Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

07 ottobre 2011

Dodicimila persone scadute e clandestine «II governo che fa?»
Finiti i 6 mesi concessi agli immigrati dal Nordafrica in rivolta Non tutti sono scappati in Europa, come sperava Maroni
l'Unità, 07-10-2011  
FELICE DIOTALLEVI
E' scaduto il tempo per loro. Sono gli 11 mila e ottocento immigrati che fuggirono dal Nordafrica ai tempi dell'ondata rivoluzionaria, fra l'inverno e la primavera scorsa. Si decise di fare loro un permesso provvisorio, di sei mesi, a partire dal 7 aprile. Oggi termina. Questa la legge. Questo il decreto che fu firmato dalla presidenza dei consiglio per contrastare l'emergenza di Lampedusa. L'isola mediterranea stava esplodendo. L'ltalia si rimpallava con l'Europa e con gli stati africani le responsabilità. Poi il decreto e i permessi a tempo determinate. E solo «per i Cittadini appartenenti ai paesi del Nord Africa affluiti nel territorio nazionale dal 10 gennaio 2011 fino alla mezzanotte del 5 aprile 2011». Nessuna proroga è annunciata e cosi le associazione che accolgono i migranti si troverano a breve a ospitare irregolari. Arci, Caritas e Asgi infatti si allarmano e chiedono al governo di «muoversi».
Le intenzioni "soperte" dei governo erano semplici: una mini sanatoria a tempo avrebbe certamente invogliato gli immigrati a darsi alla fuga verso altri paesi. Chi subito, chi dopo. Tutti comunque prima dei sei mesi. Ai permessi infatti era stata data validità per attraversare le frontiere di Schengen e circolare liberamente in Europa. Ma le restrizioni delle autorità francesi - le battaglie a Ventimiglia - hanno fatto si che molti dei migranti siano rimasti in Italia. La Protezione civile quantifica questo "resto" in 11.800 persone. Profughi libici e migranti tunisini. I tunisini coi permessi in scadenza, cosi come i profughi provenienti dalla Libia e in attesa della procedura di riconoscimento dell'asilo, sono ospitati presso strutture pubbliche e associazioni. Attualmente sono distribuiti in tutte le regioni italiane, con l'eccezione dell'Abruzzo ancora
impegnato ad assistere i Cittadini colpiti dal terremoto e per questo escluso dal piano di assistenza della protezione-civile 1.
Di fatto, queste persone da oggi saranno clandestine. Cosa accadrà?
Dai volontari delia Caritas veneziana, all'Arci di Génova, per arrivare agli awocato dell'Associazione di studi giuridici sull'immigrazione (Asgi) arriva un campanello d'allarme: «Siamo di fronte a una situazione assurda: i permessi di soggiorno sono in scadenza e non c'è nessuna presa di posizione da parte dei governo». A Bologna si chiede esplicitamente il rinnovo dei documenti: a chiederlo al Governo, associandosi alia campagna promossa dalle associazioni Ya basta e Al Sirat, è la Camera del lavoro del capoluogo emiliano. «Siamo fermamente convinti che queste persone, al pari degli altri hanno diritto a vivere nella regolarità e nella legalità e che 1'ingresso nella clandestinità debba essere in tutti i modi evitato», scrive in una nota Anna Rosa Rossi, responsabile delle politiche dell'immigrazione delia Camera dei lavoro. In quest'ottica, la Camera dei lavoro dará il suo contributo nella raccolta fondi «Adotta un kit della dignità» proposta da Ya basta e Al Sirat.'*



Malattie infettive: gli immigrati sono più sani degli italiani.
È quanto emerge dal congresso della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit). Su 24 mila sbarcati a Lampedusa nell’ultimo semestre, solo 7 malati di Tbc.
Immigrazione Oggi, 07-10-2011
Approdano sulle coste italiane stremati dal viaggio e spesso in condizioni di salute non buone. Eppure, a discapito dei luoghi comuni, le malattie infettive, così come le altre patologie, risultano meno comuni nei migranti che nella popolazione italiana.
È quanto emerge dai report presentati nel corso del congresso della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) che fino all’8 ottobre si svolge all’Arsenale Porto della Maddalena.
