Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

09 giugno 2010

Tripoli chiude l'ufficio Onu per i profughi
Migliaia di migranti a rischio, l'Italia preme per la riapertura immediata

la Repubblica, 09-06-2010
Vincenzo Nigro
ROMA—«Quell'ufficio non aveva nessuna autorizzazione del governo libico, era illecito: erano in un centro residenziale, la gente ha iniziato a lamentarsi di tutti quegli stranieri, la polizia ha controllato e non c'erano autorizzazioni, abbiamo deciso di chiuderlo». Un diplomatico libico spiega così la decisione del suo governo di chiudere la sede dell'Unhcr a Tripoli. L'organizzazione è il braccio dell'Onu che si occupa dei rifugiati che a migliaia per anni hanno provato a raggiungere la Libia per fare il grande balzo verso l'Italia e l'Europa. Melissa Fleming, portavoce dell'Unhcr, dice che «la decisione ci è stata comunicata una settimana fa: invitiamo tutti i Paesi europei che considerano la Libia come un punto di accoglienza per coloro che fuggono dalle guerre e dalle persecuzioni a rivedere la cosa molto attentamente». Il che significa che l'Unhcr invita innanzitutto l'Italia a non fidarsi più della capacità della Libia di accogliere e selezionare i potenziali rifugiati, e quindi implicitamente a prepararsi a ricevere direttamente nella penisola chi riuscisse a spingersi in mare verso l'Europa.
Problema non secondario per il governo Berlusconi, che grazie all'accordo con Gheddafi era riuscito a prosciugare il flusso di disperati in viaggio verso l'Italia. E infatti ieri molto velocemente il ministro degli Esteri Franco Frattini ha chiesto alla Libia di riconoscere l'Unhcr e quindi di riaprire l'ufficio. «Chiediamo alla Libia di avviare il negoziato per un accordo in grado di garantire l'immunità diplomatica alla sede dell'organizzazione Onu e farla funzionare», dice il responsabile della Farnesina: sulla chiusura «abbiamo chiesto spiegazioni, ci è stato detto che mancava un accordo finalizzato a regolare la vicenda».
In passato l'Italia, accusata di non garantire i diritti dei migranti con il suo accordo di respingimento verso la Libia, aveva usato per difendersi proprio l'argomento dell'esistenza di un ufficio Unhcr a Tripoli. Tra l'altro l'ufficio Unhcr era stato «tollerato» dai libici sin dal 1991, quando la Libia era stata invasa da un flusso straordinario di profughi da Somalia, Iraq ed Eritrea. Negli anni poi la Libia è diventata il territorio di passaggio di un notevole flusso di profughi «economici» che provano a fuggire dalla povertà dell'Africa nera dirigendosi verso l'Europa.
Ma Tripoli non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra sui profughi, e infatti l'Unhcr ha sempre operato sotto il "cappello" dell'Undp, un altro ufficio Onu che si occupa dello sviluppo. Per ora i dirigenti dell'Unhcr mantengono un profilo molto basso, vogliono capire quali siano le reali motivazioni che hanno mosso il governo libico. Laura Boldrini, portavoce a Roma e protagonista di duri scontri con il governo Berlusconi, ieri si è augurata che si tratti di «una chiusura temporanea». Più polemici della Boldrini molti deputati del centrosinistra, che chiedono all'Italia di congelare l'accordo con Tripoli. Ma anche Margherita Boniver, inviato speciale del governo per le emergenze umanitarie, dice: «Stiamo facendo pressioni molto forti sulla Libia perché riapra l'ufficio Unhcr».



Libia all'attacco
Tripoli chiude l'ufficio Onu dei rifugiati: «E illegale»

