Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

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                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

25 marzo 2011

Fare la guerra oggi per fermare la guerra  
Luigi Manconi
l'Unità 25 marzo 2011
Si può rinunciare alla guerra una volta per sempre?
I dubbi intorno all’intervento militare in Libia ruotano tutti, a ben vedere, intorno a quella domanda. Ed è una domanda da prendere sul serio, senza attribuirla necessariamente a una testimonianza profetica o a una proiezione utopistica.
E’ certo che bandire la guerra è un obiettivo da perseguire, ma con tutta la povertà e la fragilità dei mezzi  di cui gli esseri umani possono disporre. Bandire la guerra, pertanto, nella nostra concreta esperienza storica, significa  limitare il più possibile il ricorso a essa, ridurre il più possibile i suoi effetti letali, contenere il più possibile la sua micidiale potenza. In altre parole, bandire la guerra comporta, al presente, operare affinchè altri strumenti e altre strategie possano prendere progressivamente il suo posto. Si tratta, in tutta evidenza, di una prospettiva di lunga lena e di un orizzonte lontano, che implicano una serie di drammatici passaggi intermedi, dove la guerra continua a esigere di essere combattuta con la guerra. Non c’è scampo. Dunque, l’interrogativo riguarda il che fare oggi . Proprio oggi, una volta che la situazione è precipitata e  l’intervento militare ha avuto inizio. E, infatti, su che cosa si sarebbe dovuto fare ieri ( e anche solo un mese fa), è possibile trovarsi d’accordo: sostenere le forze di opposizione e, poi, gli insorti, riconoscere il Consiglio nazionale provvisorio, ricorrere a tutti gli strumenti di pressione nei confronti del regime di Gheddafi, attuare una  politica di sanzioni e  un’opera di pressione internazionale tramite il coinvolgimento di paesi arabi e africani e offrire una via d’uscita attraverso la concessione di un salvacondotto e la possibilità dell’esilio. Ma questo era valido fino a ieri. Oggi, per riproporre quella strategia, l’unica davvero saggia, è necessario il ricorso alla forza. Da questo crudele paradosso discendono i dilemmi tragici  che dobbiamo affrontare. Innanzi tutto: prima  dell’intervento militare, in Libia c’era una condizione di pace o uno stato di guerra?  La mia risposta è netta. In quel paese c’era un’ acuta  situazione bellica, sotto due diversi profili: a.  per oltre quarant’ anni ha dominato un regime familistico-dispotico; b. la rivolta contro quel regime è stata affrontata con bombe e cannoni. Dunque, lì, in Libia, non è stato l’intervento militare della coalizione a portare la guerra, la guerra c’era, e negli ultimi giorni, si era fatta sempre più cruenta. Quindi la vera domanda è: l’intervento militare è efficace rispetto al fine che intende perseguire (la cessazione della guerra mossa dal regime contro il popolo libico)? Dunque, il ragionamento non deve librarsi nel cielo della teoria e dei principi assoluti, ma deve calare nella concretezza del rapporto tra mezzi e fini. Ovvero: possiamo interrompere la guerra –quella guerra-  facendo la guerra? E gli effetti positivi di quella possibile interruzione sono maggiori degli effetti negativi della sua eventuale continuazione? Chi sostiene l’intervento militare, ritiene, molto semplicemente, proprio questo: bloccare la strage degli insorti significa operare a favore della pace più di quanto si operi per la pace attraverso il mantenimento dello status quo.  Insomma,  il rischio di un pacifismo che finisca col rafforzare i regimi dispotici, in nome di un non intervento presentato come assenza di guerra, esiste davvero. Pertanto, chi è contrario all’operazione militare deve essere in grado di proporre altri strumenti non militari: ma utilizzabili oggi ed efficaci oggi.  In caso contrario il rifiuto della guerra equivale a contribuire  alla capacità del regime di massacrare gli oppositori. In altre, e brutali, parole: i morti “risparmiati”, grazie al mancato intervento militare, verrebbero “compensati” dai morti prodotti  dalle milizie di Gheddafi. Questa macabra contabilità non può essere ignorata, al solo fine  di salvarsi l’anima. Nessuno, infatti, può chiamarsi innocente e  la corresponsabilità  per i morti dovuti alla guerra non è più onerosa della corresponsabilità  nel mancato soccorso, alle vittime, con qualunque mezzo. In sostanza, quando è troppo tardi per ricorrere a un repertorio di azione esclusivamente politico-diplomatica, si presentano   due opzioni, entrambe fonti di lutti. E l’una, quella del non intervento, non è “utopistica” e “nobile” e “ radicale”, mentre  l’altra sarebbe tutta pragmatica e realistica. Anche la prima può risultare solo l’esito di un interesse piccino: quello di mantenere le mani pulite e  coltivare l’infantile superbia di potersi sottrarre a qualunque vincolo e a qualunque condizionamento. E poter scegliere  in assoluta libertà: ma rischia di essere  la libertà di chi guarda da lontano e può permettersi il lusso di non cedere al ricatto. Si dice: né con Gheddafi né con la guerra. Ma si dimentica che  c’è qualcun altro, e non ha voce. Gli insorti, appunto.
 

 

Frattini e Maroni a Tunisi
Solidarietà concreta dell'Ue sugli immigrati
Rai News24, 25-03-2011
L'Unione Europea rinnova la sua "solidarietà" ai Paesi maggiormente coinvolti dai flussi migratori ed "invita" i Paesi membri a fornire "piu' risorse umane e tecniche". E' quanto si legge nelle conclusioni del Consiglio europeo dedicate alla Libia ed al vicinato meridionale diffuse nella notte.
"Il Consiglio europeo - affermano i 27 - attende la presentazione da parte della Commissione di un piano per lo sviluppo delle capacita' di gestioni dei flussi dei migranti e dei rifugiati prima del Consiglio europeo di giugno".
Un accordo dovrebbe essere raggiunto entro quella data sulle regole "per rafforzare le capacita' di Frontex (l'agenzia delle frontiere)". Allo stesso tempo, si legge nel testo, la Commissione "rendera' disponibili risorse aggiuntive a sostegno dell'operazione
Hermes (davanti alle coste tunisine, ndr) ed i Paesi membri sono invitati a fornire ulteriori risorse umane e tecniche".
"L'Ue ed i Paesi membri - afferma infine il Consiglio - sono pronti a dimostrare la loro solidarieta' ai Paesi membri piu' direttamente interessati dai movimenti migratori ed a fornire il sostegno necessario mentre la situazione evolve". Quanto deciso ieri a Bruxelles sulla questione immigrazione "ha soddisfatto" l'Italia, hanno fatto sapere fonti diplomatiche.
Frattini e Maroni in Tunisia per fermare gli immigrati
Fermare le partenze degli immigrati dalla Tunisia e avviare i rimpatri di quanti sono gia' arrivati in Italia, si calcola 15 mila persone nelle ultime 10 settimane. E' questo l'obiettivo della missione del ministro degli Esteri Franco Frattini e di quello degli Interni Roberto Maroni a Tunisi dove incontreranno il premier Beji Caid Essebsi e il ministro degli Esteri Mouldi Kefi.



