Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

22 ottobre 2012

Reato d’immigrazione Firma per cancellarlo
l'Unità, 22-10-2012
Marco Pacciotti  Coordinatore Forum Immigrazione Pd
LA CRONACA LOCALE DEI QUOTIDIANI CI RACCONTA SPESSO DI EPISODI PARTICOLARI. Il più delle volte si tratta di storie di violenza o drammatiche, raramente quelle a lieto fine. Ci sono poi le storie quasi a lieto fine che ti lasciano l’amaro in bocca perché manca il classico e fiabesco «...e tutti vissero felici e contenti». È questa la sensazione che ho avuto leggendo un articolo in cui si raccontava la storia di una famiglia romana tratta in salvo da alcune persone, forse marocchine. Le hanno letteralmente strappate dalle acque dove erano finiti con la macchina. Compiuto l’eroico gesto, contrariamente a qualsiasi epilogo letterario buonista, i tre migranti marocchini si sono dileguati, senza lasciare i loro nomi. Diventando così tre eroi invisibili. Come mai?
La risposta la danno i carabinieri, intervenuti in un secondo momento, sostenendo che quelle persone straniere fossero probabilmente dei «clandestini». Uno status che li accomuna alle migliaia di lavoratori stagionali impiegati in nero nei campi. Il «clandestino» è colui che non possiede o ha perduto (suo malgrado o anche temporaneamente) il proprio permesso di soggiorno. Una condizione personale che in Italia è considerata reato e come tale perseguibile. Si punisce così la persona non per un comportamento contrario alle norme ma per una condizione personale di difetto. Non quindi per quello che fa, ma per come si è. Una aberrazione giuridica introdotta dal passato governo. Una norma in palese contraddizione con la nostra Costituzione che all’articolo 3 dice: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Per queste ragioni riteniamo che l’articolo 10 bis della legge 94 del 2009, sia da abrogare. In esso si considera la condizione personale del migrante irregolare come elemento di diseguaglianza davanti alla legge, ponendo di conseguenza evidenti ostacoli a impedimento del pieno sviluppo della persona e della sua libertà.
Questo spinge tante persone a vivere nascoste e nella paura. Rendendosi invisibili e ricattabili, oggetti di tratte criminali anziché soggetti portatori di diritto. Per questo, come Forum immigrazione del Pd e insieme ai Forum giustizia e sicurezza, abbiamo lanciato nei giorni scorsi una petizione popolare che, oltre a chiedere l’introduzione del reato di tortura e l’abolizione della legge ex Cirielli, chiede l’abolizione del reato di immigrazione clandestina. Riprendendo una proposta di legge presentata nel 2011 con primi firmatari i nostri deputati Touadì e Melis.
Una battaglia di civiltà da affrontare con decisione, che permetta a queste donne e uomini invisibili di non essere più tali, di affrancarsi dalla paura quotidiana di essere perseguibili per un «reato» assurdo, che per paradosso concorre nei fatti a determinare alla loro condizione di marginalità e vulnerabilità. Raggiungere l’obiettivo sarebbe importante. Se così fosse, sarebbe più facile per tanti lavoratori far valere i loro diritti sociali. Se così fosse, sarebbe più facile contrastare con efficacia la tratta di donne ridotte in schiavitù sulle nostre strade. Se così fosse, quella madre potrebbe oggi ringraziare chi ha salvato la vita a lei e ai suoi cari. Questa bella storia di coraggio e di civismo ci lascia invece con l’amaro in bocca. È triste e incredibile accettare l’idea che nel nostro Paese una persona possa essere considerata un delinquente in modo preconcetto e per questo vivere nella paura. Quella stessa paura che ha spinto questi eroi per caso a tornare invisibili. Credo che dovremmo ringraziarli per il loro coraggio e scusarci per non celebrarli come meriterebbero.



