Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

07 gennaio 2014

Nuove regole per gli immigrati
la Repubblica, 07-01-2014
Tito Boeri
HA FATTO bene Matteo Renzi a porre la riforma delle politiche dell’immigrazione al centro dell’agenda politica in vista delle elezioni europee. Servirà anche a prepararci meglio al semestre italiano di presidenza dell’Ue, dato che per salvare l’euro ci vuole una maggiore mobilità del lavoro fra i paesi dell’Unione.
I predecessori di Renzi alla guida del maggior partito di centrosinistra hanno sempre evitato di parlare di immigrazione in prossimità di campagne elettorali. A parole, perché temevano di dare spazio alla Lega o ad altri movimenti xenofobi. In verità perché per un partito di centrosinistra è sempre difficile trattare di immigrazione, un tema su cui l’ideologia di chi vorrebbe sempre e comunque aprire le frontiere ai più poveri si scontra con gli interessi economici della base elettorale. Per evitare divisioni laceranti, si è preferito perciò lasciare l’iniziativa agli altri, limitandosi al massimo ad agire di rimessa, contrastando i palesi errori fatti dagli altri anziché avanzare proprie proposte. E non è un caso che sin qui lo stesso Renzi abbia parlato di riformare la legge Bossi-Fini quando in realtà gran parte delle nostre normative sull’immigrazione si regge ancora sull’impianto della legge Turco-Napolitano.
È perciò opportuno che le proposte di riforma che verranno formulate siano capaci, da una parte, di parlare all’ideologia della solidarietà senza frontiere e, dall’altra, di rivedere con sano pragmatismo l’intero impianto delle nostre politiche dell’immigrazione, distinguendo fra le competenze (e responsabilità) che spettano al nostro paese e quelle che richiedono livelli di governo sovranazionali.
Chi vorrebbe aprire le frontiere a tutti i poveri non tiene conto del fatto che la solidarietà è un bene che si regge sulla coesione sociale. Non si può allargare a dismisura la platea dei beneficiari senza rischiare di corrompere alla base lo spirito solidaristico. Si tratta di qualcosa che si accetta di fare in prima persona (o si delega a uno Stato) mettendo in secondo piano i propri interessi individuali, solo a condizione di circoscrivere il novero di coloro che ne potranno beneficiare. Devono essere parte di un gruppo magari anche molto grande, ma di cui ci si sente di far parte, anche perché la solidarietà ha spesso un contenuto assicurativo: si aiuta pensando che un giorno potrebbe toccare a noi essere dalla parte di chi riceve anziché dare. Per questo l’immigrazione senza controlli uccide la solidarietà. Le politiche dell’immigrazione servono proprio a permettere che i flussi migratori avvengano con i tempi necessariamente lunghi dell’integrazione sociale dei nuovi arrivati. L’immigrazione senza restrizioni conosce brusche accelerazioni e può andare contro gli interessi degli stessi immigrati che, in assenza di solidarietà, rischiano di trovarsi peggio che nel loro paese d’origine, come prova il trattamento riservato in alcuni dei nostri “centri di accoglienza”.
La riforma dell’immigrazione dovrebbe perciò imporre gradualità negli ingressi di immigrati proprio mentre si investe nella loro integrazione. Noi sin qui abbiamo fatto esattamente l’opposto. Non abbiamo cercato di contenere gli arrivi, ma abbiamo in tutti i modi dissuaso la permanenza, sottoponendo chi rimaneva da noi per un periodo superiore a quello di un contratto stagionale a una burocrazia infinita e a vessazioni continue. I decreti flussi dei governi di centrodestra sono stati in genere molto generosi in quanto a numero e tipologia di ingressi, venendo spesso più incontro alle esigenze delle imprese che a quelli delle famiglie italiane, ma hanno sistematicamente ricercato una disparità di trattamento fra immigrati e popolazione autoctona. Al punto che gli indicatori di integrazione degli immigrati recentemente compilati dall’Ocse mostrano come l’Italia sia molto in ritardo e fatichi soprattutto a dare istruzione di qualità e opportunità di impiego agli immigrati di seconda generazione, quelli che generalmente si integrano più facilmente.
