Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

20 maggio 2010

La prova di cultura italiana divide la maggioranza
il Sole, 20-05-2010
Arriva oggi all'esame del Consiglio dei ministri la bozza sullo schema di regolamento recante la disciplina dell'accordo di integrazione tra lo straniero e lo stato. Lo schema dà attuazione all'articolo 4 bis del testo unico sull'immigrazione che prevedeva, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, la messa a punto di un regolamento che fissasse criteri e modalità per la sottoscrizione, contestualmente alla domanda di rilascio del permesso di soggiorno, di un accordo di integrazione per lo straniero, articolato per crediti formativi con l'impegno a sottoscrivere specifici obiet-
tivi di integrazione «da conseguire nel periodo di validità del permesso».
La maggioranza è però divisa al suo interno. Uno dei nodi principali è rappresentato dalla possibilità di prevedere una prova di idoneità culturale e di lingua italiana per gli immigrati che presentano la domanda di rinnovo. Alcuni settori della maggioranza, Lega in testa, premono infatti per rendere obbligatorio questo tassello. Una linea che è condivisa anche dal ministero dell'Interno e dal titolare del Welfare, Maurizio Sacconi, mentre altri esponenti della maggioranza nutrono delle perplessità.



A regolamento presto al via. Chi arriva per la prima volta dovrà sottoscrivere una serie di obiettivi da raggiungere in 2 anni
Permesso a punti per stranieri: sarà espulso solo chi ne ha zero

Il Messaggero, 20-05-2010
CORRADO GIUSTINIANI
Il testo oggi in Consiglio dei ministri: può stare in Italia chi supera quota 30
ROMA - Non scatterà subito, ma 120 giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Non dovranno sottoscriverlo tutti gli immigrati, ma soltanto quelli che entreranno per la prima volta nel territorio nazionale, presentando domanda di permesso di soggiorno. Se minorenni, con l'assistenza dei genitori: il regolamento si applica   infatti allo straniero di età compresa fra 16 e 65 anni. E, infine, non sarà l'incubo  che molti temevano: i crediti necessari a superare la prova sono  30, ma l'espulsione scatta soltanto per chi rimane a quota 0, ma basta scegliersi un medico di base iscritto nei registri delle AsI per ottenere 4 crediti.
E' finalmente pronto il testo finale dell'accordo di integrazione, volgarmente detto "permesso a punti", e Roberto Maroni, ministro dell'Interno, sta facendo di tutto perché il Consiglio dei ministri lo approvi nella seduta di oggi pomeriggio. O quanto meno, ne avvii la discussione. Ne è passato di tempo, infatti, da quando, il ,15 luglio del 2009, l'accordo è stato approvato all'interno del cosiddetto "pacchetto sicurezza". E' in gioco la credibilità dell'iniziativa, che ha visto lavorare per mesi i funzionari della Presidenza del Consiglio, del ministero del Lavoro, dell'Istruzione, oltre a quelli
dell'Interno, e che è stata più volte annunciata in dirittura d'arrivo.
Ma vediamo cosa prevede il regolamento, che è in quindici articoli con tre allegati, e che dopo il sì del Consiglio dei ministri passerà, come Dpr, alla firma di Napolitano. Lo straniero che vuole un permesso di soggiorno di durata superiore a 1 anno, dovrà recarsi allo «sport ello unico dell'immigrazione presso la prefettura, e sottoscrivere l'impegno ad acquisire, nell'arco di due anni, un'adeguata conoscenza della lingua italiana: almeno il livello parlato "A2", secondo la classificazione del Consiglio d'Europa, indispensabile per comunicare nella vita di tutti i giorni. Dovrà poi acquisire una conoscenza sufficiente della Costituzione e della vita civile in Italia, mandare a scuola i figli minori e sottoscrivere la Carta dei valori su cittadinanza e integrazione del 2007.
Lo «sportello unico» entro un mese dalla domanda sottoporrà lo straniero a un breve corso di educazione civica, di durata da 5 a 10 ore, con test finale. Non organizzerà invece corsi di lingua, ma soltanto test: per studiare lo straniero dovrà rivolgersi, a quanto è dato capire, ad associazioni, enti locali, consigli territoriali per l'immigrazione. L'accordo di integrazione, intatti, non ha una dotazione finanziaria. Se lo straniero non riesce a raggiungere nell'arco di due anni i 30 crediti previsti (con tanto di decurtazioni, che riportiamo in altro articolo) otterrà un anno di proroga. Alla fine riceverà un attestato, e con più di 40 punti otterrà "agevolazioni per la fruizione di specifiche attività culturali e formative".
Se rimane senza attestato, con punteggio da 1 a 29, niente paura. Potrebbe solo incontrare qualche ostacolo se un giorno richiedesse il permesso permanente o carta di soggiorno, perché la legge prevede che si
valuti anche l'inserimento sociale dello straniero, così come nella richiesta di cittadinanza per naturalizzazione. La lettura del testo ridimensiona anche il timore che bastasse una semplice multa di un vigile per vedersi decurtare il credito: la sanzione deve essere di almeno 10 mila euro, e bisogna attendere l'esito dell'eventuale ricorso. Curiose, poi, alcune valutazioni; appena 6 crediti per un'onorificenza, magari la medaglia d'oro per aver salvato dall'annegamento un bagnante, più o meno gli stessi previsti per la scelta del medico. Infine: ce la faranno gli sportelli unici, già oggi oberati di lavoro per il rilascio dei permessi di soggiorno, a curare la regia dell'accordo? E per fortuna che non si applica ai rinnovi.