Firenze / Campagna per i diritti di cittadinanza degli immigrati
Agora magazine, 22-10-2102
FIRENZE - È iniziata questo pomeriggio l’affissione all’ex Meccanotessile delle fotografie realizzate nei mesi scorsi in città nell’ambito del progetto ‘Inside Out /L’Italia sono anch’io’ dell’artista JR. Le immagini, che raccontano l’impegno dei fiorentini che ‘mettono la propria faccia’ a favore della campagna per i diritti di cittadinanza degli immigrati, creeranno una grande installazione, un ritratto corale di volti che copriranno un’ampia superficie della struttura di Rifredi, in largo Alderotti.
Il progetto ‘Inside Out’ è firmato da JR, poliedrico e pluripremiato (Ted Prizer 2011) artista di strada, francese di origini maghrebine, che ha accettato di lavorare a sostegno della campagna ‘L’Italia sono anch’io’ a fianco dei cittadini e dei sindaci di dieci città italiane tra cui, appunto, Firenze. 1500 italiani hanno ‘messo la faccia’ per affermare i diritti di cittadinanza per un paese migliore. I loro ritratti, scattati nei mesi scorsi da fotografi-volontari e rielaborati da JR in grandi poster in bianco e nero, grideranno dai muri e dalle strade di otto città italiane ‘L’Italia sono anch’io!’. L’ex Meccanotesile nella nostra città insieme ai Musei civici a Reggio Emilia, l’Arena civica a Milano, la Mediateca del Mediterraneo a Cagliari, via Libertà a Palermo, piazza della Borsa a Trieste, il Muro degli Stalloni a Crema e i Giardini pubblici a Sassari saranno invasi da centinaia di poster trasformandosi in grandi opere di arte pubblica a cielo aperto.
A Firenze il progetto è stato realizzato dai giovani di Ripplemarks (www.ripplemarks.net), laboratorio di giornalismo partecipativo promosso da Istituto degli Innocenti e Agenzia LAMA. Oltre 200 mila firme sono state raccolte nei mesi scorsi dal comitato nazionale ‘L’Italia sono anch’io’ perché due proposte di legge popolare siano discusse dal Parlamento. La prima legge vuole dare il diritto a chi nasce in Italia di essere italiano sin dalla nascita, anche se ha genitori stranieri. La seconda legge vuole dare il diritto di voto alle elezioni amministrative agli stranieri regolari da oltre cinque anni.
«È un’ottima iniziativa – ha commentato l’assessora alle politiche giovanili Cristina Giachi – per sostenere una campagna che punta giustamente a cambiare la legislazione italiana, una tra le più arretrate in Europa per quanto riguarda la concessione della cittadinanza a chi nasce, studia e lavora nel nostro Paese. La nostra legislazione è arretrata anche rispetto alla Costituzione degli Stati Uniti, dove è stabilito chiaramente che tutti coloro che vi sono nati ne sono cittadini» «Questa battaglia è sacrosanta – ha aggiunto Cristina Giachi - e vi aderiamo con entusiasmo: cittadinanza significa prima di tutto partecipazione, possibilità di sentirsi veramente parte di una comunità nella quale si vive. Le nostre seconde generazioni di migranti sono il fenomeno più evidente e palese che sull’integrazione, in Italia, bisogna fare ancora molto. Sono italiani in tutto e per tutto, tranne che per la nostra legge. Studiano nelle stesse scuole, giocano negli stessi campi sportivi, guardano gli stessi programmi televisivi, leggono gli stessi libri e coltivano le stesse aspirazioni dei loro compagni, eppure per la nostra legge non sono uguali a loro, non sono italiani».
«Non si tratta solo di una questione di diritti da riconoscere – ha concluso l’assessora Giachi – c’è di più. Il nostro Paese può diventare un esempio da seguire per la costruzione di un modello sociale e di sviluppo solido se potranno partecipare da protagonisti i nuovi italiani».



«Stranieri trattati male negli uffici pubblici»
Il Messaggero, 22-102-2012  
GIORGIO NARDINOCCHI
«Troppi casi, va detto, questo razzismo striscíante va fermato». Sihem Zrelli, delegata provinciale per l'immigrazíone di Confcooperative, fa una accusa molto grave. Diversi immigrati si sono rivolti a lei per denunciare di essere stati trattati male negli uffici pubblici di Aprilia. «Alcuni immigrati - spiega la signora Zrelli - sono stati offesi perfino negli uffici della polizia municipale. Stiamo monitorando la situazione e non è escluso che faremo anche qualche denuncia di razzismo».