il Sole, 09-06-2010
Un ufficio «illecito» che svolge attività «illegali» e viola il «diritto internazionale». Così Tripoli ha motivato la decisione di chiudere, una settimana fa, la sede dell'Unhcr, l'Alto commissariato Onu per i rifugiati, confermata  ieri  dall'agenzia; una decisione che sembra non   lasciare   spazio   a
un'eventuale trattativa per la riapertura della sede, come suggerito in mattinata dallo stesso ministro degli Esteri Franco Frattini. La decisione di chiudere l'ufficio crea «un vuoto», secondo i rappresentanti  dell'Unhcr che si sono rivolti anche all'Ue, mentre in Italia il Pd chiede di sospendere gli accordi con la Libia in materia di immigrazione.
Le  prime  conseguenze della   chiusura,   secondo l'agenzia dell'Onu che si occupa di rifugiati e richiedenti asilo, si sono viste proprio
con la vicenda del barcone giunto due giorni fa al largo di Malta e recuperato dalla Libia: secondo Save the Children c'era a bordo anche un
bimbo di pochi mesi: queste persone, assicura l'Unhcr, potrebbero ora non avere accesso alla protezione internazionale. «La Gran Jamahirya - spiega una nota del ministero degli Esteri libico -non riconosce l'esistenza dell Ufficio dei rifugiati nel suo territorio perché non è uno stato membro della Convenzione sui rifugiati del 1951». Per questo la sua attività è «illegale» e per questo Tripoli si dice sorpresa dalle reazioni per la sua chiusura.
Poche ore prima di questa risposta di Tripoli, Frattini aveva precisato di aver chiesto spiegazioni alla Libia sulla vicenda, invitandola ad
«avviare un negoziato» per risolvere la questione.



LA UNHCR CHIUSA SENZA SPIEGAZIONI
Profughi, l'agenzia Onu è sfrattata dalla Libia

La Stampa, 09-06-2010
Il ministro Frattini «La Libia faccia funzionare l'organizzazione»
TRIPOLI- L'Unhcr, l'Agenzia Onu per i rifugiati, ha riferito di aver ricevuto l'ordine di lasciare la Libia. Una portavoce delI'Unhcr, Melissa Fleming, ha riferito che le autorità di Tripoli hanno imposto la chiusura degli uffici: «Non ci hanno dato alcuna ragione sul perché dobbiamo lasciare il Paese.
Speriamo che una soluzione sarà trovata». La Fleming ha invitato «tutti i Paesi europei che considerano la Libia un punto di accoglienza
per coloro che fuggono dalle guerre e dalle persecuzioni a rivedere questa posizione molto attentamente». Il ministro degli Esteri italiano
Franco Frattini ha invitato il governo di Gheddafi ad «avviare il negoziato per un accordo di sede in grado di garantire l'immunità diplomatica alla sede dell'organizzazione dell'Onu e farla funzionare».   



CHIUSO L'UFFICIO DELL’UNHCR IN LIBIA

UNHCR, 8 giugno 2010
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) esprime rammarico per la decisione del governo libico di chiudere l’ufficio dell’Agenzia. L’UNHCR ritiene molto importante continuare a portare avanti il lavoro svolto in questi anni in Libia e finalizzato a proteggere, assistere e trovare soluzioni durevoli per i rifugiati che si trovano in questo paese. Altra priorità per l’UNHCR è il reinsediamento dei rifugiati presenti in Libia verso paesi terzi. L’Agenzia è tuttora impegnata in trattative finalizzate al mantenimento della sua presenza in Libia e si augura che venga trovata al più presto una soluzione positiva.