Su 24.000 persone giunte a Lampedusa da marzo a settembre scorso, solo 7 sono risultate positive alla Tbc. In sintesi, spiegano gli esperti, gli immigrati non portano malattie e non contagiano quasi mai i nostri connazionali. Anzi, alcune volte può esser vero il contrario. Anche se ogni anno, sui circa tre milioni e mezzo di immigrati presenti in Italia, ne vengono ricoverati oltre 500.000: in tre casi su quattro si tratta di un problema acuto come un trauma, una malattia cardiaca o respiratoria o il parto nel caso delle donne.



Immigrati: Sant'Egidio, falso che Africa invade Europa fenomeno non drammatico/Adnkronos (2)
la Repubblica., 07-10-2011
(Adnkronos) - ''Un'Agenzia - spiega Giro - che includerebbe anche Frontex, cioe' l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea istituita nel 2004. Un'Agenzia, quella di cui parla Giro, che ''potrebbe gestire il transito dei migranti''. Attualmente Frontex permette di aumentare la sicurezza alle frontiere, con il coordinamento delle iniziative degli Stati membri ''intese ad attuare le misure comunitarie per la gestione delle frontiere esterne''. E il compito di Frontex e' proprio quello di coordinare la collaborazione tra i vari Stati membri per la gestione delle frontiere esterne dell'Ue. Invece, l'Agenzia proposta da Giro sarebbe una ''vera e propria cabina di regia che superebbe le attuali frammentazioni, aumenterebbe cosi' l'efficacia delle politiche comunitarie''. Per Giro ''se gli Stati non ce la fanno e' perche' hanno parlato del fenomeno politicizzandolo, invece l'Agenzia lo 'depoliticizzerebbe' e gestirebbe l'evento immigrati come un evento ordinario e non piu' straordinario''. ''Se l'Agenzia sara' efficace lo dimostrera' progressivamente, solo cosi' potremmo guardare finalmente in faccio i migranti''.



«Clandestini, falso incubo L'Europa deve gestire l'immigrazione legale»
Corriere della Sera, 07-10-2011
Montefiori Stefano
Gérard-François Dumont, professore alla Sorbona e pioniere della «demografia politica», offre uno sguardo pacato, realista ma non catastrofista, sull' immigrazione. «L' Europa è sempre di più la metà preferita dei flussi migratori. Si è sostituita all' America come terra di nuovi arrivi. Invece di avere un atteggiamento spaventato occorre riuscire a governare la nuova realtà». L' immigrazione è uno dei temi principali di ogni campagna elettorale, uno dei pochi snodi decisivi di ogni programma politico. «Il nostro contributo di studiosi deve essere quello di non mettere la testa sotto la sabbia, affrontare e descrivere la questione, senza strumentalizzarla politicamente. Per questo, è bene ricordare subito che il grande cavallo di battaglia, l' immigrazione clandestina, è un problema residuale, minoritario. Il punto vero è elaborare una politica comune europea che gestisca consapevolmente il controllo dell' immigrazione legale». L' ultima emergenza è stata Lampedusa. Troppo rumore? «Capisco i problemi di ordine pubblico, ma è sembrato che l' Europa venisse improvvisamente invasa da un' orda incontrollabile di milioni di persone. Invece gli immigrati tunisini sono stati infinitamente meno dei rifugiati, per esempio, che dopo le guerre nella ex Jugoslavia si sono riversati in Germania». Francia e Italia su Lampedusa si sono scontrate, è mancato il coordinamento che lei auspica. «Sì, e devo dire che l' Italia aveva le sue ragioni, non tanto nell' ingigantire il problema, quanto nel sottolineare che bisogna affrontarlo a livello europeo, nell' ambito dello spazio Schengen». Lei fa risalire le attuali difficoltà d' integrazione all' Europa degli anni Settanta. «Lì sì è avuta la grande esplosione dell' immigrazione legata al lavoro, Paesi come la Germania hanno importato enormi quantità di manodopera per fare funzionare le loro fabbriche. Si sono create delle sacche di lavoro necessario ma slegato