Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

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                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

13 gennaio 2015

L`intervista . Battistelli: «Investiamo sulle seconde generazioni» 
Avvenire, 13-01-2015
LUCA LIVERANI 
ROMA 
Investire - davvero - sulle periferie: per produrre integrazione e prevenire l`intolleranza. E poi puntare sull`educazione civica a scuola: per tutti, italiani e «nuovi italiani». Per Fabrizio Battistelli -ordinario di Sociologia alla Sapienza e presidente  del centro di ricerca Archivio Disarmo - enti locali e scuola sono gli organismi cui affidare l`integrazione delle seconde  generazioni di immigrati. Per scongiurare il rischio che giovani disadattati senza una chiara identità culturale alimentino la devianza. Se non addirittura il fondamentalismo radicale. Come a Parigi. 
Qualche anno fa nelle banlieu parigine esplose la rabbia dei casseurs. Ora c`è chi ha fatto un salto di qualità: parte e ritorna come jihadista «interno». 
Assistiamo al fallimento di un modello di integrazione fondato sui valori repubblicani, con modalità centralistiche, vedi lo scontro sul velo islamico. Lo stesso per il modello multiculturalista anglosassone. Il grande dilemma: cosa fare con gli immigrati che chiedono lavoro, sicurezza ma anche mantenimento dei propri costumi? 
Da noi qualche politico ha chiesto espulsioni di massa degli irregolari. Dimenticando che i terroristi di Parigi erano cittadini francesi... 
Il migrante fa un grande investimento economico ed esistenziale per realizzare un progetto migratorio di riscatto. Il problema  riguarda l`accoglienza della seconda generazione. Poi tra Italia e Francia ci sono differenze enormi: oltralpe esistono grandissime aggregazioni omogenee dal punto di vista etnico, linguistico e religioso; in Italia abbiamo una miriade di gruppi nazionali, dato che può favorirne l`inclusione. E noi sperimentiamo l`immigrazione da 30 anni, in Francia è una realtà secolare e coloniale. Anche in Italia si sta ponendo il nodo delle seconde generazioni: è lì che funziona o fallisce l`inclusione. 
A Tor Sapienza c`è stata una rivolta contro gli stranieri, in parte cavalcata da politici. 
Quella presenza di rifugiati era posta nel modo peggiore, non per colpa dei residenti né dei profughi, ma da amministratori che non si sono mai posti davvero il tema dell`inclusione. E c`è chi ha lucrato: economicamente, vedi "Mafia Capitale", e politicamente per incassare per reazione facili consensi. 
Allora cosa fare per l`integrazione? 
Investire. Sia contro il disagio degli autoctoni, che contro quello dei migranti. Combinandosi tra loro possono diventare esplosivi. A Roma il sindaco dovrebbe abbandonare il terreno mediatico delle grandi pedonalizzazioni o dei compiti che non gli spettano come le registrazioni delle coppie di fatto per concentrarsi ad amministrare la città. Avrebbe più risorse e più tempo per restituire abitabilità alle periferie, dove oggi si concentrano i doverosi oneri dell`accoglienza. 
Un grande piano di investimenti? 
Sì, servono compensazioni tangibili ai residenti in investimenti e servizi. La situazione è esplosiva. E bisogna lavorare sulle seconde generazioni, per far sentire questi ragazzi accettati e non emarginati, esponendoli al rischio di scelte identitarie radicali e deviate. Lo diceva, anche da ministro, un autorevolissimo osservatore come Andrea Riccardi: scuola e cittadinanza sono le vie di inclusione. I bambini cinesi o africani che parlano romanesco sono le "buone pratiche" da valorizzare. La scuola è rimasta una delle pochissime agenzie di socializzazione, assieme alla Chiesa. È indispensabile un ritorno serio all`insegnamento dell`educazione civica. Dobbiamo acquisire di nuovo le regole  civili di convivenza. Tutti. 
 