L'Italia dei diritti umani violati e i turbamenti di Frattini

il manifesto, 09-06-2010
Stefano Anastasia
Non c'è stata crisi o catastrofe umanitaria internazionale degli ultimi anni che abbia turbato il Ministro Frattini più della pubblicazione dell'ultimo rapporto di Amnesty International. Eppure non sembrava così imprevedibile, agli occhi profani di chi legga i giornali con qualche assiduità, figuriamoci allo sguardo attento di chi comanda stuoli di feluche intenti a trasmettere notizie e informazioni da ogni parte del mondo sulla credibilità internazionale dell'Italia. La condanna dei respingimenti, delle norme discriminatorie nei confronti degli immigrati, del trattamento delle comunità rom erano già state espresse, a più riprese, finanche da organismi intemazionali di cui l'Italia è parte. Perché sorprendersi allora? Ma, si sa, la miglior difesa è l'attacco. Ne ha fatto le spese, di recente, anche il «Capitan futuro» della Roma calcio, Daniele De Rossi, reo di aver riproposto - a parole sue - una ripetuta raccomandazione degli organismi intemazionali per i diritti umani, e cioè che gli operatori di polizia in servizio debbano avere un segno di riconoscimento della loro identità (anche) per inibire le «mele marce» dal commettere abusi sotto la copertura di una divisa e del suo potere. De Rossi per questa inappuntabile dichiarazione è stato messo sotto accusa dall'intero establishment italiano, fino alla veramente censurabile decisione del Ministero dell'Interno di richiamare dai ritiro azzurro i funzionari addetti al coordinamento della sicurezza della Nazionale. Delle due l'una: o erano lì in gita di piacere, e allora è bene che con un pretesto siano stati richiamati; o servivano a qualcosa, e dunque ci dovevano restare, qualunque sia l'opinione di chi deve es¬sere tutelato dal loro lavoro. Nella retorica dei diritti umani, nulla è più facile
dell'applicare loro il pregiudizio etnocentrico secondo cui a noi tocca fissare gli standard che gli altri devono seguire. Con questa motivazione, anni fa un serio e apprezzato magistrato, massimo dirigente dell'Amministrazione penitenziaria del tempo, ebbe modo di commentare un convegno di Antigone sulla tortura, sottolineando che si trattava di un argomento certo importante, ma che non ci riguardava, non essendo la tortura prevista dal nostro ordinamento (sic!). Insomma: noi scriviamo i diritti e gli altri li violano. Facile, no? E invece non è così: capita che standard e diritti vengano condivisi, e capita - soprattutto - che i diritti umani vengano violati anche qui, in casa nostra, sul posto di lavoro, in un ospedale pubblico o nelle segrete di un tribunale. Chi voglia saperne di più, e fuggire dalla pelosa indignazione del Ministro Frattini, ha anche quest'anno la possibilità di documentarsi esaurientemente grazie al Rapporto sui diritti globali (Ediesse, 1310 pp., 30 euro ) curato dalla Associazione SocietàlNformazione con il sostegno della Cgil e dì molte associazioni di settore, dal Gruppo Abele ad Antigone, da Legambiente all'Arci.
Il Rapporto sui diritti globali ha - tra gli altri meriti - quello di leggere le vicende italiane in una prospettiva planetaria, essendo appunto i diritti civili e sociali di cui si interessa «diritti globali», che non reggono gli ambiti confinari degli Stati, dei continenti e degli stadi di sviluppo. Quanto garanzie e tutele, precarizzazione e prevaricazioni dei diritti abbiano natura globale ce l'ha mostrato più di ogni altra contingenza la crisi finanziaria ed economica apertasi nell'autunno del 2008 e, come giustamente ammoniva Guglielmo Epifani nella sua prefazione scritta prima del precipitare della crisi greca, tutt'altro che risolta. Figura chiave di questa dimensione «globale» (della crisi, dei diritti e del loro misconoscimento) è la condizione dei migranti, testimoniata crudamente e crudelmente in quello che il coordinatore del Rapporto, Sergio Segio, chiama «il safari umano di Rosarno»: mondi che si incontrano e si scontrano, diritti civili e sociali, «habeas corpus» e dignità del lavoro, che stanno insieme o vengono negati entrambi. Non piace al Ministro Frattini questa immagine dell'Italia? Comprensibile, ma non se la caverà allestendo un piccolo Truman Show a uso e consumo di palati troppo facili da soddisfare. (La presentazione del Rapporto sui diritti globali su www.fuoriluogo.it)



Cassazione: più tutele a immigrati trattenuti nei Cie

Studio Cataldi, 09-06-2010   
La Cassazione dice no ai facili trattenimenti nei Centri di identificazione ed espulsione degli immigrati che siano in attesa di essere rinviari al loro paese. Il monito arriva dalla prima sezione civile della Corte di Cassazione (la n.13767/2010) che, nella parte motiva, evidenzia che ''la sostanziale equiparazione fra misura di trattenimento nel Centro di identificazione ed espulsione dello straniero irregolare e misura detentiva determina l'invalidita' della proroga disposta dal giudice di pace senza la partecipazione dello straniero medesimo ne' del suo difensore di fiducia o d'ufficio''. Accogliendo il ricorso di un clandestino ghanese la suprema Corte ha così annullato un decreto emesso dal giudice di pace di Roma dichiarando inefficace il provvedimento di trattenimento. La Corte spiega che per garantire la maggiore tutela possibile agli immigrati irregolari trattenuti nei Centri di permanenza temporanea è necessario che il provvedimento venga "trasmesso al giudice senza ritardo e comunque entro le 48 ore" e comunque dopo aver prima sentito l'interessato. La corte precisa inoltre che cessa ogni effetto del provvedimento se non viene convalidato nelle 48 ore successive'.