Immigrati, la missione in Tunisia L'Italia vuole fermare l'invasione
il Gornale, 25-03-2011
Continua l'invasione di immigrati a Lampedusaì: sull'isola più di cinquemila extracomunitari. I ministri degli Interni e degli Esteri, Roberto Maroni e Franco Frattini, sono giunti a Tunisi per una serie di incontri istituzionali con l’obiettivo di frenare gli sbarchi di tunisini
Cinquecento sbarchi in 24 ore: praticamente un'invasione. È sempre più emergenza immigrati sull’'isola di Lampedusa dove si trovano quasi 5000 extracomunitari. L’ultimo sbarco è stato la notte scorsa con l’arrivo di un’ottantina di tunisini che stavano affondando su una piccola imbarcazione, salvati dalla dalla Guardia costiera e Guardia di finanza. Proseguono intanto le ricerche del barcone con a bordo circa 300 eritrei, tra cui molte donne, da cui era partita una richiesta di soccorso con un telefono satellitare alla sorella di uno dei migranti a bordo che vive ad Agrigento. L’imbarcazione sarebbe salpata da Tripoli.
Maroni e Frattini in Tunisia I ministri degli Interni e degli Esteri, Roberto Maroni e Franco Frattini, sono giunti a Tunisi per una serie di incontri istituzionali con l’obiettivo di frenare gli sbarchi di tunisini verso Lampedusa (circa 15 mila nei primi tre mesi dell’anno). Frattini e Maroni incontreranno il premier tunisino Beji Caid Essebsi ed altri ministri. L’obiettivo è tornare in Italia con un’intesa che preveda il ripristino dei controlli di polizia alle frontiere marittime - ora praticamente azzerati - ed avviare i rimpatri dei migranti già sbarcati. I due ministri sono pronti a mettere sul piatto aiuti economici, uomini e mezzi (motovedette, apparecchiature, radar, etc.), nonchè un’adeguata quota di ingressi legali. Non sarà tuttavia agevole ottenere impegni vincolanti dalle autorità tunisine: il governo in carica è infatti transitorio in attesa delle elezioni previste per il prossimo luglio.
La solidarietà della Ue L’Unione Europea rinnova la sua "solidarietà" ai Paesi maggiormente coinvolti dai flussi migratori ed "invita" i Paesi membri a fornire "più risorse umane e tecniche". È quanto si legge nelle conclusioni del Consiglio europeo dedicate alla Libia ed al vicinato meridionale diffuse nella notte. "Il Consiglio europeo - affermano i 27 - attende la presentazione da parte della Commissione di un piano per lo sviluppo delle capacità di gestioni dei flussi dei migranti e dei rifugiati prima del Consiglio europeo di giugno". Un accordo dovrebbe essere raggiunto entro quella data sulle regole "per rafforzare le capacità di Frontex (l’agenzia delle frontiere)". Allo stesso tempo, si legge nel testo, la Commissione "renderà disponibili risorse aggiuntive a sostegno dell’operazione Hermes (davanti alle coste tunisine, ndr) ed i Paesi membri sono invitati a fornire ulteriori risorse umane e tecniche". "L’Ue ed i Paesi membri - afferma infine il Consiglio - sono pronti a dimostrare la loro solidarietà ai Paesi membri più direttamente interessati dai movimenti migratori ed a fornire il sostegno necessario mentre la situazione evolve". Quanto deciso ieri a Bruxelles sulla questione immigrazione "ha soddisfatto" l’Italia, hanno fatto sapere fonti diplomatiche.


 
LA SENTENZA
La Cassazione: ai profughi permessi triennali
Riconosciuto a chi fugge dalla guerra e chiede asilo il diritto all'accesso al lavoro e allo studio
Il Messaggero, 25-03-2011
ROMA - Una nuova "misura sussidiaria" da applicare a chi fugge dal proprio paese in guerra e chiede asilo politico. È un permesso temporaneo di tre anni di soggiorno che è stato introdotto con una sentenza della Cassazione. Consente di ottenere, a chi lo chiede, «un complesso quadro di diritti e facoltà», tra i quali l'accesso al lavoro, alio studio e alie prestazioni sanitarie. Nel prendere questa decisione, i Supremi giudici ribadiscono il "no" alla concessione ge- neralizzata delia protezione internazionale nei confronti degli immigrati ma físsano criteri in base ai quali il diritto álla protezione dell'immigrato va sempre riconosciuto, anche se non esistono tutte le condizioni per il ricono- scimento dello status di protezione internazionale.
La decisione arriva dalla Sesta sezione civile di piazza Cavour che spiega come per ottenere una protezione di questo tipo non bastino «problemi locali», ma devono essere ricollegati «ad una situazione generale» di disordini in un determinato paese. In pratica, i profughi extracomunitari che fuggono per salvare la própria vita o incolumità física dalla minaccia «grave e individuale derivan¬te dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale», possono fare domanda per ottenere il permesso di tre anni, però con i limiti imposti dalla legge. II caso che viene preso in esame è quello di un Cittadino africano dei Burkina Faso, arri vato nel nostro paese su un barcone di clandestini partito dalla Libia. Mouktar Dabre è approdato sulla costa sarda, ha chiesto protezione e il via libera a rimanere in Italia, La sua domanda è stata respinta perché il giovane fuggiva non da un conflitto interno ma da una faida circoscritta che riguardava la successione dei capotribü dei suo villaggio. Occupandosi di questa vicenda, la Suprema Corte ha quindi sottolineato, nella sentenza 6879, che le nuove norme introdotte nel 2007 e nel 2008, che hanno unificato la procedura per ricevere la protezione uinanitaria, prevedono anche la nuova misura delia «protezione sussidiaria». Questa specifíca forma di protezione offre una sorta di ombrello protettivo a tempo - si applica, a esempio, quando si prevede che l'ondata di violenza che ha coinvolto il paese d'origine abbia fine nel breve período - e consente di conseguire, oltre al permesso triennale, anche «un complesso quadro di diritti e facoltà».
La Cassazione chiarisce anche che, oltre alie «due misure di protezione internazionale», quella per rifugiati e quella sussidiaria, c'è la possibilità di ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno «sostenuto da ragioni umanitarie o da obblighi internazionali o costituzionali diversi» sia dalla condanna alia pena di morte, dal rischio di tortura e anche dalle situazioni di «indiscriminata violenza».
Insomma, la casistica in base ala quale dare accoglienza non è strettamente fissata - ricorda la Cassazione invitando a un approccio non rigido in tema di diritti umani -ma lasciata alla valutazione delle Commissioni territoriali che esaminano le richieste di protezione.
Sulla sentenza è intervenuto, a favore di una interpretazione restrittiva, il senatore della Lega Sandro Mazzatorta, il
quale ha sostenuto che «lo status di rifugiato e lo status di protezione umanitaria sussidiaria sono sempre legati a un rischio individuale per la propria vita, ma non nella condizione di mero conflitto armato».



