Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

30 aprile 2010

Il razzismo è federale
Luigi Manconi    Federica Resta
Il Manifesto 30 aprile 2010
Un’intolleranza decentrata, una discriminazione periferica, una sorta di “razzismo federale", devoluto e disseminato, ecco ciò che emerge con forza da qualche tempo. La mappa dell’aggressività selettiva e sperequatrice, è agevolmente ricostruibile esaminando ordinanze e delibere che, a partire da decisioni di Giunte e di consigli comunali, intervengono potentemente sulle relazioni sociali e sui comportamenti individuali. 
Precedenza agli italiani nelle graduatorie per le casi popolari, per i posti negli asili, per i sussidi economici e le integrazioni di reddito, divieto di iscrizione all’anagrafe degli stranieri con precedenti penali e con un reddito inferiore all’importo dell’assegno sociale, limiti al riconoscimento dell’abitabilità degli edifici, mancata erogazione del bonus bebè alle famiglie immigrate, “norme anti-kebab”, divieto di tenere riunioni pubbliche in lingue diverse da quella italiana, preavviso di almeno trenta giorni all'autorità locale di pubblica sicurezza per «chi promuove o dirige funzioni, cerimonie o pratiche religiose aperte al pubblico, fuori dai luoghi destinati al culto». E altro (molto altro) ancora.
E’ quanto previsto non da leggi di un secolo fa, ma da recentissime ordinanze di molti comuni italiani, rese possibili da una norma del primo decreto sicurezza varato in questa legislatura (d.l. 92/2008).
Nella più ottimistica delle ipotesi, sullo sfondo potrebbe esserci – almeno per quei sindaci non dichiaratamente xenofobi - la teoria, elaborata dall’allora primo cittadino di New York, Rudolph Giuliani, delle “Broken windows” (finestre rotte). Insomma  quei provvedimenti dovrebbero consentire di eliminare le cause profonde del crimine, nella presunzione che laddove le finestre rotte e le cabine divelte non vengano riparate, si ingeneri nella collettività una percezione di degrado e di mancato controllo: e questo favorirebbe la diffusione di fenomeni criminali.
Ma gli effetti concreti di quelle ordinanze certificano il fallimento di una simile “utopia negativa”. Anche grazie all’ambivalenza del concetto di “sicurezza urbana” e al fatto che a emanarle, quelle ordinanze, sono stati finora, in prevalenza, sindaci ispirati da una concezione autoritaria e xenofoba, fino al razzismo. E quel concetto stravolto di sicurezza urbana tende a ridursi al diritto dei cittadini italiani (pienamente integrati e conformi allo stereotipo di “normalità” diffuso nel discorso pubblico) a non essere “turbati”, nelle loro “piccole patrie”, dalla presenza di soggetti estranei.
Il fatto che le ordinanze più recenti, emanate da sindaci leghisti, siano dirette a escludere dall’esercizio di diritti fondamentali (istruzione, libertà di culto, abitazione, etc.) proprio gli stranieri, dimostra come quelle decisioni rappresentano strumenti assai pericolosi, capaci di  fare ciò che neppure una legge potrebbe. Si pensi infatti che la sentenza 306/2008 della Corte costituzionale ha dichiarato illegittima una legge che escludeva gli immigrati privi dei requisiti di reddito già stabiliti per la carta di soggiorno dal diritto a fruire dell’indennità per invalidità civile. Ovviamente, anche le ordinanze dei sindaci non sono, per fortuna, del tutto immuni dal controllo di legalità (dovendo del resto rispettare almeno i princìpi generali dell’ordinamento): alcune di esse sono state infatti annullate dal giudice amministrativo, come nel caso dell’ordinanza del comune di Trenzano che limitava la libertà di riunione, colpendo di fatto le comunità islamiche; o come nel caso dell’ordinanza anti-accattonaggio del comune di Selvazzano Dentro.
E tuttavia il controllo giurisdizionale non può eliminare i danni più profondi prodotti dalle ordinanze nel tessuto sociale e nella cultura condivisa: la costruzione  di una categoria di “non-persone” private dei diritti e delle libertà fondamentali, che vanno riconosciuti all’essere umano in quanto tale e non in ragione della sua cittadinanza. Un percorso degenerativo porta infatti dalle prime ordinanze contingibili e urgenti emanate prima del decreto-sicurezza del 2008 a quelle odierne. Se si pensa al provvedimento capostipite, quello “contro i lavavetri”, del sindaco di Firenze (agosto 2008), si ricorderà che il rischio allora paventato era quello di un ‘federalismo penale’, conseguente alla combinazione tra una norma penale in bianco (il reato di inosservanza di provvedimenti dell’Autorità: art. 650 c.p.) e i precetti amministrativi contenuti nelle ordinanze. Combinazione, questa, che finiva con il rendere penalmente illecito un comportamento altrove assolutamente legittimo, solo in virtù di un’ordinanza che lo vietava in un determinato territorio.
Oggi, con l’estensione dei poteri dei sindaci, il rischio è ben maggiore e consiste nella realizzazione di un vero e proprio federalismo delle libertà e dei diritti fondamentali, tutto in chiave restrittiva e repressiva, invocato ancora una volta contro coloro che dispongono solo della propria “nuda vita”.