 
 
Capire “casa nostra” prima di agitare una guerra di religione
Corriere.it, 12-01-2015
Marco Antonsich
Circola una retorica assordante e monotona di questi giorni. Un qualcosa che avrebbe imbarazzato e di fatto imbarazza, a loro stesso dire, i redattori di Charlie Hebo, non abituati a tanto supporto per le loro irreverenze. Comprensibile certo questo accorato unirsi nel nome dei principi democratici, un po’ o molto meno quando invece prende una piega bellicosa e parla di un Islam in guerra contro l’Occidente. «Noi siamo in guerra» è la frase che politici e opinionisti, anche sul Corriere, si passano di bocca in bocca. Oddio, non credo ci volessero gli ultimi eventi di sangue a Parigi per capire che siamo in guerra. Molti paesi occidentali sono già da lungo tempo impegnati in guerre in parte di quello che i geopolitici chiamano ‘arco di crisi’ – la grande fascia che dal Medio Oriente arriva fino al sud-est asiatico. Ma bisogna capirci bene, per evitare che da retorica questo tema di un Islam bellicoso con cui bisogna entrare in guerra diventi una chiave analitica.
Siamo in guerra con fazioni armate che hanno un nome e cognome preciso (lo Stato Islamico, i Talebani, il Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad nel nord del Mali, ecc.). Non con l’Islam.
A dio piacendo, le guerre di religione sono un retaggio del passato – semmai tali lo siano veramente state. Non è che c’è un qualcosa di inerente bellicoso nell’Islam, così come non c’è un qualcosa di inerente bellicoso nel Cristianesimo. Quando in tempi andati si uccideva nel nome di Cristo per liberare la Terra Santa dagli infedeli musulmani, si sarebbe potuto certamente pensare che il Cristianesimo avesse in sé un qualcosa di malvagio. Sbagliando ieri come si sbaglia oggi pensando la stessa cosa dell’Islam. Non sono le religioni, ma gli uomini che piegano una religione, così come ogni altra idea, ai propri interessi. Non siamo in guerra con l’Islam, ma con coloro che strumentalizzano l’Islam per giustificare le proprie azioni.
Sposare l’idea di una guerra con l’islam significa cadere nel loro stesso errore e generare ulteriori divisioni, soprattutto in casa nostra dove i musulmani sono cittadini e parte intera delle nostre società. Se proprio si vuol cercare di capire come mai dei giovani francesi decidano di uscire dalle banlieues ed andare a combattere in Siria o Yemen per poi ritornare armi in pugno, forse sarebbe più utile analizzare quella sorta di razzismo istituzionale e quotidiano che nella republicanissima Francia, come altrove, relega i vari Ahmed negli strati più bassi della società. Ahmed potrà certo trovare un lavoro come gendarme di strada e morire per difendere la sicurezza dei francesi, ma difficilmente potrà diventare il capo dei gendarmi di Francia. Molto più spesso, vittima di una stereotipizzazione negativa in quanto immigrato o figlio di immigrati mussulmani, finirà marginalizzato in una delle molte banlieues francesi. C’è ancora molto da capire in casa nostra, prima di prendere la facile scorciatoia delle guerre di religione
 
 
 
Partecipazione record al corteo contro l’immigrazione a Dresda
Internazionale, 13-01-2015
Almeno 25mila persone hanno partecipato a una manifestazione contro l’immigrazione a Dresda, in Germania, organizzata dal gruppo di destra Pegida. Il corteo, che ha avuto un’affluenza record, è stato convocato dopo la strage avvenuta nel settimanale satirico francese Charlie Hebdo. La cancelliera tedesca Angela Merkel e altri politici hanno criticato la manifestazione e hanno chiesto di non strumentalizzare gli attacchi della scorsa settimana in Francia.
Per rispondere alle posizioni islamofobe del gruppo, Merkel ha annunciato che oggi parteciperà a una manifestazione organizzata dai musulmani di Berlino. Bbc
 
 
 