La nuova politica dell’immigrazione dovrebbe cercare di prosciugare il bacino dei cosiddetti overstayers, immigrati che rimangono da noi alla scadenza del permesso di soggiorno, autorizzando il lavoro legale in base alle segnalazioni dei datori di lavoro entro un numero programmato senza aspettare il prossimo decreto flussi e senza imporre agli immigrati già da noi di tornare nel loro paese d’origine per poi rientrare legalmente da noi. Anacronistico anche imporre che i permessi vengano accordati solo a chi ha già un lavoro prima di venire, come se i nostri fatiscenti servizi di collocamento fossero in grado di operare nei paesi da cui provengono gli immigrati: deve essere possibile avere un permesso temporaneo mentre si cerca un impiego. Al tempo stesso si potrebbero aprire una serie di canali per la stabilizzazione del soggiorno (prima ancora che per la concessione della cittadinanza), ad esempio per minori stranieri nati in Italia o che abbiano completato con profitto in Italia un intero ciclo scolastico. Importante favorire in questo processo gli immigrati di seconda generazione, impedendo che paghino per errori compiuti dai loro genitori (magari perché segnalati alla pubblica sicurezza in quanto arrivati illegalmente da noi) e garantendo loro comunque il diritto allo studio.
Con una riforma dell’immigrazione di questo tipo potremmo avere le carte in regola per contribuire ad una migliore gestione del fenomeno a livello europeo, con costi dei controlli alle frontiere meglio ripartiti e con una gestione comune del problema dell’accesso ai sistemi di protezione sociale. Durante la presidenza italiana ci si potrebbe infatti accordare per pagare con il bilancio comunitario l’assistenza sociale ai cittadini Ue che si sono appena trasferiti in un altro paese dell’Unione senza trovare lavoro, prendendo come riferimento il livello di assistenza nel paese d’origine. È un modo per scoraggiare il cosiddetto “welfare shopping”, impedire la gara al ribasso fra paesi Ue nel fornire assistenza ai poveri e favorire al tempo stesso l’integrazione e la mobilità del lavoro, fondamentale nell’ambito di una unione monetaria in presenza di andamenti divergenti delle diverse economie. In questa battaglia la Germania potrebbe essere, per una volta, al nostro fianco. Oggi la paura che gli immigrati abusino dei sistemi di welfare è ciò che mette in difficoltà Angela Merkel di fronte alla rimozione delle residue barriere alla mobilità di bulgari e rumeni, i cui arrivi, in provenienza soprattutto da Spagna e Italia, si sono quintuplicati dall’inizio della crisi.



Gli Usa incoronano Kyenge "Coraggiosa, cambia l'Italia"
Foreign Policy la include fra i "100 pensatori più influenti al mondo"
La Stampa, 07-01-2014
PAOLO MASTROLILLI
INVIATO A NEW YORK
La rivista «Foreign Policy» ha inserito Cécile Kyenge, ministro italiano dell'Integrazione, tra i cento pensatori più influenti che hanno contribuito a cambiare il mondo nel 2013. Con lei ci sono anche il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, e la scienziata Fabiola Gianotti, insieme a persone che hanno avuto un impatto per le ragioni più diverse, dalla giovane studentessa Malaia perseguitata dai talebani, fino all'ex agente della National Security Agency Snowden che ha rivelato i segreti dello spionaggio americano. Motivazione della sua citazione: «Per aver combattuto la persistente xenofobia in Europa».
L'autorevole pubblicazione di politica internazionale spiega cosi la sua scelta: «Come primo ministro italiano nero, Cécile Kyenge ha sopportato abusi inimmaginabili. È stata paragonata a una prostituta e un orangotango; le hanno tirato addosso le banane e hanno piazzato manichini insanguinati fuori dalle sale dove parlava; le è stato detto che sarebbe una grande donna di servizio. Un politico locale ha persino suggerito che doveva essere stuprata».
Elencati gli abusi, la motivazione continua cosi: «La Kyenge ha gestito questo razzismo mozzafiato, molto del quale veniva da colleghi politici, con grazia ed equanimità, forse perché il suo lavoro è assicurare che l'Italia dia il benvenuto alla diversità».
