Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

24 gennaio 2013

La Cassazione e l’assistenza sanitaria per i migranti
l'Unità, 24-01-2013
Italia-razzismo
La Corte Costituzionale, con sentenza numero 4 del 2013 ha dichiarato illegittima la legge 44 della regione Calabria (dal titolo Norme per il sostegno di persone non autosufficienti Fondo per la non autosufficienza), nella parte in cui stabilisce che, per godere dei benefici previsti da quella legge, le persone immigrate residenti in Italia devono essere titolari di «regolare carta di soggiorno».
Tale pronuncia richiama la numero 61 dell’anno 2011 in cui veniva stabilito che gli stranieri in possesso di un valido titolo di soggiorno dovevano poter godere, «senza particolari limitazioni», dei diritti fondamentali della persona come è previsto per i cittadini italiani. Viene specificato, inoltre, che la dicitura «carta di soggiorno», utilizzata nella legge calabrese in questione, è «atecnica» poiché superata dalla nuova denominazione «permesso di soggiorno di lungo periodo».
Ma c’è di più. La norma censurata non risulta rispettare l’articolo 41 del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, in cui i titolari di permesso di soggiorno di durata annuale sono equiparati ai cittadini italiani per quanto riguarda la fruizione delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale.
La Corte dichiara l’illegittimità anche per contrasto all'articolo 3 della Costituzione (diritto di uguaglianza): «... La discriminazione introdotta dalla disposizione censurata risulterebbe lesiva anche dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza (articolo 3 Cost.), essendo basata su un elemento di distinzione arbitrario. Come rilevato dalla Corte costituzionale in rapporto ad analoghe norme regionali (sentenza n. 40 del 2011), non vi sarebbe, infatti, alcuna ragionevole correlazione tra il requisito di accesso ai benefici (possesso, da parte dello straniero, del «permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo») e le situazioni di bisogno e di disagio, riferibili direttamente alla persona in quanto tale, che costituiscono il presupposto di fruibilità delle prestazioni sociali».
Ed è proprio così. Chi necessità di cura ed assistenza, ed è in condizioni di reddito insufficienti a rispondere a queste esigenze, non può rinunciare a farvi fronte solo perché sprovvisto di quel tipo di permesso di soggiorno. La condizione giuridica non può prevaricare su quella psico-fisica.
Se così fosse, come proposto dalla legge della Calabria, si tratterrebbe, come è stato messo in evidenza, di misure ingiuste e irragionevoli. Per fortuna a denunciare tale iniquità è stato il Consiglio dei ministri che ha perciò chiesto il parere della Consulta nel febbraio del 2012. Finalmente, dopo quasi un anno, lo scorso 14 gennaio chiarezza è stata fatta.



Scuola - Le iscrizioni on line escludono i minori figli di genitori privi di permesso
Melting Pot diffida il MIUR. Rimuovere l’obbligatorietà per la registrazione del codice fiscale. Violati gli articoli 38 del TU e 45 del Regolamento di attuazione
Melting Pot Europa, 24-01-2013
Da quest’anno le iscrizioni alle scuole elementari si effettueranno solo on line. Sito intasato, dati non salvati, dati stravolti dopo il salvataggio, sono solo alcuni degli effetti di questa nuova procedura che hanno colpito i genitori di tutta Italia.
Per chi non dispone di una connessione internet e di un computer le difficoltà sono ovviamente maggiori anche se gli istituti comprensivi, un pò ovunque, si sono resi disponibili per l’assistenza alla compilazione delle iscrizioni.
Ma i disservizi non sono l’unico effetto prodotto dal nuovo sistema.
La procedura di iscrizione on line infatti, con la richiesta tra i campi obbligatori del codice fiscale, esclude la possibilità di iscrizione dei figli alle scuole elementari da parte di genitori privi di permesso di soggiorno.
Inutile ricordare che la scuola elementare (scuola primaria) è scuola dell’obbligo.
L’articolo 38 del Testo Unico immigrazione è assolutamente lapidario: i minori stranieri presenti sul territorio sono soggetti all’obbligo scolastico.
L’articolo 45 del Regolamento di attuazione poi chiarisce in maniera inequivocabile come i minori stranieri presenti sul territorio nazionale abbiano diritto all’istruzione indipendentemente dalla regolarità della posizione in ordine al loro soggiorno, nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani.
La mancanza del codice fiscale per i genitori stranieri privi di permesso di soggiorno che vogliano iscrivere i loro figli a scuola risulta quindi un ostacolo inaggirabile per procedere all’iscrizione.