dal resto della comunità, basti pensare ai milioni di turchi in Germania. O ancora alla situazione dei Paesi Bassi, con tutti i drammi che ne sono seguiti negli ultimi anni». Per questo ovunque in Europa l' estrema destra avanza. «Forze come il Fronte nazionale in Francia, per esempio, offrono soluzioni radicali e impraticabili. Gli altri, nella sostanza, dicono le stesse cose. Cambiano i toni, a seconda delle necessità elettorali. Il presidente Sarkozy talvolta si mostra più duro, ma di fatto esclude la regolarizzazione sistematica dei clandestini esattamente come fa la sinistra». Il ministro francese Claude Guéant qualche mese fa è andato oltre, dicendosi poco favorevole all' immigrazione anche di quanti hanno già un lavoro sicuro nel Paese di destinazione. «Le grandi tendenze in atto sono l' enorme invecchiamento della popolazione europea, un fattore molto più decisivo della presunta bomba demografica che a mio avviso non scoppierà, e l' attrazione che il nostro continente esercita verso le nuove generazioni del Sud del mondo. Detto questo, si fanno talvolta delle scelte discutibili. Siamo capaci di rispedire in patria dei laureati cinesi o indiani che ci sarebbero estremamente utili, e siamo poi costretti ad assumere medici africani che sono certo fondamentali per i nostri ospedali talvolta privi di personale, ma che privano allo stesso tempo i Paesi in via di sviluppo di una élite indispensabile. Possiamo comunque prendere qualcosa in prestito dalle esperienze di altri Paesi, come il Canada o l' Australia. Sono le nazioni al mondo con il maggiore tasso di immigrazione, e allo stesso tempo controllano molto da vicino chi e come entra, sforzandosi di praticare poi una vera politica di integrazione». Stefano Montefiori RIPRODUZIONE RISERVATA **** L' esperto Gérard-François Dumont, professore alla Sorbonne di Parigi, dirige l' Istituto di Demografia Politica della capitale francese. E' autore di oltre 130 pubblicazioni



Quel continente ci riguarda E non solo per gli sbarchi
Il monitoraggio Verrà sottoscritta la «Carta di Taormina» per la creazione di un osservatorio permanente
corriere della Sera, 06-10-2011
Sciacca Alfio
T ra l' edizione dello scorso anno e quella che si apre oggi c' è di mezzo un terremoto chiamato «primavera araba». Basterebbe questo a confermare la bontà dell' intuizione avuta cinque anni fa, quando la Fondazione Banco di Sicilia decise di puntare sull' Africa come straordinaria opportunità di scambio economico e culturale. Dall' Egitto, alla Tunisia, alla Libia un intero continente è attraversato da rivolte di popolo e guerre civili che creano grandi aspettative ma anche preoccupazioni per gli equilibri geopolitici e i flussi migratori. Se il tema è ormai nell' agenda politica di tutti i governi c' è però il rischio che vengano elaborati interventi dal sapore neocoloniale che vedono nell' Africa una terra da continuare a sfruttare e non un interlocutore per le aree più ricche del mondo. «Citando Marx si potrebbe dire che ancora una volta la leva del mondo è l' economia. Ma se prima c' erano le classi che si battevano su una diversa idea redistributiva oggi ci sono solo lobby che si scontrano esclusivamente sul piano degli interessi». Si esprime proprio così Giovanni Puglisi, Presidente della Fondazione Banco di Sicilia che ogni anno a Taormina promuove il forum «Sviluppare le Regioni dell' Africa e dell' Europa» in collaborazione con «The European House-Ambrosetti». «Ora più che mai - insiste Puglisi - il forum deve incentivare una riflessione che vede nell' Africa non un terreno di scontro di interesse ma una risorsa per il mondo, valorizzandone le ricchezze, la cultura, il vasto patrimonio umano». Per questo in occasione della quinta edizione del Forum verrà sottoscritta la «Carta di Taormina» per la creazione di un osservatorio permanente sull' Africa