IMMIGRATI, UNA SOLUZIONE ITALIANA CHE POTREBBE ISPIRARE L'EUROPA
Corriere della Sera, 25-03-2011
Giuseppe Sarcina  
Immigrati e profughi. La formula all'italiana, cioè il recente accord o tra ministero dell'Interno e Regioni, può (anzi dovrebbe) essere rilanciata su scala europea. Fino a oggi, Spagna, Francia e Italia hanno gestito i rapporti con Marocco, Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto attraverso patti bilaterali. Questo reticolo di relazioni ormai è saltato. Si può, allora, provare a ragionare in termini strettamente politico-economici, visto che solidarietà e spirito di cooperazione sono monete poco diffuse nel mercato unico europeo.
E dunque. L'economia di un Paese come la Tunisia, la fonte numero uno della nuova immigrazione verso l'Italia e l'Europa, è afflitta da una sovrabbondanza di prodotti a basso valore aggiunto (beni agricoli) e, nello stesso tempo, da un eccesso di manodopera. Considerando che le risorse disponibili per gli investimenti diretti nel Nordafrica sono poche, se lUnione Europea dawero vuole dare una mano a questa acerba democrazia ha davanti due possibilita. O si prende le merci o ne accoglie gli immigrati. La prima via, spianare le importazioni di olio d'oliva, arance, frumento, appare molto complicata da realizzare in tempo utile, perché significherebbe rivedere (e sfrondare) la barocca architettura di sovvenzioni e tutele che proteggono l'agricoltura europea, a cominciare da quella francese. Al contrario un piano di ripartizione degli immigrati tra i 27 Paesi avrebbe un effetto immediato. Si potrebbe adottare lo stesso parametro fissato nell'accordo con le Regioni: mille immigrati per ogni milione di abitanti. Trasportato in Europa, questo significherebbe attivare una capienza di 495 mila «posti» (o circa 430 mila se vengono escluse Polonia, Romania e Bulgaria) da distribuire su uno spettro che va dagli 82 mila assegnati alla Germania fino ai 400 per Malta, passando per i 16 mila dell'Olanda o i 59 mila dell'Italia (compresi i 17 mila tunisini già sbarcati). Difficile dimostrare che sia uno sforzo non sostenibile. Da anni l'equilibrio demografico europeo si regge sull'apporto dell'immigrazione. Adesso è arrivato il momento di governaria. Tutti insieme.



IMMIGRATI: DE RUBEIS, EUROPA E' ASSENTE VUOLE SOLO RIFUGIATI
(ASCA) - Roma, 25 mar - ''Questi giovani non vogliono fermarsi a Lampedusa ne' in Italia, vogliono andare tutti in Francia, pero' l'Europa e' assente e non vuole immigrati, vuole solo rifugiati''. La ha detto il sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis ai microfoni di 'Tutto Esaurito' su Radio 105.
Lampedusa, ha spiegato De Rubeis, ''ha in giro per le strade 5 mila giovani immigrati che si stanno comportando bene. Per loro vengono a mancare i diritti umani perche' dormono all'addiaccio e vengono a mancare le condizioni igienico sanitarie''.
''Siamo in questa emergenza umanitaria - ha aggiunto il sindaco di Lampedusa - con la presenza di un pacchetto sicurezza che crea grossi problemi per l'accoglienza e lo smistamento in Italia perche' sono tutti immigrati irregolari che non possono essere lasciati liberi nel territorio. Hanno un solo tragico destino, quello di essere inseriti all'interno dei centri di identificazione ed espulsione, la permanenza dei 180 giorni e poi il rimpatrio che in presenza di un patto bilaterale consentiva di rimpatriarne 4 al giorno secondo l'accordo con il dittatore Ben Ali''.
''Questa mattina il ministro Maroni - ha rivelato De Rubeis - insieme al mio vicesindaco andranno in Tunisia per cercare di ripristinare quell'accordo bilaterale e cercare di avviare le procedure dei pattugliamenti congiunti. Se questo avviene, allora si puo' bloccare questo flusso che dal mese di gennaio fino a oggi ha portato circa 16 mila immigrati irregolari passando da Lampedusa''.



