28 aprile 2015

L'Onu smonta il governo: "Sbagliato colpire i barconi"
Passerella del segretario Ban Ki-moon sulla nave San Giusto, ma la linea dell'Italia viene bocciata in pieno: "In Libia non c'è alternativa al dialogo"
il Giornale, 28-04-2015
Massimiliano Scafi
Lo porta subito al «fronte». Lo carica su un aereo e lo fa scendere in mezzo al mare di Sicilia, dove la settimana scorsa sono morte 725 persone, per «fargli vedere fisicamente, plasticamente, quello che l'Italia sta facendo».
Il segretario generale dell'Onu quasi non fa in tempo ad arrivare a Roma che Matteo Renzi lo infila sull'Airbus della presidenza del Consiglio e, insieme a Federica Mogherini, lo trasporta a bordo di una delle navi che pattugliano il Canale. Vertice sul campo, in zona operativa, nel quadrato della San Giusto, preceduto da uno scambio di opinioni in alta quota fotografato e messo in rete dallo staff dell'Alto commissario europeo. Una scelta d'immagine, di grande impatto, che colpisce Ban Ki-moon ma non abbastanza da fargli cambiare idea sulla lotta all'immigrazione. «Non esiste una soluzione militare alla tragedia umana che sta avvenendo in Mediterraneo. La priorità è quella di salvare vite».
Insomma, al di là della scenografia, per il premier l'incontro parte in salita. L'Italia infatti è per la linea dura, vuole affondare i barconi direttamente nei porti libici e cerca appoggi e coperture internazionali. Nei giorni scorsi Renzi ha chiesto «il sostegno di Francia, Germania e Spagna a una risoluzione dell'Onu sulla Libia». Le Nazioni Unite però non sono per niente d'accordo. Del resto Ban Ki-moon prima di atterrare a Roma si è fatto precedere da un messaggio preciso: non si può usare la forza, ha dichiarato in un'intervista, la priorità è salvare le vite e combattere il traffico di esseri umani. E poco importa che l'Italia definisca «un'azione di polizia internazionale» il sabotaggio dei gommoni: per l'uomo del Palazzo di Vetro colpire i barconi «è sbagliato».
Più aperto invece Ban Ki-moon si mostra sulle altre due parti della strategia di Roma per combattere gli scafisti, e cioè un aumento dei fondi, delle sforzi e delle responsabilità europee e un coinvolgimento degli Stati di partenza. Quanto però alla Libia, «non c'è alternativa al dialogo», e il rappresentante speciale delle Nazioni Unite a Tripoli Bernardino Leon «continua a lavorare in maniera instancabile».
Ce n'è abbastanza perché Renzi si dichiari comunque soddisfatto. «Prima l'Italia era sola a fronteggiare questo tema, ora l'intera comunità internazionale è consapevole che si tratta di un problema globale e non di una questione che riguarda un Paese. Qualcosa finalmente si muove». Certo, aggiunge, per arrivare a un risultato servirebbe molto di più. «Fermare i trafficanti di esseri umani per evitare una catastrofe umanitaria è una assoluta priorità su cui contiamo di avere il sostegno delle Nazioni Unite. Dopo Lampedusa, l'Italia ha dato prova di generosità. Ma dobbiamo farci sentire a livello internazionale, sia in Europa che all'Onu Unite. Questa è la nostra linea». E la presenza di Ban Ki-moon e della Mogherini «è un segnale importante» della fine dell'isolamento.
Il segretario generale, «preoccupato per la situazione degli immigrati nel Mediterraneo», chiede invece di «focalizzarsi sul salvataggio delle vite». Per il Palazzo di Vetro, ha spiegato l'altro giorno, «la cosa cruciale è la sicurezza e la protezione dei diritti umani dei migranti e di coloro che chiedono asilo». Certo, anche fermare il traffico e colpire gli scafisti è importante e l'Italia, concede, non può essere lasciata da sola. Però, dal suo punto vista, la priorità sono le operazioni di aiuto in mare. Nel linguaggio diplomatico non sono solo sfumature. Di emigrazione Ban Ki-moon ne parlerà oggi pure con Papa Francesco e, soprattutto, nei giorni successivi, quando andrà in visita nei Paesi che non vogliono accollarsi i profughi: i fondi Frontex triplicati e l'incarico esplorativo alla Mogherini non possono bastare.



L’Europa si copre gli occhi davanti ai migranti
Internazionale, 28-04-2015    
Gwynne Dyer, giornalista
“Quello che si sta definendo è ciò di cui abbiamo bisogno, ovvero un programma onnicomprensivo capace di perseguire le bande criminali, i trafficanti e i proprietari delle imbarcazioni […] e di stabilizzare i paesi da cui provengono queste persone”. E quando avrete finito di “stabilizzare” la Siria, la Somalia e la Libia, di rovesciare la dittatura in Eritrea e di porre fine alla povertà in Africa occidentale, non è che potete passare a darmi un’occhiata alle tubature? E non dimentichiamo lo Yemen, bisogna sistemare anche quello.
“Queste persone” sono i 1.300 rifugiati che sono annegati nel Mediterraneo nelle scorse due settimane e i trentamila che, se non sarà fatto qualcosa, affogheranno entro la fine dell’anno nel tentativo di attraversarlo. E, naturalmente, anche il mezzo milione che dovrebbe arrivare sano e salvo in Italia, Grecia o a Malta. L’autore della frase tra virgolette è il primo ministro britannico David Cameron, ma la sua è solo una voce nel coro dell’Unione europea.