Il Regolamento costituirà il primo esperimento di monitoraggio del'integrazione condotto in Italia

18 Maggio 2010     Medeu.it
In questi giorni il Consiglio dei Ministri metterà a tema un’insolita e certamente singolare iniziativa. Si tratta di un particolare regolamento messo a punto dal ministero del Welfare e dal Viminale (relativamente all’Accordo di integrazione) che attribuirà o decurterà agli stranieri, che chiedono il permesso di soggiorno, un certo numero di crediti.
Più di dieci punti verranno attribuiti per una conoscenza elementare della lingua italiana; trenta punti per chi avrà frequentato un intero anno scolastico con profitto; quattro punti per la scelta del medico di base. Si ritorna indietro – o per gli appassionati del Monopoli a “vicolo corto” – se si commettono dei reati. Verranno, infatti, decurtati venticinque punti per una condanna a una pena di reclusione minima di tre anni, e due punti per un illecito che prevede una multa di diecimila euro.
In pratica il cittadino straniero (dai 16 ai 65 anni ) che desidera entrare in terra italica chiederà il permesso di soggiorno allo sportello unico per l’immigrazione o in Questura e firmerà un accordo con il quale si impegnerà a seguire il percorso di integrazione proposto dalla nostra nazione e che prevede vari gradi di conoscenza culturale e specialistica (roba da ricchi!).
Al ''corsista'' verrà richiesto un livello sufficiente di conoscenza della lingua italiana; si impegnerà a studiare i rudimenti della Costituzione italiana e il funzionamento delle istituzioni pubbliche. L’allievo immigrato non mancherà di apprendere i meccanismi principali della convivenza civile  come per esempio il rispetto dell’obbligo scolastico per i propri figli.
Lo Stato Italiano provvederà ad istituire un corso di formazione civica della durata di due anni con frequenza obbligatoria e accompagnerà il cammino di integrazione dell’immigrato in collaborazione con gli enti locali. In poco tempo l’immigrato avrà così l’opportunità di frequentare scuole, corsi di formazione professionale e di integrazione linguistica e sociale, persino le attività lavorative ed imprenditoriali gli permetteranno di guadagnare punti.
Terminati i due anni di formazione accademica l’immigrato ritornerà presso lo sportello unico da cui e partito per sostenere una verifica. Raggiunti almeno trenta punti gli verrà rilasciato l’attestato e il permesso di soggiorno (con bacio accademico!!!). Rispettati tali presupposti l’immigrato potrebbe persino conseguire la cittadinanza italiana.
Se l’immigrato dovesse rifiutarsi di seguire i corsi, non mandare i figli a scuola, non raccogliere almeno trenta punti, non conoscere sufficientemente bene la lingua italiana gli verrà prorogato il permesso di soggiorno per un anno. Con un totale di zero punti (è ovvio) scatterà, invece, l’espulsione. Se l’immigrato è affetto da gravi patologie e non può frequentare i corsi basterà la certificazione di un medico Asl che ne attesti l’impossibilità ad assolvere l’accordo (cosa comporterà questo impedimento?).
Nel caso in cui l’immigrato, serio ed impegnato, manifestasse costanza nello studio e vivaci capacità di apprendimento, condotta onesta e atteggiamenti volitivi, in questo caso potrebbe usufruire di tante agevolazioni che gli permetteranno di frequentare svariate attività culturali e formative.
La bozza di questo regolamento prima di essere pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, deve essere approvata dal Governo e ricevere poi i pareri della Conferenza Unificata e del Consiglio di Stato e poi tornare al Governo per la delibera definitiva.
Il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, e il titolare del Viminale, Roberto Maroni, desiderano varare il regolamento al più presto perché lo considerano uno strumento indispensabile per promuovere l’integrazione piena degli immigrati.
Un progetto certamente interessante al termine del quale, magari, si potrà pensare una patente a punti con relativi corsi di “training autogeno” anche per i precari nella scuola, per i pensionati, per i disoccupati, per chi attende un alloggio decente, per i senza fissa dimora ecc.  In questo caso però quest’ultimi sarebbero avvantaggiati rispetto agli immigrati… conoscono già l’Italiano!