Sbarchi senza sosta. Sull’isola è crisi idrica
Terra, 25-03-2011
Susan Dabbous
EMERGENZA. Il sindaco di Lampedusa lancia l’allarme per l’acqua. I migranti evacuati sono meno di quelli che giungono. A Mineo (Ct) manifestazione contro il trasferimento dei tunisini.
L'aria può diventare irrespirabile anche all’aperto. Sul molo del porto grande di Lampedusa sono stipati da giorni migliaia di profughi. Per mille partiti mercoledì, ieri ne sono arrivati altri mille, in totale superano i 5.000 e hanno raggiunto il numero degli abitanti dell’isola. A metà pomeriggio, per l’esattezza erano 1.078 quelli sbarcati, ma «con le ottime condizioni meteo marine – spiega il comandante della Guardia costiera Antonio Morana – ne arriveranno altri. Anche di notte. Proprio come oggi (ieri ndr). Ne abbiamo scortati in molo più di 300, poi all’alba ne sono arrivati ancora. Quelli di Frontex – l’agenzia per le frontiere europea- ci aiutano solo con gli avvistamenti aerei».
«Nel Centro d’accoglienza ci sono 1.300 tunisini – spiega Cono Galipò direttore della struttura – anche volendo non ne possono entrare di più, stiamo cercando di fare il possibile. Abbiamo aumentato gli operatori, prima erano una quarantina ora superano i 140. Abbiamo la cucina che lavora 24 ore su 24, distribuiamo cibo e coperte anche per quelli che sono al molo. Non è difficile intuire che in una situazione del genere, l’igiene lasci a desiderare, la stampa si diverte a rimarcare le condizioni disastrose della struttura che, ricordo, può ospitare 850 persone. Ad ogni modo le condizioni mediche degli ospiti sono buone e stamani (ieri ndr) abbiamo proceduto ad una accurata disinfestazione di tutti i locali». Il sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis, ha lanciato l’allarme sulla crisi idrica. «Per  quanto mi riguarda non c’è – riprende Galipò- nel centro abbiamo un desalinatore che produce 120mila litri di acqua al giorno, il che non ci porta all’autosufficienza ma aiuta molto».
A denunciare le condizioni drammatiche, umane e ambientali, da giorni è Legambiente, con la sua storica operatrice, Giusi Nicoletti, responsabile dell’area marina protetta. «Siamo abbandonati – dice la Nicoletti rimproverando il sindaco e la sua vice, la leghista Angela Maraventano –. Ogni giorno De Rubeis lancia un allarme diverso e poi ringrazia Maroni per i vari provvedimenti presi d’urgenza, che però non risolvono nulla. Lampedusa è al collasso, ormai il problema non è più la stagione turistica, quella è andata. Il vero dramma è il degrado, potrebbero esplodere epidemie. Ci sono migranti arrivati il 7 marzo che sono ancora qui. Nel 2008 abbiamo avuto situazioni peggiori di questa. Con sbarchi più consistenti. Ma non si era mai creato un simile congestionamento». Non si era mai inceppato il sistema dei trasferimenti. I migranti nonostante i proclami delle Regioni non li vuole nessuno.
A Mineo (Catania) stanno arrivando i tunisini di Lampedusa e non i richiedenti asilo come stabilito il mese scorso. I sindaci della zona si sono opposti al loro ingresso nell’ex villaggio della base Nato. Proprio a Catania poi, ieri, sono stati arrestati 19 scafisti egiziani probabilmente collusi con la mafia.
Sbarchi senza sosta. Sull’isola è crisi idrica
EMERGENZA. Il sindaco di Lampedusa lancia l’allarme per l’acqua. I migranti evacuati sono meno di quelli che giungono. A Mineo (Ct) manifestazione contro il trasferimento dei tunisini.
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Lampedusa, in poche ore 500 arrivi Nessuna traccia di un barcone di eritrei
L'ultimo arrivo la scorsa notte è stato quello di 84 tunisini che erano a bordo di uno scafo in legno. La nave "San Marco" pronta a trasferire altri 500 tunisini ad Augusta, la loro destinazione è il villaggio di Mineo. I ministri Maroni e Frattini volano a Tunisi: aperta trattativa per bloccare le traversate degli immigrati
la Repubblica, 25-03-2011
Sono 494 i migranti che hanno raggiunto nelle ultime 24 ore Lampedusa secondo i dati aggiornati dalla Guardia costiera questa mattina. L'ultimo arrivo la scorsa notte è stato quello di 84 tunisini che erano a bordo di uno scafo in legno soccorso congiutamente da Guardia costiera e Guardia di finanza.
Sono in tutto 4.800 gli immigrati attualmente presenti a Lampedusa. Ma oggi circa 800 saranno trasferiti con la nave "San Marco" della Marina militare e con voli speciali. Dei tunisini, 2.500 sono alloggiati nel Cie, 220 in una struttura messa a disposizione dalla parrocchia di San Gerlando, mentre i rimanenti si dividono tra la stazione marittima del porto e le tende di fortuna sparpagliate ovunque nell'isola. Dopo un sopralluogo effettuato questa mattina, anche la base Loran, usata precedentemente dalla Nato, da oggi verrà adibita al ricovero di circa 200 immigrati.
Ancora da comunicare il porto di destinazione e la struttura che ospiterà gli immigrati, ma è molto probabile che l'unità militare rientrerà nel porto di Augusta e che gli stranieri saranno portati al Villaggio della solidarietà di Mineo (Catania) dov'erano già stati trasferiti ieri, tra le proteste dei sindaci, 498 tunisini prelevati a Lampedusa dalla stessa nave. I voli previsti sono tre, su Bari e Foggia, dove saranno trasportati 300 immigrati.
Vertice in Tunisia. I ministri degli Interni e degli Esteri, Roberto Maroni e Franco Frattini, sono giunti a Tunisi per una serie di incontri istituzionali con l'obiettivo di frenare gli sbarchi di tunisini verso Lampedusa (circa 15 mila nei primi tre mesi dell'anno). Frattini e Maroni incontreranno il premier tunisino Beji Caid Essebsi e altri ministri. L'obiettivo è tornare in Italia con un'intesa che preveda il ripristino dei controlli di polizia alle frontiere marittime - ora praticamente azzerati - e l'avvio dei rimpatri dei migranti già sbarcati. I due ministri sono pronti a mettere sul piatto aiuti economici, uomini e mezzi (motovedette, apparecchiature, radar, etc.), nonché un'adeguata quota di ingressi legali.
Non sarà tuttavia agevole ottenere impegni vincolanti dalle autorità tunisine: il governo in carica è infatti transitorio in attesa delle elezioni previste per il prossimo luglio.
La richiesta di aiuto. Restano intanto senza esito le ricerche del barcone con a bordo circa 300 eritrei, da cui era giunta una richiesta di soccorso con un telefono satelittare a un'immigrata residente ad Agrigento e che ha detto di aver ricevuto la chiamata dalla sorella. La barca sarebbe salpata da Tripoli, ma nonostante la massiccia presenza di unità militari di vari Paesi in quella zona per le operazioni in Libia, non ne è stata trovata ancora traccia. Le ricerche proseguono.
Fermato uno yacht. Sono stati accompagnati in un centro di prima accoglienza, intanto, i 44 migranti intercettati ieri sera su una barca a vela da un pattugliatore della Guardia di finanza, a circa 6 miglia dalle coste siracusane. Gli extracomunitari, tra cui 11 donne, due delle quali incinte, e sette bambini, sono di nazionalità turca, siriana e irachena. L'imbarcazione, un motoveliero di circa 12 metri, è stata scortata fino al porto di Siracusa e posta sotto sequestro. Nel corso dell'operazione, coordinata dal Gruppo aeronavale della Guardia di finanza di Messina, sono stati fermati anche i presunti scafisti: sono due cittadini georgiani. Indagini sono in corso per risalire agli organizzatori del traffico di immigrati.
L'emergenza. Sempre più critica la situazione a Lampedusa dove sono stipati più di quattromila migranti. Nelle prossime ore, fa sapere la Regione, saranno avviati alcuni interventi, soprattutto: la pulizia straordinaria sull'isola, effettuata da ditte specializzate, per migliorare le attuali condizioni igieniche.
Ieri l'amministrazione comunale ha annunciato che sull'isola l'acqua potabile non è più sufficiente. E la richiesta di una fornitura straordinaria di ventimila metri cubi, fatta già da un mese, non ha avuto ad oggi copertura economica da parte del ministero della Difesa. Tra isolani, clandestini e forze dell'ordine, sull'isola attualmente sono presenti 11 mila persone.
Proteste a Mineo. Tensione ieri mattina a Mineo (Catania) al momento dell'arrivo dei 498 immigrati provenienti da Lampedusa. Sindaci e amministratori della zona hanno cercato di impedire l'ingresso dei pullman con i clandestini al Villaggio della solidarietà, inaugurato la settimana scorsa.
Il villaggio in precedenza si chiamava Residence degli aranci e ospitava i militari americani in servizio a Sigonella. Il governo nazionale, per tamponare l'emergenza immigrazione, l'ha trasformato in un centro di accoglienza per i richiedenti asilo. Ma da ieri ha deciso di inviare lì anche i clandestini appena approdati a Lampedusa. Così è scoppiata la protesta dei sindaci della zona che dicono: "Il ministro Maroni ci ha presi in giro".