Immigrazione: rogo e scritte anti-Cie Misericordia Ravenna
Distrutte 2 auto per trasporto anziani e diversamente abili

ANSA, 08-06-2010
RAVENNA,- Due mezzi in dotazione alla Misericordia di Castel Bolognese, in provincia di Ravenna, sono stati incendiati da ignoti durante la scorsa notte.
Si tratta di una Opel Agila e di un Fiat Doblo' con sollevatore per anziani, parcheggiati nell'area di sosta della struttura 'Solidarieta' insieme'. Uno dei due e' distrutto, l'altro e' inutilizzabile. Sul muro esterno una scritta: 'Basta Cie', centri identificazione e accoglienza immigrati, in altre realta' gestiti dalle Misericordie. Quella di Castel Bolognese si adopera solo per il trasporto anziani e diversamente abili. (ANSA).



La retromarcia dell'islam: lezioni anti integrazione
Moschea vietata a giornalisti e fotografi

laPadania, 09-06-2010
Roberto Fiorentini
Porte sbarrate. Nessun giornalista. Neppure un fotografo per farsi immortalare nel corso di una delle rare manifestazioni pubbliche organizzate. Risponde così, con un vero e proprio "muro di gomma", il mondo islamico cremonese alla richiesta di trasparenza sugli incontri dedicati alla "Correzione delle famiglie musulmane in occidente". Il tutto si è svolto domenica pomeriggio in moschea; protagonisti alcuni imam che, per l'occasione, sono sbarcati nella città del Torrazzo tradizionalmente sensibile agli imput e alle richieste dell'islam più fondamentalista.
Del resto si sapeva che la notizia era stata tenuta quasi riservata. Sussurrata tra le donne che si incontrano nelle macellerie che circondano il centro culturale di via Bibaculo. Sponsorizzata da alcuni volantini, in arabo, lasciati abbandonati nei punti sensibili, dove la comunità si ritrova più spesso. Insomma, una convocazione che doveva rimanere la più riservata possibile per non alimentare una curiosità dannosa visti i contenuti non proprio d'apertura al mondo occidentale.
Ma è altrettanto ovvio che dal mondo sommerso arabo qualcosa è comunque sfuggito al controllo della comunità. E così quando al cancello della moschea di sono presentati giornalisti e fotografi, il rifiuto è stato nettissimo, al contrario di altre occasioni in cui i cronisti erano accompagnati dagli amministratori pubblici, soprattutto di centrosinistra. Davanti alla richiesta di capire cosa stava succedendo, c'è stato l'oscuramento totale. Il silenzio più inquietante. Le stesse fonti che avevano reso pubblico l'incontro sapevano in anticipo che sarebbe andata a finire in questo modo. C'erano tutte le condizioni.
È oramai noto che questi incontri vengono organizzati per educare all' "islamicamente corretto" alcune famiglie che hanno orizzonti troppo larghi nei confronti dei nuclei familiari locali. Si sapeva che nella comunità cremonese, ma più in generale in quella lombarda, ci sono forti preoccupazioni per i crescenti casi di rapporti tra giovani arabi, soprattutto ragazze, e loro coetanei o italiani o di altre nazionalità non musulmane. Le pagine della cronaca si sono riempite, molto spesso, di episodi violenti in cui padri e fratelli sono intervenuti, con le cattive, per far cessare i rapporti e riportare il tutto sotto la pesante cappa integralista dell'insegnamento fondamentalista. Non solo. Sono anche aumentate, davanti alle procure della repubblica, le denunce di mogli o compagne che erano state oggetto di rappresaglie particolarmente violente da parte di mariti e di compagni che si richiamano all'insegnamento della tradizione dei seguaci di Maometto. Querele a cui sono seguite, il più delle volte, condanne pesanti nei confronti dei mariti violenti.
Non c'è poi da dimenticare come si stia diffondendo il fenomeno delle donne islamiche che, una volta sciolto il vincolo matrimoniale nei confronti dei compagni arabi, iniziano una relazione sentimentale con italiani; dando vita, di fatto, ad una seconda famiglia con figli spesso avuti dalla prima relazione.
Elementi questi che, messi uno vicino all'altro e assai frequenti, finiscono con il destabilizzare quella che è l'immagine della famiglia musulmana. Da qui l'esigenza di correre ai ripari con lezioni che certamente non "insegnano" l'integrazione, ma che riportano le lancette dell'orologio della storia e della società indietro nel tempo e nello spazio. Dunque sermoni in arabo di imam specializzati a convertire chi vuol integrarsi come richiesto
dalla nostra società. Parole pronunciate nel segreto della moschea per evitare le accuse e i giusti sospetti di chi pretende la perfetta integrazione nelle comunità locali senza se e senza ma.
Nulla da fare. Il fondamentalismo sembra aver ripreso corpo in una comunità che, non senza shock, aveva affrontato le condanne penali in via definitiva di sette imam che si erano susseguiti alla guida della preghiera dalla metà degli anni Novanta. A pochi anni da quei terribili eventi, che compresero anche l'organizzazione in un sanguinoso attentato, i musulmani sembrano tornare, pian piano, su un crinale dove l'integrazione rimane assolutamente lontana.
Che qualcosa si sia già mosso in questa direzione, lo rappresenta bene il moltiplicarsi di donne con il velo. Alcune con abiti sempre più tradizionali. Ferme insieme ai punti di raccolta degli autobus che portano in periferia, trasformano il paesaggio padano in un quartiere di un qualsiasi paese islamico.