In pratica succederebbe questo. L'immigrato si rivolge all'ufficio per fare un documento di ospitalità, cioè dichiarare che sta ospitando un suo connazionale e di fronte magari a difficoltà burocratiche si sentirebbe dire: «Se non ti sta bene te ne puoi tornare a casa tua».
Sihem Zrelli è di nazionalità tunisina e ha sposato un italiano. È una donna molto impegnata nel sociale. Ha iniziato fondando l'associazione «Palma del Sud» attraverso la quale lotta contro le víolenze alle donne immigrate. In diversi casi è riuscita a sottrarre delle donne alla violenza e ai maltrattamenti dei coniugi maschi come ormai purtroppo avviene sempre più spesso e ovviamente no solo tra gli immigrati, Poi ha fondato la cooperativa sociale Mondo Aperto e dà una mano all'associazione Dialogo che utilizza i locali messi a disposizione dei Comune presso l'ex mattatoio. «Io voglio fare un appello al sindaco di Aprilia. Mi hanno già riportato cinque casi di maltrattamenti verbali. Noi amiamo questa città dove ci troviamo molto bene, siamo qui per lavorare e dare una mano anche noi all'Italia col nostro lavoro. Però non possiamo sopportare questo clima di arroganza verso di noi da parte di chi svolge una funzione pubblica. È vero molto spesso l'immigrato fa lavorare di più l'impiegato perché si esprime male, ma dall'altra parte dello sportello ci deve sempre essere buona educazione e competenza».



Gli italiani rifiutano i lavori manuali? Nessun problema, ci sono i rifugiati
Secondo uno studio della Confartigianato, nel nostro Paese ci sono circa 32 mila posti di lavoro per i quali le aziende non riescono a trovare dipendenti. La replica di PRIME Italia 1: "Sono migliaia i rifugiati qualificati, in cerca di un'occupazione e disponibili per questi mestieri"
la Repubblica.it, 20-10-2012
DANILO GIANNESE
ROMA - "Secondo la Confartigianato in Italia ci sono più di trentamila posti di lavoro per i quali le aziende non trovano candidati interessati? Diteci dove e siamo pronti a inviare ai datori di lavoro i curricula di centinaia di rifugiati qualificati, in cerca di un'occupazione e disponibili sin da subito". Guglielmo Micucci, presidente di PRIME Italia 2, un'associazione che aiuta i rifugiati che vivono nel nostro Paese a cercare lavoro, reagisce così a un recente studio della Confartigianato, che ha messo in evidenza come in Italia, nel secondo trimestre del 2012, si siano registrati 31.960 posti di lavoro "di difficile reperimento". Si tratta di professioni artigianali come quelle di meccanico, carpentiere, cuoco. O ancora, fabbro, cameriere e operaio di vario genere, solo per citarne alcune. Migliaia di posizioni rimaste scoperte a causa, fondamentalmente, della scarsità di offerta sul mercato del lavoro.
Un database pieno di curricula. Eppure, come ci mostra il presidente dell'associazione costituita esclusivamente da volontari, il database dello spazio impiego di PRIME Italia è pieno zeppo dei dossier personali di rifugiati che avrebbero tutte le carte in regola, in quanto a qualifiche e esperienze professionali passate, per ricoprire quei posti di lavoro che la Confartigianato ha definito di difficile reperimento.
Rifugiati in Italia. Si tratta di persone, nella maggior parte dei casi uomini, che sono state costrette a fuggire dal proprio Paese d'origine a causa di guerre, violenze e persecuzioni e che hanno chiesto e ottenuto una forma di protezione internazionale dal governo italiano, come previsto dalla Convenzione di Ginevra 3 del 1951 relativa allo status di rifugiato. Tra i nominativi contenuti nei computer di PRIME Italia, la maggior parte provengono da Afghanistan e Eritrea, ma non mancano ivoriani, etiopi e nigeriani. E per quanto riguarda i settori nei quali sono in cerca di un'occupazione figurano soprattutto quello alberghiero, della ristorazione, e varie figure di operai, come meccanici, carpentieri e falegnami.
