Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

08 giugno 2010

LE CIFRE CHE SMENTISCONO LA LINEA DURA
il manifesto, 08-06-2010
Salvatore Palldda

Da circa venticinque anni i razzisti (e «nordisti») italiani ed europei sbraitano incitando alla guerra contro l'immigrazione, ma ecco che ogni anno l'Istat conferma che il numero di immigrati regolari aumenta (siamo a circa 4 milioni) e secondo le stime più affidabili quello degli irregolari continua ad attestarsi attorno al 15 per cento circa dei primi (cioè 600-650 mila).
Soprattutto negli ultimi vent'anni è assai arduo dimostrare che ci sia stata un'effettiva discontinuità fra i governi che si sono succeduti; ma è certo che la destra - e innanzitutto i leghisti - hanno sbraitato e si sono sentiti in diritto e dovere di fare cento volte peggio di quanto abbiano fatto i leader nazionali e locali del centrosinistra convertiti al credo neocons (tolleranza zero contro rom, immigrati e marginali in genere). A parte la breve e poco nobile parentesi Prodi, la destra governa dal 2001 e il fulgido ministro Maroni ha sempre assicurato anche l'intolleranza cattiva nei confronti di immigrati.
Allora come spiegare che nonostante l'impegno militante/militare dei leghisti e destri al potere gli immigrati regolari e irregolari aumentano? Non solo, come spiegare che sono sempre più numerosi proprio in quella padania in cui i «celoduristi» soldati nordici promettono ferro e fuoco contro l'immigrato invasore (si pensi ai manifesti di quel Prosperini che infine s'è svelato per quello che probabilmente sono tanti militanti «nordisti»).
Un caso paradossale è peraltro proprio Milano: basta andare nelle parallele e traverse a destra e a sinistra di viale Monza, a partire da piazzale Loreto, e anche in altre zone della città, e si può vedere l'aumento straordinario di commerci e della presenza di immigrati.
In tutte le città, le polizie sanno bene dove stanno gli immigrati irregolari e i regolari; ma sanno bene anche dove sono ubicate tutte le attività semi-sommerse che impiegano manodopera semi-regolare o del tutto al nero spesso grazie a caporali «etnici» che quasi sempre lavorano per padroni e padroncini padani o comunque italiani. Il mi-nistro Maroni e i suoi sodali sanno bene che sbandierare per la guerra all'immigrazione  serve a terrorizzare gli immigrati per meglio schiavizzarli.
Ma sino a quando durerà la loro demagogia? Forse sino a quando italiani e stranieri delle economie sommerse riusciranno a trovare la capacità di reagire.
Una proposta forse utile: perché non si cerca di organizzare in tutte le situazioni in cui si può fare l'aggregazione dei lavoratori italiani e stranieri contro le economie sommerse e per la regolarità chiedendo a magistrati, avvocati, operatori di polizia democratici di tutelare i lavoratori di queste realtà (anche col permesso speciale agli irregolari vittime)?
E perché non pubblicare sempre più inchieste sui padroni e padroncini padani che schiavizzano gli immigrati o speculano sugli affitti?



