la mancata concessione del diritto di asilo spiegando che questa scatterebbe esclusivamente in seguito alla richiesta da parte dell'interessato che, nei casi evidenziati dal Cpt, non era stata avanzata. Eppure il rapporto europeo è estremamente chiaro: il 6 maggio 2009 i migranti intercettati sono stati tenuti sui ponti delle navi italiane per dodici ore senza cibo, né coperte, né acqua sufficiente; alcuni di loro avrebbero subito violenze (anche a colpi di remo) da parte della polizia libica per costringerli a trasbordare sull'imbarcazione africana. Il primo luglio, inoltre, sei migranti, compresa una donna incinta, sono stati maltrattati fino a rendere necessario il ricovero in ospedale. Delle sette operazioni di accompagnamento forzato in Libia e Algeria su cui il Comitato contro la tortura ha svolto indagini, nessuna ha fatto eccezione. Tutte hanno parimenti giustificato il richiamo dell'organo del Consiglio d'Europa «alle autorità italiane affinché siano assicurate alle persone sotto la giurisdizione nazionale, comprese quelle intercettate da navi italiane fuori dalle proprie acque territoriali, le necessarie cure mediche e umanitarie nonché l'accesso alle procedure che tutelano il principio di non refoulement». Come vorrebbero la normale prassi e le tante convenzioni internazionali di rispetto dei diritti umani.





Gli schiavi dei pomodori e delle mozzarelle di Bufala. Gli immigrati di Rosarno non sono soli
Affaritaliani.it, 29.04.2010
Benedetta Sangirardi


Andando in giro per la Campania, la Puglia, la Basilicata, si capisce presto che Rosarno non è un caso isolato. Ma è solo la punta di un iceberg. Ci si accorge che i trenta arresti di un paio di giorni fa dei caporali che sfruttavano gli immigrati servono a poco, di fronte a uno scenario raccapricciante come (e anche più) della Calabria. Affari fa un viaggio nel sud Italia, alla scoperta dei nuovi schiavi, della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento sul lavoro con il coinvolgimento delle organizzazioni criminali.

I POMODORI IN PUGLIA E BASILICATA - Partiamo dai buonissimi pomodori della Puglia e della Lucania. Se sulle nostre tavole arrivano sughi e passate di qualità eccellente, è perché sono prodotti con il lavoro nero dei braccianti agricoli stranieri (per lo più immigrati irregolari), sottopagati e tenuti in condizioni disumane. Tutti lo sanno, soprattutto nella provincia di Foggia, ma tutti fanno finta di niente. E chi non lo sa è bene che lo sappia. Nelle roventi terre di confine tra Basilicata e Puglia la campagna del pomodoro da anni padreoneggiano i "caporali" con il loro sfruttamento.

La Puglia, d'altra parte, ha da poco tempo perso il primato della produzione di pomodori, che è passato all’Emilia Romagna, ma ne ha recentemente acquisito un altro: è in Puglia infatti che è nato il più grande stabilimento del mondo per la lavorazione del pomodoro. Questo permette di risparmiare sui costi di trasporto, perché ora i pomodori raccolti nel foggiano vengono lavorati direttamente in loco. Ma nel passaggio dai campi alla salsa o ai pelati, nessuno sembra essere obbligato a chiedersi se il cosiddetto "oro rosso" venga raccolto nel rispetto delle leggi che tutelano il lavoro dei braccianti.

5 EURO PER UN GIORNO DI LAVORO - Nove immigrati su dieci lavorano in nero. L'orario di lavoro parte alle 4.30 del mattino per una media di otto/dieci ore nei campi. Il salario orario lordo è compreso dai 3 ai 5 euro (da cui però va sottratta una quota - anche consistente - che il caporale, il luogotenente del padrone schiavista, tiene per sé). Ci si ammala per via delle durissime condizioni di vita e lavoro cui si è costretti  (le patologie riscontrate sono principalmente osteomuscolari, a queste si aggiungono malattie dermatologiche, respiratorie e gastroenteriche). Il 71% è sprovvisto di tessera sanitaria (secondo un recente rapporto di Medici senza frontiere). Si tratta in maggioranza di uomini giovani provenienti da paesi dell’Africa sub-sahariana, del Maghreb o dell’Est Europa, e il 90% non ha alcun contratto di lavoro, mentre il 65% degli immigrati vive in strutture abbandonate, che il 62% non dispone di servizi igienici nel luogo in cui vive, che il 64% non ha accesso all'acqua corrente e deve percorrere distanze considerevoli per raggiungere il punto d'acqua più vicino.

LA BUFALA IN CAMPANIA - In Puglia i pomodori, dunque. In Campania la mozzarella di Bufala. Lo schiavismo dietro questo mercato del casertano è alle stelle. Lo scenario inquietante emerge benissimo e in modo dettagliato dal rapporto dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) su Castel Volturno. Un dossier realizzato nell’ambito di un progetto, Praesidium V, che è finanziato direttamente dal ministero dell’Interno.

GLI INDIANI NELLE STALLE - A essere ridotti in schiavitù sono un gruppo di lavoratori migranti, cittadini indiani e pakistani, impiegati nell’allevamento delle bufale all’interno delle aziende zootecniche. Molti di loro lamentano gravi problemi di salute per le condizioni lavorative cui sono sottoposti. Secondo le dichiarazioni degli indiani raccolte sul territorio dall’Oim, "sembra che in molti casi i cittadini indiani siano costretti a vivere nelle stalle insieme agli animali, non abbiano la possibilità di uscire liberamente e siano sottoposti a estenuanti orari di lavoro".

Purtroppo questi migranti difficilmente percepiscono il grave sfruttamento cui sono sottoposti. Le zone interessate da queste nuove forme di schiavitù sono Ischitella a Castel Volturno e il comune di Villa Literno. I lavoratori indiani, pakistani e bengalesi sono entrati con visti per impiego stagionale e sono rimasti in Italia dopo la scadenza del permesso. Gli indiani allevatori di bufale sono una delle categorie truffate con la sanatoria di settembre 2009.