Il riconoscimento, però, non viene solo dal modo in cui ha sopportato le offese: «In un paese che fatica a fare i conti con una crescente popolazione di immigrati, la sua nomina ha un valore per il solo simbolismo. La gentile Kyenge, però, sta promuovendo anche un'agenda legislativa ambiziosa, incluso un provvedimento che renderebbe più facile la cittadinanza italiana per i figli degli stranieri. Inoltre, dopo il naufragio davanti all'isola di Lampedusa che a ottobre ha ucciso centinaia di persone in navigazione dall'Africa all'Europa, la Kyenge ha chiesto all'Italia di avere un approccio all'immigrazione segnato da meno "repressione" e più "accettazione". Ha promesso di triplicare la capacità del paese di ospitare i rifugiati nei centri di accoglienza».
«Foreign Policy» ricorda ai suoi lettori che la ministra ha un'esperienza personale che la mette in condizione di capire queste tematiche meglio di altri, perché lei stessa aveva lasciato la Repubblica democratica del Congo tre decenni fa, per trasferirsi in Europa. Eppure, dopo tanto tempo, la necessità dell'integrazione sfugge ancora a molti, nonostante l'intero continente abbia chiaramente bisogno di nuovi innesti, se non altro per bilanciare il suo continuo calo demográfico. «Queste idee - conclude "Foreign Policy" - non sono state facili da ingoiare per molti italiani. Però, spingendo la propria agenda, la Kyenge sta mantenendo una promessa alle generazioni attuali e future di immigrati».



Romeo e Giulietta nel CIE
l'Unità, 07-01-2014
Flore Murard-Yovanovitch
Le sbarre inumane dei Cie possono a volte separare amori, dividere ingiustamente due persone che sono fuggite dal loro paese, hanno rischiato il mare, per potersi amare liberamente. Romeo e Giulietta ai tempi dei Cie. Come due giovani tunisini che si sono sposati malgrado il disaccordo dei fratelli salafiti di lei, che dopo il matrimonio, sono passati alle violenze e alle torture fisiche. Le ferite di lei sulle braccia raccontano in silenzio. Hanno dovuto imbarcarsi di notte, sfidare le onde,  per vivere. Ed eccoli qua, separati di nuovo dai muri del Cie di Ponte Galeria. Ecco il video.
Quelle scandalose condizioni di trattenimento amministrativo degradante, fatto di ore sospese, di materassi lerci e capanne di plastica, come fossero animali – quelle immagini che ormai tutti hanno potuto vedere in Tv, che tutte le istituzioni hanno visto e deplorato in ritardo per anni quando entravano nel centro dell’isola,  quei pianti ipocriti per circoscrivere quella vergogna a Lampedusa, mentre in realtà, quelle  condizioni di trattenimento inumane riguardano tutti i Cie, tutti  i centri di prima accoglienza improvvisati nelle tendopoli del Mezzogiorno, tutti i Cara sovraffollati del territorio. Quell’illegalità su base razziale che cresce nelle pieghe delle istituzioni italiane, nessuno la vuole veramente affrontare, farla finire. Gli stessi  Gattopardi continuano a giustificare con la loro  presenza, con il loro chiudere gli occhi, la situazione all’interno di quei luoghi…. Campi di detenzione per solo stranieri… Dopo settimane di mea culpa istituzionale, nel Cie di Ponte Galeria, come altrove, i lucchetti del  controllo paranoico dell’altro, continuano ad abbattersi sugli innocenti, gabbie per stranieri continuano a recludere stranieri che non hanno commesso reati, mentre la politica fa finta di gridare allo scandalo (Lampedusa) mentre la detenzione illegale su base razziale prosegue in tutti campi (che  si  chiamino Cie, o Cpsa, Cspa, Cara, ecc) da 15 anni. E provoca suicidi, fughe, depressioni, uomini ridotti a relitti. Poi escono le immagini in Tv, si piange alcuni giorni, si fanno dichiarazioni per la chiusura, e secondo le indagini, la commozione digitale, si fa finta di chiudere un centro, per aprirne un altro. Per tenere in piedi il sistema dei Cie.