I leader dell’Unione si sono incontrati in una riunione d’emergenza convocata in seguito all’indignazione pubblica dovuta alla morte di moltissimi rifugiati durante la traversata tra la Libia e l’Italia. Questi stessi leader erano responsabili di buona parte di quei decessi: sono stati loro, infatti, a porre fine alla missione di salvataggio Mare nostrum gestita dalla marina italiana, sostituendola con una gestita dall’Unione, Triton, che aveva solo un terzo delle risorse e si limitava a un raggio di cinquanta chilometri dalle coste italiane.
Obbligati a risolvere in qualche modo la situazione, i leader europei erano comunque consapevoli che i loro elettori continuano a non volere l’arrivo di milioni di migranti, siano essi o meno rifugiati. Per questo si sono comportati come si comportano i politici in situazioni come questa. Hanno messo in atto una strategia diversiva.
E quindi è venuto fuori che il problema non sono i rifugiati che scappano da luoghi devastati dalla guerra come la Siria o la Somalia, da crudeli dittature come l’Eritrea o dalle zone povere dell’Africa occidentale. Sono i malvagi trafficanti, i “nuovi schiavisti” come li ha definiti il presidente del consiglio italiano Matteo Renzi, che attirano i migranti lontano da casa facendo pagare duemila dollari a persona per un posto su un barcone di fortuna diretto in Europa.
Ovviamente. Perché mai una persona dovrebbe lasciare un posto gradevole e sicuro come la Siria o la Somalia a meno di non essere stata ingannata da un trafficante di esseri umani senza scrupoli? Per questo basterà sgominare le bande criminali, magari spingendosi fino alle acque territoriali libiche, distruggendo le loro barche prima che queste lascino le coste, perché nessuno richieda più i loro servizi. Tutti rimarranno a casa e il problema scomparirà.
Un attimo, però. C’è un’altra questione. Dobbiamo anche “stabilizzare” i loro paesi d’origine. Ma a quel punto il problema sarà davvero risolto e potremo tutti vivere felici e contenti.
Qualcuno dei 28 capi di stato dell’Unione è così ingenuo da credere a queste idiozie? Certo che no. E allora perché le sostengono? Semplicemente perché, come le persone che hanno votato per loro o contro di loro, sono combattute tra il disagio provato nel veder morire degli innocenti e la convinzione che milioni di quegli innocenti non debbano trasferirsi in Europa.
Per questo motivo vogliono nascondere i veri contenuti di questa politica e trasferire su qualcun altro la responsabilità dei suoi effetti negativi (vale a dire l’annegamento di molte persone). È una cosa razzista e ipocrita, viene da dire, e anche un po’ islamofobica. L’ipocrisia c’entra sicuramente, ma per molti europei il vero problema sono i numeri.
Ci sono molti milioni di persone che vivono in un raggio di 1.500 chilometri dai confini dell’Unione europea e che si trasferirebbero al suo interno anche domani, se potessero: sono i disperati che cercano di fuggire dalla guerra, dal caos e dalla repressione.
Se si contano anche tutte le altre persone che vorrebbero semplicemente una vita decorosa in un luogo dove la corruzione è relativamente bassa e la legge viene solitamente fatta rispettare, il numero dei potenziali migranti arriva a diverse decine di milioni. Molti di questi non sono così disperati da rischiare la traversata del Mediterraneo, ma lo farebbero se fosse più agevole e meno pericolosa.
Le persone che vivono in un raggio di duemila chilometri dai confini dell’Unione sono ormai quasi un miliardo. Grazie ad alcuni tra i più alti tassi di crescita demografica del mondo, questa cifra raddoppierà nei prossimi trent’anni, provocando altre guerre civili, altri stati falliti e un numero ancora più alto di rifugiati. Il tutto senza tenere conto dell’impatto dei cambiamenti climatici nelle aree subtropicali.
La popolazione dell’Unione europea è di circa 650 milioni e non sta crescendo. I leader europei temono quindi (anche se molti di loro non vogliono ammetterlo pubblicamente) che tra qualche decina d’anni le migrazioni illegali saranno così forti da cambiare in maniera sostanziale l’identità culturale dei paesi europei.
Vogliono introdurre politiche migratorie più severe adesso, prima che i rifugiati diventino ancora di più. Ma non vogliono assumersi la responsabilità delle morti che ne deriveranno. E per dare la colpa a qualcun altro, che ne dite di metterla così? “Non è colpa nostra se tutti questi poveracci annegano. La colpa è dei cattivi trafficanti di esseri umani”.
(Traduzione di Federico Ferrone)



"Noi, respinti da tutti e senza un futuro" Nel limbo dei profughi che richiedono asilo
Quingentole (Mantova) è uno delle centinaia di paesi che accolgono chi attende una risposta "Le prefetture ci abbandonano e la gente è stufa"
la Repubblica, 28-04-2015
JENNER MELETTI
QUINGENTOLE (MANTOVA). In piazza Italia, bella e grandissima, ci starebbero tutti, i 1.200 abitanti del paeSe. E anche quelli dei paesi vicini. «Però sai -dice Haamed, pachistano, occhi che cercano di guardarti dentro - fai il giro della piazza, torni in viale dei Tigli, arrivi all`argine del Po e torni sulle panchine della piazza. Non c`è nient`altro da fare. Qui el giorno non finisce mai. Aspetti e poi ti siedi sul tuo letto in hotel e torni ad aspettare. Io sono qui da un anno e 15 giorni».