I dati della Confartigianato. Entrando nei dettagli dello studio della Confartigianato, si può notare come, nel periodo considerato, ci siano state 1.192 assunzioni di difficile reperimento per meccanici, riparatori e manutentori di automobili, 951 per montatori di carpenteria metallica e 887 per cuochi in alberghi e ristoranti. E, ancora: 621 assunzioni di difficile reperimento per attrezzisti di macchine utensili, 568 relative a carpentieri e falegnami e 502 per addetti a macchine utensili industriali.
La proposta di PRIME Italia. "Se oltre trentamila posti di lavoro sono rimasti vuoti perché questi mestieri non sono considerati appetibili dai giovani italiani, allora vorremmo far notare che nel nostro Paese ci sono circa 50 mila rifugiati, molti dei quali qualificati e in cerca di occupazione, che sarebbero pronti a presentarsi sul posto di lavoro anche domani mattina", afferma Micucci, che lancia una proposta alla Confartigianato: " Chiediamo alla Confartigianato di poter accedere ai dati disaggregati così da contattare le aziende che hanno bisogno di lavoratori e iniziare con loro dei percorsi di inserimento lavorativo che possano anche servire a ricostruire una vita dignitosa per migliaia di rifugiati politici costretti a richiedere assistenza dallo Stato".
La storia di Henok*. Coinvolgere il mondo aziendale italiano nella causa dell'integrazione dei rifugiati nel tessuto sociale del nostro paese è uno dei principali obiettivi di PRIME Italia. Un esempio positivo, in questo senso, è rappresentato dalla storia di Henok, un rifugiato eritreo che è da poco stato assunto come garagista dall'AC Roma (Automobile Club Roma), nell'ambito di una collaborazione tra quest'ultima e l'associazione di volontariato. Henok, che ha 27 anni ed è arrivato in Italia nel 2006 per sfuggire alle persecuzioni di cui sarebbe stato vittima nel proprio Paese, lavorerà in un garage al centro di Roma, dove si occuperà di accogliere i clienti che lasciano l'auto all'entrata del parcheggio e di sistemare la macchina per gestire al meglio gli spazi limitati all'interno del garage.
Scuola guida e patente. Henok è stato uno dei primi studenti dei corsi di scuola guida che PRIME Italia, con il supporto di AC Roma e in collaborazione con il Centro Salesiano del Sacro Cuore e il Centro Astalli 4, organizza dal 2010 per aiutare i rifugiati a prendere la patente automobilistica, requisito indispensabile per poter sperare di essere assunti per moltissimi tipi di lavori. Lo scorso anno, sono stati 27 i rifugiati che hanno ottenuto il titolo di guida, mentre altri quindici, se riusciranno a superare l'esame teorico e pratico, raggiungeranno lo stesso risultato entro la fine dell'anno.
*Il nome del ragazzo rifugiato è di fantasia, per proteggerne il diritto alla privacy



Hanno chiuso il Cie di Lamezia Terme Dopo la denuncia di Repubblica.it
E' statol svuotato e sono stati messi i sigilli per decisione della Prefettura di Catanzaro, su disposizione del Viminale. Era gestito dalla cooperativa Malgrado Tutto 1, al centro di interrogazioni parlamentari, dopo la denuncia di violazioni del team di Medici per i diritti umani 2 che aveva trovato:  una gabbia in cui rinchiudere le persone che volevano farsi la barba 3, un disabile che faceva fisioterapia con una bottiglia d'acqua legata al piede e una cella di isolamento terapeutico chiusa da lucchetti e filo spinatodi la Repubblica, 19-10-2012
RAFFAELLA COSENTINO
ROMA - Svuotato e chiuso. E' quanto ha deciso il ministero dell'Interno per il centro di identificazione e di espulsione di Lamezia Terme (Cz), gestito dalla cooperativa Malgrado Tutto 4 e al centro di molte polemiche e interrogazioni parlamentari, dopo la denuncia di violazioni dei diritti umani dei migranti trattenuti. Il team di Medici per i diritti umani 5 (Medu) aveva infatti trovato nella struttura: una gabbia in cui rinchiudere le persone che volevano farsi la barba 6, un disabile che faceva fisioterapia con una bottiglia d'acqua legata al piede e una cella di isolamento terapeutico chiusa da lucchetti e filo spinato. La prefettura di Catanzaro conferma che sabato 20 ottobre il Cie sarà chiuso.