LA TRUFFA DELLA SANATORIA - L’Oim riferisce che molti di loro hanno dato 500 euro ai datori di lavoro per la domanda di regolarizzazione. “A pochi, tuttavia, è stata consegnata la ricevuta o la documentazione che certifichi l’effettiva presentazione della domanda – precisa il rapporto - molti degli stranieri sono ancora in attesa di ricevere informazioni sull’esito del procedimento e non vogliono intentare alcuna azione contro i loro sfruttatori”.

LE FRAGOLE - Anche le fragole di Parete, una delle località più importanti di produzione, sono raccolte da migranti egiziani che vivono in condizioni disumane. Un piccolo gruppo di loro dorme in rifugi e ripari costruiti con plastica e materiale da riciclo, all’interno delle stesse campagne in cui lavora. Senza acqua ed elettricità, con compensi inadeguati alle molte ore lavorative. "Nel marzo 2010 uno dei rifugi dei migranti è stato dato alle fiamme – si legge nel dossier - non vi sono stati feriti e la responsabilità di tale avvenimento non è stata attribuita ad alcuno. Nel mese di giugno, le stesse persone si sposteranno a Villa Literno per la raccolta dei pomodori”.

I CONTROLLI - Ma le autorità dove sono? In realtà i controlli si limitano a verificare la regolarità della presenza dello straniero sul territorio italiano, senza influenzare le condizioni di sfruttamento sul lavoro di cui è vittima la manodopera straniera. “Nonostante il fatto che la zona di Castel Volturno sia nota per la diffusione del lavoro irregolare sia nel settore dell’agricoltura sia in quello dell’edilizia - afferma Simona Moscarelli, esperto legale dell’Oim - è da sottolineare come i controlli da parte delle istituzioni locali sulle condizioni lavorative dei migranti debbano essere necessariamente potenziati”.

15 EURO PER 11 ORE DI LAVORO -  Il rapporto dell’Oim identifica tre gruppi di migranti costretti a lavorare in situazioni degradanti e insicure: i cittadini sub-sahariani impiegati nel settore agricolo ed edilizio,  i cittadini maghrebini ed egiziani che lavorano per lo più nella raccolta delle fragole nell’agricoltura, i cittadini indiani e pakistani, i più invisibili, che vengono impiegati nelle aziende bufaline in virtù della particolare attenzione e dedizione  che prestano, per motivi religiosi, alla cura del bestiame.

Ricevono dai 15 ai 35 euro per una giornata lavorativa di undici ore. “Non mancano casi in cui i migranti non vengano pagati per il lavoro svolto, nonché casi in cui - alla richiesta dei pagamenti dovuti - subiscano minacce e violenze da parte dei propri datori di lavoro”, si legge nel dossier.

UOMINI NEI CAMPI, DONNE A FARE LE PROSTITUTE - Un’altra grave forma di sfruttamento è quello sessuale. Nell'area, secondo l’Oim, ci sono anche circa 500 donne nigeriane vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale. “La maggior parte di loro è arrivata nel 2008 sbarcando a LampedusA.  A sfruttarle sono 'madames' africane ma anche donne italiane. Altre ragazze arrivano dall’Europa dell’Est. Si prostituiscono sulla strada per 10-15 euro. A casa chiedono dai 25 ai 40 euro. Sono ricattate, subiscono violenze e non possono andare liberamente in ospedale. Vivono in case sovraffollate e a volte devono anche condividere un letto in due persone. Lavorano in aree desolate e strade secondarie, dove non c’è possibilità di chiedere aiuto in caso di necessità. Il mercato del sesso nel Casertano fa carne da macello di tante giovani ventenni, soprattutto nigeriane ma anche dei paesi dell’Est. Lo afferma il rapporto dell’Oim su Castel Volturno, delineando uno spaccato delle gravissime violazioni dei diritti umani commessi sui migranti in Italia.

IL MERCATO DEL SESSO - Sono vittime di un ricatto, circa il 70% di loro deve ancora finire di pagare il debito contratto per raggiungere l’Italia e solo una piccola percentuale è titolare di permesso di soggiorno, solitamente perché gli è stata riconosciuta qualche forma di protezione internazionale. Come funziona il mercato del sesso? “Nella maggior parte dei luoghi le ragazze effettuano dei veri e propri turni di lavoro (mattina o sera). Recentemente, però, molte di esse hanno iniziato a lavorare senza sosta per tutto il giorno, spesso cambiando zona – si legge nel rapporto -  i principali luoghi della prostituzione sono: Casalnuovo, Marigliano, Caivano, Ischitella-Trentola Ducenta, Giugliano (dove lavorano più di quindici ragazze nigeriane e una decina di ragazze dell’Europa dell’est) e Licola”. L’eta media è tra i 20 e i 30 anni.

“Molte donne nigeriane vittime della tratta hanno presentato e continuano a presentare richiesta di protezione internazionale, a volte all’arrivo a Lampedusa o a Fiumicino, altre volte soltanto quando giungono a Roma. E’ raro che durante l’audizione dinanzi alla competente Commissione territoriale emerga la condizione di tratta e sfruttamento e non è facile che ad esse venga riconosciuta qualche forma di protezione”, si legge nel rapporto. Le migranti dichiarano di essere disposte a lasciare la strada qualora avessero la possibilità di ottenere un lavoro regolare, anche laddove il salario fosse inferiore rispetto a quanto riescono a guadagnare lavorando sulla strada. 










