Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

24 marzo 2015

Inutili, cari e dannosi «Vogliamo chiudere i Cie»
«SI PUÒ MEDITARE SU UNA SOSTITUZIONE CON UNO STRUMENTO CHE ABBIA LO STESSO TIPO DI OBIETTIVO E PORTI GLI STESSI RISULTATI»
Il Garantista, 24-03-2015
Damiano Aliprandi
Il Viminale sta meditando per il superamento dei centri di identificazione ed espulsione. A rivelarlo è stato il sottosegretario all`Interno, Domenico Manzione, rispondendo a un`interrogazione del Pd (risalente alla primavera scorsa) in aula alla Camera: «Si può meditare su una sostituzione con uno strumento che abbia lo stesso tipo di obiettivo e possa raggiungere lo stesso tipo di risultato». Manzione poi ha spiegato: «Attualmente non ci sono nei centri più di 400 persone e sul territorio nazionale, a parte i due siciliani, ne sono rimasti solo tre in funzione». Il rappresentante del Viminale ha aggiunto: « Proprio lo scarso afflusso di persone all`interno di questi centri e la loro dislocazione territoriale danno l`idea che si possa riflettere su un superamento dei centri, a condizione però che si capisca che il Cie rimane uno strumento che tende a evitare la confusione - che tanto stress provoca ai territori - tra chi ha diritto di asilo e chi no». Secondo Manzione più in generale, il governo - e il Parlamento - si sono mossi «nella direzione di rendere il più possibile accoglienti, nel rispetto dei diritti umani, i centri in questione ». Tra le problematiche maggiori, ha ricordato Manzione, il protrarsi della permanenza nei centri, «vissuto dagli immigrati con un senso di frustrazione che può talvolta sfociare in violenza o episodi di autolesionismo». Il sottosegretario ha ricordato come vadano nella giusta direzione, per migliorare il sistema, la legge 161 del 2004, il recente decreto Svuota carceri e il regolamento unico per il funzionamento dei centri.
Da ricordare che attraverso un`indagine istituzionale, i Cie sono risultati oggettivamente costosi, inutili e peggiori del carcere. Il rapporto sui centri di identificazione e di espulsione elaborato dalla Commissione diritti umani del Senato è stata una condanna senza appello delle strutture istituite nel 1998 dalla Legge Turco-Napolitano col nome di Centri di permanenza temporanea e assistenza (Cpta) e poi diventati, nel 2011, "centri di espulsione". Una lunga storia segnata da una serie di modifiche normative, spesso ispirate dall`esigenza politica di dar prova di una severità fine a se stessa - nel 2009 l`allora ministro Roberto Maroni disse che bisognava essere "cattivi" con gli immigrati irregolari - come l`allungamento fino a sei mesi della detenzione.
L`ultimo aggiornamento del rapporto sui Cie chiarisce ulteriormente che le categorie del "buonismo" o del "cattivismo" sono del tutto inadeguate. I numeri, infatti, dicono semplicemente che i Centri di identificazione ed espulsione sono inefficaci. E che il problema va affrontato con razionalità. Senza pregiudizi ideologici e tenendo alla larga le esigenze della propaganda politica.
Su un totale di undici, attualmente ne funzionano cinque (Bari, Caltanissetta, Roma, Torino e Trapani) e - dato aggiornato allo scorso 20 febbraio - ospitano 293 cittadini stranieri a fronte di una capienza di 753 posti. Quanti dei reclusi saranno effettivamente espulsi? Se prendiamo i dati degli anni precedenti, scopriamo che nel 2014 sono transitati nei Cie 4986 stranieri dei quali 2771 sono stati effettivamente rimpatriati e, nel 2013, su 6016 transitati, i rimpatriati sono stati 2749. Il "tasso di efficacia" (cioè il rapporto tra quanti sono entrati nel Cie perché considerati in condizione di irregolarità e quanti effettivamente sono stati rimpatriati) è del 50 per cento. Ma se confrontiamo il numero dei rimpatriati col numero degli irregolari effettivamente presenti in Italia, il "tasso di efficacia" diventa irrisorio. Nel 2013, a fronte di 294mi1a "irregolari", appena lo 0,9 per cento è stato rimpatriato attraverso i Cie.