Muro anti-rom, se lo fa la sinistra diventa chic

il Giornale, 08-06-2010
Guido Mattioni
A Sesto San Giovanni il sindaco del Pd ha optato per un intervento tradizionalmente di destra e, per questo motivo, sempre criticato. Ma ora che la barriera è alzata da un'amministrazione rossa, l'opera diventa subito politically correct
Anche in un utopistico, irrealizzabile, e forse nemmeno tanto auspicabile mondo di uguali (sai la noia mortale!), ci sarebbe sempre qualcuno più uguale degli altri. Di  certo, in una ben più terrena democrazia come quella italiana, esiste comunque chi viene puntualmente considerato più democratico dei suoi simili. Basta che si collochi a sinistra e gli sarà consentito tutto. Anche una politica di destra. Di più. Perfino scelte forcaiole. Quelle che se decise e attuate da altri, della sponda politica avversa, verrebbero coperte da vituperio e da una corale, indignata riprovazione. È successo. Succede. Succederà ancora.
Succede per esempio a Sesto San Giovanni, antico baluardo rosso di quella che fu la cintura industriale milanese. Succede che proprio lì, nell'ex Stalingrado d'Italia, a due passi dalla stazione ferroviaria, ieri mattina alle 8.30 sia stato dato il via alla costruzione di un muro. Un muro anti-rom voluto dall'amministrazione comunale di sinistra guidata da Giorgio Oldrini. Più che di un muro si tratta di una barriera di cemento armato e rete grigliata, lunga 400 metri e alta tre. Qualcosa che nelle intenzioni dovrebbe tenere lontani gli zingari dai portafogli e dalle altre proprietà dei sestesi. Succede inoltre che all'alba, due ore prima dell'avvio ai lavori, i nomadi siano stati fatti sloggiare da quell'accampamento abusivo additato da anni dai cittadini di ogni colore politico come una minaccia alla propria sicurezza.
Sicurezza, appunto. La parola è questa. Perché è proprio ai fondi voluti e destinati dal governo Berlusconi per riportare in condizione di legalità le aree degradate del Paese, che ha legittimamente attinto anche l'amministrazione di sinistra di Sesto San Giovanni. Dove sono presenti in giunta, udite udite, anche i compagni di Rifondazione comunista. Insomma, quella politica di «tolleranza zero» contro l'illegalità, che tanto scandalo solleva a sinistra quando a proporla è per esempio il vice sindaco milanese del centrodestra, Riccardo De Corato, passa invece inosservata se ad attuarla è un'amministrazione di compagni. Loro democratici. Lui (De Corato) qualcosa di innominabile, collocabile più o meno alla destra di Hitler.
Era peraltro già successo, avevamo ricordato poc'anzi. Era successo una prima volta a Padova, dove il 9 agosto 2006   l'amministrazione   di centrosinistra guidata dal sindaco Ds (oggi Pd), Flavio Zanonato, aveva fatto innalzare una recinzione metallica di 80 metri per tre in via Anelli, nella prima periferia cittadina. Tale era stato l'impatto visivo e psicologico, che lo avevano chiamato «muro». Lo scopo, peraltro assolutamente meritorio, era stato quello di tutelare gli abitanti dell' adiacente via De Besi (nonché la loro sicurezza e le rispettive proprietà) dalla minacciosa e pericolosa colonia di spacciatori di droga maghrebini che avevano trasformato da anni quell'angolo della città veneta - proprio la città del Santo! - in una terra di nessuno. O meglio, in una terra che era diventata esclusivamente loro. Una repubblica indipendente   dove   l'unica legge  era  ormai soltanto   quella del commercio del veleno bianco. Con i  suoi  immancabili corollari: violenza e intimidazione. Rovistando nella memoria e nei vecchi taccuini da cronista, ritorna poi a galla un altro episodio analogo. L'area è ancora il Veneto, l'anno è sempre il 2006 e perfino l'amministrazione comunale in questione è puntualmente di centrosinistra. Amministrazione dal polso fermo, incline alla tolleranza zero. Era quella guidata dal sindaco Luigi Dalla Via, della Margherita, al governo della cittadina di Schio in compagnia di Ds, Verdi e di una lista civica. L'unica differenza era che rispetto ai reticolati - o «muri» che dir si voglia, innalzati cioè verso il cielo - a Schio si era scavato. Un fossato lungo 200 metri, profondo uno e largo 70 centimetri per impedire che in quell'area di zona industriale tornassero a installarsi indisturbate le roulottes degli zingari.
La notizia è che il sindaco Dalla Via è stato rieletto dai suoi cittadini nel giugno 2009, pur in un Veneto abbondantemente tinto di verde Lega. Perché se è la giunta di sinistra che traccia il solco, è l'elettore (anche lui di sinistra) che poi lo difende.



«Basta pregiudizi, i rom rappresentano la libertà»
Fanny Ardant, testimonial alla campagna del Consiglio d'Europa