Reportage
Già prenotati Dalla raccolta delle fragole alla vendemmia, ai kiwi: solo nel Veronese un quarto dei braccianti è extracomunitario  Niente baraccopoli Case di campagna dignitose, dove si può portare la famiglia e passare il tempo libero con altri ospiti

Nordest, per gli  immigrati una vita (quasi) normale
Il rapporto con gli stagionali si basa sulla fiducia: Rosarno è molto lontana

La Stampa, 29-04-2010
MARCO NEIROTTI
C' è una bella famigliola che ora andrà in passeggiata». Pantaloni kaki al ginocchio, maglietta bianca, Alexandre canticchia curvo dentro la serra, rivolto alle fragole mentre, svelto e insieme misurato, muove le dita intorno a loro come un chirurgo-santone filippino dentro il paziente. Ha 38 anni, è sceso dalla Romania con la moglie, per incontrarlo devi arrivare la mattina presto o nel pomeriggio avanzato qui nella bassa Veronese, tra San Giovanni Lupatoto e Pontoncello: si comincia poco dopo l'alba, nelle ore più calde si lascia l'aria faticosa sotto i teli e si va a riposare nella casa colonica riattata, si riprende più tardi, quando rinfresca. Otto ore al giorno, per ogni giorno paga minima 45 euro.
Alexandre fa parte della fetta più ampia di lavoratori stagionali dell'agricoltura. I dati della Coldiretti della Provincia di Verona dicono che sono il 56 per cento gli stranieri comunitari (romeni, polacchi) di fronte a un 22 per cento di italiani e un altro 22 di extracomunitari. Per gli extracomunitari quest'anno il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha stabilito l'ingresso in Italia di 80 mila lavoratori, divisi per Regione: 8.820 assegnati al Veneto (per tutti i settori, dal turismo all'industria o all'edilizia), la quota più alta al Veronese, con 6 mila permessi.
Qui l'agricoltura ha già perfezionato - dati di ieri - più di 1.500 domande. Sono in corso quelle per i raccolti a venire, fino a quelli che si svolgeranno per ultimi, il vitivinicolo e i kiwi. Si arriverà ad almeno 2.500 extracomunitari, su un totale di quasi 10 mila stagionali (erano 9.800 l'anno scorso). Non ci sono grandi variazioni di anno in anno, piuttosto mutamenti di nazionalità nel coprire le esigenze: romeni e polacchi ora europei non richiedono più lunghe procedure, come marocchini o moldavi. E anche il maggiore o minore benessere a casa incide sulla disponibilità.
Ma il mutamento vero è avvenuto di stagione in stagione nei campi, nelle serre, nelle vigne, non con un razzismo tradito dal bisogno di braccia, bensì da necessità di braccia filtrata dalla conoscenza dei singoli: «Negli anni passati c'era sì improvvisazione nel reclutamento», spiega il presidente della Provincia, Giovanni Miozzi (Pdl, provenienza An), sindaco di Isola della Scala, celebre per la fiera del riso: «Quello che è avvenuto, favorito dalle quote, è il percorso dei contadini scarpe grosse e cervello fino: loro per primi hanno escluso i soggetti turbolenti, inaffidabili, quelli che bevevano o rovinavano raccolto e attrezzi. Si è creata una fidelizzazione, con le persone richiamate di raccolto in raccolto, consigliate agli amici».
Se in certi settori come industria termomeccanica e del vino molti si sono integrati rimanendo a tempo indeterminato, un Arlecchino etnico si è spalmato per la Provincia: i 222 indiani dell'anno scorso apprezzati negli allevamenti dell'area prealpina, romeni, polacchi, marocchini, moldavi, slovacchi, serbi albanesi, ghanesi tra la viticoltura, la raccolta di pesche e mele, asparagi e radicchio, piselli, meloni, ciliege e la coltivazione del tabacco.
Com'è lontana Rosarno. I controlli sono ferrei, la convivenza scandita da un rispetto che coincide con l'interesse: gli orari, la divisione del lavoro si ripercuotono sull'efficienza. Damiano Berzacola, presidente della Coldiretti (18 mila soci, di cui 14 mila aziende iscritte alla Camera di Commercio): «La legge prescrive per gli extracomunitari che si fornisca adeguato alloggio e questo avviene regolarmente, evitando sistemazioni da tugurio, da baraccopoli, da vergogna». E' vero. Li vedi in case di campagna recuperate, dignitose. Come la famiglia romena - padre, madre, due figli - che nelle ore libere diventa, con gli altri ospiti, una sorta di piccolo condominio dove si condivide il tempo libero.
Tempo libero che talora può essere  un  problema.   Allora  piazzare un'antenna che permetta di veder loro la tv di casa propria è prima di tutto un atto di cortesia, però è inutile nascondersi che è pure un trattenere a casa gente stanca e un po' sradicata, evitando spiacevoli serate di bevute all'osteria, magari ad affondare la noia, a cercare compagnia, a soffocare  la delusione di una fatica non fisica ma psicologica, come l'ingegnere moldavo   che   scopre quanto non sia semplice raccoglier bene le fragole.
Berzacola: «La stagione può essere lunga. C'è chi viene richiesto ora per le fragole, ma già è prenotato fino a ottobre, passando per le vigne e chiudendo con i kiwi, l'ultimo raccolto, a ottobre. E quando arrivi a ottobre la voglia di tornare a casa la leggi negli occhi e te la raccontano».
Non è Rosarno per tante ragioni evidenti, ma lo è anche per un dettaglio in apparenza minuscolo e invece di cemento: esiste una prospettiva di vita, che unisce e alterna Italia e casa. Lo studente polacco e il muratore bielorusso usano il medesimo plurale: «Bei ritorni». In patria e di nuovo qui.









INTERVISTA  Cecilia Malmstròm  Commissario Ue

«Estenderemo all'Europa l'accordo Roma-Tripoli»