Lombardo: a Mineo c'è un grande lager
Il governatore tuona: «Quel centro è stato solo un bluff»
Intanto continuano gli sbarchi, anche con un veliero
Corriere della sera, 25-03-2011
PALERMO - Continua il flusso di arrivi di immigrati clandestini, mentre crescono di tono le polemiche sulle iniziative del governo per garantire l'accoglienza e sul centro di Mineo.
SU UN VELIERO - Sono 44 i migranti intercettati ieri sera su una barca a vela da un pattugliatore della Guardia di Finanza, a circa 6 miglia dalle coste siracusane. Gli extracomunitari, tra i quali vi sono 11 donne, due delle quali incinte, e sette bambini, sono di nazionalità turca, siriana e irachena. L’imbarcazione, un motoveliero di circa 12 metri, è stata scortata fino al porto di Siracusa e posta sotto sequestro. Fermati anche i due presunti scafisti.
SALVI ALTRI 81 - Tratti in salvo gli 81 migranti che si trovavano su un barcone in difficoltà a 25 miglia da Lampedusa. Sono stati presi a bordo di motovedette della Capitaneria di porto e della Guardia di finanza dopo che la carretta del mare su cui viaggiavano aveva cominciato ad imbarcare acqua.
PROTESTE A MINEO - «Il governo della Regione siciliana è al fianco dei sindaci del calatino che stanno protestando a Mineo. A conti fatti, con l’ingresso dei primi migranti trasportati da Lampedusa con la nave San Marco, ormai si può parlare di un vero e proprio bluff da parte del governo nazionale»., tuona il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo. «Il Villaggio degli Aranci - aggiunge - doveva essere destinato ad ospitare i richiedenti asilo presenti su tutto il territorio nazionale: nutrivamo già delle forti perplessità su questa scelta. Ma aprire le porte di Mineo ai profughi sbarcati a Lampedusa, di cui non si sa nulla e di cui in molti casi non si conosce neanche la vera identità è inaccettabile». «Trasferire i migranti dalla Sicilia alla Sicilia - conclude - significa continuare a scaricare sempre e soltanto sulla Sicilia - a Lampedusa, a Mineo e a Birgi, tanto per fare gli esempi più macroscopici - i costi sociali ed economici di questo tsunamì migratorio».
LOMBARDO: UN GRANDE LAGER - «Quello che temevo si sta verificando - continua Lombardo -. C’è stata grande superficialità a dire di sì senza le necessarie garanzie per quello che poteva accadere. Lì si stanno ammassando persone, si sta creando una sorta di grande lager». «Sinora - osserva il governatore - erano ospitati in dieci centri diversi dove stavano raggruppati per provenienza, nazionalità, fede religiosa, cultura e appartenenza politica. I primi 60 pare siano arrivati il primo giorno e si trattava di afghani e pakistani, cioè oppositori del governo dell’ Afghanistan. E, ad esempio, gli oppositori di quel governo sono i talebani. Questi magari non lo saranno, ma di certo la situazione è complicata». «Il problema più grave - conclude - è però un altro: queste persone sono libere di uscire e infatti decine di loro si aggirano per le campagne. Visto che il 75% di queste persone ottiene l’asilo, l’obiettivo sarebbe l’integrazione. Nella buona sostanza il governo a questa gente ha dato la prospettiva di trovarsi un lavoro. Ma dove? In una delle aree più depresse si vanno a piazzare 2.000 persone che alla fine cercheranno un lavoro. E già lo cercano aggirandosi per le campagne. Alcuni di loro non sono tornati alla base già dalla prima sera. Li hanno portati via forse dalla Lombardia o dal Veneto dove avrebbero avuto la possibilità di integrarsi. Lasciamo il Villaggio degli Aranci com’era e liberiamo da questo ennesimo problema i nostri cittadini e i nostri amministratori».
EX BASE LORAN - «L'ex base Loran dal pomeriggio di venerdì ospiterà 189 migranti. In pochi giorni grazie al lavoro della prefettura, la struttura è stata messa in dignitose condizioni, con gli allacciamenti elettrici, idrici e fognari», spiega l'assessore regionale all'Ambiente, Gianmaria Sparma, che accompagnato dal vice prefetto vicario di Agrigento, Nicola Diomede e dal commissario del Corpo forestale, Luca Ferlito, ha compiuto stamattina un sopralluogo all'ex base della Guardia costiera, adibita a ricovero temporaneo e straordinario dei migranti. «La questura - spiega Sparma - stabilira' chi dovrà essere alloggiato, ma solo dopo essere stato identificato. Si tratta comunque di un ricovero temporaneo e straordinario».
ARRIVA L'ACQUA A LAMPEDUSA - «Domani alle 6 attraccherà al porto di Lampedusa la prima nave della ditta Marnavi, incaricata dalla Regione siciliana di trasportare il primo carico straordinario di acqua potabile di 4.678 metri cubi, per sostenere l'accresciuto fabbisogno idrico», aggiunge Sparma. «Questa nave è partita da Napoli, mentre nel pomeriggio di domani giungerà da Gioia Tauro un'altra nave per il trasporto d'acqua con 1.500 metri cubi».