Interessante notare che questo "tasso di efficacia" non cambiò in alcun modo quando, nel 2011, il tempo di trattenimento passò da 30 a 180 giorni. Una decisione annunciata con le fanfare del "cattivismo" per dimostrare che si faceva sul serio e che determinò solo un aumento esponenziale dei costi. Proprio quell'anno, infatti, il "tasso di efficacia" crollò allo 0,3 per cento. D`altra parte la commissione d`inchiesta - attraverso gli uffici immigrazione delle questure - ha accertato che mediamente per arrivare all`identificazione sono sufficienti 45 giorni. E anche a partire da questa constatazione nell`ottobre del 2014 i senatori Luigi Manconi - l`attuale presidente della commissione Diritti umani - e Sergio Lo Giudice hanno presentato e ottenuto l`approvazione dell`emendamento che ha dimezzato (da 180 a 90 giorni) il periodo massimo di trattenimento. All`interno dei Cie ci sono ex detenuti che hanno finito di scontare la pena e che passano direttamente dal carcere al Centro di identificazione prima di essere espulsi. Ma ci sono anche immigrati che risiedono da anni in Italia e non hanno potuto rinnovare il permesso di soggiorno in seguito alla perdita del lavoro. La casistica delle persone che è possibile incontrare nei Cie è molto ampia. Ci sono anche giovani stranieri che hanno sempre vissuto in Italia e che, al compimento dei 18 anni, non hanno potuto iscriversi a un corso di studi o firmare un contratto di lavoro. In base alla normativa attuale si trovano così in una condizione di `irregolarità` che li porta all`interno dei Cie. Raramente vengono espulsi, perché nel frattempo intervengono i familiari e gli avvocati. Ma vi transitato, ci restano per mesi, con ulteriori costi per lo Stato. Costi che vengono aggravati dalle spese sanitarie. Chi si trova improvvisamente recluso in un luogo che ha tutto l`aspetto di un carcere (e infatti ci sono anche ex detenuti) vive situazioni drammatiche sul piano psicologico e fisico. Non è un caso che nei Cie si faccia un grandissimo uso (e abuso) di psicofarmaci.
In definitiva - ha sostenuto il rapporto della Commissione diritti umani - se si escludono i casi delle persone effettivamente pericolose, ci sono molti altri strumenti diversi dai Cie, meno costosi, meno disumani, per affrontare i casi di irregolarità: «Basterebbe un obbligo di firma o di dimora, vincoli
 e limiti ai movimenti per verificare che lo straniero irregolare sia reperibile dalla forze di polizia (misure peraltro già previste ma raramente applicate). E così i Cie sarebbero ridotti a pochi locali necessari a ospitare per qualche notte chi sia in attesa di un rimpatrio ormai esecutivo». Secondo un`articolata ricerca dell`Associazione
 Lunaria56 - i cui dati sono stati recepiti nel rapporto del Senato dal 2005 al 2011 lo Stato ha impegnato in media 143,8 milioni di euro l`anno per gestire, mantenere e ristrutturare l`insieme dei vari centri. Se poi si va ad analizzare la gestione fatta da alcuni degli enti gestori si apre un ulteriore, spesso inquietante, capitolo della triste storia dei Cie italiani.



Irregolari. Arriva Amber Light, maxi operazione di polizia in tutta Europa
Ad aprile controlli intensificati negli aeroporti. Si cercano gli overstayers, immigrati che si sono trattenuti in Europa dopo la scadenza del visto d’ingresso
stranieriinitalia.it, 24-03-2015
Roma – 24 marzo 2015 - Chi sono gli immigrati irregolari? Gli immagini degli sbarchi sulle coste siciliane costantemente rilanciati dai media hanno fatto passare la'idea che arrivino tutti clandestinamente seguendo le rotte segnate dai trafficanti di uomini. Le cose, però, non stanno proprio così.
Buona parte dei cittadini stranieri presenti irregolarmente in Italia e in Europa sono arrivati qui regolarmente, spesso grazie a un visto di ingresso di breve durata, ma quando questo è scaduto non sono rientrati in patria e si sono trattenuti in attesa dell’occasione, come una sanatoria o la pubblicazione di un decreto flussi, di mettersi in regola.
Tecnicamente,  vengono definiti overstayers e ora una maxi operazione di polizia europea vorrebbe scovarli mentre cercano di tornare nei loro Paesi, partendo da uno stato diverso da quello di ingresso nella speranza di evitare sanzioni. L’operazione Amber Light 2015 ed è stata proposta dal governo lettone, che ha la presidenza di turno del Consiglio Europeo, agli altri stati membri o associati all’area Schengen, la cui adesione è volontaria.
I controlli, secondo quanto si legge su un documento riservato svelato dalla ong Statewatch,  si concentreranno negli aeroporti, ma se la maggioranza degli stati coinvolti lo richiederà potranno essere estesi anche ai confini marittimi e terrestri. Il periodo scelto è tra il 1 e il 14 aprile,  a ridosso della Pasqua, quando dovrebbero intensificarsi le partenze, ma nel documento è prevista anche, in alternativa, una finestra tra il 18 e il 30 aprile.