Meno clandestini ma periferie a rischio
Panorama, 30-04-2010
di STEFANO VESPA

Diminuiscono gli immigrati clandestini, senza però un'adeguata integrazione dei residenti regolari nella società italiana. Anzi, troppi minorenni non conoscono neanche la nostra lingua, con difficoltà scolastiche immaginabili.
È l'estrema sintesi della ricerca condotta nel 2009 dal dipartimento di sociologia dell'Università Cattolica di Milano su Processi migratori e integrazione nelle periferie urbane, promossa dal ministero dell'Interno. Due ponderosi tomi che saranno presentati il 10 maggio a Milano e di cui Panorama ha letto in anteprima l'introduzione della professoressa Rita Bichi.
Una ricerca che conferma la correlazione fra immigrati irregolari e criminalità e che si focalizza sulle periferie a rischio, dove il degrado è figlio di «povertà, discriminazione e assenza di speranza».
Gli immigrati regolari sono quasi 5 milioni, mentre i clandestini calano a 450 mila all'inizio di quest'anno, «ma le spiegazioni sono molteplici» dice Bichi. «La legge Bossi-Fini, le sanatorie, i minori arrivi dopo gli accordi internazionali». Un altro punto che farà discutere è la proposta di «adeguate soglie di sostenibilità» di immigrati in determinate aree. In altre parole, nelle periferie più a rischio le amministrazioni locali non dovrebbero concentrare più di un certo numero di stranieri evitando «insediamenti di rom e sinti». E mentre l'ignoranza dell'italiano dev'essere eliminata con corsi per l'apprendimento della lingua e della Costituzione, andrebbe stabilito per ogni classe un numero massimo di alunni stranieri che non parlano la nostra lingua. Oltre a consigliare l'abbattimento di edifici «incubatori di marginalità», la ricerca sottolinea che le periferie a rischio sono spesso sinonimo di case popolari. E così l'Università Cattolica suggerisce di ridurre la concentrazione di poveri e immigrati in determinate aree, aggiungendo che va affrontato radicalmente il problema dei grandi complessi di edilizia popolari e che, in prospettiva, va ripensata la logica della pianificazione urbanistica rivedendo la legge nazionale.