il Sole, 29-04-2010
Adriana Cerretelli

BRUXELLES.- Ha un portafoglio difficile ma di quelli dove si può fare molto. La politica dell'immigrazione è infatti uno dei grandi nervi scoperti di un'Europa che non c'è. E fatica a mettersi in marcia perché nemmeno a livello nazionale i suoi 27 governi hanno le idee chiare su come gestire la società sempre più multietnica e multi-culturale di domani. Figuriamoci costruire una politica comune.
Cecilia Malmstròm, svedese, 42 anni, ex parlamentare europeo, ex ministro degli affari europei e ora commissario Ue all'immigrazione  non si perde d'animo. Sa di muoversi su un terreno minato ma è convinta che l'immigrazione sia una grande risorsa di cui l'Europa che invecchia ha estremo bisogno. Per cui, crisi economica o no, niente modelli Arizona, niente caccia aperta ai volti «ragionevolmente sospetti». La sua è una bocciatura senza appello. Oggi la Malmstròm sarà a Roma. In pillole dell'Italia dice: bene l'accordo con la Libia, tanto che ora vuole provare a estenderlo all'Europa. Respingimenti con cautela e nel pieno rispetto dei diritti umani. Mai più altre Rosarno, dove però l'azione del governo e stata efficace.
È cronaca di questi giorni la sfida dell'Arizona al presidente Barack Obama con l'inasprimento senza precedenti della sua legislazione anti-immigrazione  illegale: la polizia potrà fermare chiunque per strada sulla base di «ragionevoli sospetti».Un caso aparte o il principio di un nuovo approccio più severo al fenomeno su scala globale?
La crisi economica sta cambiando l'atteggiamento verso l'immigrazione a  livello internazionale. Quando il contesto economico-finanziario si fa difficile, la gente e i politici diventano più cauti nell'aprire agli immigrati. I clandestini, poi, sono quelli meno tollerati.
Possibile in Europa il contagio "Arizona"?
Non è certo questo quello che auspico per l'Europa perché chiudere all'immigrazione non sarebbe nel suo interesse. Prima di tutto per ragioni demografiche. Certo, la tentazione di respingere gli immigrati può diventare più forte in alcuni paesi ma sarebbe un approccio miope, alla lunga comprometterebbe il benessere socio-economico dell'Unione intera. Non dimentichiamoci del grande contributo allo sviluppo di altri paesi, Stati Uniti compresi, che hanno dato gli immigrati europei e italiani.
Crede davvero che in Europa la sua posizione sia largamente condivisa?
Non so. Ma so che solo un'Europa che guardi agli immigrati non come una minaccia ma come persone nel bisogno può avere successo nel gestire le sfide poste dai flussi migratori.
Arriva il caldo. Teme una nuova nuova ondata di immigrazione dal Mediterraneo e sulle coste italiane?
Le statistiche del Frontex dicono che ci sarà una riduzione del 32% dei flussi dal Mediterraneo. La pressione maggiore è attesa da Est e comunque la gente preferisce non arrivare per mare. Poi c'è l'impatto della crisi economica europea, la disoccupazione. Che probabilmente rallenterà i flussi.
L'anno scorso l'Italia è stata criticata per la politica dei respingimenti prevista dai suoi accordi con la Libia. Condivide?
La legislazione europea non prevede l'avvio delle procedure per l'asilo per chi è intercettato in acque internazionali. Detto questo, quando respingono gli immigrati in un paese terzo gli Stati membri devono rispettarne i diritti fondamentali, assicurarsi che chi è respinto non finisca in paesi dove rischi persecuzioni o trattamenti disumani o da dove possa esservi avviato. Per questo seguiamo da vicino la sorte degli immigrati una volta rimandati in Libia, con attenzione al rispetto del principio di non respingimento.
Grazie all'intesa con la Libia, l'Italia è riuscita a governare meglio l'emergenza sulle coste della Sicilia. L'esempio italiano può fare da battistrada a un'intesa estesa anche all'Europa?
Il dialogo con le autorità libiche è difficile ma sono decisa a migliorare relazioni e coopera-zione tra Europa e Libia, un paese che ha un ruolo fondamentale nella prevenzione dei flussi di immigrazione  illegale dall'Africa.
Ha già fatto qualche passo concreto con Tripoli?
Ho scritto una lettera al ministro degli Esteri libico sottoline-ando il nostro interesse ad avviare dialogo e cooperazione. Gli ho proposto di organizzare al più presto un incontro tra noi e gli Stati membri interessati. Ri-tengo che per il successo dell'operazione l'aiuto del governo italiano sia per noi della massima importanza.
Rosarno, una brutta pagina italiana. Cui però negli ultimi giorni governo e forze di polizia hanno risposto con i fatti. Il suo giudizio sulla vicenda?
Non posso che deplorare lo sfruttamento degli immigrati e la violenza esplosa a Rosarno. L'azione del governo italiano è stata efficace e dimostra che il fenomeno può essere governato e va fatto il massimo per tagliare i legami tra immigrazione clandestina e chi la sfrutta.
Come tagliare questo legame?
Con strumenti più efficaci di integrazione e una politica dell'immigrazione legale ben organizzata. Perché di immigrati l'Europa ha bisogno per colmare la penuria di lavoratori in certi settori. Comunque, proprio per evitare nuove Rosarno, presenterò entro l'anno un progetto di direttiva Ue sui lavoratori stagionali; che prevederà anche la fissazione di un salario minimo.






Filo rosso
«Radicati» e cattivi
l'Unità, 29-04-2010
Giovanni Maria Bellu- Condirettore

Non c'è dubbio che la Lega Nord sia un partito che funziona come pochi. Non conosce i contrasti e la dialettica che toccano un po' tutti gli altri. Nella Lega i leader parlano e i militanti eseguono. Obbedienza pronta, cieca e assoluta. Soprattutto cieca. Ma, francamente, quando poco più di un anno fa il ministro Roberto Maroni disse che con gli immigrati irregolari bisogna «essere cattivi» non immaginavamo che tanti amministratori leghisti (e anche alcuni del Pdl) avrebbero inteso le sue parole in modo letterale e le avrebbero addirittura tradotte in atti amministrativi.
Oggi Rinaldo Gianola ci racconta una serie di decisioni assunte in vari centri della provincia di Brescia. Alcune sono ben note -come la tristissima vicenda della mensa di Adro - molte altre sono sfuggite alle cronache. In comune hanno l'inutilità e la stupidità. Che poi sono componenti specifiche della cattiveria. Il caso forse più sbalorditivo è quello di Ospitaletto dove il sindaco è arrivato a pretendere da tutti i cittadini stranieri un certificato penale rilasciato nel paese di origine. Tutti. Anche i rifugiati politici. Come se il comune di Parigi avesse chiesto ai fratelli Rosselli un certificato di buona condotta timbrato dall'Ovra.
Ignoranza o malafede? La prima ipotesi sarebbe tutto sommato la più rassicurante. Perché l'idea che buoni padri di famiglia e
cattolici praticanti - quali sono in gran parte gli autori di questi abomini - possano consa¬pevolmente rispedire un rifugiato politico nelle mani del suo boia è inaccettabile. Appartiene alla categoria dell'inconcepibile. Eppure...
Eppure è esattamente quanto stiamo facendo da più di un anno. Da pochi mesi dopo la dichiarazione "cattivista" del ministro Maroni. Il blocco degli arrivi dei boat people a Lampedusa è, infatti, il suo fiore all'occhiello. Che questi arrivi rappresentassero meno del 10 per cento degli ingressi irregolari in Italia è un dato di fatto che i telegiornali tacciono per suonare la fanfara della grande efficacia della politica del «Tutti indietro».
«Tutti indietro». È anche il titolo di un libro da leggere. L'ha scritto Laura Boldrini, portavoce per l'Italia dell'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati. Ci racconta le storie di quelli che respingiamo. Ci dice che il governo italiano fa sistematicamente, in via preventiva, quanto quel sindaco ha rischiato di realizzare per via amministrativa. Nel 2008 le domande di asilo politico erano state 31.000. Con la cosiddetta "politica dei respingimenti" sono scese a 17.000. Fate un po' i conti: circa 14.000 persone non hanno avuto neanche la possibilità di chiederci pietà.
Se il tanto invidiato "radicamento" leghista nel territorio" produce questi orrori, noi preferiamo il radicamento nel mondo civile dei sindacalisti e degli avvocati che ogni giorno li combattono. Che, tra accuse di "buonismo" e ironie, alzano la voce. Come dovrebbe fare, ogni giorno, in ogni luogo dove ci sia un'ingiustizia, i rappresentanti del Partito democratico. Non possono esserci tatticismi davanti alle violazioni dei diritti umani.