Ufficialmente, Amber Light dovrebbe servire solo a raccogliere dati sull’entità del fenomeno degli overstayers, sulle loro “rotte” per aggirare i controlli, e sull’utilizzo di documenti falsi, ma è prevedibile che per chi verrà sorpreso , ad esempio in un aeroporto italiano, scatteranno le sanzioni. A cominciare da un’espulsione che gli impedirà di rientrare regolarmente nell’Ue per i prossimi anni.
Amber Light segue un’altra operazione europea congiunta contro gli irregolari, Mos Maiorum, che si è svolta lo scorso ottobre. In quell’occasione sono state fermate dalla polizia oltre ventimila persone.



Pochi ne parlano, ma la lotta è continua. Anche in Grecia
Melting Pot europa, 23-03-2015
Grecia - Oggi è la giornata mondiale della lotta al razzismo e alla xenofobia, istituita in ricordo del massacro di Sharpeville avvenuto nel primo pomeriggio del 21 marzo 1960 davanti alla caserma di polizia della Township sudafricana. Quel giorno furono sparati 1344 proiettili, per ordine degli ufficiali (bianchi) Spengler e Pienaar, su migliaia di civili che protestavano pacificamente contro il regime di apartheid. Sessantanove persone morirono e centottanta rimasero ferite: vittime di un’ideologia della razza profondamente e storicamente radicata nelle classi dominanti bianche e nei loro interlocutori internazionali.
In Grecia e in altre capitali europee, da poco e per merito dell’antagonismo antifascista, si celebra nello stesso giorno l’opposizione al fascismo e ai rigurgiti neonazisti che contraddistinguono la sfera pubblica europea e non. La lista dei partecipanti alla manifestazione occupa una pagina intera; e questo consola. Le rivendicazioni dei manifestanti sono note: ius soli indipendentemente dallo status genitoriale, legalizzazione dei sans-papiers residenti nel paese da anni, diritto di voto per i non greci, adeguate politiche sociali per rifugiati e richiedenti asilo, chiusura dei campi di detenzione e abbattimento del muro frontaliero di Evros.
Oggi è quindi l’ennesima occasione, strappata a fatica dalle lotte, per permettere ai senza voce di raccontare un mondo diverso. Chiedere, ad esempio, giustizia per chi è morto nelle mani della negligenza di Stato come Mohammed Kamara, deceduto dopo otto mesi di internamento nel centro per migranti di Corinto. Assieme a lui verranno ricordati più di cinquanta omicidi a sfondo razziale commessi sul suolo greco nell’ultimo decennio e rimasti ad oggi senza colpevoli, coperti a volte da una strana connivenza tra polizia e Alba Dorata.
Della protesta nessun cenno sui quotidiani europei. Al netto del grottesco cicaleccio tra Atene e Berlino della settimana passata, rimane il silenzio sulle proteste meticce nel giorno mondiale contro il razzismo. Fuori dai canali indipendenti, la schizofrenia dei media in materia di migrazioni confonde, oblitera, rimuove. Le condizioni dei migranti e i problemi del razzismo istituzionale annegano così tra questioni ben più rilevanti (il futuro delle riforme neoliberali in Grecia), mentre le storie dei liberati da Amygdaleza si perdono come risacca nel grande mare dell’informazione.
Dopo mesi di internamento molti trovano l’abitazione occupata da nuovi inquilini, scoprono l’espatrio di amici e parenti e vivono sulla pelle la mancanza di adeguati mezzi di sussistenza. È pur vero che esistono organizzazioni non governative e opere di carità, ma la mancanza di politiche a lungo termine offre ai migranti piuttosto la fuga che un riparo. Il malpensante, poi, potrebbe addirittura immaginare che l’abbandono sorvegliato nel quale vivevano da reclusi si sia trasformato in una dimenticanza governata da forme d’incuria più sottili e meno dispendiose.
Non sembra andare meglio a chi ancora risiede forzatamente nei centri di detenzione. Qualche giorno fa, più di trecento migranti detenuti nel Cie di Corinto hanno iniziato uno sciopero della fame simile a quello del 2012. Le cause sono le stesse: condizioni di vita estremamente misere, malnutrizione e una diffusa mancanza di cure mediche appropriate.
Le lotte non si fermano, insomma. Anzi proseguono soprattutto quando nessuno ne parla. E questo perché chi proviene dalle periferie del villaggio globale approda in paesi (Grecia, Italia, Cipro, Spagna, Austria, Lussemburgo…) dove le alternative risultano in ultima istanza limitate: detenzione amministrativa, inclusione differenziata, illegalità.