Le mani dei musulmani anche sul Palio di Siena

laPadania, 09-06-2010
Marco Gargini
SIENA - Prima la moschea a Colle Val d'Elsa, adesso anche il Palio di Siena viene "colonizzato" dagli islamici. In occasione della carriera del 2 luglio, quella dedicata alla Madonna di Provenzano rappresentata sul "Cencio" da consegnare ai vincitori, è stato scelto il pittore italiano, ma di origini libanesi e di fede islamica, Ali Hassoun per dipingere il "Drappellone" con l'intenzione di dimostrare «che il dialogo tra le culture e le religioni, in particolare tra cristianesimo e islam, è possibile». Forse Hassoun non ha molto chiaro cosa significhi la parola «dialogo», un termine che implica che a parlare, ascoltare, rispondere ci siano almeno due interlocutori. Dov'è il dialogo se nei Paesi islamici chi porta una croce sul collo rischia di rimanere senza la testa attaccata alle spalle? Dov'è il dialogo se in Egitto, tanto per dire uno tra i più occidentali Paesi islamici, i cristiani vengono quotidianamente perseguitati? Dov'è il dialogo se nei Paesi islamici non si fanno costruire le Chiese?
Senza aver alcunché da obiettare sulla bravura artistica di Hassoun, è la prima volta che l'incarico viene assegnato a un fedele musulmano. 0 infedele cristiano, per usare un linguaggio più consono agli islamici. «Innanzitutto rappresenta una grande soddisfazione personale per me, perché sono stato in qualche modo adottato da Siena - afferma l'artista originario di Sidone -. Infatti, ho giurato per ottenere la cittadinanza italiana nel Palazzo del Comune di Siena. Considero questo come un riconoscimento importante che arriva dopo 15 anni di residenza nella città toscana, precedenti il mio trasferimento a Milano». Fin qui nulla da eccepire. Chi dimostra di stare alle nostre regole è sempre ben accetto. E chi con sudore, fermezza, rispetto e volontà fa di tutto, legalmente parlando, per ottenere la nostra cittadinanza è davvero encomiabile. Ma questo non significa dare una lettura estremista della storia e strumentalizzare un episodio tentando di prendere i cristiani con le buone. Infatti, il tema associato al Palio di luglio è quello della battaglia di Montaperti.
«La particolarità del drappellone che devo dipingere - spiega l'artista - è che ha a che fare non solo con la tradizione, ma anche con la sacralità del Palio, che non è solo una corsa di cavalli in Razza del Campo, ma fa parte della storia della città. Quello della battaglia di Montaperti è un tema molto importante e rappresenta una grossa occasione per chi come me si batte per il dialogo tra le culture. Questa battaglia si è svolta nel 1260 e ha visto affrontarsi senesi e fiorentini, ma
in pochi sanno che a quell'epoca il re Manfredi, figlio di Federico II di Svevia, precursore del dia¬logo con l'islam, aveva inviato alcuni suoi cavalieri in difesa di Siena. Tra questi c'erano anche alcuni saraceni». Un po' come quei pochi pistoiesi che nel 1512 lottarono insieme ai pratesi contro gli spagnoli mandati a saccheggiare la città laniera dai fiorentini. Un atto più unico che raro in mille anni di sanguinosi scontri. Per Hassoun, però, si apre il difficile compito di «riuscire a rappresentare questo bisogno di dialogo attraverso la figura di Maria, che è d'obbligo nel Palio di luglio, perché la Madonna di Provenzano, a cui viene dedicata la manifestazione, è miracolosa. In molti non sanno che la Madonna nell'islam è una figura importante, perché a Maria è dedicata la 19a sura del Corano, l'unica dedicata per intero a una donna». Mentre alle altre donne, per intero, resta soltanto il velo. Oltre alla sottomissione al genere maschile.