il Messaggero, 08-06-2010
Marco Berti
ROMA - "Dosta" in lingua rom significa "basta". Basta con le discriminazioni, con i pregiudizi, con i ghetti. E' questo lo spirito della campagna internazionale di sensibilizzazione, lanciata dal Consiglio d'Europa, per combattere gli stereotipi nei confronti dei rom e dei sinti. Una campagna che in Italia è coordinata e finanziata con 200 mila euro dall'Ufficio Nazionale Antidiscriminazionì Razziali (Unar) del ministero delle Pari opportunità. «"Dosta" serve a vincere i pregiudizi attraverso una lettura obiettiva della realtà che ci circonda», ha spiegato Simonetta Matone, capo di ga-binetto del ministero, in rappresentanza di Mara Carfagna, presentando ieri mattina l'iniziativa. «Dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare», ha affermato Maud de Boer-Buquicchio, vice segretario generale del Consiglio d'Europa.
Con loro c'era anche Fanny Ardant, testimonial della campagna. L'attrice francese ha scelto di mettere in gioco il suo volto, la sua intelligenza e il suo fascino per sostenere un'iniziativa di non certo facile cammino. Tra gli eventi e i meeting a cui il governo darà vita, c'è anche un suo film di sei minuti "Chimere assenti", girato a Roma: parla di una bambina rom a cui un preside rifiuta la mensa perché non può pagare la retta. Un tema più che mai attuale.
Signora Ardant, per troppe persone gli zìngari sono tutti cattivi
«Quello che si rimprovera alla comunità tzigana si può rimproverare a tutti. E' solo ipocrisia. Si dice che rubano perché sono poveri, che truffano, che sono sporchi. Ma anche i ricchi rubano, anche i ricchi sono sporchi. Ho anche scoperto che mai una donna tzigana si prostituisce».
Ma non c'è nessuno che li difenda
«No, non hanno bisogno di esse¬re difesi. C'è qualcosa di limi¬tante, di dispregiativo nel voler difendere una vittima. Loro so¬no un vero popolo, un popolo forte, loro esistono. Le difficol¬tà nascono dall'integrazione nel¬le nostre democrazie occidenta¬li, noi siamo duri, crudeli, ap¬piattiti. Loro sono la fantasia, la libertà. 1 loro diritti non vanno difesi, vanno invocati. Loro so¬no una delle ultime isole di libertà nel mondo, noi invece li abbiamo messi in un ghetto».
Non pensa che sia troppo difficile cambiare pregiudizi ormai troppo radicati nelle persone?
«Io penso che il razzismo venga dalla non conoscenza. Più si divide con gli altri il pane, il vino, le umiliazioni, la gioia, le risate e più le differenze spariscono. Gli tzigani spaventano solo i perbenisti, i conformisti, i paurosi. La paura di costoro affonda nel   medioevo, è come la paura del lu-
po, chi non ha avuto   paura di queste comunità   sì   è aperto al mondo. Ma tutto questo  è  un problema che non riguarda solo i rom tocca tutte le minoranze». Cosa può offrire al mondo la cultura rom " I romsi muovono, sono come il vento. Prendo come esempio   il mio Paese, la Francia. Noi siamo sedentari, siamo il popolo che ha viaggiato  di meno. La venuta degli zingari avrebbe potuto rappresentare un'opportunità per aprirsi sul mondo, per scoprire nuove usanze, come lavorare il legno e il ferro, la cucina, un nuovo tipo di musica, una nuova poesia. Non esiste sviluppo se non ci si apre sul mondo».



Il mio corto dice basta
Fanny Ardant è testimonial per «Dosta!», il progetto del Consiglio d'Europa contro la discriminazione