Leghisti e berlusconiani bravi razzisti di provincia

l'Unità 29 aprile 2010
Rinaldo Gianola
Ogni tanto l’opinione pubblica, o almeno quello che rimane, si desta dal suo torpore e pare indignarsi davanti al sindaco leghista di Adro che vieta la mensa ai bambini delle famiglie morose oppure per l’operazione White Chrystmas, la simpatica caccia all’immigrato del comune di Coccaglio organizzata per festeggiare il Santo Natale. Ma sono solo i casi più clamorosi quelli che bucano la cortina della censura e del conformismo informativo. Se si va sul territorio, infatti, gli atti amministrativi delle giunte leghiste e del pdl esplicitamente discriminatori nei confronti degli stranieri sono molti di più, magari hanno un minor impatto mediatico ma non sono affatto meno gravi.

Anzi. C’è una proliferazione di delibere di comuni più o meno grandi e importanti, governati dalla Lega e dagli amici berlusconiani, che violano esplicitamente la nostra Costituzione e i diritti fondamentali di ogni persona. Discriminazioni e razzismi Così, dopo aver sentito il ministro Carfagna ad Annozero esprimersi nettamente contro tutte le discriminazioni, abbiamo deciso di fare un giro nella provincia di Brescia, territorio leghista e cattolico che più non si può, per vedere che aria tira. In questa raccolta d’informazioni ci aiutano la Cgil e l’Asgi (Associazione studi giuridici immigrazione) che raccoglie avvocati e studiosi in prima fila nella lotta contro le discriminazioni e il razzismo.

Il tabellone che pubblichiamo nella pagina seguente riassume tutti i casi di delibere amministrative delle giunte leghiste e del pdl che sono state impugnate dalla Camera del lavoro di Brescia che ha vinto tutte le cause avviate e pure tutti i ricorsi. Perchè quando uno è razzista è pure così stupido da insistere nel suo errore. Partiamo dal capoluogo: Brescia, già capitale dell’industria e cattedrale operaia. Il comune ha lanciato nel 2008 un bando per l’erogazione del bonus bebè, riservando però il contributo di mille euro solo ai figli di italiani. La Cgil ha presentato ricorso per discriminazione e ha vinto. Il sindaco Adriano Poli, pdl, sodale della Compagnia delle opere, ha contestato cinque volte la sentenza e cinque volte ha perso. Il comune di Ospitaletto, sindaco Giorgio Prandelli (pdl), è stato sconfitto due volte perchè pretendeva che i cittadini stranieri rifugiati politici presentassero un certificato penale del paese di origine (oltre a dimostrare di avere un reddito minimo di 5000 euro) per ottenere l’iscrizione all’anagrafe.


Il buongoverno della Lega è lo spot che nasconde il peggio

l'Unità 29 aprile 2010
Oreste Pivetta
L’altro giorno passavo lungo una valle alpina, una valle che era stata della Resistenza partigiana, mille secoli prima dell’eresia di Fra’ Dolcino, una valle di povere e splendide architetture, di un Calvario “illustrato” cinquecento anni fa da un eccelso scultore e pittore, Gaudenzio Ferrari. All’ingresso del paese più importante, Varallo Sesia (provincia di Vercelli), mi ha aggredito tra il verde un gigantesco cartello dove su immaginette da pessimo fumetto campeggiava un “divieto”: “No burka e niqab. No vu cumprà”. Con tanto di croce sopra. Si specificava: cinquecento euro di multa per i contravventori. In base a quale legge? Contro la Costituzione… Mi sono ricordato dei ritrattini degli ebrei, secondo i “caratteri tipici” su qualche “giornale della razza”. Con un’altra croce addosso.

L’autore di quella cartellonistica stradale si chiama Gianluca Buonanno ed è il sindaco di Varallo. Alcuni anni fa inventò l’assessorato alla dieta (premiando gli anoressici), in seguito distribuì lungo le strade sagome di vigili urbani ritagliati nel legno per scoraggiare gli automobilisti impertinenti. Buonanno è un sindaco leghista, naturalmente. Lascio il Piemonte, un lato della Padania. Potrei puntare a Coccaglio (operazione White Christmas). Mi fermo ad Adro, perché nella puntata di Annozero (ne abbiamo scritto) purtroppo è andata sfumata nell’intervista al sindaco una battuta. Spiegava il sindaco: “Se vado a Roma e non mi piace, io vado via. Se a loro non piace qui, prego s’accomodino”. Logico, no? Padroni a casa nostra: fora di ball . Sono piccole orribili storie che riassumono il “buongoverno locale” del Carroccio.