L’Agenzia delle Entrate, per il rilascio del codice Fiscale, richiede comunque l’esibizione del visto di ingresso o del permesso di soggiorno e a poco serve la soluzione "fai da te" di chi cerca di generare il codice fiscale autonomamente. nulla di ufficiale.
In buona sostanza il sistema predisposto dal Ministero preclude l’esercizio dell’obbligo/diritto di frequenza alle scuole elementari, come denunciato da diversi insegnanti anche alla redazione del nostro portale.
Al MIUR è indirizzata la diffida del Progetto Melting Pot Europa affinchè modifichi immediatamente il sistema dando indicazioni chiare perchè il diritto all’istruzione sia garantito a tutti i minori su tutto il territorio nazionale a prescindere dalla posizione di soggiorno dei loro genitori.



Cittadinanza onoraria ai figli degli immigrati
Per averla basta la residenza a Cantù
Ad essere coinvolti 781 tra bambini e ragazzi di seconda generazione
Il Giorno, 24-01-2013
Roberto Canali
Cantù, 24 gennaio 2013 - Fosse stato affare della Lega Nord li avrebbe rispediti volentieri al loro Paese d’origine, se non con un foglio di via almeno con un biglietto di sola andata, per mano ai loro genitori contro i quali si era inventata addirittura un numero verde con diritto di delazione. A sei mesi di distanza i figli degli immigrati, senza distinzioni di categorie a patto di essere nati nel nostro Paese, riceveranno la cittadinanza canturina.
Una decisione destinata a far discutere quella del sindaco Claudio Bizzozero, che spazza via definitivamente quell’accusa latente di razzismo che era piombata sulla Città del Mobile dopo la decisione della Giunta guidata da Tiziana Sala. In mezzo c’è stato un cambio di amministrazione e il confino del Carroccio all’opposizione, dopo oltre vent’anni di amministrazione della città. Ad usufruirne saranno 781 bambini e ragazzi che risiedono in città, nati nel nostro paese ma che hanno o non hanno il diritto automatico alla cittadinanza al compimento del diciottesimo anno d’età. Claudio Bizzozero la chiama cittadinanza comunale, un modo per spronare la politica nazionale magari a bruciare un po’ i tempi rispetto a un riconoscimento che rischia di essere tardivo.
«In passato su questo tema si è discusso molto senza però riuscire a portare dei cambiamenti concreti – spiega il sindaco – per questo abbiamo deciso di dare il buon esempio impegnandoci in prima persona per riconoscere a questi ragazzi un diritto che si sono conquistati sul campo. Anche se i loro genitori vengono da altri Paesi del Mondo loro sono nati qui, parlano la nostra lingua, studiano insieme ai nostri figli e giocano con loro. Insomma sono italiani proprio come noi anche se in tasca non hanno un pezzo di carta a dirlo. In attesa che le leggi della Repubblica si adeguino riconoscendo una realtà sostanziale, ovvero che la nostra sta diventando una società multirazziale e multiculturale, iniziamo a farlo noi».
Per dare il via questa piccola rivoluzione Claudio Bizzozero ha scelto il giorno più importante per Cantù, il 9 di febbraio nel corso della festa di Sant’Apollonia che per inciso arrivando da Alessandria d’Egitto in Italia avrebbe probabilmente faticato a ottenere un permesso di soggiorno. L’appuntamento con i bambini e le loro famiglie è nella basilica di Galliano alle 9 del mattino, quando verranno chiamati uno a uno a ritirare l’attestato di cittadinanza, su carta intestata della Città di Cantù. Un piccolo gesto dall’enorme valore simbolico, non solo per i ragazzi e le loro famiglie ma per gli stessi canturini che così manderanno definitivamente in pensione quel telefono verde, anzi padano, che oltre a non servire a nulla fece perder loro la faccia.



Ratificata ufficialmente dall’Italia la Convenzione sul lavoro dignitoso per le lavoratrici ed i lavoratori domestici.
L’Italia è il primo Paese dell’Unione europea ad adottarla. L’entrata in vigore il 5 settembre 2013.