«Qui» è una stanza dell'ex hotel New Garden, due letti singoli, niente comodino, niente abat-jour, niente tv. Ce n`è solo una in quella che era la sala della reception. Hanno attraversato l`inferno, Haamed e gli altri, sui barconi o chiusi nei Tir. Non hanno trovato il purgatorio ( figurarsi il paradiso) ma solo il limbo. Né salvi né dannati, per un tempo che sembra eterno. «Il paese? Ci sono persone brave. Una signora mi chiama quando deve uscire di casa, perché si è fatta male a una gamba». Haamed fa finta di non sapere come la pensino davvero gli anziani del circolo Arci, che pure lo salutano, quando passa anche dieci o venti volte al giorno. Quingentole è solo uno delle centinaiadipaesidove«vivere», per chi è arrivato dall`altra parte del mondo, è una parola grossa. Si dorme, si mangia. Soprattutto si passeggia. Non tutti, però. Solo i pachistani escono dall`hotel e magari danno una mano all`anziano che sta spaccando la legna. Gli altri, ghanesi e nigeriani, stanno nel cortile, al sole della primavera. «E cosa devi andare a vedere? In un posto come questo rischi di impazzire. Vogliamo andare via».
Almeno 5 delle 20 nuove commissioni che debbono rispondere alle richieste di asilo o di protezione non sono ancora insediate. «I 30 profughi ospitati al New Garden dice Anna Maria Caleffi, sindaco di Quingentole - dovevano essere chiamati in commissione a Milano, per l`intervista, nel febbraio scorso. Poi la competenza è passata a Brescia ma li la commissione non è ancora operativa. Come sono viste queste persone in paese? Diciamo che non sono accolte a braccia aperte. Con i primi pachistani non ci sono stati problemi. Poi conmold africani ci sono state tensioni pesanti. Un`attesa troppo lunga provoca irrequietezza e tensione. Se non vedi un futuro, perdi la speranza. La reazione dei miei concittadini è pesante, non tanto in piazza ma su Facebook. Un africano ha avvicinato solo avvicinato - una donna sull`argine del fiume e qualcuno ha scritto: "questi qua bisogna bruciarli". Come Comune non sai come intervenire. Oggi l`accoglienza è anche business, da parte dei privati».
Francesco Caso, presidente della cooperativa Assistenza Serena ( i soci sono fratelli e nipoti) gestisce 5 centri con 160 posti letto tra Mantova e Verona. «Vuole la verità? Le prefetture prima ci fanno la corte, per affidarci immigrati che non sanno dove mettere. Poi ci abbandonano. Guardi, a Quingentole spetta no da un anno ma a Caprino, un altro centro nostro, c`è chi è bloccato da 18 mesi. Per alcuni l`esame c`è già stato, ma chi è stato respinto ha fatto ricorso e adesso ha ancora diritto all`ospitalità. Io ho una piccola comunità anche in Svizzera. Là, dopo 6 mesi esatti dalla presentazione della domanda di asilo, la polizia arriva e chiede: "Hai ottenuto il permesso? Bene, adesso vai a lavorare. Non cel`hai?Vieni con noi, sei espulso". E tì espellono davvero, non come da noi, che ti dicono: "Hai 15 giorni per tornare a casa". E l`espulso cambia Comune o provincia e ricomincia da capo».
La cooperativa fatta in casa affitta hotel e agriturismo in crisi. «I tempi d`attesa troppo lunghi non permettono il turnover. C`è la protesta degli abitanti dei paesi, chevedono questi immigrati che non fanno nulla e mangiano gratis. C`è la rabbia dei migranti che si sentono reclusi e diventano delinquenti. A Quingentole nigeriani e ghanesi hanno rotto la cucina e fatto lo sciopero della fame. Hanno picchiato anche un ragazzo della Guinea Bissau che invece voleva mangiare. Hanno minacciato l`insegnante di italiano dicendo: "Vai via, a noi non interessa imparare la vostra lingua, vogliamo solo le carte per andare nel nord Europa". Si sentono impuniti. "Facciamo quel che ci pare e voi non potete farci nulla". Purtroppo è vero. Le prefetture ce li affidano ma poi non ci aiutano».
Trenta euro al giorno a testa dalla prefettura di Verona, 34,50 da quella di Mantova. «Chissà perché ci sono queste differenze. Io spendo 22 euro al giorno per affitti e vitto, poi ci sono i mediatori linguistici, i 2,50 euro del pocket money... Il business? Ai sindaci che protestano dico: prendeteveli voi, provate voi a gestire queste persone». Gli affari comunque non vanno male, visto che l`Assistenza Serena sta aprendo un nuovo centro sul lago di Garda.
I pachistani continuano il passeggio nella piazza di Quingentole. «Gli stranieri qui-dice il sindaco sono tutti ospiti del New Garden. Avevamo tanti immigrati: sono andati via, Francia e Inghilterra, perché hanno perso il lavoro. Dovremo cancellarli dall`anagrafe, scopriremo di essere meno di 1.200 abitanti». E piazza Italia sembrerà ancora più grande e più vuota.



Vite rapite di bambini che sognano l’Europa
Avvenire, 28-04-2015
Claudio Monici
Non raccolgono fiori al lago di Pergusa, ma riempiono bottiglie d’acqua attingendola dalla fontana, per bere e per lavarsi.
Ci vivono, a ridosso della monumentale opera scultorea rappresentante il soggetto mitologico del "Ratto di Proserpina", che sorge accanto alla Stazione centrale di Catania.
Ci trascorrono le settimane, i mesi distesi su quel prato, guardando i treni che puntano verso la terraferma, l’Italia. Sono per lo più eritrei e somali, e sospirano un desiderio: Europa del Nord. Ogni tanto qualcuno ce la fa a raggiungere la meta, ma molti altri si trasformeranno in prede ricercate dal Male, e per le statistiche diventano degli "invisibili". E non se ne saprà mai più nulla.