In certe parti dell’Unione, del resto, la legislazione sugli “stranieri” è spesso un coacervo d’eccezionalità nel quale i tempi di attesa per una vita dignitosa possono dilatarsi incredibilmente. Qui la precarietà rischia di divenire esistenziale, mentre nuove forme di apartheid e nuovi confini interni si intrecciano e si sovrappongono. Non a caso l’Europa è chiamata Fortezza dai suoi abitanti invisibili.
La giornata mondiale contro il razzismo e la xenofobia ha così il compito di rivendicare nuove forme della cittadinanza. Anche in Grecia. Tra le mura di gomma di queste (più o meno) nostre democrazie cosiddette multietniche e multiculturali, non possiamo infine stupirci delle lotte di migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Gli spazi politici si frammentano allo stesso modo degli spazi economici e i movimenti di esseri umani, come quelli di merci e capitali, incideranno sempre più nelle nostre società. Che lo si voglia o meno.



Permesso a punti. Ecco chi non deve fare gli esami di italiano ed educazione civica
Alcuni titoli di studio e certificazioni linguistiche conseguiti in Italia esonerano dalle verifiche dell'accordo di integrazione. L'elenco diffuso dal ministero dell'Interno
stranieriinitalia.it, 23-04-2015
Roma - 23 marzo 2015 - Che senso ha sottoporre a un esame di italiano o di educazione civica ragazzi e adulti stranieri che già hanno frequentato con successo le nostre scuole? Nessuno, tanto che, per una volta, anche la burocrazia dell’immigrazione si adegua.
Da marzo  2012, chi arriva in Italia deve stipulare con lo Stato un accordo di integrazione, legato al cosiddetto “permesso a punti”. In pratica, si impegna a raggiungere entro due anni determinati obiettivi, tra  quali ci sono anche una sufficiente conoscenza della lingua italiana e della cultura civica e della vita civile in Italia, che andrà verificate con un test presso lo Sportello unico per l’Immigrazione.
Il ministero dell’Interno ha però stretto delle intese con il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in base alle quali può essere esonerato dal test di italiano chi è in possesso di determinati titoli scolastici e certificazioni linguistiche. Una circolare inviata qualche giorno fa a tutti gli sportelli unici per l’immigrazione li ha ricordati tutti, dividendoli in quattro gruppi. Vediamo quali sono.
Nel primo gruppo rientrano titolari rilasciati dalle scuole:  diploma di licenza conclusiva del primo ciclo di istruzione (terza media); certificato delle competenze di base acquisite al termine della scuola dell’obbligo; attestato di qualifica di operatore professionale, diploma professionale di tecnico, diploma di istruzione tecnica, diploma di istruzione professionale.
Nel secondo gruppo ci sono le qualificazioni rilasciate a partire dall’anno scolastico 2014/2015 dai Centri provinciali di istruzione per adulti (CPIA): diploma di licenza conclusiva del primo ciclo di istruzione (terza media); certificato attestante l’acquisizione delle competenze di base connesse all’obbligo di istruzione; titolo attestante il raggiungimento di un livello di conoscenza della lingua italiana a livello A2.
Nel terzo gruppo ci sono le qualificazioni rilasciate prima dell’anno scolastico 2014/2015 dai Centri Territoriali Permanenti (CTP): diploma di licenza conclusiva del primo ciclo di istruzione (terza media); titolo attestante il raggiungimento di un livello di conoscenza della lingua italiana a livello A2.
Chi ha uno dei titoli elencati in questi tre gruppi esonerato anche dal test di educazione civica. Infatti, come spiega la circolare, “si ritiene che il percorso di studi abbia fornito i richiesti elementi di conoscenza”.
C’è poi un quarto gruppo in cui rientrano i certificati linguistici: il "CELI1" (Certificato di Lingua Italiana) rilasciato dall’Università per stranieri di Perugia;  il "CILS A2" (Certificato di Italiano Lingua Straniera- Livello A2) rilasciato dall’Università per Stranieri di Siena; il “PLIDA” (Programma Lingua Italiana Dante Alighieri); la "Certificazione italiano L2" rilasciata dall’Università degli Studi di Roma 3.provinciali di istruzione per adulti. Per questi ultimi due certificati si sta valutando se prevedere anche l’esonero dal test di educazione civica.
Nessun test, infine, né d’italiano né di educazione civica, per gli “studenti universitari regolarmente frequentanti”. Sono infatti in “quotidiano contato con un ambiente che per sua natura trasmette i principi di educazione civica e di cultura italiana richiesti”.

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