in quella che è ormai diventata la Cernobbio del Sud. «A Taormina non immaginiamo certo di creare una sede fatta di palazzi, impiegati e burocrazia varia - chiarisce Puglisi - quanto piuttosto un think tank stabile su un tema strategico come l' Africa». Questi gli stimoli sui quali oggi e domani si confronteranno economisti, politici e imprenditori africani ed europei. Tra gli altri interverranno l' ex ministro degli esteri spagnolo Ana Palacio, il principe Idris Al Senussi nipote dell' ultimo re della Libia, il presidente di Unicredit Dieter Rampl, il direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli, il sottosegretario agli esteri Alfredo Mantica oltre a ministri e banchieri di vari stati africani. Sarà presentata anche un' analisi dello Studio Ambrosettti sui flussi migratori che fa giustizia di suggestioni ed allarmismi. Nonostante le notizie che rimbalzano ogni giorno sui media i flussi verso l' Europa sono infatti poca cosa rispetto a quelli interni alle varie regioni africane. Oltre 20 milioni di migranti ogni anno si spostano all' interno di quel continente contro le poche decine di migliaia che arrivano in Europa. Ma viene soprattutto capovolto l' approccio al problema, vedendo nell' immigrazione dall' Africa un fenomeno che va regolato ma non certo bloccato se solo si vuole evitare la crisi demografica alla quale è altrimenti condannato il vecchio continente. «In quest' ottica - spiega Puglisi - l' Italia non può essere solo un molo di passaggio per i disperati africani, ci dobbiamo invece proporre come primi interlocutori culturali per poi esserne i veicolatori economici». Ci sono quindi i progetti concreti nati a Taormina. Quelli nuovi e quelli partoriti nelle precedenti edizioni. Quest' anno verranno premiati giovani architetti europei e africani che hanno elaborato un layout di quartiere urbano da sperimentare in Africa e sul quale c' è già l' interesse di alcuni governi. Va poi avanti il frutto delle precedenti edizioni: l' Agenzia Sènghor per la promozione in Africa dell' offerta universitaria europea, il progetto di telemedicina e formazione a distanza in collaborazione con la Comunità di Sant' Egidio che è ormai un partner stabile del Forum. Quanto al parco Agro-Industriale per la lavorazione in loco delle produzioni agricole e zootecniche si attende solo che gli imprenditori si facciano avanti. È forse questa l' unica nota dolente: chi per mestiere è chiamato investire e rischiare stenta ancora a credere che l' Africa sia veramente una straordinaria opportunità a portata di mano. Alfio Sciacca



Tutte le balle sugli immigrati Bugia 1: fanno lavori di scarto
L'inchiesta di Libero sugli extracomunitari. Altro che risorsa, fanno concorrenza ai commercianti e ci costano quanto due finanziarie
Libero, 07-10-2011
Gilberto Oneto
In queste settimane il dibattito si infuoca attorno alla manovra economica e tutti hanno suggerimenti su dove e come ridurre le spese. Nessuno però dice mai di intervenire su una delle voragini che si inghiottono i soldi della comunità: l’immigrazione. È stata abilmente fatta passare l’idea che gli immigrati siano una risorsa, una ricchezza, che siano quasi i soli a contribuire in positivo alle dissestate casse comuni. Sull’immigrazione è stata fatta una colossale opera di disinformazione.  I principali gruppi di motivazioni che vengono solitamente tirati fuori per giustificare l’immigrazione sono: 1) che i nuovi cittadini pagheranno le nostre pensioni, 2) che gli immigrati fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare, 3) che gli immigrati sono una risorsa economica, 4) che sono una ricchezza sociale, 5) che pongono rimedio alla nostra denatalità, 6) che abbiamo il dovere della solidarietà. Vediamo di esaminare soprattutto i punti aventi incidenza economica, non senza avere prima fatto una indispensabile premessa.