Al momento nessun nuovo bando. Per il momento non viene indetto un nuovo bando di gara e non è certo che la struttura rimanga un Cie. Ufficialmente la motivazione della chiusura è la mancanza di un ente gestore. Lo scorso 22 giugno è fallita la gara di appalto, alla quale aveva partecipato solo la cooperativa Malgrado Tutto, attuale gestore e anche proprietario della struttura. Il Cie è costruito su un suolo di proprietà del comune dato in comodato d'uso alla cooperativa per 99 anni, ma gli edifici sono di Malgrado Tutto. La cooperativa non si è aggiudicata l'appalto perché parte della documentazione presentata era irregolare per problemi con la concessione edilizia. Al di là del fatto che questa situazione venga sanata, il ministero per ora non ha deciso di indire una nuova gara per la gestione. Di fatto, da giugno a oggi il Cie ha funzionato senza appalto, con i relativi problemi di fondi.
I migranti non sono stati rilasciati. Alcuni sono stati rimpatriati. Fra loro, una persona disabile con una protesi ad un'anca per una grave infezione contratta prima di entrare nel Cie. L'uomo, fotografato dai Medu mentre faceva fisioterapia improvvisata con una bottiglia d'acqua, è stato rimpatriato in Marocco contro la sua volontà e nonostante le precarie condizioni di salute. Gli altri saranno internati in altri Cie, tra cui quello di  Sant'Anna di Isola Capo Rizzuto, nel crotonese, riaperto da poco tempo, al termine di una chiusura di due anni per i danni provocati dalle rivolte. L'Ong Medu esprime "soddisfazione per la chiusura del Cie di Lamezia Terme, visitato solo poche settimane fa e, come rilevato dal team Medu, del tutto inadeguato a garantire condizioni di vita dignitose alle persone trattenute". E auspica che la chiusura provvisoria diventi definitiva e che il Ministero dell'Interno accolga la proposta del sindaco di Lamezia Terme di riconvertire quello che è stato fino ad oggi un luogo di esclusione, in un luogo di solidarietà e integrazione per i migranti.
"Deve essere il primo passo". In una nota, Medu "auspica altresì che la chiusura del Cie di Lamezia Terme sia il primo passo verso il superamento di un sistema, quello della detenzione amministrativa, che si è dimostrato nel corso degli anni del tutto inefficace nel contrastare l'immigrazione irregolare ed incapace di tutelare la dignità e i diritti fondamentali dei migranti trattenuti, che in un paese civile e democratico dovrebbero sempre essere garantiti" . Le denunce dei Medici per i diritti umani, seguono quelle fatte nel 2010 da Medici senza frontiere 7 che già allora ne aveva chiesto, inascoltata, la chiusura al Viminale. Molte le voci di protesta che si erano levate dopo la diffusione della foto della 'gabbia per radersì inventata dall'ente gestore, tra cui quella del sindaco di Lamezia Terme, Gianni Speranza. Numerose le interrogazioni parlamentari presentate per chiedere spiegazioni e la chiusura al ministero dell'Interno, da quella di Felice Belisario, capogruppo Idv al Senato, a quella depositata da sei deputati radicali eletti tra le file del PD. Una è arrivata anche alla Commissione europea, da parte della Presidente della commissione antimafia europea Sonia Alfano.

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