Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Quando eravamo clandestini
Vittorio Emiliani

È un film drammaticamente attuale ed efficace, anche se un po' “melò”, Il cammino della speranza (1950) di Pietro Germi. Una storia degli anni del dopoguerra quando noi italiani eravamo ancora fra i protagonisti assoluti dell’emigrazione in Europa, nelle Americhe, in Australia. Emigrazione con tanti clandestini. Insomma, i migranti di Rosarno o di Castel Volturno eravamo noi. Come racconta questa pellicola della quale la Rai possiede i diritti ancora per un mese o poco più. Secondo noi, dovrebbe trasmetterla al più presto. Se pur dovesse attrarre un pubblico limitato (ma non è detto, se sarà pubblicizzata a dovere), parecchie centinaia di migliaia di italiani si renderebbero conto di una realtà spesso dimenticata o rimossa. Comunque sconosciuta, ne siamo certi, a giovani e giovanissimi.

Il film racconta la disperata povertà di un gruppo di ex zolfatari di Favara (Caltanissetta), la loro dolorosa decisione di emigrare, il viaggio da clandestini verso la Francia, che rischia la tragedia al confine italo-francese, sulle Alpi. La proiezione della pellicola di Germi andrebbe accoppiata ai dati e ai temi proposti da un libro molto recente, documentatissimo nelle sue 435 pagine, appena uscito da Einaudi. Reca lo stesso titolo del film in questione, Il cammino della speranza di Sandro Rinauro dedicato all’emigrazione clandestina italiana. Esso riporta talune tabelle che parlano da sole.

Dal 1946 al 1961 (quando l’Italia vive il suo primo “boom” economico) gli Italiani espatriati legalmente nei vari continenti sono quasi 4 milioni e mezzo: 2.735.170 nell'area europea, fra Comunità Europea, Inghilterra, Svizzera (meta importantissima, allora). Ma 1.423.770 varcano ancora l’Oceano, dei quali ben 890.000 diretti in America del Sud. Da dove partono questi emigranti “legali”? Si sa che i leghisti più integralisti negano che i veneti emigrassero: invece sono proprio loro a lasciare l’Italia più di tutti, in oltre 611.000 (più 276.000 friulani e veneto-giuliani e 62.000 fra trentini e alto-atesini), seguiti dai campani (496.000), dai siciliani e dai calabresi (entrambi sui 420.000 espatriati), dai pugliesi, e così via. Ma vi sono ancora, in questa massa di emigranti, ben 292.000 lombardi e 222.000 emiliano-romagnoli.

Gli espatri continuano - e questo è meno noto - anche dopo il 1961. Da qui al 1976 partono quasi 3.000.000 di italiani. Per l’80 per cento in Europa. La metà circa diretta in Svizzera. Mentre in 400.000 prendono la via degli Usa. Ora però gli emigranti risultano soprattutto meridionali, all'80 e più per cento. In prevalenza pugliesi e campani (rispettivamente 471.000 e 441.000), seguiti da siciliani e calabresi appena più sotto. Tuttavia ci sono ancora, fra i nostri migranti, 245.000 veneti, 184.000 lombardi e 111.000 fra friulani e veneto-Giuliani. Tuttavia, in questo secondo e ultimo periodo del grande esodo italiano all’estero, gli espatri risultano quasi integralmente bilanciati dai rimpatri.

Andiamo ora al nodo vero: quanta è stata e dove si è diretta l’emigrazione clandestina italiana? Il libro di Rinauro, approfondito e ricco di dati, si sofferma soprattutto sugli espatri illegali, di stagionali inizialmente, verso la vicina Francia (dove i “macaronì” erano comunque meglio accolti, nonostante tutto, degli algerini). Da noi la destra ha enfatizzato gli arrivi via mare di clandestini che poi sono risultati inferiori alle 30.000 unità l’anno. Ma quella grancassa propagandistica doveva servire a creare insicurezza, paura, rifiuto dell'immigrazione, soprattutto di quella di origine africana. Ebbene, dal libro di Sandro Rinauro si rileva che i lavoratori italiani regolarizzati dopo la loro entrata nel solo territorio francese sono stati tanti. «A parere del Quai d’Orsay, dal 1946 al 1950», fa notare l'autore, «erano entrati in Francia (e siamo già in pieno secondo dopoguerra, non fra Ottocento e Novecento ndr) 143.416 lavoratori italiani e di questi nientemeno che il 40-50 per cento, ovvero da 58.000 a 72.000 individui, erano entrati clandestinamente ed erano stati regolarizzati successivamente». Per non parlare dei familiari, sia italiani che spagnoli o portoghesi. E anche fra il 1960 e il 1970 poco meno di 100.000 lavoratori italiani vengono regolarizzati dopo il loro ingresso in Francia. Clandestini pure loro, dunque. Ma chi se ne ricorda in questa Italia che purtroppo sembra tendere sempre più alla chiusura e al razzismo? Ricordiamoglielo con libri, film, dibattiti. Rai, se ci sei, batti un colpo.

11 marzo 2010 - l'Unità

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