il manifesto, 08-06-2010
Cristina Piccino
ROMA-C' è chi mi ha anche chiesto: lei non ha altro da fare? Si, ma sono fiera di essere qui a sostenere questa iniziativa». Fanny Ardant appare meravigliosa nella hall dell'elegante albergo romano. Icona del cinema mondiale, la grande protagonista di moltissimi film del suo compagno Francois Truffaut, l'attrice francese è in Italia come testimonial della campagna in favore deirom «Dosta!», sostenuta dal Consiglio d'Europa. «Dosta!» in lingua rom vuol dire «Basta!» e questo è il senso del progetto: basta con gli stereotipi, basta con l'emarginazione, basta con le campagne mediatiche che esasperano il razzismo contro i rom. Che li descrivono come criminali, truffatori, sporchi, ignoranti, senza scrupoli, pericolosi ...«Sa cosa penso? I gitani sono una delle ultime isole di libertà nell'Europa che vuole etichettare uomini e cose. È per questo che fanno tanta paura». Fanny Ardant per «Dosta!» ha realizzato un cortometraggio da regista, Chimeres abstentes, di cui è anche interprete insieme a attori italiani e rom
L'urgenza è reale: solo pochi mesi fa il commissiario europeo per i diritti umani Thomas Hammarberg aveva lanciato un grido d'allarme sulle espulsioni dei tinnì dall'Europa. In particolare verso il Kosovo dove la situazione è già esplosiva con migliaia di sfollati e una discriminazione verso i rom molto pesante. Ma i governi europei non sembrano volerlo ascoltare continuando invece a moltìplicare le espulsioni,. Come è entrata nel progetto «Dosta!»?
Sono stati gli organizzatori a contattarmi, avevano pensato di coinvolgere diversi artisti per dare alla campagna un impatto mediatico maggio-
re. Tra loro c'ero anche io. Il progetto prevedeva la realizzazione di un cortometraggio di sei minuti. Ho accettato subito perché trovo che il modo in cui oggi vengono emarginati i gitani in Europa è davvero insopportabile. Io invece credo in loro, ho molto rispetto ... Ho girato in Italia, non è una mia decisione, era previsto dal progetto. Tra le altre indicazioni si diceva che dovevamo ambientare la storia in un piccolo centro, avevo pensato a alcune cittadine della Francia, poi arrivata in Italia mi hanno mostrato un posto vicino a Roma, Formello, che era perfetto. Abbiamo montato un campo nomadi, e girato in quattro giorni. Ho voluto attori italiani e gitani. La storia l'ho scritta io, si svolge in Italia ma potrebbe accadere in Francia, in Spagna, ovunque. Qualche settimana fa infatti è successa una cosa simile a quanto si narra nel mio film in Francia: la direttrice di una scuola ha convocato una donna rom dicendole che se non pagava la tassa scolastica suo figlio non poteva accedere alla mensa. E mentre gli altri mangiavano il bambino rimaneva da solo in cortile, Nei secoli i pregiudizi verso i rom si sono stratificati e continuano a essere diffusi dai giornali, da una certa classe politica di destra nell'indifferenza generale. Se ci ripenso storie del genere mi è capitato di sentirle anche anni fa, e non riguardano solo i rom.
CI racconti II suo film.
È la storia di una insegnante di musica (la stessa Ardant, ndr) che sta vivendo un momento di forte insofferenza rispetto alle istituzioni, alla situazione politica in cui si trova... Così esplode quando uno dei suoi allievi, un ragazzino gitano, viene cacciato da scuola. A quel punto la donna decide di abbandonare tutto anche lei. Continuerà a insegnare ma in strada, viaggiando insieme ai gitani. L'Europa di oggi si basa sull'ordine, si vuole catalogare ogni cosa, sistemare tutto quanto in dei tasselli burocratici. I gitani come dicevo sfuggono a questo,hanno altri sistemi con cui organizzare la propria vita, e la cosa appare intollerabile agli occhi della comunità europea.    ;
In Italia II razzismo nel confronti de! rom continua a esasperarsi. Sono uno degli argomenti più utilizzati dalla destra che li strumentalizza per lanciare le sue campagne di sicurezza pubblica - del tutto demagogiche peraltro. In Francia come è la situazione?
Le leggi sono molto dure anche da noi e negli ultimi tempi le posizioni governative si sono inasprite. In più in Francia i gitani continuano a esse¬re nomadi, quindi arrivano nei posti, si fermano in po' e poi ripartono. Il che permette di attaccarli, li vedono come un elemento di disturbo. Ma se qualcuno viene accolto offrendogli di vivere sul bordo dell'autostrada o vicino a una discarica come pensate che reagirà? La strumentalizzazione di cui sono oggetto i rom impedisce di considerare la realtà. Ho visto i campi dove vivono a Roma, le donne devono fare chilometri per prendere l'acqua come se fossimo nel medioevo. I servizi sono disagiati, tutto è sporco, poco curato, spesso sono isolati, intorno non c'è nulla. Come è possibile pensare che in condizioni simili la convivenza possa funzionare? La logica che si avverte dietro a quei campi va nella direzione opposta, ci parla di esclusione, di chiudere la gente in un ghetto. Diceva che in Francia la condizione dei rom sta peggiorando... In che senso?
Non si tratta solo di loro, è una cosa che riguarda tutti gli immigrati. Abbiamo una legge che punisce l'omissione di soccorso. E poi cosa si fa? Si vieta di aiutare i sans papiers, chi è in difficoltà ma non ha documenti. Sarà questo, ne sono convinta, il vero terreno di confronto del secolo futuro.