LA POLEMICA
Alemanno scrive a Maroni "No ai profughi libici in città"
la Repubblica,25-03-2011
PAOLO BOCCACCI
Mentre il presidente della Provincia, Nicola Zingaretti, si schiera con gli abitanti di Castelnuovo di Porto che protestano contro il trasferimento di un migliaio di rom nel "Centro per richiedenti asilo" del paesino vicino Roma, il sindaco Alemanno scrive al ministro Maroni per dire no all'arrivo dei rifugiati libici in città.
"Il grido di dolore lanciato dal sindaco di Castelnuovo è da ascoltare" dice Zingaretti. "Sono due anni che ci battiamo contro questa idea sbagliata di sviluppo che tende a scaricare ogni problema sul territorio provinciale".
"Credo che sia necessario, per tutti, capire che i comuni del territorio romano - aggiunge - sono parte integrante della capitale e non esclusivamente i luoghi su cui concentrare degrado e insicurezza". Incalza il capogruppo del Pd a Palazzo Valentini: "Chiediamo al prefetto la convocazione urgente di un tavolo tra tutte le istituzioni dopo la politica illogica e demenziale degli sgomberi e delle deportazioni senza alcuna progettualità del sindaco Alemanno". A difesa del quale si erge il consigliere capitolino ex forzista Giordano Tredicine, che bolla come "singolari le critiche di chi per oltre vent'anni non è mai riuscito ad assicurare dignità alla popolazione rom". Ma nel Pdl è polemica: "La provincia non deve diventare un campo a cielo aperto in cui far piovere nomadi", tuona il deputato Francesco Aracri.
Una delle questioni che hanno spinto Alemanno a rifiutare l'invito di Maroni ad accogliere, anche nella capitale, i profughi libici: "Roma ha già ottomila rifugiati, oltre ad una serie di problemi legati alle occupazioni e agli accampamenti abusivi, quindi non siamo nella condizione di accoglierne altri", ha spiegato e poi scritto nella lettera inviata al ministro degli Interni.



PROFUGHI
Sos da barcone con 330 eritrei partito dalla Libia, ma non si trova
Avvenire, 24-03-2011
È allarme per un barcone con circa 330 eritrei, tra cui donne e bambini, che sarebbe partito due giorni fa dal porto di Tripoli diretto verso Lampedusa e di cui non si hanno più notizie da ieri. Si tratterebbe della prima imbarcazione di profughi proveniente dalla Libia, dopo la scoppio della guerra civile. A lanciare l'Sos è stata un'immigrata che si trova a bordo della "carretta", che ha telefonato con un satellitare alla sorella residente ad Agrigento. La donna ha avvisato l'Alto commissariato Onu per i rifugiati che ha girato la segnalazione alla centrale operativa della Guardia Costiera che non è però riuscita a contattarefino ad ora il numero di telefono fornito dalla donna. Le ricerche del barcone sono in corso; la segnalazione è stata estesa a tutte le navi che incrociano nel Canale di Sicilia.