Unione Europea: non seguiremo l'Italia in accordo con la Libia

ADUC, 30-04-2010

L'Unione Europea, in un eventuale accordo con la Libia in materia di immigrazione, non seguira' le orme dell'Italia. Il commissario dell'Ue per agli affari interni Cecilia Malmstrom, ieri a Roma per la sua prima visita in Italia, durante la quale ha incontrato il Ministro degli Esteri Franco Frattini e il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano, ha escluso cosi' che il patto firmato a Bengasi tra Roma e Tripoli possa essere un modello per tutta l'Europa.
'Conditio sine qua non' per una simile ipotesi, ha sottolineato, e' infatti che la Libia aderisca alla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, alla quale l'intesa italo-libica non fa alcun riferimento.
E si e' trovata poi ad affrontare anche il nodo di Malta, dove fara' domani la seconda tappa della sua missione, che proprio oggi ha annunciato di voler uscire da Frontex, l'agenzia chiave per la gestione europea delle frontiere esterne.
Nel corso dei suoi incontri alla Farnesina e al Viminale, la Malmstrom ha sottolineato la necessita' 'di armonizzare le procedure comunitarie' in materia di immigrazione realizzando al piu' presto un sistema comune di asilo europeo' e rafforzando l'agenzia Frontex, che si occupa della gestione delle frontiere esterne. Ed ha assicurato che il ritiro di Malta da Frontex 'sarebbe un peccato e sara' uno svantaggio' soprattutto per La Valletta perche' 'perdera' la capacita' di gestire la frontiera' nei confronti dei flussi migratori.
Il commissario Ue, ha piu' volte ribadito la 'necessita' di una cooperazione con i Paesi terzi, a partire da quelli piu' vicini all'Europa come la Libia'. Tenendo pero' presente alcuni punti fermi: 'l'adesione di Tripoli alla Convenzione di Ginevra o a quella equivalente siglata tra gli Stati africani e il rispetto del diritto di richiedere asilo in mare', ha spiegato.
La Libia, 'non e' un Paese facile' ma sarebbe molto 'importante provare ad iniziare una trattativa' in materia di immigrazione, ha sottolineato la Malmstrom, ricordando di aver gia' inviato una lettera al ministro degli Esteri libico Mousa Koussa 'invitandolo ad un dialogo formale'.
Immigrazione, sicurezza interna, contrasto alla criminalita' organizzata. Questi i punti su cui occorre una solidarieta' comunitaria' sfruttando anche un dialogo costante con i Parlamenti nazionali. 'E' un progetto ambizioso', ha avvertito la Malmstrom, insediatasi nella Commissione europea lo scorso febbraio ma gia' pronta a istituire un ufficio di supporto europeo per i richiedenti asilo nei Paesi piu' 'caldi', a partire da Malta.
Complice la bocciatura annunciata ieri del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa sulla politica dei respingimenti dell'Italia, alla Malmstrom e' stata chiesta piu' volte, nel corso di un'audizione a Montecitorio, una sua valutazione a riguardo. Il commissario ha 'ribadito che nel momento in cui degli immigrati salgono su navi italiane un governo e' obbligato a verificare, prima di rispedirli da dove sono venuti, se c'e' qualcuno avente diritto di asilo', ha spiegato Sandro Gozi del Pd definendo pero' l'intervento della Malmstrom 'troppo prudente', centrato soprattutto su quel 'principio di non respingimenti in mare' senza il quale un accrodo tra Ue e Libia non sara' praticabile. (Ansa)







La Camera approva la legge all'unanimità: vogliamo difendere la dignità delle donne
Il Belgio primo paese a vietare il burqa