Attenzione: il “buongoverno” è una voce che si è diffusa, è uno spot, un luogo comune. Sono episodi, tra Varallo e Adro, che s’uniscono invece nella strategia della punizione o, peggio, della terra bruciata. In quanti film abbiamo ascoltato quella minaccia: “Ti farò pentire d’esser nato…”. La politica, il buongoverno, l’amministrazione quotidiana in una società civile, animata da una cultura (o da una religione) del rispetto umano, dovrebbero essere un’altra cosa, dovrebbero parlare un’altra lingua. Il leghista vittorioso e arrogante ha in testa che gli immigrati si pentano di essere immigrati. Nega la solidarietà, nega persino la circostanza che quegli immigrati mandano avanti fonderie o concerie (a Brescia dovrebbero saperlo), curano i vecchi e i bambini, ci assistono negli ospedali, e pagano le tasse, aiutando questo paese. Il potere logora: libera i fantasmi più neri, se non c’è opposizione politica, se non sopravvive neppure l’illusione della morale, se scompare persino la vergogna





Dopo la caccia al nero profitti a sei zeri
Rosarno, la sicurezza fa affari

terrelibere.org, 29-04-2010
Raffaella Cosentino    Antonello Mangano       


Fiumi di denaro per progetti sui migranti, pochissimo per risolvere l`emergenza alloggi durante la raccolta delle clementine. La Rognetta, luogo simbolo dello schiavismo nella piana di Gioia Tauro, diventerà una piazza con mercato settimanale, parcheggi e un campo da tennis. Alcune centinaia di immigrati rientrati vivono dispersi nelle campagne, in condizioni peggiori di prima. E per l`autunno si prepara una nuova emergenza.
Rosarno, la sicurezza fa affari. Pubblicato su "il manifesto"

Chiusa la stagione della raccolta delle arance, a Rosarno si apre quella dei fiumi di denaro pubblico in nome della "sicurezza". Progetti a sei zeri nati con le due rivolte degli africani che a dicembre 2008 e a gennaio 2010 crearono attenzione sulle condizioni miserevoli dei braccianti stagionali. Soldi che arrivano in un territorio dominato dalle `ndrine dei Pesce e dei Bellocco con il comune sciolto per infiltrazioni mafiose. La misura è stata anche prorogata di altri sei mesi per le stesse motivazioni, il pericolo di inquinamento delle istituzioni da parte della `ndrangheta. I tre milioni di euro in arrivo dal ministero dell`Interno erano saltati fuori già alla fine della caccia ai neri che è stata la vergogna dell`Italia nel mondo. Finanziamenti elargiti una manciata di giorni prima della guerriglia urbana dei rosarnesi contro i lavoratori africani che per la seconda volta in due anni si erano ribellati alla violenza delle `ndrine.

In comune c`è un`attività febbrile di studi di fattibilità, progettazioni, consultazioni per presentare progetti sui migranti dalle finalità più varie. Corsi di formazione per istruire gli africani nella raccolta di clementine e agrumi, avviamento al lavoro nei campi, laboratori, esposizioni e perfino un "albergo diffuso" su tutta la Piana di Gioia Tauro. Salta all`occhio la sproporzione tra il volume dei finanziamenti e il numero di alloggi previsti per gli immigrati, considerato che l`emergenza umanitaria che vivono ogni inverno duemila braccianti stagionali stranieri è dovuta in gran parte ai tuguri in cui alloggiano. Secondo quanto afferma il commissario Rosario Fusaro, tra un anno, quando sarà costruito il centro polifunzionale da due milioni di euro, nell`annessa foresteria dormiranno 60 immigrati.

Il commissario non sa dire sulla base di quali criteri verranno scelti i lavoratori a cui dare un tetto, a parte il possesso del permesso di soggiorno. Ma la prossima stagione agrumaria inizia a ottobre. Quindi in attesa della foresteria, tra poco il comune presenterà un progetto con moduli abitativi prefabbricati in comodato gratuito da parte del Viminale. Non oltre 150 posti letto, per i quali i migranti pagheranno un canone minimo, gestito dal comune in partnership con associazioni non meglio specificate, tra cui dovrebbero esserci anche i gesuiti. Tutti alloggi riservati a chi è in regola con il permesso di soggiorno.

Da dormitorio a mercato
La Rognetta, un tempo fabbrica di trasformazione del succo d`arancia, poi rudere senza tetto in cui d`inverno si riparavano tra gli stenti almeno 400 africani in gran parte francofoni, è stato uno dei luoghi simbolo dello schiavismo della Piana. Prima che le ruspe la buttassero giù, era la casa senza elettricità e senz`acqua degli africani di Rosarno. Proprio di fronte alla scuola media "Scopelliti-Green". Sotto gli occhi di tutti, si riempiva di fantasmi dalla pelle nera a ottobre per svuotarsi a marzo. È l`unico dei dormitori lager a essere stato completamente demolito. Il primo a essere sgomberato dalle forze dell`ordine la sera dell`8 gennaio sotto la pressione delle ronde e delle barricate armate dei rosarnesi. Il primo luogo da cui dare un segnale alla popolazione locale e da cui i neri dovevano sparire per sempre. Ma il suo destino era già segnato. Meno di un mese prima, a dicembre, il ministero dell`Interno aveva approvato un progetto comunale di riqualificazione urbana per la sicurezza del territorio. L`area diventerà una piazza con un anfiteatro che ospiterà un mercato settimanale con box per i vigili, parcheggi e anche un pallone tensostatico con all`interno un campo da tennis. Costo dell`operazione: 930 mila euro.

Il progetto esecutivo è in fase di approvazione e presto andrà a gara. L`altro intervento già finanziato dal Viminale per due milioni di euro con i fondi del Pon Sicurezza, obiettivo 2.5 per il riutilizzo dei beni confiscati, è un centro polifunzionale con la foresteria per soli 60 stranieri regolari. Dovrebbe sorgere tra un anno all`interno dell`ex cementificio Beton Medma, un bene confiscato ai clan D`Agostino e Bellocco. Ci sarà un edificio su due piani, da costruire ex novo, con posti letto, sale comuni e strutture per la formazione professionale dei braccianti agricoli. «Tutte iniziative presentate al ministero all`inizio del 2009 - racconta Fusaro - per individuare un centro per l`accoglienza e la formazione, per affrontare l`emergenza umanitaria, progetti nati dopo la manifestazione pacifica degli africani di dicembre 2008 per il ferimento di due loro compagni da parte di un giovane di Rosarno». Chiarita l`origine, vale a dire la richiesta del rispetto dei diritti umani da parte degli africani, quale sarà il risultato? A lavorare sui progetti in corso saranno tutte imprese locali.