A Lamezia i rifugiati sono accolti nelle case confiscate ai clan con gli ex proprietari come vicini  
"E' un regalo alla città, per avere meno paura". Parla Giacomo Panizza, prete di frontiera e sotto scorta per avere osato gestire un palazzo sottratto alla 'ndrangheta. Bombe e proiettili non l'hanno fermato. Oggi lo Sprar (Sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati) dà lavoro a quindici operatori locali e si è esteso al vicino comune Miglierina
la Repubblica.it, 12-01-2015
RAFFAELLA COSENTINO
LAMEZIA TERME - "Quelli di mafia capitale a Roma dicono: noi facciamo soldi con i migranti; invece noi con i migranti facciamo incontrare la città". Lo dice don Giacomo Panizza, prete sotto scorta perché gestisce beni confiscati alla 'ndrangheta a Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro. Nelle case sottratte ai clan, il sacerdote fondatore della Comunità Progetto Sud, fa anche accoglienza ai rifugiati. Ha iniziato nel 2011 con un centro per minori aperto per l'Emergenza Nord Africa nel rione Capizzaglie. 
La risposta dei boss non si è fatta attendere. La notte di Natale di quell'anno i minori sono rientrati alle 23.30 e quindici minuti dopo è scoppiata una bomba all'ingresso. L'esplosivo ha fatto volare il portone di ferro e ha rotto il marmo della soglia. Ma era solo il primo avvertimento. Nella prima domenica di Quaresima del 2012 è stato sparato un colpo di proiettile in casa dall'unica finestra aperta da appena 176 metri di distanza. Il messaggio era: "colpiamo quando vogliamo". A Pasqua di quello stesso anno in pieno giorno un commando su una moto ha scaricato una raffica ad altezza uomo contro la serranda dello stesso stabile. "Erano gli auguri particolari a ogni festa comandata  -  ci spiega don Giacomo  -  così la città capisce che c'è il prete nel mirino". Lui quei danni non ha voluto ripararli. Ha lasciato il marmo rotto e i fori di proiettile. 
Vicini di casa dei boss. La particolarità dei due centri di accoglienza Sprar (Sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati) "Due Soli" e "Luna Rossa" di Lamezia Terme è il luogo in cui si trovano. Le zone di via del Progresso e Capizzaglie, dove abitano gli elementi di spicco della 'ndrangheta lametina, in appartamenti che hanno ancora per vicini di casa gli ex proprietari. "Due Soli", un centro per adulti, confina con la casa del boss Aldo Notarianni, con cui ha una strada in comune. Notarianni, vicino alla 'ndrina dei Giampà, attualmente è in carcere per atroci fatti di sangue come l'uccisione in una faida di un giovane bruciato vivo nella sua auto. "Luna Rossa" ospita invece dieci minori che vengono da Pakistan, Nigeria, Congo e Somalia. Il centro è su uno dei piani di un edificio dove c'è anche una comunità residenziale per disabili e la sede regionale di Banca Etica. Il colpo d'occhio dalla strada è impressionante. La casa della famiglia Torcasio, ex proprietari, incombe subito dietro, attaccata al palazzo confiscato, con le finestre e i balconi a pochi metri di distanza. 