Nel Cie di ponte Galeria, però, questa volta una straordinaria storia di resistenza è venuta alla luce grazie alla giornalista Raffaella Cosentino, oltre le sbarre che ti murano vivo. Mani innamorate, ritrovate un istante, sguardi furtivi prima di essere riportati in cella, di nuovo perquisiti, sorrisi che si scambiano dietro i muri. Le parole di speranza tra Ali e Alia che lottano dentro quell’istituzione, per la loro libertà, il loro amore, che ha commosso alcuni politici e forse, presto, usciranno.
Ma il caso non è isolato, nei Cie, come ricorda Oria Gargano presidente della cooperativa Be Free, sono trattenute decine di donne, vittime della tratta internazionale, badanti che non sono state regolarizzate, persone che hanno perso il lavoro, donne vulnerabili che avrebbero diritto alla protezione non alla detenzione arbitraria e infondata. E quanto è duro rimanere una donna, sopravvivere in quel luogo che viola ogni intimità, senza privacy, senza bagni pettini o specchi  raccontano le donne recluse. In gabbia.
Guardate questo  odioso Romeo e Giulietta, è  possibile oggi,  alle porte di Roma dal trenino per Fiumicino, prima dell’aereoporto, lo scorgete sulla sinistra, uno dei lager delle nostre periferie.



La storia di Romeo e Giulietta, ai tempi di Ponte Galeria
Corriere.it, 06-01-2014
Stefano Pasta

Dove sono i Romeo e Giulietta dei nostri tempi? Nel Cie di Ponte Galeria di Roma, quello della protesta delle bocche cucite, tra sbarre alte sette metri, lucchetti, porte blindate, guardie armate e luce sempre accesa «per ragioni di sicurezza», anche quando si vorrebbe riposare. Sono Alia e Ali, 34 e 29 anni, due sposi tunisini fuggiti via mare dalla violenza della famiglia estremista salafita di lei. Dalla Tunisia non è possibile ottenere un visto per l’Europa, serve sfidare la sorte e il mare mosso del Mediterraneo.
Alia ha subito torture dalla famiglia che si opponeva al matrimonio con Ali. Sul braccio ha una ferita profonda, causata dai colpi dei fratelli che l’avevano promessa in sposa a un uomo salafita di molti più anni che lei non ha mai conosciuto. La ferità del cuore però fa ancora più male. Rischiano di essere imbarcati su un aereo contro la loro volontà, come accadde ad Alma Shalabayeva e a sua figlia Alua. Anche in questo caso, pur avendo chiesto la protezione internazionale, hanno ricevuto un rifiuto. Dopo che lei ha tentato di impiccarsi nel bagno della sezione femminile perché non sopportava l’idea di tornare a Tunisi ed essere costretta a vivere senza di lui, marito e moglie possono incontrarsi per brevi momenti, stringersi la mano. Ma sempre controllati e spiati a vista, nel Cie non esiste privacy. «Sono i Romeo e Giulietta dei nostri tempi» dice Lassaad, uno dei protagonisti di “EU 013 – L’ultima frontiera” , a Raffaella Cosentino, che insieme alla campagna LasciateCIEntrare  ha fatto conoscere la loro storia. I deputati di Sel Ileana Piazzoni e Nazzareno Pilozzi hanno scritto al presidente della Repubblica Napolitano, segnalando il caso e chiedendo un suo intervento sui Cie.
    «Questa storia non è l’eccezione, nei Cie si finisce a prescindere dalle vicende personali» spiega Oria Gargano, presidente di BeFree, ong che opera per aiutare le donne rinchiuse a Ponte Galeria. Insieme a Lassaad, Alia e Ali, ci sono badanti dei nostri anziani mai regolarizzate, padri di famiglia che hanno perso il lavoro e non possono rinnovare il permesso, giovani da poco entrati in Italia alla ricerca di un futuro migliore, ragazzi cresciuti nel Belpaese che parlano con accento milanese, romano, o toscano, magari arrestati sotto gli occhi della fidanzata. Secondo l’ente gestore, l’80% delle donne detenute (anzi, il Ministero le chiama «ospiti») sono vittime di tratta.