«Ci saranno sicuramente un indotto e una forte ricaduta per l`occupazione di Rosarno» evidenzia il commissario. E questi sono solo gli appalti certi. Perché ci sono almeno altri due grossi progetti allo studio. Il primo da presentare sempre al ministero di Roberto Maroni per la ristrutturazione di un vecchio cinema di proprietà comunale per farne un centro di aggregazione per stranieri con laboratori artigianali e sale espositive. Al momento si trova in fase di approvazione preliminare da parte della prefettura di Reggio Calabria. L`altro, di cui si sta studiando la fattibilità con la Provincia, eventuale ente capofila, è per un sistema di "albergo diffuso" su tutta la Piana. Allo stato dei fatti, sembra una soluzione che richiede molto tempo e tanti soldi. Si devono individuare gli immobili, ristrutturarli e darli in gestione. Inoltre, per ora, solo i comuni di Rosarno, Galatro e San Ferdinando si sono resi disponibili.

Che fine ha fatto la task force?
Stando così le cose, in autunno l`emergenza abitativa per gli stagionali rischia di ripresentarsi. «Devono muoversi anche gli altri comuni, Rosarno non può risolvere un problema che è di tutta la Piana», sostiene ancora il commissario Rosario Fusaro. Un`intesa con la Compagnia del Gesù maturata lo scorso autunno per realizzare un villaggio da 500 posti su un`area del comune è stata congelata dai fatti di gennaio. «Quello che è successo l`abbiamo visto tutti, ma perché è successo qualcuno l`ha capito?» si chiede il componente della commissione straordinaria che guida il comune dal 2008. Troppi africani tutti insieme in un posto non ci devono stare. Non solo e non tanto per non creare ghetti. Infatti questa linea è quella seguita a Rosarno dopo gli scontri che hanno spazzato via migliaia di stagionali di pelle nera in soli tre giorni. I braccianti schiavi sono tornati alla spicciolata già a partire dalla settimana seguente alla rivolta. Circa 400 persone, anche i media li hanno notati. Ma vivono in case fatiscenti del paese a gruppi di dieci, pagando cinquanta euro di affitto a testa più le utenze.

O dispersi nelle campagne, adesso davvero invisibili e difficili da raggiungere per chi volesse monitorare la situazione. Si incontrano per le strade in bicicletta o nelle agenzie di money transfer. Tanti sono senegalesi che arrivano dal nord Italia, dove, dicono, non c`è più lavoro. La fine della raccolta li porterà in altre campagne del sud. E quando i sindacati marceranno per il primo maggio a Rosarno, la maggioranza degli africani non ci sarà. Ma il fatto che i proprietari terrieri li abbiano richiamati per lavorare in nero, nonostante le indicazioni della task force di Maroni, e che siano stati lasciati fare dalle istituzioni e dalla `ndrangheta, conferma che gli stranieri sono indispensabili all`agricoltura della zona. Per giustificare i corsi di formazione in raccolta degli agrumi, Fusaro dice: «L`avviamento al lavoro lo faranno le istituzioni e questo dovrebbe incidere sul caporalato». Tuttavia è evidente che le dinamiche di caporalato sono legate a un problema di sottosviluppo dell`economia agrumaria con le arance pagate ai produttori appena sei centesimi al chilo. «La politica agricola così com`è strutturata non ha sviluppo - ammette in un secondo momento Fusaro - abbiamo ampiamente segnalato questo aspetto agli europarlamentari venuti in visita a Rosarno, alle commissioni parlamentari e alla task force del ministro Roberto Maroni».

I vecchi fondi, chi ben comincia...
Intanto, con i primi 200 mila euro mandati dal ministro Maroni a maggio dell`anno scorso, sono stati comprati dalla ditta Tubes di Polistena 15 servizi igienici. Sono moduli bagno-container con doccia che potrebbero essere allacciati alla rete idrica e fognaria. Costo totale: 132 mila euro. Rosarno, ente capofila per l`emergenza immigrazione, dopo gli incontri con gli altri comuni coinvolti, Gioia Tauro, San Ferdinando e Rizziconi, è riuscita a fare un bando in extremis a metà dicembre per non perdere il finanziamento che scadeva a fine 2009. Il risultato è che giacciono inutilizzati nell`area industriale di Gioia Tauro perché sono arrivati troppo tardi, a fine gennaio, quando ormai le baraccopoli erano sparite. Avrebbero dovuto sostituire i bagni chimici che sono stati noleggiati da aprile a dicembre del 2009 al costo complessivo di altri 29 mila euro.

Memoria
Per velocizzare i tempi e per far sì che tutto sia realizzato prima della prossima stagione agrumaria molti interventi saranno avviati con affidamenti fiduciari, in quanto al di sotto del limite fissato per legge. Ma siamo a Rosarno, e basta guardarsi intorno per trovare i segni dello spreco del denaro pubblico, per esempio la vasta area industriale fantasma oppure i ruderi degli edifici destinati a sontuosi progetti industriali e diventati rifugi per sans papiers. La "Cartiera" era teoricamente un edificio destinato alla produzione di moduli per telescriventi, ma nei fatti è stata una casa da incubo per i lavoratori stranieri per una quindicina d`anni. I progetti risalgono al 2007, quando con un solenne protocollo alla Prefettura di Reggio Calabria si decise di trasformarla in centro d`aggregazione sociale (cosa mai avvenuta, la Cartiera fu mestamente sgomberata la scorsa estate in seguito a un incendio). Ora si ricomincia. Da queste parti pure un riot dagli echi planetari può trasformarsi in una richiesta di finanziamenti.