Secondo l’Istat, nel gennaio 2011 ci sono in Italia 22.832.000 occupati, 14.989.000 inattivi (fra i 15 e i 64 anni) e 2.145.000 disoccupati: l’8,6% della forza lavoro, il 29,4% di quella giovanile. Nel biennio 2009-2010 gli occupati sono scesi di 532.000 unità, cioè la disoccupazione è in aumento. Nel 2010 un quinto dei disoccupati è straniero, e cioè più di 400.000 persone. Alla fine del 2007 gli stranieri disoccupati erano il 9,5% e gli italiani il 6,6%. Nel 2010 il tasso di occupazione degli stranieri è sceso dal 64,5 del 2009 al 63,1, e quello di disoccupazione è passato da 11,2 a 11,6. Nel 2005 i cassintegrati stranieri sono stati 65.546 su 613.151: il 10,7% del totale. Nel 2010 ogni 10 nuovi disoccupati, 3 sono immigrati. Da tutto questo si deduce con grande chiarezza che il mercato del lavoro italiano è in crisi, che diminuiscono i posti di lavoro e che non c’è alcuna necessità di altri stranieri che non vengono a sopperire a mancanza di mano d’opera ma a sostituire quella italiana, addirittura favorendone l’espulsione dal mercato.
Questo trend è dimostrato dal fatto che fra  il 2005 e il 2006 circa il 42% dell’aumento di occupati è straniero, la percentuale diventa il 66% nel 2006-07, cioè gli stranieri si inseriscono nel mercato del lavoro più degli italiani (nel 2007 il tasso di attività della popolazione italiana in età fra 15-64 anni è del 60,0% , quello degli stranieri del 73,2%). A questo concorre il fatto che gli italiani sono più vecchi ma anche che le retribuzioni medie degli stranieri sono inferiori del 24% rispetto a  quelle dei lavoratori italiani.
Insomma non si tratta di fare lavori che gli italiani rifiutano, ma di farli a stipendi più bassi. Questo ha anche a che fare con l’identikit delle imprese che prediligono forza lavoro immigrata, che sono essenzialmente artigiane, collocate in settori tradizionali, a basso livello tecnologico e basate su un modello organizzativo centrato sui bassi salari più che da aumenti consistenti di produttività. Sono perciò le attività più a rischio di chiusura e che tentano di combattere la concorrenza estera facendo lavorare manodopera immigrata, quasi una sorta di delocalizzazione del lavoro invece che dell’imprenditorialità. È un cerchio rischioso oltre che immorale: si toglie lavoro agli italiani a vantaggio di chi costa meno facendone ricadere i costi sociali sulla comunità. Tutto questo nel campo del lavoro dipendente e scarsamente qualificato.
IL COMMERCIO
I dati ci raccontano però anche un’altra storia. A fine 2007 gli stranieri sul mercato del lavoro erano il 6,5% della forza lavoro totale, più della metà dei quali (il 56,2%) nei servizi, nel commercio e nell’artigianato, cioè lavoratori autonomi. Nel 2010 c’erano 213.267 imprese  con titolare straniero: il 3,5% di tutte le imprese e il 7,2% di quelle artigiane. Il fenomeno conosce tassi di aumento vertiginosi. Altri 69.439  stranieri sono soci di imprese cooperative.
Riesce a questo punto difficile sostenere che i cinesi – ad esempio – facciano i bottegai perché gli italiani rifiutino tale lavoro, o gli egiziani i pizzaioli, o gli albanesi gli artigiani e così via. I lavori legati al commercio sono, in particolare, un evidente segno di colonizzazione e conquista del mercato, non certo una forma di sopravvivenza economica o – meno che meno – di supporto a una manodopera carente. Insomma, più della metà degli stranieri che lavorano regolarmente si dedica ad attività che in nessun modo possono essere considerate rifiutate dagli italiani.
Se le liste di collocamento, le statistiche di disoccupazione o gli elenchi di cassintegrati si riempiono di stranieri, che senso ha farne venire altri? Inoltre, è vero che alcuni di loro fanno lavori pesanti, socialmente squalificati o anche pericolosi ma è sicuramente vero che tali lavori non vengano assunti dagli italiani solo perché non vengono pagati abbastanza. È un problema che potrebbe essere risolto sia lasciando operare la legge del mercato (se non si trova nessuno che lo voglia fare a quel prezzo, si aumenterà il prezzo) che incentivando economicamente i lavori più disagiati.