Ma quella di Romeo e Giulietta di Ponte Galeria è una storia che va oltre il Cie, che ha un prima e un preoccupante dopo, un dentro e un fuori la gabbia. Una storia che soprattutto annulla la distanza apparentemente incolmabile tra un “noi” e un “loro” con cui spesso si parla dei “clandestini”. Dipinti come diversi – addirittura “criminali” da quando nel 2009 la mancanza di documenti è diventato un reato -, si tratta invece di persone “normali”. Come noi, ad esempio, vivono passioni e amano.
Insomma, i numeri del Viminale tornano ad essere uomini e donne in carne e ossa e si contrasta così la deumanizzazione alla base del Sistema Cie, che è ingiusto nella sua legalità. Nei Cie, infatti, i mesi (fino a 18) sono scanditi da attese vuote e snervanti e imposizioni quotidiane grottesche, come l’ordinanza prefettizia che due inverni fa obbligava a indossare ciabatte al posto di scarpe con i lacci per scongiurare pericoli di fughe. Racconta una ragazza di Ponte Galeria: «Resti tutto il giorno così, diventi vecchia. Fumiamo sigarette come pazzi, a pranzo mangiamo come pecore». Le fa eco un’altra “ospite” bosniaca:
    «Le condizioni qui nel centro sono brutte perché la dignità di una donna non esiste. Nel bagno non c’è una porta. Un pettine non esiste e dobbiamo pettinarci con le forchette. Uno può non avere i documenti, ma non è giusto stare in queste condizioni. Durante il giorno non sappiamo cosa fare, non c’è niente da fare».



Germania, boom di immigrati nel 2013. Italiani al terzo posto dopo polacchi e romeni
il sole, 06-01-2014
È l'effetto crisi dei debiti sovrani sulla Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Cipro. Il 2013 ha fatto registrare in Germania un boom di immigrati, che con un totale di 400mila arrivi hanno toccato un limite che non si era più registrato negli ultimi venti anni.
Il domenicale 'Welt am Sonntag' (WamS) ha pubblicato le cifre raccolte dall'Istituto per le ricerche di mercato (Iab), insediato nell'Agenzia federale del Lavoro, dalle quali emerge che lo scorso anno si è registrato un aumento di oltre il 10% degli immigrati giunti in Germania rispetto al 2012. Insomma si torna ai tempi delle valige di cartone e dei treni diretti in Germania in cerca di occupazione mentre la classe politica dei paesi medieterranei stenta a trovare la soluzione ai problemi di competitività e sviluppo.
Il record assoluto dell'immigrazione in Germania era stato toccato nel 1993, al momento della crisi politica nei Paesi dei Balcani, quando in Germania erano arrivati 462mila migranti. Le cifre riguardanti l'immigrazione nel primo semestre del 2013 evidenziano che il più alto numero di arrivi é avvenuto dalla Polonia, con l'Italia al terzo posto dietro la Romania, ma davanti a Ungheria e Spagna. Per quanto riguarda le comunità straniere in Germania, quella italiana si colloca al secondo posto con 520mila presenze, dietro a quella turca, che conta quasi 1,6 milioni di persone, e davanti a quella polacca con 468mila presenze. Largamente distanziate arrivano la comunità greca (283mila), quella croata (223mila) e quella russa (195mila).
Nel frattempo sulla stampa tedesca continuano le polemiche sulla richiesta di espulsione degli immigrati in arrivo dai Balcani, in particolare bulgari e romeni, accusati di trasferirsi in Germania solo per godere dei benefici dello stato sociale. Il deputato europeo Elmar Brok (Cdu), presidente della Commissione Esteri del parlamento di Strasburgo, dichiara alla 'WamS' che «gli Uffici stranieri tedeschi aspettano troppo tempo prima di espellere gente che punta solo ad ottenere prestazioni sociali senza avere un'occupazione regolare. Se le autorità fossero più rigorose contro gli abusi del nostro sistema sociale, ciò avrebbe una funzione deterrente».
Anche Peter Gauweiler, vice presidente della bavarese Csu, partito gemello della Cdu di Angela Merkel, afferma che «da noi arriva gente che vuole trarre profitto dal nostro sistema sociale, a dispetto del fatto che ciò é vietato dal diritto europeo e da quello tedesco».

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