Immigrazioneoggi, 24-01-2013
Il Governo italiano ha depositato ieri presso l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) lo strumento di ratifica della Convenzione sul lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici (n. 189 del 2011). La ratifica, già annunciata dal ministro Terzi lo scorso 19 dicembre, ha fatto dell’Italia il primo Paese dell’Unione europea, del gruppo Imec (che raggruppa i maggiori donatori dell’Ilo) e più in generale dei Paesi occidentali a ratificare questa innovativa Convenzione, il cui obiettivo è migliorare le condizioni di vita e di lavoro di decine di milioni di lavoratori domestici in tutto il mondo. Con la ratifica odierna sono quattro le ratifiche nel mondo (gli altri Paesi ratificanti sono Uruguay, Filippine, Mauritius), evento tanto più significativo se si considera che l’Italia è tra i tre più grandi Paesi datori di lavoro domestico in Europa, con una percentuale di donne dell’88 per cento sul totale dei lavoratori di questo settore.
La Convenzione 189, adottata nel corso della Conferenza internazionale del lavoro del 2011, al termine del secondo anno di esame del testo, ha riconosciuto a tutti i lavoratori domestici nel mondo la dignità di lavoratori, con accesso ad una serie di diritti, primo fra tutti quello ad una retribuzione non solo in natura. I lavoratori domestici rappresentano una delle categorie più fragili e bisognose di tutele, sia per la sua particolare composizione in massima parte di donne e di immigrati, ma anche per il contesto lavorativo in cui si svolge l’attività, la casa dei datori di lavoro, luogo privato per eccellenza e poco trasparente ad un controllo delle condizioni di vita e di lavoro. In questo senso l’adozione della Convenzione 189 ha assunto il valore di uno straordinario avvenimento e rappresenta la sintesi dei valori che l’Ilo persegue, primo fra tutti l’affermazione della necessità di un lavoro dignitoso per tutti.
Nel corso dei due anni di discussione sulla Convenzione, la posizione nazionale, portata avanti dal Ministero del lavoro, è stata tutta incentrata sull’impegno nel sostenere la necessità di avere una Convenzione ed anche una Raccomandazione, adottando così un testo quanto più possibile completo ed ampio.
Come stabilito dall’articolo 21, la Convenzione entrerà in vigore il 5 settembre 2013 ovvero dodici mesi dopo la ratifica da parte di due Stati membri dell’Ilo.


    
Italia, "ricordati che devi rispondere" L'Agenda Amnesty per i diritti umani
I 10 punti che Amnesty International sottopone al prossimo Parlamento e al Governo che si andrà formando dopo le elezioni. L'Italia è un paese in cui ampie fasce di popolazione corrono il rischio di violazioni dei diritti. Nonostante i richiami, le falle del sistema e le scelte politiche fuori luogo, hanno prodotto in questi anni abusi, ingiustizia, sofferenza e disgregazione sociale
la Repubblica, 23-01-2013
ROMA - Alla luce dei fatti - si legge nell'Agenda in 10 punti per i diritti umani redatta da Amnesty International -  l'Italia è un paese in cui ampie fasce di popolazione corrono un alto rischio di violazioni dei diritti umani. Nonostante i richiami dei comitati internazionali di monitoraggio e le richieste della società civile, le falle del sistema, assieme a scelte politiche fuori luogo, hanno prodotto in questi anni abusi, ingiustizia, sofferenza e disgregazione sociale. Essere donne, partecipare a una manifestazione, essere migranti, rom, gay, detenuti, significa in Italia correre un serio rischio per i propri diritti umani. In tempi di crisi economica, con l'aumento delle tensioni sociali da una parte e, dall'altra, l'accento della politica sulle sole questioni finanziarie, questa situazione tende ad aggravarsi.
L'appuntamento elettorale. Un Governo che ha a cuore il paese, ha a cuore i diritti umani di chi ci vive e se ne sente responsabile. Un Parlamento che intende esercitare pienamente la sua funzione, legifera per la protezione e il benessere di tutti, nel segno dei diritti e del rispetto della dignita? di ciascuno. In occasione delle elezioni politiche del 2013, Amnesty International sottopone ai leader delle coalizioni e delle forze politiche, e a tutti i candidati e le candidate, una lista di richieste articolate in 10 punti prioritari. L'organizzazione chiede a chi si propone per la guida del paese di esprimersi chiaramente su ogni punto, prendendo una posizione netta a riguardo, davanti all'elettorato. L'Agenda in 10 punti per i diritti umani in Italia di Amnesty International costituisce un vero e proprio programma di riforme, a cui l'organizzazione dedica una campagna nazionale che portera? avanti nei prossimi anni con il nuovo governo e Parlamento.
1) Trasparenza nella polizia e la tortura diventi reato.