Vite rapite e oltraggiate da un re degli inferi, bramoso di danaro in cambio di un viaggio sul filo della morte, di una falsa promessa: vite di esseri, per lo più ancora dei ragazzi, che nulla hanno a che vedere col phatos mitologico. Qui non c’è una primavera, ma molta solitudine e tanta violenza, e davanti al viaggio, che ancora non è giunto al suo capolinea, resta spalancata una strada irta di pericoli, anche di traffici indicibili.
«Questa zona è diventata punto di riferimento per molti migranti del Mediterraneo che lasciano i centri di accoglienza per continuare la loro odissea». Intanto che Valentina Calì, assistente sociale del Centro d’aiuto della Caritas presso la stazione centrale, ci racconta del suo lavoro, alla finestra bussano due ragazzi somali, avranno si e no 16 anni. Chiedono scarpe.
«Tutti i giorni è così. Bussano alla nostra porta e la Chiesa, si sa, va dove le Istituzioni non arrivano. Cerchiamo di aiutarli come possiamo. Dal vestiario al cibo, grazie anche a una bella solidarietà catanese. Con l’aiuto di una ventina di volontari, che cambiano ogni giorno, Salvo Pappalardo, il nostro responsabile della mensa, sette giorni su sette sforna 500 pasti. Il 60 per cento di chi bussa alla nostra porta sono i migranti, il resto gli italiani. La povertà non finisce mai. Anzi, aumenta giorno per giorno», sottolinea don Piero Galvano, direttore Caritas di Catania.
Il tempo di controllare la misura delle scarpe e i due giovani somali si dileguano rapidamente, per tornare nell’ombra da dove sono sbucati.
Dall’inizio di questo 2015 sono già più di 25mila i migranti sbarcati in Sicilia, 2.100 sono minori, tra i 14 e i 17 anni, di cui oltre 1.400 non accompagnati. Anche bambini di 9 anni.
E proprio loro sono l’anello debole e più fragile della migrazione mediterranea. Perché il pericolo di finire nei traffici di demoni senza scrupoli è più che concreto: che fine hanno fatto i 3000 giovani invisibili che lo scorso anno si sono dileguati da comunità e centri di accoglienza?
«Una cifra che si considera sottostimata, rispetto alla realtà. Somali ed eritrei, ad esempio, hanno ben chiaro il loro obiettivo, raggiungere i Paesi del nord Europa dove ricongiungersi ai famigliari o parenti.Ma la strada è lunga e il pericolo di cadere vittime di ogni sorta di traffici esiste. Ad esempio, ai Mercati generali di Roma, sono stati scoperti ragazzi egiziani costretti a lavorare 12 ore al giorno. Sfruttati per due euro all’ora. Per resistere alla fatica e alla fame, annusavano colla e abusavano di farmaci», racconta Giovanna Di Benedetto, portavoce di "Save the Children".
Attraverso i racconti emergono storie sconvolgenti, che segneranno per sempre la loro vita ed anche per questo «che in determinati casi, individuati soggetti vulnerabili occorrerà individuare strutture di accoglienza adeguate».
Ma cosa potrà mai portare dentro di se stesso un bambino di nove anni che, solo, è stato affidato a un viaggio dentro gli inferi, pur di dargli l’opportunità di una vita migliore in fuga da una guerra, dalla fame, prima di avere raggiunto le nostre braccia?
«Nell’ultimo periodo attraverso i racconti che raccogliamo, stiamo riscontrando un aumento delle violenze. Violenze subite o viste infliggere con atrocità. I loro racconti sono terribili, impregnati di orribili episodi e abominevoli comportamenti che accadono nei centri di detenzione in cui vengono trattenuti prima di essere caricati sui barconi – racconta Giovanna Di Benedetto -.Non basta che fuggono da persecuzioni e sofferenze, ulteriori patimenti sono costretti a subirli nella Libia fuori da ogni controllo. Sono considerati solo della merce di scambio e non più esseri umani. Della roba da maneggiare per fare soldi. Ricordo il racconto di un ragazzo somalo di 16 anni. Quando mise piede in Libia, le prime parole che gli vennero rivolte furono: "Benvenuto all’inferno"».



Accoglienza. Vertice al Viminale con l`Anci: obiettivo raddoppiare la disponibilità di posti
Nei Comuni 20mila rifugiati in più
il sole 24 ore, 28-04-2015
Marco Ludovico
Raddoppio dei posti di accoglienza dei rifugiati nei Comuni: dagli attuali 20mila a 40mila. La scommessa sta nell`intesa tra l`Anci (l`associazione nazionale dei comuni italiani) e il Viminale alla riunione della scorsa settimana per il tavolo di coordinamento sull`immigrazione presieduto dal sottosegretario all`Interno Domenico Manzione. L`idea è di puntare sulla struttura già in funzione presso i Comuni (lo Sprar, sistema diprotezione per richiedenti asilo e rifugiati): per gli altri 20mila posti che dovranno essere messi a bando serve il via libera del ministero dell`Economia.
Piero Fassino, numero uno dell`Anci e sindaco dí Torino, sta facendo pressing per una presenza più forte dei municipi nella partita immigrazione, mentre le Regioni - causa contingente le elezioni a fine mese prossimo` - sono più prudenti con alcune, Veneto e Lombardia, proprio indisponibili all`accoglienza di nuovi immigrati. La realtà concreta è che il ministero guidato da Angelino Alfano può, solo per ora, trattenere il fiato: i centri sono tutti al completo ma il mare agitato impedisce il flusso intenso di sbarchi dei giorni scorsi. Una ripresa improvvisa degli arrivi, tuttavia, è nel conto delle previsioni e i timori stanno tutti nei numeri: se saranno alti, la probabilità di prendere decisioni contestate è alta.