Il primo caso non può però funzionare se il mercato viene lasciato aperto a tutti i disperati del mondo: ci sarà sempre qualcuno disposto anche solo temporaneamente ad accettare le condizioni più sfavorevoli e il prezzo sarà perciò tenuto basso. Lo fanno solo per un po’ e poi si trovano qualcosa di meglio innescando così un doppio processo perverso: l’esigenza di lavoratori a basso costo diventa continua e l’operazione di abbassamento del costo del lavoro si trasferisce anche verso l’alto e finisce per intaccare tutti i livelli sociali. Il danno è generale con il degrado della qualità del lavoro, l’abbassamento dei salari e l’allontanamento dei lavoratori autoctoni più anziani o meno specializzati che non possono sostenere la concorrenza dei nuovi arrivati. Questi accettano posizioni disagiate (o a condizioni meno favorevoli) per un po’ ma poi si sindacalizzano e così il gioco si ripete all’infinito con danno per tutti. Con alcuni miliardi di diseredati al mondo ci sarà sempre qualcuno disposto a concedersi per meno fino alla catastrofe economica e sociale. Già oggi ci sono stranieri con ruoli dirigenziali e il processo di “scavalco” delle fasce più deboli degli italiani è favorito dai livelli di istruzione degli immigrati (il 12% ha una laurea, il 41,2% un diploma): il fenomeno del brain waste (sottoutilizzo delle capacità intellettuali) non può che essere temporaneo e nel tempo gli stranieri più giovani, più scaltri o istruiti finiranno per “scavalcare” gli italiani meno capaci relegandoli sempre in fondo alle classifiche sociali ed economiche. Da mettere in conto al fenomeno immigratorio c’è  il peggioramento delle condizioni degli italiani più deboli.
IPOTESI DI RISPARMIO
Si parla di lavoratori da fare venire in un paese in cui c’è un tasso di disoccupazione fra i più alti del mondo occidentale, in cui si pagano sussidi di disoccupazione e stipendi a “lavoratori socialmente utili” giusto per mantenerli, in cui ci sono milioni di pubblici dipendenti (una bella fetta dei quali “poco utili”), ci sono milioni di pensionati baby e di  finti invalidi a cui si passa una pensione a mo’ di regalia, e dove ci sono legioni di cassintegrati. Una grossa fetta della ricchezza prodotta serve per mantenere gente che non ha lavoro, che non vuole lavorare o che fa pochissimo per il vantaggio della comunità. Si tratta di una cospicua forza lavoro che potrebbe essere impiegata a uguale costo in attività più utili per tutti. In ogni caso è folle sostenere la necessità di fare venire da fuori qualcuno che faccia il lavoro che potrebbero benissimo fare tutti questi.
Se proprio ci sono attività molto sgradite, si deve risolvere il problema con i mezzi che abbiamo, magari integrando gli stipendi per i lavori sgraditi ma necessari. Costerà sempre meno che mantenere tutto l’ambaradan dell’immigrazione. Si possono dare stipendi da nababbi a conciatori e raccoglitori di rifiuti e risparmieremo in ogni caso, come comunità, una montagna di soldi che ora va in assistenza, accoglienza, prevenzione, controllo, rimpatrio eccetera, degli immigrati.



Pisapia sogna i voti stranieri
Corriere della Sera, 07-10-2011
? Hanno già promesso moschee in ogni quartiere. Gli assessori milanesi a braccetto con i musulmani stanno mappando gli scantinati da regolarizzare. Ma non basta. Quando Giuliano Pisapia vinse le elezioni a maggio, Nichi Vendola al suo flanco in piazza Duomo incito la folia ad «abbracciare i fratelli rom». E il centrosinistra, intanto, ha aperto le porte del Comune alla Consulta dei rom e promesso case popolari e cascine ai nomadi.Non basta? No.Mentre i milanesi protestano per l'aumento del 50% sul biglietto del tram e l'introduzione dell'Irpef, l'assessore di Sel Daniela Benelli ieri ha auspicato che da Milano «con circa 120mila stranieri iscritti all'anagrafe» arrivi un segnale «di forte partecipazione» alla raccolta firme per dare cittadinanza e diritto di voto a«oltre 5 milioni di immigrati». Sarebbe«un segnale di civiltà». E una garanzia alle urne, forse. Quando il vento a Milano di questo passo sarà ricambiato.

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