Da Cucchi ai campi rom passano trenta mozioni

E Polis roma, 08-06-2010
Giornata di mozioni in consiglio comunale. Dove, ieri, sono stati discussi oltre trenta documenti di indirizzo per la giunta e il sindaco, quasi tutte approvate all'unanimità.
Dalla richiesta di impegno a sostenere la partecipazione dei giovani alla vita cittadina (avanzata dal capogruppo de La Destra Dario Rossin), all'impegno a favorire una mediazione fra Empam e inquilini sul rinnovo dei contratti di locazione (mozione presentata dal consigliere comunale del Pdl Federico Guidi). Dalla richiesta di finanziamenti per la realizzazione del Parco di Centocelle (Gemma Azuni, Sel), al rispetto delle norme che regolano l'acquisto collettivo di immobili nell'alienazione degli alloggi di edilizia pubblica (Massimiliano Valeriani, Pd). Ancora, dalla richiesta di prolungamento del programma assistenziale del centro accoglienza del Forlanini destinato a profughi e rifugiati (Paolo Masini, Pd), allo sgombero del campo nomadi della Muratella e alla bonifica del territorio (Augusto Santori, Pdl). Infine, sono state approvate anche una mozione che impegna la giunta a mettere in campo iniziative di sensibilizzazione contro l'omofobia (Paolo Masini, Pd), e la richiesta di costituzione di parte civile nel processo sulla vicenda di Stefano Cucchi, provvedimento, questo, bipartisan



La tela da ritessere

Avvenire, 08-06-2010
Mimmo Muolo
I viaggi di Benedetto XVI, al di là del loro grande valore pastorale, si stanno rivelando un utile strumento per approfondire la conoscenza del pensiero e della personalità del Pontefice. E accaduto anche nella tre-giorni di Cipro, una visita che aveva all'inizio diversi fuochi d'interesse (pace in Medio Oriente e presenza dei cristiani, rapporto con gli ortodossi, dialogo con i musulmani i tre sicuramente preminenti), e che proprio nei giorni della vigilia si era colorata di tinte inopinatamente fosche a causa dell'attacco israeliano alle navi degli attivisti filo-palestinesi e dell'omicidio di monsignor Luigi Padovese. Invece, una volta di più, Papa Ratzinger ha dimostrato di avere, di fronte alle acque agitate della cronaca, la fermezza propria di chi è stato chiamato a governare con saggezza la barca di Pietro. Non solo ha raccomandato di seguire la rotta della pace, della riconciliazione e del dialogo in tutti gli incontri della fitta agenda del viaggio. Ma ha anche fornito la bussola sicura per far sì che da quella rotta non ci si allontani anche quando il barometro dei rapporti tra i popoli e le religioni - e, putroppo, continua ad accadere - si mette a tempesta. «Bisogna avere il coraggio e la pazienza di ricominciare sempre di nuovo», ha detto ai giornalisti nella consueta conferenza stampa tenuta sull'aereo durante il volo di andata. Più che una semplice esortazione, una regola d'oro che offre la cifra interpretativa non solo del viaggio, ma anche di tutte le bufere che questo pontificato ha attraversato in poco più di cinque anni. In sostanza, quasi capovolgendo la famosa immagine della tela di Penelope, Benedetto XVI invita a ritessere alla luce della retta ragione quello che altri distruggono e disfano nelle ombre di inumane passioni. Lo dice naturalmente in primis ai cristiani, ma con loro anche a tutti gli uomini di buona volontà, a partire da quelli che operano negli organismi politici nazionali e internazionali. Mai pensare che di fronte alla violenza, anche la più ingiusta ed efferata, nulla ci sia da fare. Al contrario, le vie della pace, proprio come quelle di Dio, sono infinite. Un messaggio, questo, che da Cipro risuona innanzitutto sulle vicine sponde del Medio Oriente martoriato. Ma che si può applicare anche ai rapporti cattolico-ortodossi, alla ricerca della difficile soluzione della questione cipriota, al dialogo non sempre agevole con l'islam. Pazienza e coraggio, dunque, per ricominciare a trattare, per fermare il bagno di sangue, per promuovere la pacifica convivenza tra cristiani, ebrei e musulmani. Pazienza e coraggio per non arrendersi di fronte alle «gelate» (che pure ci sono state e non molto tempo orsono) del cosiddetto «inverno ecumenico». Pazienza e coraggio, infine, per ricordare a tutti    (musulmani) che i diritti umani hanno valore universale. E che, tra di essi, la libertà di religione e di coscienza non sono certamente degli optional. Per Benedetto XVI queste non sono solo parole. Egli per primo ha mostrato di crederci a tal punto da applicarle anche quando per fraintendimenti causati in gran parte dai media (discorso di Regensburg e conseguente crisi con gli islamici, remissione della scomunica ai le febvriani e problemi con gli ebrei) o per colpe altrui (questione dei preti pedofili) ha dovuto ritessere da capo rapporti e ricentrare attenzioni. Le stesse parole pronunciate sull'omicidio di monsignor Padovese si iscrivono in questo contesto. Cioè nella profonda convinzione di un uomo del Vangelo che ha in Cristo la vera pace e non si stanca di annunciarla al mondo, vivendola ogni giorno. Anche quando le vicende della vita costringono a ricominciare da capo. Con coraggio e pazienza.