La scommessa di Giacomo Panizza. "Gestire uno Sprar in un bene confiscato non è un risparmio economico, perché è uno stabile che vale zero per le banche - spiega don Panizza - e il lavoro di accoglienza non cambia rispetto a una casa in affitto. Ma gestire una casa confiscata aggiunge cultura allo Sprar, vuol dire misurare il termometro della scommessa sulla legalità da parte della città". La "scommessa" per il prete operaio, bresciano di origine e da quarant'anni in Calabria, è "fare passare la città nella casa confiscata, vedere chi del comune e dei partiti accetta di venirci, cercare di fare in modo che lì ci sia un via vai di gente, di scuole e di associazioni". 
Tredici anni di lotta contro la paura. Esattamente da quando, nel 2002, gli è stato assegnato l'uso del palazzo dei Torcasio. "La gente del quartiere aveva paura a parlare con me in quel posto, mentre se mi incontrava altrove mi incoraggiava a tenere duro  -  racconta il sacerdote  -  tutti abbassavano gli occhi o si giravano dall'altra parte, ma adesso si fanno vedere dai mafiosi a parlare con me". Una piccola grande vittoria conquistata, dice don Panizza anche "con quella scempiaggine di venire a mettere le bombe ai minorenni". La Comunità Progetto Sud ha reagito ad attentati e intimidazioni con le manifestazioni, fatte "davanti alla casa del clan" per fare capire che "la delinquenza organizzata non è la padrona". Giacomo Panizza sottolinea lo spirito delle proteste: "non per dire che quel quartiere è mafioso ma che in quel quartiere ci abitano anche i mafiosi, perciò la gente del posto ha partecipato". 
Nessuno voleva quel palazzo. Nell'ipotesi di farne una sede dei vigili urbani, la polizia municipale ha minacciato uno sciopero pur di non andarci. All'inizio era anche difficile entrarci, perché la porta d'ingresso era sul retro, davanti alla casa dove ancora vive la famiglia Torcasio. Il bene è stato vandalizzato, come spesso succede. Sono passati due anni solo per cambiare la serratura e spostare l'ingresso. "Nessuna ditta veniva a fare i lavori - ricorda il sacerdote - Però quelle difficoltà sono state anche la carta vincente". La città è stata costretta a interrogarsi sulla paura e sulla mancanza di libertà. "Non è solo un progetto di accoglienza ai migranti -  conclude don Giacomo - è un'esperienza culturale che a Lamezia serve per avere meno paura. Noi facciamo un regalo alla città, di avere meno paura". 
Accoglienza di frontiera. L'ultima bomba contro Giacomo Panizza risale allo scorso ottobre. L'attentato più vile al 2009, quando furono tagliati i freni alle auto dei disabili della sua comunità, che rischiarono di schiantarsi sulle curve a gomito della strada davanti alla sede. Lo Sprar di Lamezia ha trenta posti, cui si aggiungono il centro per minori e quello per famiglie del vicino comune di Miglierina, aperto nel 2014 con 14 posti in un ostello inutilizzato. In tutto hanno creato 15 posti di lavoro sul territorio in un'Ats con le cooperative sociali "Inrete", "Il Delta" e la Caritas. Per i bambini migranti il percorso di inclusione prevede la presenza dei tutori legali, il coinvolgimento di famiglie, scuole di calcio e imprenditori per i tirocini formativi. In un altro bene confiscato c'è lo "spazio aperto giovani" in cui si tengono i corsi di italiano e ci sono le postazioni internet per i minori dello Sprar. Intanto nascono anche i bimbi afro-calabresi, come Abel, figlio di una coppia di nigeriani. A Lamezia ne sono nati tre negli ultimi due anni. A Miglierina ce ne sono sei al di sotto dei tre anni d'età.
 