Le forze di polizia sono attori chiave nella protezione dei diritti umani in ogni paese: hanno, tra le loro responsabilita?, quelle di ricevere denunce e svolgere indagini su abusi dei diritti umani, garantire il corretto svolgimento delle manifestazioni, proteggendo chi vi partecipa da minacce e violenze. Affinche? questo ruolo sia riconosciuto nella sua importanza e svolto nella piena fiducia di tutti, sono essenziali il rispetto dei diritti umani, la prevenzione degli abusi, il riconoscimento delle responsabilita? e una complessiva trasparenza. Amnesty International chiede agli stati di assicurare che le forze di polizia operino nel rispetto degli standard internazionali sull'uso della forza e delle armi, di prevenire violazioni dei diritti umani e di assicurare indagini e procedimenti imparziali, accurati, equi e tempestivi per l'accertamento delle responsabilita?, quando emergano notizie di violazioni.
La ferita di Genova. A quasi 12 anni dal G8 di Genova del 2001, durante il quale centinaia di persone furono vittime di gravi violazioni dei diritti umani da parte di centinaia di agenti e funzionari delle forze di polizia1, molti dei responsabili sono sfuggiti alla giustizia e in Italia ancora mancano importanti strumenti per la prevenzione e la punizione delle violazioni, necessari tutte le forze di polizia siano riconosciute come attori di protezione, trasparenti e responsabili del proprio operato. Nel frattempo, molti altri casi che chiamano in causa la responsabilita? delle forze di polizia sono emersi e, purtroppo, continuano a emergere
RE LE INCHIESTE: Diaz, un processo italiano
Identificare gli agenti impegnati in ordine pubblico. Per fermare le violazioni dei diritti umani e a beneficio del ruolo centrale della polizia nella loro affinche? protezione, e? urgente che le lacune esistenti vengano al piu? presto colmate. In particolare, e? essenziale che il reato di tortura venga finalmente introdotto nel codice penale e che venga istituito un meccanismo nazionale di prevenzione della tortura e dei maltrattamenti, obbligo previsto dal Protocollo opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura, ratificato dall'Italia nel 2012. E? altrettanto urgente che vengano introdotte misure di identificazione per gli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico assicurando che l'identita? personale degli stessi sia tracciabile, ad esempio attraverso l'uso di codici alfanumerici sulle uniformi, come indicato dal Codice europeo sull'etica della polizia, adottato dal Consiglio d'Europa nel 2014.
2) Fermare il femminicidio.
La violenza domestica ignorata nel 90% dei casi. Nel rapporto sull'Italia5 pubblicato nel 2012, la Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne ha sottolineato gli alti livelli di violenza domestica e le crescenti uccisioni di donne in quanto donne, da parte di uomini, che caratterizzano il paese. La violenza domestica nella sfera privata non viene denunciata alla polizia in oltre il 90 per cento dei casi, così come anche lo stupro, e resta la maggior parte delle volte completamente invisibile. La violenza domestica sta sfociando, in Italia, in un crescente numero di uccisioni di donne per violenza misogina. Negli ultimi 10 anni, il numero di omicidi da uomo su uomo è diminuito, mentre è aumentato il numero di donne uccise per mano di un uomo: oltre 100 ogni anno. In circa la metà dei casi il colpevole è un partner o ex partner e solo in circostanze rare si tratta di una persona sconosciuta alla donna.
L'impegno delle istituzioni. Per contrastare adeguatamente queste violazioni dei diritti umani, le istituzioni italiane devono ratificare al più presto la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla violenza contro le donne e devono mettere in campo un impegno serio e determinato per dare attuazione alle raccomandazioni del rapporto della Relatrice speciale. Tra le richieste, c'è quella di adottare una legge specifica sulla parità di genere e sulla violenza contro le donne. Gli agenti siano adeguatamente equipaggiati e formati a impiegare metodi non violenti e non letali prima di ricorrere, quando strettamente necessario, a un uso legittimo e proporzionato della forza e delle armi.
...E quello del sistema mediatico. Inoltre, la società e gli organi di informazione dovrebbero essere sensibilizzati sulla violenza contro le donne, anche al fine di una rappresentazione non stereotipata delle donne e degli uomini nei media. I centri di accoglienza per donne vittime di violenza andrebbero mantenuti e aumentati, assieme alla garanzia di un adeguato coordinamento tra la magistratura, la polizia e gli operatori sociosanitari che si occupano della violenza contro le donne.
3) Proteggere i rifugiati e sospendere gli accordi con la Libia.