la Repubblica, 30-04-2010
ANDREA BONANNI

NONOSTANTE sia in piena crisi di governo e alla vigilia di elezioni anticipate, il Parlamento belga ha approvato ieri all'unanimità una legge che vieta di indossare il velo islamico integrale nei luoghi pubblici e per la strada. La norma dovrà ora passare all'esame del Senato.
Se la camera alta la approverà, il Belgio sarà il primo Paese d'Europa a varare una legge contro il burqa e il niqab, i due costumi islamici che coprono completamente il volto delle donne.
La norma, che era stata proposta dai liberalisia fiamminghi sia francofoni, era già stata approvata all'unanimità in commissione parlamentare. Poi la crisi di governo aveva costretto la Camera a rinviare il voto. Ieri il provvedimento ha avuto il sostegno di tutti i partiti e di tutti i gruppi linguistici, ed è stato approvato con 136 voti favorevoli e due sole astensioni. La Francia dovrebbe approvare una legge analoga su proposta del governo a maggio.
Si tratta di una decisione il cui valore è quasi puramente simbolico. L'uso del velo integrale è poco diffuso in Belgio, dove la comunità musulmana è principalmente di origine turca o magrebina. Inoltre in quasi tutti i comuni sono già in vigore regolamenti di polizia che vietano, per motivi di ordine pubblico, di circolare per strada con il volto coperto. Nella sola regione di Bruxelles l'anno scorso la polizia ha contestato 29 contravvenzioni al regolamento.
Anche la nuova legge, contrariamente ad una prima bozza che era circolata, non menziona esplicitamente il velo islamico, ma vieta di circolare «in uno spazio pubblico col volto coperto o mascherato, completamente o in parte, con un capo di abbigliamento che non le rende identificabili». Sono previste eccezioni per il periodo di carnevale, solo se esplicitamente autorizzate da un'ordinanza comunale. Non è chiaro invece come vengano esclusi dalla norma i motociclisti che indossano un casco integrale.
Nel corso degli interventi prima del voto, quasi tutti i deputati hanno messo in rilievo che la nuova legge vuole essere un passo in difesa della dignità della donna. Il burqa e il niqab sono «prigioni mobili» ha dichiarato il liberale fiammingo Bart Somers. «L'immagine del nostro Paese all'estero e sempre meno comprensibile — ha dichiarato il suo compagno di partito francofono Denis Ducarme facendo riferimento all'ennesima crisi tra fiamminghi e valloni—Ma almeno l'unanimità raggiunta su questo provvedimento è un elemento di orgoglio per l'essere belgi. Siamo il primo Paese europeo a far saltare il chiavistello che aveva messo le donne in stato di schiavitù. E speriamo che altri, come la Francia, l'Italia o l'Olanda, ci seguano». Resta però ora da vedere se il senato avrò il tempo di approvare a sua volta la norma dandole validità legale prima dello scioglimento delle camere. Il governo belga è caduto per l'ennesima volta su una complessa questione lingui¬stica che divide fiamminghi e valloni nella circoscrizione elettorale di Halle-Bruxelles-Vilvoorde. Le elezioni anticipate sembrano inevitabili. E probabilmente si voterà a giugno.

IL VOTO
La Camera belga ha votato all'unanimità la legge che vieta il burqa nei luoghi pubblici
L'ITER
Per la definitiva approvazione adesso occorre il sì del Senato che viene dato per scontato
LE SANZIONI
Ammenda dal 5 a 25 euro o una settimana di carcere per chi non rispetta la legge

Il velo islamico
Hijab
Il termine deriva dalla parola araba "velo". E un foulard che copre testa e spalle lasciando scoperto il viso
Chador
Lo indossano le donne iraniane quando escono di casa. Copre completamente il corpo fino ai piedi
Al Amira
Velo in due pezzi. Sotto una specie di berretto aderente in cotone che trattiene i capelli e sopra un foulard tubolare-che copre il collo
Niqab
Serve per velare il volto lasciando scoperti gli occhi. Solitamente viene indossato con il Khimar
Shayla
Lunga sciarpa rettangolare avvolta intorno alla testa e fermata con una spilla sulla spalla
Burqa
Specie di mantello che copre completamente la testa, il viso e il corpo. Una retina davanti agli occhi permette di vedere
Khimar
Lungo velo che scende fino alla vita. Copre completamente capelli, collo e spalle, ma non il viso







LA PRIMA VOLTA IN EUROPA
Il Belgio fa scuola in Occidente: vietato il burqa

il Giornale, 30-04-2010
Diana Alfieri

Nonostante la crisi di governo, i deputati votano all'unanimità il provvedimento che impedisce di indossare il velo islamico nei luoghi pubblici, compresi strade, giardini e impianti sportivi. Prevista anche la detenzione per chi non rispetta la legge