Il prefetto Mario Morcone, numero uno del dipartimento Libertà civili, ha pronta una circolare sull`accoglienza per coinvolgere nella pienezza dei loro poteri i prefetti, soprattutto se le autorità locali saranno recalcitranti.L`idea di fondo è parcellizzare l`accoglienza anche nei Comuni più piccoli ma davanti agli arrivi in massa tengono banco nelle discussioni in atto altre due soluzioni, a dir poco controverse: le tendopoli o, in alternativa, l`utilizzo delle caserme militari, a loro volta ripartite tra quelle dismesse o ancora in uso. Chi sostiene le tendopoli argomenta che sono per definizione strutture provvisorie, ma certo problemi numerosi già in passato ne hanno dati. Chi è a favore delle caserme sottolinea la rapidità e l`efficacia di questa soluzione; ci sono però anche numerose obiezioni, compresa quella che le strutture rischiano di diventare edifici permanenti di accoglienza per immigrati.
Il 7 maggio ci sarà una riunione al ministero dell`Interno con, Alfano e i vertici di Anci e della conferenza delle Regioni. Al ministero è in corso di definizione il testo di un nuovo decreto legislativo in attuazione della direttiva 213/33 Ue in materia di accoglienza. Un fatto resta certo, per adesso: il no di Palazzo Chigi al ricorso a una dichiarazione di emergenza nazionale.



Gli immigrati bloccano Salvini
Tour nelle Marche, il leader leghista fermato davanti a un palazzo occupato Uova e bottiglie dai centri sociali, la polizia carica. E lui: la ruspa unica soluzione
Corriere della sera, 28-04-2015
Marco Cremonesi
MILANO La ricetta, per Matteo Salvini, resta la stessa già parecchie volte raccomandata: «Ruspa. E poi ruspa e poi ruspa». Quel che invece sta cambiando - e peggiorando - è l`accoglienza che viene riservata al leader leghista nelle sue trasferte al Centro e al Sud: sempre più bellicosa. Il risultato elettorale si vedrà, ma di sicuro i comizi salviniani sono diventati un appuntamento che costringe a un massiccio impiego di forze per mantenere l`ordine pubblico.
E così ieri, il «Capitano» non più solo nordista, ha dovuto rinunciare alla visita prevista al condominio Hotel House di Porto Recanati, uno dei punti di massima concentrazione di immigrati in tutta Italia: un fitto cordone di abitanti dell`edificio ha sconsigliato alle forze dell`ordine di liberare il passaggio per consentire l`ingresso di Salvini.
Ieri il segretario leghista ha avviato il suo tour nelle Marche, a sostegno del governatore in pectore Francesco Acquaroli, candidato anche di Fratelli d`Italia. Il bilancio non è stato poi leggero, visto che ha registrato la contusione di una poliziotta e il ferimento di un manifestante. Salvini è stato ricevuto da lanci di uova e pomodori, oltre che di bottiglie, sia ad Ancona che a Macerata, dove la giornata a visto anche scontri diretti tra dimostranti e forze dell`ordine. In sostanza, soltanto la tappa di Fano è filata via senza incidenti.
Ma l`episodio più significativo è avvenuto appunto a Porto Recanati, dove peraltro erano in piazza anche la sindaco Sabrina Montali e il senatore pd Mario Morgoni. L`Hotel House è un palazzone di 17 piani e 480 appartamenti abitati per il novanta per cento da immigrati di una cinquantina di nazionalità diverse. Un luogo difficile, tra i più critici dell`intero Paese, in cui nei giorni scorsi è stato arrestato un paldstano coinvolto nell`inchiesta di Cagliari sulle infiltrazioni di Al Qaeda in Italia. Sennonché, quando Salvini si è presentato di fronte all`edificio, si è visto sbarrare la strada da circa quattrocento residenti che hanno impedito l`accesso al palazzo. Le forze dell`ordine, come già avvenuto in casi simili (ma di minor consistenza) hanno tentato di liberare un passaggio per il capo leghista. Che però, vista la tenzione, ha preferito abbandonare la zona al grido di «Ruspe!».
Le Marche sono le terre della presidente della Camera Laura Boldrini, oggetto dei consueti attacchi di Salvini: «Il voto, oltre a riportare un po' di normalità alle Marche, serve per dare il preavviso di sfratto a Renzi e Alfano, ma anche alla Boldrini: che torni a lavorare». Mentre definire di sinistra Matteo Renzi è «un insulto per chi veramente si ritiene di sinistra. Lui è l`uomo delle banche, della finanza, dell`Europa. È l`uomo finanziato dalle cooperative che campano sui rom e sull`immigrazione clandestina».



Che programma ha Salvini sull’immigrazione?
Il Post, 28-04-2015
Davide De Luca
La Lega Nord e il suo leader Matteo Salvini ricevono spesso critiche sulle loro politiche di contrasto all’immigrazione. Si tratta di critiche ingiuste e pregiudizievoli, soprattutto perché quelle politiche, praticamente, non esistono. Su questo tema, infatti, la Lega ha prodotto numerosi slogan orecchiabili e frasi ad effetto – 851 soltanto dal segretario Salvini nell’ultimo anno secondo l’archivio dell’ANSA -, ma i programmi organici, chiari e basati su stime precise sono pochi e anche piuttosto scarni. Prendiamo ad esempio il documento programmatico, pubblicato lo scorso 20 febbraio e raggiungibile bene in vista sulla colonna destra del sito della Lega. Si intitola “Immigrazione: linee guida generali Lega Nord” ed è un pdf di 20 pagine realizzato da Toni Iwobi, il responsabile delle politiche sull’immigrazione e la sicurezza del partito.