120 immigrati di Rosarno trovano lavoro a Roma

il Riformista, 08-06-2010
Roberto di  Giovan Paolo
C' era chi pensava che la questione degli immigrati di Rosarno fosse semplicemente un problema d'ordine pubblico. Non era così. Ci sono voluti più di quattro mesi, ma una soluzione per i 120 stranieri arrivati a Roma dalla cittadina calabrese è stata trovata. Cinque associazioni imprenditoriali, Provincia di Roma e un gruppo di parlamentari del Pd, tra cui il sottoscritto, hanno raggiunto un accordo per dare un lavoro a quei 120. Tra l'altro, molti di loro potrebbero trovare un'occupazione nel quadro del decreto flussi sugli 80mila stagionali, visto che la maggior parte può contare su un curriculum professionale di buon livello, "certificato" anche da ong che da anni lavorano in questo settore. Professionalità utilissime per quest'Italia che premia sempre meno il merito.
Dunque, il fattore umanitario innanzitutto. Quando società civile e politica dialogano è possibile creare posti di lavoro, anche per quegli immigrati che non sono riusciti a entrare attraverso le strette maglie della legge, che ora addirittura prevede il reato di clandestinità. E poi, fattore fondamentale, la quasi totalità di quei casi di Rosarno rientra nelle ipotesi di protezione internazionale, ovvero o ha diritto allo status di rifugiato o alla protezione sussidiaria.
Lo status di rifugiato viene riconosciuto al cittadino straniero il quale, per timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale od opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese. La protezione sussidiaria, invece, viene riconosciuta al cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno quale: la condanna a morte o all'esecuzione della pena di morte, la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante, la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.
Faccio notare che chi era a Rosarno è arrivato in Italia con le cosiddette carrette del mare, e rimandarlo verso Malta e Libia, come vorrebbero la maggioranza in Parlamento, era impossibile. Infatti, a Malta i richiedenti asilo so-no detenuti in condizioni ben al di sotto delle norme riconosciute a livello internazionale. La Libia, poi, non ha mai firmato nemmeno la Convenzione dei diritti dell'uomo e l'Unchr nemmeno è riuscita a entrare nei centri d'identificazione sparsi nel deserto. Checché ne pensi il governo, chi viene respinto a oggi ha poche garanzie ed è ancora difficile riuscire a verificare l'efficacia e la bontà degli accordi bilaterali.
Chiudere le porte a tutti in modo indiscriminato vuol dire rifiutarsi di vedere che esistono singole storie fatte di sofferenza, dolore, voglia di libertà. Dobbiamo avere la capacità di analizzare i singoli casi. La vicenda di Rosarno questo era e così doveva essere trattata. E per ampliare l'orizzonte, vorrei rimarcare che l'Europa non può essere concepita come una fortezza, e che gli immigrati non possono essere considerati solo per la loro forza lavoro, o per l'apporto che danno con i loro contributi alle casse Inps. La loro cultura, il loro vissuto arricchisce anche noi.