Tutti d'accordo, solo in due si astengono. Così, anche nel pieno di una crisi di governo, i deputati belgi trovano l'accordo per introdurre il divieto assoluto di indossare il burqa nei luoghi pubblici, comprese strade, giardini e impianti sportivi. Nonostante l'incertezza politica che regna nel paese, il Belgio diventa la prima nazione occidentale a prendere la decisione di mettere al bando il velo integrale islamico, in attesa del via libera anche da parte del Senato che renderà definitivo il provvedimento, sempre che le Camere non vengano sciolte prima per indire elezioni anticipate.
Battuta dunque sui tempi anche la Francia di Nicolas Sarkozy, il presidente che pu-re da tempo ha dichiarato guerra al velo islamico ma che solo a maggio vedrà una proposta di divieto, seppur non totale, approdare all'Assemblea generale.
La proposta approvata ieri serain Belgio prevede un'ammenda da 15 a 25 euro e/o una settimana di detenzione per chiunque si presenterà in un luogo pubblico col volto coperto o mascherato in tutto o in parte in modo da rendere impossibile l'identificazione. Il testo non parla esplicita-
mente di burqa o di niqab. Eccezioni sono previste per le feste di carnevale e vari esperti in Belgio hanno espresso dubbi sull'utilità di una legge di questo genere dato che regolamenti di polizia vietano di coprire il volto già in molti comuni belgi. Il testo e soprattutto il voto così schiacciante espresso dai deputati hanno però una valenza simbolica. Entro l'estate burqa e niqab, peraltro non troppo diffusi in Belgio, potrebbero spa-
rire da strade, parchi, ristoranti, ospedali scuole e tutti gli edifici destinati al pubblico. Per i promotori dell'iniziativa si tratta non solo di assicurare la pubblica sicurezza ma di rispettare la dignità delle donne, assicurando il rispetto diprincipi democratici fondamentali.
Il clima attorno a provvedimenti del genere si va surri-scaldando in Europa. Ferma la posizione del capo dello Stato francese, che proprio nei giorni scorsi - secondo indiscrezioni del giornale satirico Le Canard Enchaine -avrebbe detto: «Non prendiamo lezioni da paesi in cui le chiese sono vietate». La dura affermazione è arrivata dopo che il ministro degli Esteri Bernard Kouchner, in occasione di un incontro di governo il 21 aprile, sulla questione del progetto di legge sul burqa, chiedeva alpresidente «come rea-giranno i paesi arabo-islamici» di fronte a un divieto del niqab, esprimendo il timore di «infastidire gli Stati Uniti visto il loro concetto di libertà individuale». Sarkozy avrebbe risposto: «Non prendiamo lezioni sui diritti umani dagli Stati Uniti, dal momento che la pena di morte viene ancora applicata in metà degli Usa, né prendiamo lezioni dai paesi in cui le chiese sono vietate, mentre noi in Francia abbiamo 1200 moschee».
Il primo ministro francese Francois Fillon si è premurato  però nei giorni scorsi di rassicurare i musulmani francesi precisando che la legge sul divieto del niqab, il velo integrale, attualmente in fase di discussione, non è rivolta contro l'islam né contro i suoi precetti. Anche per questo Fillon ha ricevuto il presidente del Consiglio francese per il culto islamico, Muhammad al-Mousawi, nel quadro delle consultazioni avviate dall'esecutivo in vista della presentazione del progetto di legge anti-burqa.








Stati Uniti Sull'immigrazione monta la protesta dei «latinos»

il Giornale, 30-04-2010

Monta la protesta dei «latinos» per abolire la nuova legge dell'Arizona - definita «irresponsabile» dal presidente Barack Obama - e spingere la Casa Bianca a presentare la tanto agognata riforma dell'immigrazione. Testimonial della protesta, Shakira, la pop star nata in Colombia, che è a Phoenix per sostenere la campagna contro le nuove regole. E il prossimo «cinco de mayo», la festa dell'orgoglio messicano, si annuncia già come un giorno ad alta tensione, con oltre 70 manifestazioni di piazza nelle maggiori città americane. Il capo della Casa Bianca, però frena sulla riforma, anche se i senatori democratici, a sorpresa, hanno annunciato di essere pronti a presentare una proposta organica, che accoglie molti punti sollevati dalle associazioni a difesa dei diritti degli immigrati. Dalle prime indiscrezioni si tratterebbe di 26 pagine in cui si prevede un maggiore controllo alle frontiere. Ma non si sa ancora cosa preveda circa il trattamento da riservare ai clandestini.