In questo documento non c’è molto su cui affondare i denti. Le prime dieci pagine spiegano come la Lega Nord sia favorevole all’immigrazione regolare, illustrano le attuali leggi italiane in materia e presentano diverse tabelle e dati statistici. A pagina undici arrivano le prime proposte. Sono contenute in 1.976 caratteri spazi inclusi e possono essere riassunte anche in meno: aumentare la lotta agli scafisti e chiedere più soldi all’Europa per farlo:
    Bisogna in tal senso aumentare lo sforzo nello sgominare le organizzazioni criminali che lucrano sulla disperazione della gente, identificare i soggetti responsabili della quotidiana tratta di esseri umani e impedire che continuino a svolgere tale crimine!
Ho chiesto a Iwobi in che modo bisognerebbe combattere gli scafisti e quanto la Lega stimi che possa costare farlo, ma la Lega non ha ulteriori dettagli su questo fronte (ma a quanto pare il partito sta organizzando un “tavolo tecnico” con alcuni esperti che dovrebbe svolgersi nelle prossime 2-3 settimane).
Altri 1.833 caratteri (spazi inclusi) sono dedicati alla questione dei richiedenti asilo che, dice la Lega, in futuro dovranno essere distribuiti tra i paesi europei in maniera diversa da come si fa ora (oggi si può richiedere asilo soltanto nel primo paese europeo in cui si mette piedi). Se vi chiedete quali criteri di distribuzione andrebbero adottati, quali siano i costi e quali siano i risparmi che un simile piano potrebbe portare, resterete delusi. A guardare le proposte di legge fatte dai parlamentari della Lega le cose non migliorano: sul sito del partito se ne trova solo una a proposito di immigrazione e propone l’inasprimento delle pene per chi commette il reato di clandestinità (un reato che dovrebbe essere soppresso grazie a una legge delega).
Le cose non vanno meglio con i programmi politici ufficiali, come ad esempio quello per le elezioni europee del 2014. All’immigrazione è dedicata circa mezza pagina che contiene due proposte. La prima è diminuire l’ingerenza dell’Unione Europea nella gestione dell’immigrazione. Il documento però non specifica quale aspetto andrebbe moderato, in che modo e con quali potenziali risultati. Il secondo punto parla di “presidio costante” delle nostre frontiere e azioni di respingimento. Nel paragrafo successivo il programma sostiene la necessità di siglare accordi bilaterali proprio a questo scopo, ma non specifica con quali paesi potranno essere sottoscritti (sembra al momento difficile, infatti, poterlo fare con la Libia).
Per trovare idee e proposte bisogna rinunciare a cercarle sui documenti scritti e affidarsi alle dichiarazioni alla stampa. Nelle ultimi due settimane, il leader Salvini ha fatto altre due proposte che si aggiungono alle poche contenute nei programmi scritti: fare come l’Australia e mettere in piedi un blocco navale davanti alle coste della Libia. Sono due proposte simili che mirano allo stesso scopo: rimandare indietro tutti i migranti senza fare passare più nessuno a cui non sia già stato riconosciuto il diritto di asilo politico. Di come l’Australia è riuscita ad ottenere questo obbiettivo avevo scritto qui, mentre Giovanni Zagni ha illustrato i problemi di un blocco navale. Per riassumere: le due proposte di Salvini lasciano aperti più interrogativi di quanti ne chiudano. Quanto ci costerebbe presidiare costantemente le frontiere marittime italiane come fa l’Australia? Come risolvere il problema della legalità di un blocco navale? Se la Libia è uno stato fallito del tutto inaffidabile, con quali paesi potremmo fare accordi simili a quelli dell’Australia?
In altre parole la Lega Nord sembra essere in grande ritardo su uno dei suoi temi chiave: nonostante il 2014 sia stato l’anno record degli sbarchi, con l’arrivo in Italia di 170 mila migranti, il documento prodotto nel febbraio del 2015 manca di qualunque visione strategica e di proposte pratiche per cambiare le cose, mentre le dichiarazioni del leader del partito non vanno aldilà degli slogan senza nemmeno una cifra a sostegno. L’impressione che si ricava è che al partito la situazione attuale dell’immigrazione vada bene com’è. È possibile che in molti condividano questa opinione, ma quegli elettori che votano la Lega Nord nella speranza di una stretta decisiva sul tema faranno bene a fare pressioni sul partito e sul suo leader affinché su questo tema si mettano a lavorare con un po’ più di serietà di quella che hanno usato fino ad ora.
Correzioni
In una versione precedente di questo articolo avevo erroneamente riportato che il reato di clandestinità era già stato abolito.



Il traffico di migranti, raccontato dagli scafisti
Un giornalista del Guardian ha incontrato chi organizza i viaggi nel Mediterraneo, si è fatto spiegare come funzionano e quanto costano (e perché molte delle cose che ne diciamo qui non hanno senso)
Il Post, 27-04-2014
Il giornalista britannico Patrick Kingsley – corrispondente in Egitto per il Guardian e vincitore di diversi premi internazionali di giornalismo – ha scritto venerdì un lungo articolo sul Guardian per raccontare il traffico illegale di migranti nel Mar Mediterraneo Centrale, visto dalla costa libica. Kingsley ha cercato di capire chi sono gli scafisti che sia l’Unione Europea che il governo italiano hanno detto di voler combattere. Ha raccontato degli interminabili viaggi che compiono i migranti per arrivare ai porti libici da cui partono le navi e ha messo insieme approssimativamente i costi di una traversata del Mediterraneo. Sono tutte informazioni utili per capire la portata del fenomeno e le difficoltà che dovrà affrontare l’Unione Europea – e anche l’Italia – per fare quello che ha detto di voler fare sull’immigrazione clandestina.