Due immigrati su cinque svolgono attività regolari in Italia

stranieriinitalia, 08-06-2010
Roma, Due immigrati maggiorenni su cinque, al 1° gennaio 2009, svolgono regolare attivita' professionale in Italia, autonoma o in qualita' di lavoratore dipendente a tempo indeterminato.
E' quanto emerge dalla ricerca 'Indici di integrazione. Un'indagine empirica sulla realta' migratoria italiana' della fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicita').
Uno straniero ogni cinque lavora poi come dipendente a tempo determinato oppure in modo parasubordinato, mentre quote nel loro complesso di poco superiori a un terzo del totale riguardano, in ordine d'importanza quantitativa, rispettivamente disoccupati o al piu' irregolari sporadici (16%), casalinghe, studenti o comunque persone in condizioni non professionali (11%), lavoratori irregolari, dipendenti o autonomi (10%). Al livello superiore d'inserimento professionale, meno del 3% degli immigrati maggiorenni sul territorio nazionale si collocano in condizioni lavorative imprenditoriali con propri dipendenti oppure in qualita' di dipendenti altamente qualificati.
Al 1° agosto 2009, sempre secondo l'Ismu, piu' di due lavoratori con contratto regolare ogni cinque lavorano nel settore dei servizi, in particolare,quasi tre su cinque tra le donne e uno su quattro tra gli uomini. Mentre in seconda battuta un uomo su quattro e una donna su cinque sono impegnati nel commercio e negli esercizi pubblici.
Decisamente connotata al maschile e' poi la professione edile, che impegna un uomo su cinque tra quelli con regolare contratto; mentre sono le donne a mostrare quote superiori d'inserimento nel lavoro turistico-alberghiero (nell'11% dei casi a fronte dell'8% maschile) e gli uomini ad avere le maggiori incidenze nel lavoro agricolo (nel 6% delle occasioni a fronte del 2% femminile). Di conseguenza, queste differenze di genere si riflettono nel tipo di attivita' svolta dai lavoratori regolari. Le donne sono soprattutto badanti o domestiche, oppure addette alla ristorazione o negli alberghi. Gli uomini, invece, sono principalmente impiegati nell'edilizia.
In generale, circa un immigrato su due guadagna 1.000 euro medi mensili netti sia tra gli uomini che tra le donne, per l'esattezza tra gli 800 e i 1.200. Il 6% degli uomini guadagna mensilmente piu' di 1.550 euro, a fronte del 2% delle donne. Comunque il 19% dei lavoratori maschi ha retribuzioni mensili tra i 1.200 e i 1.500 euro, contro solamente meno dell'8% delle lavoratrici con la medesima capacita' di reddito. Di contro, il 23% degli uomini guadagna meno di 800 euro al mese, a fronte di un valore d'incidenza quasi doppio tra le donne, dunque addirittura superiore al 40%.



La crisi spaventa gli immigrati
«Più che del razzista Wilders abbiamo paura della disoccupazione»