La paura degli svedesi "Il Medioriente in casa"
Rifugiati politici in fuga dalle guerre sopravvivono grazie al welfare La rabbia degli abitanti: "Disoccupazione alle stelle e tensione sociale"

La Stampa, 30-04-2010
GIANNI ARMAND-PILON

La Volvo S-60 imbocca veloce l'Amiralsgatan, la strada che taglia il quartiere popolare di Rosengard, il «giardino delle rose» di Malmo. La musica greca che riempie l'abitacolo fa a pugni con la timida primavera svedese che scorre fuori dai finestrini. Andreas Konstantinidis supera un paio di chioschi con le scritte in arabo per la vendita di kebab e falafel, si infila in un vialetto alberato e parcheggia: «Siamo arrivati». Oltre la bassa recinzione di legno, al centro di tre edifici di edilizia popolare, c'è il Campetto dove Zlatan Ibrahimovic ha tirato i primi calci a un pallone. Tutt'intorno, si vedono solo donne con il velo che tornano a casa con la sporta della spesa.
Andreas Konstantinidis, il presidente di quello che è stato definito il ghetto della nuova Svezia multietnica, è un uomo dall'aria mite. Racconta di essere arrivato a Malmo nel 1974, anno dell'invasione di Cipro da parte della Turchia. Conosce palmo a palmo queste strade, i suoi palazzi, e le storie della difficile integrazione di chi li abita. Le statistiche parlano di 23 mila abitanti e 170 nazionalità, con una schiacciante prevalenza di Paesi segnati da guerre e lotte interne: Iraq, Afghanistan, Palestina, Somalia. Le percentuali di disoccupazione sono da brivido: quasi il 90 per cento non lavora e sopravvive con i sussidi del mitico welfare scandinavo.
Le violenze dell'altra notte non sono una novità. Sui quotidiani non passa giorno senza che le cronache non riportino episodi di scontri con la polizia e tensioni con la maggioranza sempre più esigua di svedesi (180 mila persone su un totale di 270 mila abitanti). E non mancano di sottolineare che tutto questo si deve al fatto che la grande maggioranza degli immigrati ha lo status di rifugiato politico. Come dire: gente che in Svezia non cerca una vita migliore ma che semplicemente si trasferisce qui per necessità vitale, finendo per esportare nella tranquilla Scania conflitti che infiammano terre lontane.
Nella moltiplicazione dei gesti e del loro contenuto simbolico, caratteristica del mondo globalizzato, non c'è da stupirsi se una pietra lanciata nei territori di Gaza finisce per infrangersi contro il parabrezza di un'auto della polizia di Malmo.