Le navi dei migranti, che sono navi per pescare
Giovedì 23 aprile l’Unione Europea ha annunciato che avrebbe avviato operazioni militari contro i trafficanti che hanno la loro base in città portuali come Zuwara, nel nord-ovest della Libia, vicino al confine con la Tunisia, di cui parte la maggioranza degli immigrati che arrivano in Italia. La sera di giovedì il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha aggiunto che il piano ha l’obiettivo di «catturare e distruggere le imbarcazioni usate dai trafficanti prima che loro le possano usare». Il problema, ha raccontato Kingsley dopo avere parlato con un ex trafficante di esseri umani e altri due uomini che continuano ancora oggi a portare i migranti al di là del Mediterraneo, è che per fare quello che ha detto di voler fare l’Unione Europea dovrebbe bombardare e distruggere tutto il porto di Zuwara.
A Zuwara, come in altri porti libici, non esiste una differenza netta tra pescherecci e imbarcazioni usate per il traffico di esseri umani: la transizione è “impercettibile” e piuttosto rapida. Un trafficante che Kingsley ha chiamato Hajj ha detto: «Una delle ragioni per cui il pesce libico è così costoso è la mancanza di pescherecci che vadano in mare a pescare. Sono usati tutti dai trafficanti di persone». Hajj, 33 anni, laureato in legge, non è preoccupato per le ultime decisioni dell’Unione Europea: «Non mi sento minacciato. Succede da anni che vengano fatte promesse e minacce. Non faranno niente. Cosa dovrebbero fare, mettere due fregate qui? Due navi da guerra? Nelle acque territoriali libiche? Sarebbe un’invasione». C’è poi la difficoltà di individuare i trafficanti. Hajj ha raccontato: «Nessuno ha la scritta “trafficante” sul petto. Chiunque qui può vendere il suo appartamento, comprare una barca e organizzare un viaggio fino all’altra parte del Mediterraneo. Il tempo di organizzare il secondo viaggio e ha già recuperato il costo dell’appartamento venduto. È una formula molto semplice».
Le rotte attraverso il Sahara
Secondo Kingsley l’opzione militare non può funzionare anche per un’altra ragione. Il traffico di esseri umani è diventato un mercato redditizio non solo nelle economie costiere libiche, ma anche in diversi punti del Nordafrica da cui passano i migranti per arrivare in Libia. Ci sono moltissimi modi per raggiungere i posti da dove partono le navi: Samer Haddadin, il capo dell’agenzia a Tripoli che si occupa di profughi per l’ONU, ha detto che bisogno pensare alla Libia come a un paese che «ha due mari. C’è il Mediterraneo. Ma a sud della Libia c’è il mare del Sahara. Ci sono persone che arrivano da sud, dal Niger o dal Sudan, il cui viaggio è molto rischioso». Ci sono i siriani – il gruppo più numeroso che ha attraversato il Mediterraneo lo scorso anno – che arrivano in Libia attraversando diversi paesi (Giordania, Egitto e poi Sudan). Le persone che arrivano dall’Africa Occidentale – tra cui nigeriani, ghanesi e senegalesi – arrivano spesso in Libia attraversando il Niger e il Mali e passando sotto le zone controllate da parecchi trafficanti.
Durante il viaggio verso la Libia attraverso vari paesi africani i migranti rischiano di essere rapiti o costretti alla schiavitù. Kingsley scrive che ci sono molte storie di trafficanti che hanno abbandonato i loro “clienti” tra le dune del deserto, lasciandoli morire di sete. Indicativamente ci sono due modi per raggiungere la Libia. Il più rapido è compiere il viaggio tutto in una volta: Bayin Keflemekal, 30 anni, infermiera dall’Eritrea, ha pagato circa 6.500 euro per raggiungere la costa libica attraverso il Sudan, a bordo di diversi pick-up. Altri migranti ci arrivano facendo delle tappe intermedie, fermandosi quindi per diversi mesi in altri paesi per guadagnare i soldi necessari a proseguire il viaggio.
Come si arriva fino alla barca
Kingsley ha scritto che non è facile sintetizzare quello che succede dopo, perché ogni trafficante usa tecniche diverse per portare i migranti verso le coste italiane. Hajj per esempio usa sia dei pescherecci in legno – comprati dai pescatori – sia dei gommoni Zodiac, che dice essere più sicuri. Un altro trafficante, che Kingsley chiama Ahmed, dice invece che è impossibile raggiungere le coste italiane con i gommoni Zodiac. I migranti vengono portati sulle spiagge da dove partono le imbarcazioni generalmente da un intermediario, a cui il trafficante paga una cifra stabilita: Ahmed per esempio ha detto di pagare l’intermediario circa 350 euro a viaggio.