Una proposta di legge presentata ieri dai consiglieri regionali Giancarlo Miele e Isabella Rauti
Un osservatorio contro le discriminazioni

ItaliaSera, 09-06-2010
Maria Giulia Mazzoni
Si tratta di una formula di indirizzo europeista che si prefìgge "di combattere globalmente tutte le forme di intolleranza"
Un osservatorio regionale per "la tutela anti discriminatoria". Questo è quanto si candida a fare una proposta di legge regionale che è stata presentata ieri dai suoi due primi firmatari, Giancarlo Miele e Isabella Rauti. Il compito dell'osservatorio, spiegano i consiglieri regionali, sarà quello di operare come organismo di garanzia con compiti di prevenzione, ascolto, informazione e tutela nei confronti delle vittime di discri¬minazioni per ragioni etniche, razziali, religiose, di disabilità/di età, di genere o di orientamento sessuale. Il consigliere regionale Giancarlo Miele, primo a prendere la parola, ha tracciato le linee guida del progetto: "Nell'osservatorio si metterà in rete il mondo del no profit, ci sarà un input di indirizzo per le politiche. Previsto un fondo di 200mila euro l'anno per tre anni". "E' un'idea nuova che comprende e supera quell'amministrazióne precedente, che si occupava soltanto di un settore quello dell'integrazione degli immigrati -ha poi spiegato Isabella Rauti- questo Osservatorio ha un respiro europeo, un impianto europeo e in realtà guarda alle norme di recepimento delle direttive europee, perchè si occupa di una lotta globale a tutte le forme di discriminazione in relazione alle categorie evidenziate dall'Europa come gruppi vulnerabili a rischio discriminatorio. Discriminazione, quindi -ha precisato Isabella Rauti- o per genere, per appartenenza etnica, orientamento sessuale, età, handicap e fino alle discriminazioni multiple" sulle quali si è poi posto un accento particolare. "Presenteremo un emendamento in consiglio regionale per aggiungere nel testo di legge anche le discriminazioni multiple, cioè a difesa di chi rientra in più categorie discriminatorie - ha spiegato Isabella Rauti - colmiamo un vuoto con questa iniziativa. Siamo per la lotta a pregiudizi e stereotipi". L'osservatorio potrà operare in collaborazione con l'Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull'origine etnica (Urtar) che è stato istituito presso il dipartimento per le pari opportunità della presidenza del Consiglio. La struttura secondo quanto previsto dalla proposta di legge potrà collaborare con le province, i comuni, l'osservatorio cittadino di prevenzione e contrasto alle discriminazioni del comune e con quelli presenti negli altri comuni del Lazio.
Attraverso questo osservatorio la regione potrà coordinare le reti territoriali, gli sportelli legali e di associazioni che operano sul territorio regionale. Sarà istituita anche un'assemblea regionale per la tutela anti discriminatoria di cui faranno parte anche fra gli altri il presidente del Consiglio regionale, l'assessore e il presidente della Commissione competenti in materia di politiche sociali, il presidente della Consulta regionale per l'immigrazione,  il presidente della Consulta femminile regionale per le Pari opportunità, il garante dell'Infanzia e il garante delle persone sottoposte a misure restrittive della Libertà personale. Nella proposta di legge è prevista anche l'abrogazione dell'osservatorio anti razzismo istituito dalla legge numero 10 del 14 luglio 2008. "In 15 mesi venne fatta la deliberà che istituiva l'osservatorio anti razzismo ma non è mai stato formal-mente costituito - ha spiegato Massimiliano Monnanni, direttore dell'Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni razziali istituito presso 0 dipartimento per le Pari opportunità della presidenza del Consiglio ed ex dirigente dell'amministrazione regionale fino ad aprile 2009 - E' stato un cattivo esempio di come le amministrazioni dovrebbero lavorare. Questo invece sarebbe il primo caso di una vera struttura pubblica istituita in Italia per legge che prende in considerazione tutti i fenomeni di discriminazione. E' stato colmato un vuoto ed è stata colmata una difficoltà avuta in passato dalla regione Lazio".