Che fare? Nel suo piccolo ufficio in Municipio, Mattias Karlsson, 33 anni, membro del direttivo nazionale della Sverige Demokaterna, una sorta di Lega Nord svedese, non ha dubbi: «Bloccare l'immigrazione, non c'è altra strada. Le statistiche ufficiali, già preoccupanti, nascondono la drammatica deriva di Malmo. Non dicono, per esempio, che i bambini figli di genitori entrambi svedesi sono ormai una minoranza rispetto a quelli che hanno un padre o una madre, o tutti e due, nati all'estero. Negli uffici pubblici ci sono dipendenti che sono stati assunti solo perché parlano arabo. Nelle piscine si tengono corsi separati per maschi e femmine. Le tradizioni natalizie si stanno perdendo per il timore di discriminare la popolazione musulmana. Per non parlare dei reati: il 90 per cento degli autori è straniero, il 90 per cento delle vittime è svedese». Karlsson non fa mistero delle ambizioni del suo partito: «Alle elezioni di settembre supereremo lo sbarramento del 4 % ed entreremo in Parlamento. A Malmo siamo già al 7,5%, e puntiamo a raddoppiare i nostri consensi».
Il fatto è che, come molte città post-industriali, anche Malmo sembra avere una vita sdoppiata. Paure alimentate da una dose di facile populismo, ma anche tante possibilità. Se da un lato la percentuale di reddito prodotta negli ultimi 40 anni dall'industria - in testa quella portuale - è precipitata dal 50 al 12 per cento, dall'altra la forte spinta migratoria ha contribuito ad abbassare l'età media della popolazione, collocandosi a livelli che il resto d'Europa si sogna, e facendo guadagnare a Malmo l'appellativo di città giovane, alla moda. «Cool and glamour» per usare le parole del giudice Kristina Hedlund, che in Tribunale si occupa dei ricorsi di quegli immi¬grati che per un motivo o per l'altro si sono visti negare il permesso di soggiorno.
«Questione di prospettive» ammette Kent Andersson, il vice sindaco socialde-mocratico di Malmo. Che spiega: «Come tutti i grandi cambiamenti, anche quello che sta affrontando Malmo è una medaglia a due facce. Me ne accorgo quando presento i dati sull'età media della nostra popolazione. I professori universitari ne sono entusiasti: "Che fortuna, avete un futuro assicurato". Se invece ne parlo con un poliziotto, sono certo che quello scuoterà la testa: "Poveretti, chissà quanta criminalità gio¬vanile...". Hanno ragio¬ne entrambi. Ma io mi di¬co: meglio avere tanti giovani da educare - per quanto sia difficile integrarli - che nessuno, come in Danimarca».
Questione di prospettive, certo. Anche Andreas Konstantinidis non vuole arrendersi: «Molte delle persone che vivono a Rosengard non si sentono svedesi, non vogliono essere svedesi, e forse ci vorrebbero più risorse da investire nella scuola per fargli cambiare idea. Ma io credo nel modello di questo Paese, e sono sicuro che alla fine ce la faranno come ce l'ho fatta io». Fra i 2 mila membri della comunità ebraica sono pochi a pensarla allo stesso modo: «E' un illuso. Malmó è diventata una provincia del Medio Oriente. I nostri studenti sono minacciati di morte. Quando entriamo nelle classi per parlare dell'Olocausto i ragazzi stranieri escono perché si rifiutano di ascoltare. Molti di noi hanno già fatto le valigie e si sono trasferiti in Israele».