Quello che invece pagano i migranti per farsi trasportare dall’altra parte del Mediterraneo dipende dalla loro provenienza. Hajj ha detto che un africano subsahariano normalmente paga una cifra compresa tra i 740 e 920 euro, un siriano non oltre i 2.300 euro, un marocchino non oltre i 1.500 euro. Hajj ha detto che i siriani tendono a pagare di più per garantirsi più sicurezza durante il viaggio, mentre i subsahariani, che hanno meno soldi, non chiedono garanzie. Hajj ha spiegato che i prezzi in questo periodo si sono abbassati, visto che la domanda è aumentata e i trafficanti cercano di riempire le loro barche con più persone possibile. I guadagni dei trafficanti, scrive Kingsley, sono difficili da quantificare perché dipendono da diversi fattori, come la grandezza delle imbarcazioni usate e il numero di persone che si trasportano. Ahmed ha stimato comunque che i profitti del suo gruppo siano intorno a 34mila euro per viaggio: in una settimana di lavoro più intenso, in cui vengono fatte partire anche 20 barche, il guadagno può arrivare a 700mila euro.
Hajj e Ahmed hanno spiegato come funziona l’imbarco: ai migranti viene fatta una telefonata e viene detto di trovarsi in un posto specifico. Da qui i migranti vengono trasferiti in un luogo sicuro: non possono portare cellulari né bagagli, viene dato loro da mangiare e da bere e la possibilità di usare il bagno, prima dell’imbarco. La permanenza nel posto indicato dagli scafisti può durare un tempo variabile: Shady, 34enne proveniente dalla Siria, è rimasto chiuso in una casa in attesa dell’imbarco per quattro mesi: «Parecchie volte hanno detto: stiamo per partire. Ma non succedeva mai. Due volte abbiamo raggiunto la spiaggia ma poi siamo tornati indietro. Solo una volta siamo arrivati all’imbarcazione, ma poi ci hanno detto che non c’era più spazio».
E il viaggio in mare?
I modi per lasciare il porto libico, raccontano Hajj e Ahmed, sono diversi, ma tutti prevedono la corruzione di uomini della Guardia costiera libica per “chiudere un occhio”. I migranti vengono fatti salire a bordo della barca di notte: viene dato loro un telefono satellitare, un localizzatore GPS, dei salvagenti (venduti loro circa 5 euro l’uno), del cibo e dell’acqua e gli viene detto di stare seduti al loro posto. Hajj ha detto: «Diamo loro istruzione di non muoversi troppo. Possono alzarsi e sedersi, ma non andare da una parte all’altra dell’imbarcazione. Se due o tre cominciano a farlo, anche gli altri vorranno farlo. Si crea il caos e questo provoca il ribaltamento della barca». Chi conduce la barca di solito non è lo stesso trafficante che organizza il viaggio: a volte sono persone che hanno qualche tipo di esperienza in mare, altre volte sono pescatori egiziani o tunisini che vogliono solo arrivare in Europa. Altre volte è qualcuno dei migranti che dice di avere capacità di condurre una barca e che si offre. Il capitano infatti viaggia gratis.
Sia Hajj che Ahmed hanno ammesso che il loro obiettivo principale non è raggiungere le coste italiane, ma far intervenire la Guardia costiera italiana o maltese, in modo che si prendano carico dell’imbarcazione. Spesso le barche puntano verso alcune petroliere che si trovano al largo di Lampedusa, sperando che le persone a bordo vedano i barconi e chiamino le autorità italiane o maltesi per i soccorsi. I trafficanti non hanno però grande conoscenza dei programmi italiani ed europei sull’immigrazione, scrive Kingsley: per esempio non sanno che a ottobre è stato cancellato Mare Nostrum, sostituito poi da Triton, operazione che ha l’obiettivo di controllare le acque internazionali fino a 30 miglia dalle coste italiane, ma non impegnata nel soccorso dei migranti.



Cittadinanza, la riforma si è persa. In Aula a fine giugno, forse
stranieriinitalia.it, 28-04-2015
Le nuove regole per diventare italiani slittano in fondo al calendario dei lavori della Camera. E i deputati non ne parlano da settembre
 Roma – 28 aprile 2015 – Aspettarsi che la riforma della cittadinanza fosse in cima alla lista delle preoccupazioni della nostra politica era irrealistico. Constatare però che è slittata proprio all’ultimo posto fa davvero un brutto effetto.
È l’ennesimo schiaffo in faccia alle seconde generazioni, quei figli degli immigrati che continuano ad essere trattatati dalla legge come i loro genitori anche se sono cresciuti in Italia. Ed è un segnale di scarsa attenzione anche per la maggioranza degli italiani, se è vero che il 72% vorrebbe che quei ragazzi fossero italiani anche per legge.
Guardate, invece, il programma dei lavori dell’aula della Camera dei Deputati. Dove sono finite le “Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza”?. Ad aprile, ma tanto è finito, non se ne parla. A maggio, neppure. E a giugno? Bisogna proprio scorrerlo tutto, per trovare, come ultimi progetti di legge all’ordine del giorno, proprio quelli che potrebbero cambiare la vita a un milione di persone.
C’è da sperare che si mantenga almeno questa promessa e che almeno a fine giugno la riforma arrivi davvero in Aula. Ma certo essendo l’ultima della lista è facile che slitti ancora, a luglio, ad agosto o a dopo la pausa estiva. Prima ci sono da approvare progetti di legge a quanto pare più urgenti, da quello sulla diffamazione a quello sui treni merci, passando per la ratifica di un accordo sulla cooperazione militare con il Kazakhstan.
“Intanto, però, si lavora in commissione…” obietterà qualcuno. Chissà, forse dietro le quinte.
Perché a leggere i verbali della commissione Affari Costituzionali, la riforma della cittadinanza non compare dallo scorso settembre. Tra l’altro, gli ultimi a parlarne non furono i deputati, ma esperti e rappresentanti di associazioni intervenuti per l’ennesimo giro di audizioni sul tema. Dissero tutti la stessa cosa: “Fate la riforma”. E aggiunsero: “Fate presto”.
 

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