S'è alimentata l'ansia della gente sull'immigrazione. Nell'ultimo decennio le autorità italiane hanno alimentato l'ansia dell'opinione pubblica sostenendo che la sicurezza del paese sarebbe minacciata da un' "incontrollabile immigrazione clandestina" e giustificando in questo modo l'adozione di rigide misure che hanno posto i lavoratori migranti in una situazione legale precaria, rendendoli facili prede dello sfruttamento. Allo stesso tempo, in linea con l'approccio dell'Unione europea, negli ultimi anni l'Italia ha considerato come una priorità assoluta il rafforzamento delle frontiere a scapito del rispetto degli obblighi relativi al salvataggio delle vite umane in mare e ha rafforzato le misure di controllo oltre i propri confini, senza riguardo per i costi umani. Nel 2011, almeno 1500 uomini, donne e bambini sono annegati nel Mediterraneo mentre cercavano di raggiungere l'Europa. In diverse occasioni, l'Italia ha respinto persone verso la Libia, paese in cui sono state poi arrestate e sottoposte a maltrattamenti.
Le condanne della Corte Europea. Questa pratica è stata condannata dalla Corte Europea dei diritti umani nel 2012 (caso Hirsi c. Italia) 9 . Ciononostante, pochi mesi dopo, l'Italia ha stipulato con la Libia accordi per il controllo dell'immigrazione analoghi a quelli conclusi in anni precedenti10, su cui si basavano i respingimenti in Libia. Tali accordi prevedono la detenzione dei migranti in Libia e non contengono alcuna salvaguardia per la protezione dei rifugiati nel paese. Far mancare adeguata protezione ai lavoratori migranti e ai rifugiati non favorisce la legalità. Piuttosto, sono necessarie regole sull'immigrazione e sull'asilo eque e rispettose degli esseri umani, per fermare lo sfruttamento dei lavoratori migranti e garantire alle persone in fuga da persecuzioni e altre violazioni dei diritti umani l'accesso alla protezione, come prescritto dalla Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951.
Eliminare il "pacchetto sicurezza". Per proteggere i migranti dallo sfruttamento serve una politica migratoria diversa, che tenga conto della realtà del mercato del lavoro e della domanda reale di manodopera migrante, superiore a quanto sinora considerato dalle quote di ingresso legale. E' necessario abrogare il cosiddetto "pacchetto sicurezza" che criminalizza l'"ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato" e garantire che la detenzione dei migranti irregolari sia usata solo in via eccezionale e in maniera proporzionata al fine del loro rimpatrio, con una valutazione della situazione individuale del migrante effettuata caso per caso e adeguatamente motivata.
Le condizioni di vita nei CIE. Inoltre, le condizioni nei Centri di identificazione ed espulsione (Cie) devono al più presto essere portate in linea con gli obblighi internazionali dell'Italia in materia di detenzione. L'Italia deve garantire l'accesso di rifugiati e richiedenti asilo al territorio e a eque procedure per ottenere protezione internazionale, dando priorità al salvataggio in mare, sospendendo ogni accordo esistente con la Libia sul controllo dell'immigrazione e non stipulandone altri sino a quando il paese non fornirà garanzie concrete in materia di diritti umani e di accesso dei rifugiati alla protezione.
4) Condizioni dignitose nelle carceri.
Il sovrappopolamento nelle celle: più 150%. Come rimarcato in una recente sentenza di condannata dalla Corte Europea dei diritti umani (Torreggiani c. Italia)14, la sovrappopolazione carceraria in Italia ha carattere strutturale e sistemico, risultante dal malfunzionamento cronico del sistema penitenziario italiano, che ha colpito moltissime persone ed è incompatibile con la Convenzione europea dei diritti umani. Il tasso nazionale di sovrappopolazione si aggira intorno al 150 per cento e oltre il 40 per cento dei detenuti è costituito da persone sottoposte a carcerazione cautelare in attesa di giudizio.
Obblighi sanciti e sempre disattesi. Più volte, nell'ultimo decennio, i comitati internazionali di controllo sui diritti umani, tra cui il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa e il Comitato contro la tortura delle Nazioni Unite, hanno segnalato l'esistenza di un diffuso problema di sovraffollamento delle carceri italiane, incompatibile con l'obbligo internazionale di garantire condizioni di detenzione adeguate e rispettose della dignità e dei diritti umani e con il diritto di non essere sottoposti a trattamenti disumani e degradanti. L'Italia deve garantire condizioni di detenzione dignitose e deve contrastare e prevenire il sovraffollamento carcerario attraverso una strategia coerente, come raccomandato dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa. A tal fine, le politiche penali dovrebbero prevedere una riduzione del ricorso alla detenzione e un maggiore uso di misure alternative. Chi è soggetto a condizioni di detenzione contrarie al divieto di trattamenti disumani e degradanti dovrebbe vedere al più presto cessare tale situazione e chi ha subito tale condizione in passato dovrebbe poter ottenere un risarcimento.