Immigrati in rivolta nel "ghetto" di Malmò
"Vogliamo tutto e subito come voi, o sfasceremo le vostre belle cose"

la Stampa, 30-04-2010
FRANCESCO S. ALONZO

Il sobborgo Rosengaard di Malmò è ancora una volta teatro di violente sommosse da parte di giovani immigrati, stipati in questo ghetto che ghetto proprio non è, dato che tutti abitano in abitazioni decorose, dotate di ogni confort, dai bagni in maiolica alle cucine completamente arredate. Tutto pagato dal Comune.
Nella notte fra mercoledì e giovedì, una turba di giovani indossanti passamontagna e maschere di vario tipo ha preso d'assalto scuole, autovetture, chioschi e cassonetti, dando alle fiamme tutto ciò che trovava sulla propria strada.
Dopo la mezzanotte si è aggiunto un gruppo ancor più consistente di giovani immigrati che ha continuato l'opera di distruzione su vasta scala. I vigili del fuoco accorsi per domare gli incendi sono stati accolti a sassate e contro di loro sono stati sparati dei razzi. Una pattuglia di polizia che è stata inviata per proteggere i pompieri è stata fatta segno al lancio di oggetti di ogni tipo e ha dovuto immediatamente chiamare rinforzi. Soltanto dopo aver arrestato alcuni dei capi, si è potuta placare, almeno temporaneamente la sommossa.
I giovani fermati, quasi tutti sotto l'effetto di droghe, hanno spiegato che l'azione scatenata nella notte era una vendetta per l'arresto arbitrario di un loro compagno, eseguito dalla polizia svedese il giorno prima. Sono occorse parecchie ore per spegnere gli incendi e per rimuovere i relitti delle auto incendiate o distrutte. Una testimone oculare ha detto: «Ho paura. Stanotte bruciava dappertutto, specialmente lungo la via Ramel dove abito. Ho visto tutto dal balcone e non ho il coraggio di scendere in strada nei prossimi giorni».
Quando pareva che la sommossa fosse finita, è ricominciato, nel pomeriggio di ieri, giovedì, l'attacco agli edifici, con il lancio di materiale incendiario. Questa volta fuoco e fiamme si potevano vedere fin dal centro di Malmò e centinaia di agenti antisommossa sono stati inviati nella zona.
Un portavoce della polizìa ha riferito, alla televisione svedese, che altri gruppi, provenienti da città e centri vicini, si sono aggiunti ai dimostranti. Non si esclude l'ipotesi che la rivolta sia stata organizzata da elementi esterni, forse addirittura dall'estero, probabilmente di ispirazione islamica, per creare disordine in questa città svedese dove un terzo dei 278.000 abitanti sono stranieri e 60.000 di essi sono musulmani provenienti soprattutto dai Balcani e dal Maghreb. La maggioranza di questi giovani non ha finito la scuola e stenta a trovare un lavoro. Oppure non vuole abbassarsi a svolgere mansioni umili. Come ci dice uno di essi quando gli domandiamo perché «protesti in quel modo» senza motivi. «Vogliamo tutto e subito. Come gli svedesi, altrimenti sfasceremo tutte le loro belle cose».








Approvata alla Camera
In Belgio il primo sì alla legge anti-burqa

Corriere della Sera, 30-04-2010

BRUXELLES — La crisi di governo in Belgio non frena la legge anti-burqa. Ieri i deputati hanno approvato pressoché all'unanimità (134 sì, due astensioni e nessun voto contrario) il divieto sul velo islamico integrale nei luoghi pubblici, anche all'aperto (strade, giardini e impianti sportivi). Il Belgio diventa così il primo Paese occidentale a licenziare una misura simile, anticipando la Francia che esaminerà un provvedimento analogo a maggio. Il testo, che ora dovrà passare all'esame del Senato, stabilisce che chi si presenta in uno spazio pubblico «col volto coperto o mascherato, completamente 0 in parte, con un capo di abbigliamento che non le rende identificabili» dovrà pagare una multa di 25 euro e rischia una condanna fino a 7 giorni di reclusione.








Belgio, divieto per il velo integrale

La Stampa,30-04-2010

Il primo Paese in Europa Con 134 voti a favore, due astensioni e nessun voto contrario il Parlamento belga ha approvato il divieto di indossare in pubblico il burqa e tutti i veli integrali, incluso il niqab. IL Belgio è così il primo Paese europeo a decidere in tal senso. Coloro che ignoreranno il divieto dovranno pagare una multa fino a 25 euro e rischiano una condanna ad un massimo di 7 giorni di reclusione. In Francia il presidente Nicolas Sarkozy vuole seguire la stessa strada.







Via libera del Parlamento alla legge che vieta il burqa

il Sole, 30-04-2010

Con 134 voti a favore, due astensioni e nessun voto contrario, il parlamento belga ha approvato il divieto di indossare in pubblico il burqa e gli altri veli integrali. Il Belgio è così il primo paese europeo a decidere in tal senso (come anticipato dal Sole 24 Ore del 1°aprile). Coloro che ignoreranno il divieto dovranno pagare una multa fino a 25 euro e rischiano la condanna a un massimo di 7 giorni di reclusione. In Francia  il presidente Nicolas Sarkozy punta all'approvazione di una legge altrettanto severa.


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