Nuova vita a Roma per il 15enne delle Kerkennah. «Ma qui non sanno fare il cuscus»
Il sogno di Kaled diventa realtà Una giornalista gli apre le porte di casa
Cronista inviata a Lampedusa incontra il giovane migrante per lavoro. Poi ne chiede l'affidamento
Corriere della Sera, 25-03-2011
FELICE CAVALLARO
LAMPEDUSA - Come succede per i fiorellini di montagna che sbucano fra i sassi, anche nel disastro Lampedusa matura una favola che ha per protagonista un ragazzino di 15 anni, la faccia di un bambino, ma determinato come fu la notte del 2 marzo scorso quando si nascose sotto teloni e bidoni di un barcone in partenza dalla Tunisia saltando fuori da quella sua tana solo cinque ore dopo la partenza. Divenne la mascotte degli altri 30 migranti a bordo e, all’approdo a Lampedusa, dei volontari di «Save the children», del Centro accoglienza, un po’ di tutta l’isola, toccata dalla sua storia raccontata per la prima volta dal Corriere.it. Appena letto quel pezzo, una inviata di una testata televisiva corse al Centro per intervistare il piccolo in fuga dalle Kerkennah. E scattò una scintilla che va ben oltre il ruolo professionale di una giornalista adesso senza nome per la cronaca, colpita da quegli occhioni furbi, dal ciuffo ribelle del piccolo Kaled, allora chiamato Karim per evitarne il riconoscimento. O forse l’inviata fu conquistata dalla raffica di domande semplici, poste, dopo quella traversata a rischio vita, nell’unica lingua parlata nell’arcipelago di fronte a Sfax e Gabes, l’arabo, e decodificata dall’interprete: «Quanto ci vuole per imparare l’italiano?», «Dove mi porteranno, in Italia?», «Mi fate restare?». «Posso lavorare? So pescare».
L’AFFIDAMENTO - Fu più di un’intervista e da quel momento la giornalista, madre di due figli che lavorano a Milano e Londra, una bella casa a Roma, promise a se stessa che avrebbe provato a seguire Kaled nei suoi spostamenti per chiedere infine l’affidamento. Come è accaduto ieri, dopo un mese trascorso inseguendo il piccolo negli spostamenti imposti dal tribunale dei minori di Agrigento. Prima verso la Sicilia in nave, poi fino alla casa famiglia di Licata dove la cronista rimase sconvolta: «Un gruppo di minori abbandonati a se stessi in un contesto disperato, tutti a fumare, la passeggiata per il videopoker, l’ozio e l’abbrutimento come una costante quotidiana... Dovevo strapparlo da quell’inferno popolato da scippatori e spacciatori...». E’ stata determinata anche lei con il questore di Agrigento Girolamo Di Fazio e il vice Ferdinando Guarino, con il prefetto Francesca Ferrandino e il vice Nicola Diomede, tutti pronti a fare da trait d’union con il giudice tutelare che infine ha accelerato la pratica di affidamento complimentandosi: «Non era mai accaduto qui. E sarebbe bellissimo se nelle famiglie italiane scattasse la stessa sua sensibilità...». E’ quanto sostengono a «Save the children» conteggiando i quasi 250 minori che a Lampedusa bivaccano sul pavimento di una sorta di museo del mare con due gabinetti.
CUSCUS VIA SKYPE - Da questo inferno Kaled si è sottratto telefonando però ogni giorno al padre, come fa da quando è in Italia, come fece appena arrivato al Centro: «Papà, se te lo dicevo, non mi facevi partire. No, non c’è pericolo. No, che non ho pagato. E dove li prendevo i soldi? Mi sono nascosto...». Con lui ha parlato più volte la giornalista ottenendo l’assenso all’affidamento, con l’obiettivo di far studiare il piccolo a Roma, di sottrarlo per il momento anche a una situazione familiare mutata visto che il padre ha una nuova moglie. Ma anche questi sono aspetti che l’inviata preferirebbe tenere riservati, come chiede per il suo nome. Gelosa di uno stupendo rapporto che sta unendo una agiata dimora romana alla casetta di Kaled. Anche via Skype, come è accaduto ieri sera quando il piccolo ha chiamato il padre: «Dammi la ricetta del cuscus perché qui non lo sanno fare».



Le espulsioni dopo lo sgombero
Due rumeni sono partiti íeri sera: nei Ioro confronti ravvisati «motivi imperativi di pubblica sicurezza»
Altre 30 posizioni sono tuttora a vaglio della Questura Nel vicino boschetto trovato mateiale di provenienza furtiva
La Provincia, 25-03-2011  
Gabriele Salvatore
Venti stranieri hanno ricevuto un decreto di allontanamento  dal territorio nazionale, due per «motivi imperativi di pubblica sicurezza», mentre le posizioni di altre 30 persone sono ancora al vaglio dell'Ufficio immigrazione della Questura.
Dopo lo sgombero di due giorni fa, la polizia sta continuando ad analizzare ogni singola situazione, anche se per alcuni degli immigrati rintracciati nella baraccopoli di via dei Fenici si è dovuto procedere con urgenza visti i loro precedenti con la giustizia italiana.
Due rumeni, ad esempio, sono già partiti nella serata di ieri con un volo di linea. Il primo, Mircea Cletoc (50 anni), qualche anno fa proprio nei pressi di via dei Fenici aggredi brutalmente un connazionale nei tentativo di rapinarlo. Lo colpi ala testa con una spranga di ferro, quindi si allontanò lasciandolo esanime in strada. L'altro rumeno, invece, Petrica Ratoiu, 27 anni, si era reso responsabile dei reati di tentato omicidio e furto di rame. Nei loro confronti, fa sapere la Questura, è stato emesso un provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale per «motivi imperativi di pubblica sicurezza», convalidato nella giornata di ieri dal Tribunale. Tuttavia, in totale, sono venti gli immigrati a cui è stato notificato un decreto di allontanamento dall'Italia per assenza di quei requisiti minimi indispensbili al soggiorno e alla residenza. Per alcuni di loro, a differenza di Cletoc e Ratoiu, si tratta di reati minori come furto, rapina e ricettazione. Per altri ancora la motivazione è da ricondurre alia totale assenza dei mezzi di sussistenza minimi stabiliti dal Decreto Legge 30 dei 2007. Poi ci sono altri 30 stranieri le cui posizioni sono tuttora sotto la lente degli investigatori dell'Ufficio immigrazione.
Dopo il blitz awiato mercoledi all'alba, ora le operazioni di bonifica dei sito sono ormai giunte al termine. Tra l'altro nella baraccopoli di via dei Fenici le forze dell'ordine hanno rinvenuto un'ingente quantità di materiale verosimilmente provento di furto, tra cui rame e parti di automobili e scooter. La scoperta è stata fatta in particolare ali'interno dei boschetto adiacente al campo nomadi.