5) Combattere l'omofobia
Ciò che manca nella legge antidiscriminazione. Negli ultimi anni, attacchi verbali e fisici nei confronti delle persone Lgbti (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate) si sono verificati in Italia con preoccupante frequenza, mentre diversi esponenti politici e istituzionali hanno continuato a fomentare un clima d'intolleranza e di odio con dichiarazioni palesemente omofobe. La legge penale italiana antidiscriminazione prevede pene aggravate per crimini di odio basati sull'etnia, razza, nazionalità, lingua o religione, ma non tratta allo stesso modo quelli motivati da finalità di discriminazione per l'orientamento sessuale e l'identità di genere. Inoltre, a causa della medesima lacuna della legge antidiscriminazione, l'incitamento a commettere atti o provocazioni di violenza omofobica e transfobica non è perseguibile come altre forme di incitamento alla violenza discriminatoria1.
Così aumenta l'intolleranza. Questa situazione rischia di favorire l'aumento di intolleranza e violenza verso le persone Lgbti, tuttavia la lacuna legislativa non è stata sinora colmata. Inoltre, nella legislazione italiana manca qualsiasi riconoscimento della rilevanza sociale delle famiglie costituite da persone dello stesso sesso e dai loro figli. Ciò impedisce a molte persone di godere di diritti umani essenziali per l'autorealizzazione e alimenta la stigmatizzazione delle persone Lgbti. Il principio di non discriminazione, sancito dalla Convenzione europea dei diritti umani, da numerose convenzioni delle Nazioni Unite e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, garantisce parità di trattamento tra le persone e stabilisce il divieto di qualsiasi forma di discriminazione, anche quella basata sull'orientamento sessuale. Le autorità italiane hanno la responsabilità di proteggere e garantire la realizzazione dei diritti umani delle persone Lgbti affinché esse non siano vittime di discriminazione.
RE LE INCHIESTE: Gay, La mappa dei soprusi e diritti nel mondo
6) Fermare gli sgomberi forzati e la segregazione dei Rom.
La comunità etnica più discriminata. I Rom in Italia restano tra le comunità maggiormente discriminate ed escluse dal godimento dei diritti umani. Solo nell'ultimo anno, centinaia di Rom sono stati sgomberati e lasciati senza dimora. Piani per la chiusura di diversi campi autorizzati o "tollerati" continuano a essere applicati senza salvaguardie, mentre le condizioni di vita nella maggior parte dei campi autorizzati restano gravemente disagiate, poiché le autorità non hanno agito per migliorarle. Nei campi informali la situazione è ancora peggiore, con scarso accesso ad acqua, servizi igienico-sanitari e fornitura elettrica. La segregazione etnica nei campi si perpetua e i Rom restano vittime di un diffuso pregiudizio, come segnalato nel 2012 dal Comitato delle Nazioni Unite per l'eliminazione della discriminazione razziale.
"Emergenza nomadi": gli sgomberi al posto dell'inclusione sociale. Negli ultimi anni le politiche dell'Italia si sono basate sulla cosiddetta "Emergenza nomadi", ispirata a una politica degli sgomberi piuttosto che a promuovere l'inclusione e l'accesso a un alloggio adeguato per donne uomini e bambini Rom. Questa misura è stata dichiarata illegittima dal Consiglio di stato nel 2011 e il Governo si è impegnato ad un approccio diverso nella Strategia nazionale d'inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti, presentata alla Commissione europea a febbraio 2012. Tuttavia mancano ad oggi passi concreti da parte delle istituzioni per applicarla. L'accesso a un alloggio adeguato e ai diritti umani è essenziale per l'inclusione sociale di questa comunità. Per questo motivo gli sgomberi forzati vanno fermati e proibiti per legge e il sistema dei campi va superato, evitando che questo comporti una riduzione dell'accesso dei Rom a un alloggio adeguato. E' inoltre urgente rimuovere gli ostacoli discriminatori per i Rom e altri gruppi emarginati
nell'accesso all'edilizia residenziale pubblica.