Regione Lazio: nessuna forma di emarginazione per razza o religione
Giancarlo Miele: "Azione di contrasto contro la diversità

ItaliaSera, 09-06-2010
Mara Martinez
Un organismo di garanzia e di prevenzione per tutti coloro che sono vittime di discriminazioni.
Questo l'obiettivo della proposta di legge presentata ieri mattina durante la conferenza stampa che si è tenuta in una sede distaccata della Regione Lazio in via Poli da parte dei consiglieri regionali Giancarlo Miele e Isabella Rauti. All'incontro hanno partecipato anche la delegata del sindaco Alemanno per le Pari Opportunità, Livia Mennuni, e il dottore Massimiliano Monnanni, Direttore Generale dell'Urtar, in rappresentanza del Ministero per le Pari Opportunità. Un Osservatorio regionale contro ogni forma di discriminazione. Che si tratti di razza, religione, disabilità, "età o orientamenti sessuali, l'obiettivo di fondo resta quello di rimuovere gli atteggiamenti discriminatori, ' sviluppare risorse adeguate e sostenere le attività delle reti territoriali. "L'Osservatorio potrà operare in collaborazione con l'Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull'origine etnica (UNAR) - dichiara il consigliere Miele - istituito presso il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio. Inoltre, la struttura potrà collaborare con le Province, i Comuni, l'Osservatorio cittadino di prevenzione e contrasto delle discriminazioni del Comune di Roma, con quelli presenti negli altri Comuni del Lazio". La proposta di legge prevede l'istituzione, presso il Consiglio regionale del Lazio, di una assemblea regionale per la tutela antidiscriminatoria.. "vogliamo dare un cambio di rotta per rispondere a tutte quelle esigenze che la realtà regionale ci offre - continua Miele - non considerando solo i fenomeni di razzismo e di immigrazione,jmim ma riferendosi alle realtà sociali che possono sviluppare tensioni e fenomeni discriminatori". È previsto uno "stanziamento di 200mila euro per la fase di start up che potrà essere adeguato successivamente in base alle esigenze e al tessuto territoriale di una Regione vasta e importante come il Lazio", conclude il consigliere Giancarlo Miele.





Su Facebook il diaro degli immigrati

l'Unità, 09-06-2010
Luciana Ciminotutti
Salire su un autobus, vedere un immigrato e stringersi al petto la borsa. Un gesto istintivo per molti. Non per Carlotta Mismetti Capua, giornalista di Epolis e collaboratrice del gruppo editoriale Espresso che quella piovosa sera del dicembre 2008 sulla linea 175, «per sfregio» nei confronti degli altri passeggeri che preferivano stare tutti pressati in una parte del bus piuttosto che sedersi vicino a 4 immigrati, si è avvicinata a quei volti senza nome e, sempre «per sfregio» nei confronti «della paura e dell’ignoranza» dei suoi concittadini ha cominciato a parlare loro. Ha scoperto così che non erano rumeni, come commentava la gente malevolmente lì, sul mezzo, ma afghani e che erano bambini: dai 10 ai 18 anni. Bambini in fuga dalla guerra. Avevano percorso 5000 chilometri a piedi e l’unica cosa che sapevano dell’Italia e di Roma era che il 175 li avrebbe portati a «Piramid». «Ho scoperto con il tempo – racconta Carlotta – che se c’è una cosa che sanno tutti gli immigrati, prima di imbarcarsi a Patrasso, è che il 175 porta a Piramide». Ora, per chi non conoscesse Roma, Piramide è certo un noto monumento della capitale, ma è soprattutto vicino ad Ostiense, di giorno importante snodo ferroviario, di notte dormitorio per centinaia di migranti. Carlotta non è scesa dal bus ma ha continuato a seguire quei ragazzi, giorno per giorno. «Ormai sono i miei “nipotastri”». La sua esperienza è diventata un diario pubblicato su Facebook, ora selezionato tra i dieci finalisti in concorso al XXXI Premio Ischia per il Giornalismo nella sezione “Social Network” (“La città di Asterix”, si può votare fino al 25 giungo collegandosi al sito www.premioischia.it). «Ho proposto un pezzo ai giornali per cui scrivevo ma mi sono presto resa conto – dice l’autrice – che non mi bastava solo un articolo. Mi interessava capire dove vai a finire quando hai 10 anni e piove: quando è che sei finalmente al sicuro? Fra inconsapevolezza e urgenza del racconto ho scelto Facebook». E così, per sette mesi, ha narrato la fatica di trovare una sistemazione per quattro ragazzini afghani, che in teoria avrebbero diritto all’ospitalità, in una città come Roma «dove ci sono solo 100 posti letto per minorenni non accompagnati e le Politiche Sociali non sono praticamente in grado di provvedere a una sistemazione legale per quanti hanno necessità». «E’ dura da dire ma qui un minore o viene accolto, possibilità remota, o viene rifiutato o muore o, più spesso, transita verso altre mete, come Inghilterra o Svizzera, dove i diritti fondamentali sono riconosciuti». La pagina di Facebook è seguita ormai da più di mille persone, entusiaste del suo gesto. «La cosa allucinante è che gli utenti lo vedono come un atto straordinario anziché come una cosa ordinaria». Ma a qualcuno da addirittura fastidio: tempo fa Carlotta ha ricevuto la telefonata di un sedicente poliziotto che le intimava di stare attenta.«E perché poi?», si chiede lei, forte del consenso ricevuto, al quale il premio Ischia da certamente un valore aggiunto in più. Carlotta vorrebbe ora che il suo ruolo per questi ragazzi venisse riconosciuto legalmente, ad esempio con la figura del tutor, già adottato in via sperimentale in alcune regioni. «Mi sto attivando per questo, vorrei che si creasse un movimento d’opinione». La notizia più bella sarebbe «che finisse la guerra in Afghanistan, così i ragazzi potrebbero tornare nel loro paese». «Mi fanno rabbia quegli italiani che dicono degli immigrati “ma tornassero a casa loro”, e certo che ci tornerebbero! Ma lo sappiamo da che cosa scappano?». Intanto continua a pubblicare post sulla sua pagina Fb, come quello di qualche settimana fa, il tema di Akmed, uno dei ragazzini, che ora frequenta una scuola di Centocelle: “Io ho una buona volontà e amo studiare, il mio desiderio è studiare. Solo studiare. Magari che un giorno sarò una persona che aiuta gli altri gente”.