 
 
IL reclutatore degli stranieri "Votare è un loro diritto" 
La Stampa, 13-01-2015
MAURIZIO FICO 
SAVONA 
Non solo i cinesi a La Spezia, ma anche i nordafricani ad Albenga e schiere di albanesi e altri extracomunitari a Savona. Qui in particolare c`è stata una vera e propria regia. Il suo autore non si nasconde, anzi è orgoglioso del risultato. Lui è Franco Costantino che nel 2007, alla fortezza del Priamar, organizzò il primo concerto per gli albanesi, comunità che a Savona guida nettamente la classifica della popolazione straniera (2433 residenti). Impegnato da quasi vent`anni in iniziative sociali a fianco di immigrati, Costantino, che si definisce «un socialista indipendente senza tessere in tasca», responsabile nazionale dell`Aics (associazione italiana cultura e sport) e con vari incarichi nel mondo dell`associazionismo e del volontariato rivendica con orgoglio il suo contributo al successo della Paita, attraverso un piccolo esercito composto da albanesi, nigeriani, dominicani e brasiliani. A Savona, dove il sindaco Berruti, renziano della prima ora, appoggiava invece Sergio Cofferati, e dove  in giunta siede il fratello di Costantino, Jorg, molti albanesi si sono schierati con Paita. «Nessun segreto, chi vuole può andarsi a leggersi i nomi di queste persone che hanno esercitato con senso civico e intelligenza un diritto importante, tra l`altro ampiamente legittimato dalla stesse regole sottoscritte dal Pd. La reazione scomposta di Cofferati apre piuttosto degli 
interrogativi: quando le regole non corrispondono più ai risultati sperati allora le mettiamo in discussione?» Costantino usa toni duri: «Chi sta cercando di far passare come voto organizzato questa giusta rappresentanza è in cattiva fede e ai limiti della diffamazione». 
Perché l`appoggio degli albanesi e di altri extracomunitari a Paita? «Ha fatto suoi gli impegni di Burlando. Il presidente  uscente in questi anni, personalmente e attraverso diversi assessori si è distinto nel saper raccogliere le istanze degli  stranieri, cercando in certi casi di superare i lacci molto stretti della Bossi-Fini. Credo che la Paita intenda istituire un tavolo in cui sia riconosciuta una giusta rappresentanza ai miei amici immigrati e confido che presto possa essere organizzato un primo incontro. Cofferati non l`ho mai visto a fianco degli extracomunitari, nelle zone degradate di Genova e della Liguria». 
Aggiunge Costantino: «Io non ho organizzato proprio nulla, sono stati i rappresentati di queste comunità a chiedermi un aiuto per potersi finalmente rendere visibili e far sentire la propria voce. La mia presa in carico delle loro attese è assolutamente lecita e trasparente. Si tratta di persone con regolare permesso di soggiorno o naturalizzati e residenti a Savona che da 8-15 anni contribuiscono con il proprio lavoro alla crescita economica della città. Pagano le imposte e i contributi». 
 
 
 
Assegno sociale 2015. Per vivere in Italia ora servono almeno 5830 euro
L'Inps ha fissato il nuovo importo del sussidio. Un riferimento fondamentale anche per le pratiche dell'immigrazione, dai permessi di soggiorno ai ricongiungimenti familiari
stranieriinitalia.it, 12-01-2015
Roma – 12 gennaio 2015 - Aumenta un pochino l'importo dell'assegno sociale. Una buona notizia per gli anziani che possono contare solo su questo sussidio, ma un'informazione fondamentale anche per tutti gli immigrati.
Come spiega l'Inps in una circolare diffusa pochi giorni fa, a partire dal 1 gennaio 2015 l'importo mensile dell'assegno sociale è fissato a 448,52 euro, quello annuale a 5830,76, considerato che sono previste 13 mensilità. È un aumento dello 0,3% rispetto ai valori dello scorso anno.
L’assegno sociale spetta ai cittadini italiani o comunitari che vivono in Italia da almeno dieci anni, hanno almeno sessantacinque anni e tre mesi  e un reddito inferiore al suo importo. I cittadini extracomunitari possono incassarlo solo se, oltre a quei requisiti, hanno anche un permesso ce per soggiornanti di lungo periodo, la cosiddetta carta di soggiorno.
L’importo, però, come dicevamo,  interessa in realtà tutti altri gli stranieri in Italia. È infatti il parametro più usato dalla legge per valutare la loro capacità economica in molte pratiche che li riguardano.
I cittadini extracomunitari che quest'anno vorranno rinnovare il permesso di soggiorno o chiedere il permesso per lungosoggiornanti (la cosiddetta carta di soggiorno), ad esempio, dovranno dimostrare di avere un reddito almeno pari all'importo dell'assegno sociale: 5830,76 euro. A quelli che vorranno fare arrivare in Italia la moglie o il, marito con un ricongiungimento, servirà invece un reddito pari ad almeno 1,5 volte l'assegno, 8746,14.
Anche romeni, polacchi e gli altri cittadini dell'Unione europea farebbero bene a segnarsi quei numeri. Per soggiornare regolarmente per oltre tre mesi in Italia devono infatti dimostrare di essere in grado di mantenersi. Come? Con un reddito pari almeno all'importo dell'assegno sociale: 5830,76 euro.
 
 
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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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