il Sole, 08-06-2010
Eliana Di Caro

AMSTERDAM -Lo sguardo obliquo di quella ragazza, teso e insofferente, non ti lascia andare avanti. Sotto, una scritta gialla canarino: «Per quanto tempo devo ancora rimanere a casa?». Firmato Nejet, 27 anni, disoccupata. È l'efficace cartellone pubblicitario di un sindacato, gli occhi neri sono di una giovane turca. Ma ciò che è più interessante è che siamo in Olanda, preoccupata come non mai dalla crisi economica. Di più: siamo a Slotervaart, uno dei quartieri della periferia di Amsterdam a più alta densità di immi-grati. Quello, per capirci, dove è nato e cresciuto Mohammed Bouyeri, il marocchino che il 2 novembre 2004 fece ammutolire il paese. Aveva assassinato Theo van Gogh, il regista che denunciava gli abusi subiti dalle donne musulmane as¬sieme alla deputata di origini somale Ayaan Hirsi Aly, fuggita negli Stati Uniti dopo le minacce di morte.
Il cocktail è micidiale quanto inevitabile: in Olanda il benessere di un tempo sta svanendo - la Grecia e lì a ricordare che non va sottovalutato alcun segnale, anche il più debole - e gli immigrati sono diventati improvvisamente ingombranti. Costosi, agli occhi di un certo elettorato. Ne viene fuori una lacerazione che nelle strade di Slotervaart si sente. In questa porzione di città che potrebbe essere ovunque tanto è anonima, se non fosse per qualche bandierina arancione in vista dell'inizio del mondiale e sprazzi di verde a interrompere il cemento, nessuno vuol
parlare. Appena si pronuncia la parola "election" si chiude la porta, a volte non si riesce neanche a pronunciarla. È sufficiente che la gente capisca di avere a che fare con un giornalista per diventare sospettosa, se non ostile: i media sono visti come il fumo negli occhi. Colpevoli di dipingere gli immigrati quali delinquenti o comunque vagabondi destinati a essere un pericolo.
Finalmente nella Sierplein, la piazza che è il punto di aggregazione del quartiere, con l'immancabile centro commerciale e una brasserie quasi accogliente, una coppia di pakistani si lascia andare.
Lui, Wasim, ha 28 anni, lavo¬ra nella Security dell'aeroporto di Amsterdam; lei, Aiysha, il velo che lascia scoperto solo il viso truccato con cura, ne ha 27 ed è casalinga. «Non andremo a votare perché il nostro voto è inutile», dice con aria polemica e al tempo stesso sconsolata Wasim. «Qui la gente è contro i musulmani, li considera un peso. Noi cercheremo di andare in Inghilterra, un posto più aperto», continua quest'omo-ne con le spalle larghe e una voce baritonale. Di Geert Wilders, il leader del Pvv che fa della guerra all'immigrato la sua bandiera elettorale, pensano ovviamente il peggio: "Sta creando un sacco di problemi alla nostra comunità con le sue uscite razziste, ma dubito che riuscirà ad affermarsi: è uno che parla molto e fa poco", commenta Aiysha, cupa.
Se davvero Wilders, al quarto posto nei sondaggi con 18 seggi, dovesse entrare in una coalizione guidata dai liberali del Vvd (in testa con 36 seggi), sarà interessante capire come, sulla base di quale program¬ma. Mark Rutte, il leader del Vvd e dunque possibile premier, non ha infatti escluso l'alleanza con il partito xenofobo. Che vuole imporre una tassa sul velo, bloccare definitivamente l'arrivo di stranieri dai paesi musulmani, bandire il Corano, vietare la costruzione di nuove moschee, chiudere le scuole islamiche e assumere altri 10mila poliziotti che restituiscano all'Olanda la sicurezza perduta.
«Non lo odio solo perché la mia religione non me lo consente», dice sprezzante Fe-rhan, turca, 31 anni. «È un poveraccio, io credo che vincerà la democrazia di questo paese». Anche lei con il capo coperto, vive qui da 17 anni, ci sta bene anche se il quartiere «non è caldo, ma in compenso è sicuro, e questa è la mia priorità». Ferhan non sa se domani sceglierà i laburisti del Pvda o i verdi: «Entrambi mostrano una maggiore sensibilità per i più deboli, quindi anche per gli immigrati».
Alle sei Slotervaart si svuota, i negozi chiudono, il grigio del cielo è tutt'uno con quello dei palazzi. Dall'autobus 18 che va verso il centro si vede qualche manifesto di Job Cohen, ex sindaco della capitale e ora leader del Pvda, con lo slogan "Ognuno conta". Due parole che sono state il perno della sua amministrazione ad Amsterdam e che gli hanno dato grande popolarità, non solo in quartieri come Slotervaart.
Nelle università i musulmani di seconda generazione lo votano sulla scorta dell'esempio dei genitori, ma con consapevolezza. Perché sono informati, seguono i dibattiti e hanno elaborato una loro opinione. Soumaja, 25 anni, studentessa di Medicina alla Uva University, un luminoso velo azzurro sul viso fresco, non ha dubbi: «Anche solo per contrastare il Vvd, così orientato al business e incurante dei temi sociali, io sono con Cohen».
«Non ha molta esperienza né carisma, lo si è visto nei duelli televisivi - osserva Zineb, 20 anni, iscritta a Scienze politiche - ma è aperto, intelligente ed equilibrato». Nessuna di loro dà troppa importanza a Wilders e alle sue ambizioni, non lo ritengono capace di arrivare a un accordo di coalizione: «Dovrebbe fare passi indietro e sconfessare molte delle sue dichiarazioni. L'Olanda è un paese democratico».


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