7) Ci vuole un'istituzione nazionale indipendente per difendere i diritti umani
I principi di Parigi. Le Nazioni Unite sottolineano da decenni quanto sia fondamentale per proteggere i diritti umani a livello nazionale che gli stati si dotino di un'istituzione nazionale dedicata, in linea con i "Principi di Parigi" adottati dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1993: indipendente, dotata di poteri e risorse adeguati, pluralista nella composizione, accessibile, e con un mandato ampio, relativo a tutti i diritti umani internazionalmente riconosciuti. Un organismo di questo tipo garantisce un monitoraggio costante della situazione dei diritti umani nel paese, suggerisce modifiche al sistema, indica soluzioni. L'Italia ha finora fallito in questo compito, nonostante le ripetute raccomandazioni di organismi internazionali, incluso il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, nel corso dell'ultima Revisione periodica universale del 2010. La creazione di questa istituzione deve essere una priorità per il prossimo Governo e Parlamento.
8) Imporre alle multinazionali italiane il rispetto dei diritti umani
Lavoratori senza diritti. In molte aree del mondo le persone e le comunità interessate dalle attività delle aziende continuano a essere sostanzialmente prive di protezione dagli abusi dei diritti umani, in particolare se commessi da imprese multinazionali che operano al di fuori del paese in cui sono basate. E' invece necessario prevenire e perseguire gli abusi e garantire l'accesso alla giustizia a chi viene colpito dall'attività delle multinazionali. I governi dei paesi in cui le imprese hanno sede hanno un ruolo cruciale per far sì che le multinazionali rispettino i diritti umani e vengano chiamate a rispondere del loro operato. L'Italia è sede di un'importante azienda multinazionale petrolifera come l'Eni e di altre aziende il cui operato si ripercuote sulla vita di ampie fasce di popolazione, anche in luoghi molto lontani dal paese. Nel caso dell'Eni, ad esempio, l'area del Delta del fiume Niger in Nigeria.
Colmare i vuoti della legislazione. Come raccomandato dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, è necessario colmare i vuoti di legislazione e di controllo sull'operato delle imprese multinazionali, vuoti che attualmente fanno sì che le multinazionali non siano chiamate a rispondere delle loro operazioni e agiscano in una sostanziale impunità. Un ruolo importante per colmare tali vuoti normativi lo hanno, sul piano nazionale, gli stati nel cui territorio le imprese hanno sede. Essi dovrebbero innanzitutto adottare misure normative applicabili alle aziende con effetti extraterritoriali, tali da imporre il rispetto dei diritti umani in tutti i paesi nei quali queste operano e l'adozione nelle loro operazioni delle misure necessarie alla salvaguardia dei diritti umani (due diligence), tra cui una regolare valutazione, anche preventiva, dell'impatto delle operazioni sui diritti umani.
Subordinate il supporto economico ai rispetto dei diritti. Riguardo alle aziende multinazionali che appartengono in tutto o in parte allo stato o che ricevono aiuti statali, un metodo concreto di imporre il rispetto dei diritti umani è subordinare a tale condizione il supporto economico. Gli stati che hanno partecipazioni proprietarie di aziende multinazionali o che forniscono loro aiuti economici, dovrebbero condizionare il proprio sostegno al rispetto dei diritti umani e all'esercizio della due diligence da parte delle imprese. Soltanto in questo modo, gli stati stessi possono assicurarsi di non essere complici nella commissione di abusi dei diritti umani da parte delle aziende supportate. Amnesty International rivolge queste richieste all'Italia riguardo alle aziende basate sul proprio territorio, chiedendo in particolare, in relazione alle attività dell'Eni nel Delta del Niger e al rispetto dei diritti umani delle comunità residenti nell'area, di prevedere misure che regolino efficacemente le attività dell'azienda.
9) Lottare contro la pena di morte
Il lodevole ruolo dell'Italia nelle sedi internazionali. L'Italia è interlocutore privilegiato, per motivi geografici, politici ed economici, di una serie di stati che presentano una situazione allarmante in termini di diritti umani o stanno attraversando una delicata fase di transizione. Per questo motivo, il governo dovrebbe intendere la propria politica estera quale occasione cruciale per esercitare un ruolo autorevole ed efficace per la promozione dei diritti umani nel mondo. L'approccio dell'Italia alla politica estera in questi anni ha mostrato aspetti positivi e negativi. L'Italia ha giocato un ruolo chiave nel quadro multilaterale e in particolare presso le Nazioni Unite, in favore dell'adozione di risoluzioni per la moratoria sull'uso della pena di morte. Anche grazie ai forti richiami contenuti nelle risoluzioni dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite per le quali il governo italiano si è attivamente speso, oggi più di due terzi dei paesi al mondo hanno abolito la pena capitale per legge o di fatto, portando i paesi abolizionisti (attualmente 140) in netto vantaggio rispetto a quelli mantenitori (58). Questo impegno dovrebbe proseguire, puntando a un continuo allargamento del gruppo degli stati sostenitori della moratoria.