IMMIGRATI: MIGRANTES, VENGONO OSTACOLATI I RICONGIUNGIMENTI

Diritto-oggi, 28-04-2010

(AGI) - Malaga, 28 apr. - Al Congresso di Malaga viene presentata una ricerca sulla prima citta’ italiana per numero di immigrati, Milano, che ha mostrato che la meta’ degli immigrati ha impiegato piu’ di sette anni per il ricongiungimento dell’intero nucleo familiare. “Fondamentalmente perche’ - commenta p. Gnesotto - la normativa italiana riguardante l’immigrazione, in linea con quella europea, stabilisce dei requisiti rigidi per quanto riguarda il reddito e l’alloggio, ingenerando la sottomissione di un diritto fondamentale a requisiti economici”. E’ un peccato perche’ la “famiglia ricongiunta nei territori di accoglienza” si rivela essere l’ambito principale dove “si elabora l’inclusione sociale”, funziona cioe’ - rileva padre Gnesotto - “come luogo importante d’apprendimento reciproco e di doppia mediazione linguistica e culturale. I figli spesso assumono il ruolo di mediatori, interpreti e portavoce dei bisogni familiari. La famiglia diviene laboratorio dell’integrazione socio-culturale”. “L’urgenza di disegnare prospettive per l’Europa delle persone in movimento, trova nella famiglia ricongiunta - conclude Gnesotto - il superamento di almeno due prospettive fuorvianti: ritenere che l’immigrazione sia un fenomeno temporaneo e che sia un fenomeno da trattare con una logica emergenziale”.






Società europee sono già multietniche
"Servono politiche di integrazione sociale, culturale e politica"

Virgilio notizie,29-04-2010

Città del Vaticano, 28 apr. (Apcom) - Le società europee "sono diventate di fatto multiculturali, multietniche e plurireligiose", secondo mons. Antonio Maria Vegliò, presidente del pontificio consiglio per la pastorale dei migranti e degli itineranti, che auspica "politiche di integrazione sociale, culturale e politica".

"Scaricare la causa dell'instabilità sui migranti - ha detto l'arcivescovo intervenendo in Spagna ad un convegno dei vescovi europei sull'immigrazione - più che affrontare in modo realistico le problematiche che hanno radici altrove, appare funzionale a creare nell'opinione pubblica l'immagine di uno Stato vigile e preoccupato della sicurezza dei suoi cittadini, alimentando le paure dell'altro e dei migranti in particolare. Nell'attuale situazione di crisi dell'istituzione dello Stato-Nazione, mentre si sta consolidando l'entità politica e culturale dell'Unione Europea, si pretende di offrire sicurezza ricompattando il senso identitario nazionale, senza valutare sufficientemente - ha detto Vegliò riecheggiando una polemica dei mesi scorsi tra esponenti della Conferenza episcopale italiana e il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi - che le società europee sono diventate di fatto multiculturali, multietniche e plurireligiose e che bisogna, con coraggio e lungimiranza, affrontare politiche di integrazione sociale, culturale e politica della componente migratoria, presente in modo strutturale nelle nostre società".








Deputato propone chip per clandestini
E bufera negli Usa dopo la proposta choc di un repubblicano sull'immigrazione

il Giornale, 29-04-2010

Un microchip ai clandestini, proprio come ai cani: è una proposta radicale, oltre i limiti del cattivo gusto. In lowa, lo Stato granaio d'America, da cui parte ogni quattro anni la corsa delle presidenziali, l'ha lanciata un candidato repubblicano al voto di midterm per la Camera dei Rappresentanti. L'America non può fare a meno degli illegali che lavorano nei suoi giardini, lavano i piatti nei suoi ristoranti, badano ai figli e ai vecchi genitori. E dunque: «Prenderli, identificarli, essere sicuri di sapere dove sono e dove vanno». Pat Betroche, un medico di Urbansdale in lowa, ha così suggerito di installare un microchip su ogni clandestino: «Posso metterlo al mio cane, perché dovrebbe essere contro la legge?». Le parole di Betroche, in un dibattito in vista delle primarie del partito a Tama County, sono rimbalzate da costa a costa, provocando una valanga di proteste. «Capisco che non è una cosa popolare da dire, ma è certo meno costoso che costruire un muro sotto cui possono scavare un tunnel», ha detto il candidato.
Ma è stata davvero solo una gaffe imperdonabile, capace di costare al medico la candidatura o l'indicatore del punto di rottura a cui è arrivata negli Stati Uniti la polemica sull'immigrazione «Va bene quando scappano i cani, perché non dovrebbe funzionare con i messicani?», ha polemizzato, con sarcasmo al vetriolo, un blogger del Minneapolis Star Tribune. Betroche si è successivamente accorto di averla detta grossa: «Non sono favorevole a mettere microchip a nessuno e non mi è passato per la testa di aver paragona-to i clandestini ai cani». La riforma EMI dell'immigrazione è tornata un tema caldo in America, dopo che il governatore dell'Arizona Jan Brewer ha firmato una legge che dà alla polizia pieni poteri di interrogatorio su chiunque sia sospettato di trovarsi illegalmente nel Paese.



L´ex imam di viale Jenner finirà in carcere
La Repubblica ed. Milano 29 aprile 2010
Tre anni e otto mesi di carcere. La cassazione conferma la condanna inflitta ad Abu Imad, l´ex imam della moschea di viale Jenner, accusato di associazione per delinquere aggravata dalla finalità di terrorismo. La sentenza, identica a quello di primo e secondo grado, dovrebbe aprire per la prima volta le porte del carcere al predicatore egiziano, ritenuto il leader di una cellula salafita attiva a Milano prima ancora dell´attentato alle Torri Gemelle dell´11 settembre 2001 con un programma «inquadrato in un progetto di ‘jihad´e che avrebbe pianificato azioni suicide in Italia e all´estero e dato supporto logistico a militanti da avviare nei campi d´addestramento in Afghanistan e in Iraq.
«Sono molto dispiaciuto - commenta il suo difensore, l´avvocato Carmelo Scambia - Vivo questa sentenza come una solenne ingiustizia». Per altri tre tunisini coimputati, invece, la condanna in appello è stata annullata con rinvio.




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