I tagli al multiculti
La riscossa dei liberali in Olanda fa paura al ventre molle dell'integrazione

Il Foglio, 09-06-2010
Il corso delle elezioni olandesi è cambiato all'improvviso a metà marzo, quando uno dei più autorevoli centri studi del paese, il First Central Plan-bureau, ha segnalato che il rischio del debito stava crescendo e che l'unica strada per evitare il collasso era l'au¬terità. La campagna elettorale d'Olanda si è trasformata: basta parlare di Afghanistan - il governo era caduto proprio sulla missione militare - e di integrazione, è ora di fare i conti. Così è partita la riscossa dei liberali del Vvd (People's Party for Freedom and Democracy), guidati da Mark Rutte, che secondo gli ultimi sondaggi oggi potrebbe ottenere 36 seggi in Parlamento (ora ne ha 21), scalzando laburisti e cristiano democratici. Rutte promette inevitabile austerità, tagli alla spesa, innalzamento dell'età pensionabile (da 65 a 67 anni) con contestuale abbassamento delle tasse per famiglie e aziende. La proposta è stata accolta bene, soltanto i laburisti del nuovo (e celebratissimo dalla stampa internazionale) leader Job Cohen contendono il primato a Rutte (il programma è speculare, Cohen vuole aumentare le tasse). E Geert Wilders, erede di Pim Fortuyn e fenomeno politico degli ultimi anni? Molti ne festeggiano con sollievo la caduta: i sondaggi lo danno a 18 seggi, che sono comunque il doppio dei nove attuali, ma a febbraio era dato per vincitore con 24 seggi.
La festa indetta da chi vede in Wilders un pericoloso disturbatore della quiete multiculturale politicamente corretta potrebbe essere prematura. E' vero che Rutte dice: "Dopo tutto non sono i musulmani che stanno facendo cadere l'euro", sintetizzando a meraviglia la campagna elettorale, ma è anche vero che i liberali non escludono la possibilità di formare un governo con il Freedom Party di Wilders. Per alcuni commentatori si tratta di calcolo politico - meglio non ostracizzare Wilders, potrebbe essere controproducente - ma c'è qualcosa di più. C'è che Wilders è cresciuto nel mondo dei liberali prima di uscirne e fare la sua strada da solo. E c'è che l'austerità non è una buona notizia per il ventre molle del multiculturalismo. Come spiega il commentatore Mark Steyn, la crisi, i tagli e la ristrutturazione del welfare sono pericolosi quasi più delle leggi sull'immigrazione: anche Pim Fortuyn aveva in programma tagli al welfare come misura libertaria e antislamista. Quel mondo fintamente integrato che prospera grazie all'assistenzialismo e all'abbraccio dello stato ha i motivi per temere Rutte ancor più di Wilders.


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