Più decisione con Giappone, Cine, Stati Uniti. Analoga attenzione dovrebbe essere attribuita alla lotta contro la pena di morte quando i rappresentanti del governo italiano incontrino a livello bilaterale governi di paesi mantenitori della pena di morte, come ad esempio Giappone, Cina e Stati Uniti. Più in generale, un approccio di elevata considerazione e azione concreta per i diritti umani a livello di istituzioni internazionali e di relazioni bilaterali, deve diventare il modello per un impegno internazionale dell'Italia in politica estera che risulti complessivamente più autorevole e attento ai diritti umani di quanto accaduto negli ultimi anni. Le consolidate relazioni con la Libia e i paesi del Corno d'Africa, così come i rapporti con gli stati dell'Africa del Nord e del Medio Oriente, attraversati da conflitti o interessati da una transizione verso un nuovo assetto, impongono all'Italia un'attenzione specifica. Ogni sforzo andrebbe compiuto per favorire uno sbocco di tali percorsi verso legislazioni e sistemi in cui i diritti umani, tra cui quelli delle donne e dei difensori dei diritti umani, e più in generale il pluralismo e la libertà di espressione, vengano garantiti.
Stesso impegno all'interno dell'Europa. Lo stesso livello di attenzione è richiesto nelle relazioni interne all'Europa: i rapporti con la Russia, la Bielorussia, la Turchia, l'Azerbaigian tra gli altri, non possono prescindere da un'attenzione specifica alla situazione dei diritti umani in tali paesi. Lo stesso vale, al di fuori dell'Europa, per paesi governati da regimi autoritari come il Kazakistan, interessati da fasi di transizione come il Myanmar o destinati, in ragione della loro economia, a giocare un ruolo sempre piu? importante sulla scena internazionale, come Cina, India e Brasile.
10) Un controllo maggiore nel commercio delle armi
Nel mondo, un morto ogni minuto che passa. Amnesty International è impegnata da quasi 20 anni per l'approvazione di un Trattato internazionale sul commercio di armi, nella convinzione che vi sia un disperato bisogno di porre fine ad un commercio di armi irresponsabile e scarsamente regolamentato, circostanza che ha causato la morte, il ferimento, lo stupro e la fuga dalle loro terre di milioni di persone. In particolare, l'assenza di adeguati controlli comporta che le armi finiscono nelle mani di governi e gruppi armati che continuano a colpire le popolazioni civili, come in Afghanistan, Colombia, Repubblica Democratica del Congo e Somalia. Nel luglio del 2012, soprattutto a causa dell'opposizione di Cina, Russia e Stati Uniti, è stata rinviata l'approvazione di quello che avrebbe potuto essere uno storico accordo per porre fine all'irresponsabile commercio di armi. Un'occasione persa mentre le uccisioni dei civili in Siria occupavano i titoli dei notiziari e a dispetto della triste statistica di un morto al minuto, nel mondo, a causa della violenza armata.
Ci vuole un trattato internazionale. Tuttavia, un efficace Trattato sul commercio di armi resta un obiettivo raggiungibile, se si considera che la maggioranza dei governi ha dichiarato di voler continuare a lavorare in direzione di un trattato forte che protegga i diritti umani. Quattro settimane di negoziati alle Nazioni Unite si sono concluse nel luglio 2012 con una dichiarazione congiunta sottoscritta da oltre 90 paesi, che s'impegnano a ottenere quel risultato nel più breve tempo possibile. Se il Trattato sul commercio di armi venisse approvato, i governi sarebbero vincolati da un accordo internazionale a prendere decisioni sui trasferimenti di armi tenendo conto della protezione delle popolazioni civili. L'Italia può svolgere un ruolo favorevole per garantire che questo risultato, tanto a lungo atteso, possa finalmente diventare realtà. Anche sul piano interno è fondamentale che il rispetto dei diritti umani sia preso concretamente in considerazione ogni qualvolta l'Italia autorizzi esportazioni di armi prodotte in Italia, non consentendole verso paesi in cui potrebbero essere utilizzate per violare i diritti umani e il diritto internazionale umanitario

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