NOMADI
"Non siamo la Lampedusa di Roma" A Castelnuovo la rivolta anti rom
La protesta dei residenti del piccolo Comune quando hanno saputo che le tendopoli non si faranno più e che sarà il "loro" Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) a dover ospitare i mille rom sgomberati dai campi abusivi della capitale. "Qui siamo poche migliaia di abitanti, le istituzioni ci hanno abbandonato". Il sindaco: "Ma ai maghrebini diciamo sì"
la Repubblica, 24-03-2011
GIOVANNA VITALE
Abbandonati dalle istituzioni. La tensione sociale alle stelle: alimentata dallo spettro di una nuova Lampedusa assediata dai migranti, programmata alle porte di Roma. Da quando hanno saputo che le tendopoli non si faranno più e che sarà il "loro" Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) a dover ospitare i mille rom sgomberati dai campi abusivi della capitale, gli abitanti di Castelnuovo di Porto sono scesi sul piede di guerra. "Ma non chiamateci razzisti", avverte Massimo Lucchese, portavoce del Comitato "Cittadinanza come dignità" impegnato a raccogliere centinaia di firme da consegnare al prefetto e al sindaco Alemanno.
"Il problema non sono i nomadi, il problema è Roma, che pensa di poter scaricare tutte le sue emergenze in provincia e ci tratta come fossimo un avamposto di Cuba", tuona Fabio Stefoni, sindaco pdl di questo paesino di 8mila anime alle porte di Roma. "E ce l'ho anche con Zingaretti e Polverini che finora non hanno mosso un dito contro una scelta profondamente ingiusta e pericolosa perché va a incidere su una piccola comunità che non può sopportare l'arrivo di mille zingari con tutto il carico di assistenza, cura dei minori e ordine pubblico che comporta".
È in buona compagnia, il primo cittadino. Più o meno una settimana fa, insieme agli altri sedici sindaci del distretto sanitario RmF (tra cui i comuni di Riano, Capena e Morlupo), ha vergato un documento durissimo che boccia senza appello la trasformazione del Cara nel terminale per i rom della capitale. "Decisa, per di più, senza coinvolgerci nella programmazione e persino informarci". Risultato? Nulla di nulla. E lo stesso è successo due giorni fa: al consiglio straordinario di Castelnuovo erano stati invitati tutti, dal prefetto alla governatrice, ma nessuno s'è presentato. "Come se la questione riguardasse soltanto noi", si sfoga Stefoni: "Le istituzioni ci hanno abbandonato, viviamo di indiscrezioni e notizie di stampa, di forse e di boh: non sappiamo se i nomadi arriveranno e quando, quanti saranno, con quali modalità, se esiste un piano di permanenza". Ospiti oltretutto in una zona, località Ponte Storto, "che conta non più di 500 case e 1.500 abitanti. Ora, una cosa è distribuire i nomadi in una città come Roma, un'altra concentrarli tutti in un'area di un chilometro quadrato che offre pochissimo", spiega Lucchese. "In questo modo si corrono due rischi: esasperare la nostra comunità e non risolvere il problema della capitale, dove inevitabilmente gran parte di questi rom si riverseranno per sbarcare il lunario, magari trovando ospitalità in nuovi campi abusivi oppure facendo su e giù con Castelnuovo. Ma Alemanno ha mai fatto un giro sui treni e i bus dei pendolari? È mai andato allo snodo di Saxa Rubra? Si rende conto di quel che può succedere?".
Non è allora una provocazione quella del sindaco Stefoni quando dice: "Noi siamo pronti a ospitare tutti i magrebini che chiedono asilo ma non i nomadi. E non certo per ragioni di etnia. Oltre al fatto che non è giusto spostare in Sicilia gente in fuga dalla guerra come fosse un pacco postale, esiste un problema sociale ed economico: finora la cittadinanza è stata tollerante, con i rifugiati abbiamo iniziato un percorso di integrazione, col nostro Bilancio paghiamo la mensa e i campi estivi ai figli. Adesso dovremmo ricominciare daccapo. Con in più il fatto che i rom hanno problematiche diverse, sia a livello sociale sia di sicurezza. La popolazione aumenterebbe del 15% e noi disponiamo soltanto di quattro vigili e nessun servizio sociale. Ma si rendono conto di quel che ci vogliono imporre?".



Campo clandestino a "numero chiuso" I body guard dove morì un bimbo
La tendopoli in via Morselli, alla Magliana, venne subito sgombrata dal Comune dopo il rogo. Ma ora si è formata di nuovo con baracche dove vivono i bosniaci sfollati della struttura abusivo di via Marchetti, accanto alla sede dell'Alitalia
la Repubblica, 24-03-2011
CECILIA GENTILE
È cambiata solo l'etnia. Sono bosniaci invece che romeni. Ma la disperazione, il degrado, la sporcizia, la precarietà, il pericolo sono gli stessi. Il campo rom abusivo di via Morselli, alla Magliana, quello dove ad agosto scoppiò il rogo che uccise un bambino di tre anni e che fu subito sgomberato dal Comune, si è riformato. Accanto alle montagne dei rifiuti ancora da rimuovere sono spuntate nuove baracche, formate con i detriti di quelle smantellate. Dentro ci sono i bosniaci sfollati dal campo abusivo di via Marchetti, accanto alla sede dell'Alitalia. Prima ancora si trovavano a Corviale, prima ancora alla Muratella.
A controllare questo campo adesso ci sono tre moldavi dal fisico imponente. "Siamo guardie private - spiegano - ci ha chiamato il proprietario di questo terreno: vuole che impediamo ad altri rom di entrare. Quelli che ci sono ormai restano, in attesa dello sgombero".
Un campo clandestino a numero chiuso, dunque, con i flussi regolati da vigilantes privati. Pieno di bambini. Solo uno di loro va a scuola, ce lo accompagna la mamma, Jamila. Gli altri, maschi e femmine, sono insolenti e aggressivi, per niente disposti al dialogo. Ed è strano, perché altrove sono curiosi e hanno sempre voglia di parlare.
Nello stesso quadrante urbano, Roma Sud, una new entry e un ritorno. La new entry è nella riserva naturale Laurentino Acqua Acetosa. In una vasta area verde all'incrocio tra via Laurentina e via Castel di Leva ha trovato rifugio una comunità di bulgari, uomini e donne, quasi nessun bambino. Tende alla buona, fatte di plastica e compensato. Panni stesi sulla recinzione che li separa dal contiguo deposito Ama dove vengono rottamati i cassonetti. Prima di essere ridotti in frattaglie, i contenitori vengono svuotati dei loro rifiuti lasciati in cumuli maleodoranti che successivamente sono portati via e smaltiti. "Abbiamo lasciato i nostri figli in Bulgaria - racconta Elena - dove torneremo dopo Pasqua. Siamo venuti qui perché da noi non c'è lavoro, non c'è niente. Non ci sono neanche le associazioni come la Caritas che aiutano i poveri. Qui chiediamo l'elemosina e mandiamo i soldi ai nostri figli. Aspettiamo la Pasqua perché sotto le feste la gente è più generosa. Poi torneremo a Natale". Tutt'intorno, le discariche di soggiorni clandestini che si sono sovrapposti nel tempo. Rifiuti anche nei fossi che rappresentano una peculiarità del territorio. "Abbiamo scelto quest'area perché qui non diamo fastidio a nessuno - dice Elena - in questa zona non ci sono abitazioni".
Intanto, sotto il cavalcavia della Magliana, sono tornati per l'ennesima volta i romeni. Si tratta di ritorni ciclici, in una regolare alternanza di sgomberi e rioccupazioni. Come succede in tutta la capitale, in un inutile e infruttuoso gioco al rimpiattino che ha prodotto soltanto la frantumazione e la moltiplicazione dei campi, perché il piano nomadi di Alemanno non arriva.
 



 

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