Orte, l'istituto dove l'integrazione funziona
Altissima è la percentuale di alunni stranieri

Il Messaggero Viterbo, 20-05-2010
A scuola d'integrazione. L'istituto comprensivo di Orte è un concentrato di razze, colori, lingue e religioni. Dove gli alunni fanno del diverso una fonte d'arricchimento, grazie a un'organizzazione scolastica che delle differenze culturali fa un punto di forza. «E' la collaborazione con gli enti locali, le associazioni di volontariato, il personale scolastico - spiega la dirigente Fiorella Crocoli - ad averci permesso di creare una rete capace di superare le difficoltà che, comunque, una così alta incidenza di stranieri, pari quest'anno a una media del 21,60% su un totale di 861 studenti, comporta nell'organizzazione dei percorsi formativi e integrativi». E sull'introduzione da parte del ministro Gelmini del tetto agli immigrati pari al 30% per le classi di nuova formazione, dice: «Io non rifiuterò a nessuno l'iscrizione». Con buona pace delle direttive ministeriali, l'integrazione a Orte stravince.
Una scuola multicolore. Uno sguardo all'interno delle diverse sedi che fanno capo all'istituto comprensivo dà il senso defilata concentrazione di alunni immigrati. Prendiamo Orte: nella primaria su 217 bambini, 27 sono stranieri (12,44), nella scuola dell'infanzia su 156 sono 31 (19,87), nella media su 169 sono 27 (15,98). A Orte Scalo le percentuali schizzano: 29  studenti immigrati su 139 (il 37,99) alla primaria. 30 su 109 (27,52%) all'infanzia, 22 su 80 (27,50%)allamedia. Ma ci sono anche casi eclatanti: «In una classe di Orte scalo - spiega Crocoli - ci sono 19 stranieri e 3 italiani. In un'altra 11 immigrati e 7 italiani». Interessante il prospetto che la dirigente ha fatto anche della provenienza degli alunni non italiani. Il 55,91% provengono da Paesi europei, il 27,96 dall'Africa, il 9,68 dall'Asia, il 6,45 dall'America latina. In testa, come terra d'origine, la Romania col 39% e l'Albania coll' 11% .
Ma come si gestisce una scuola multilingue? «Costruendo una rete di alleanze con enti locali e associazioni, anche del volontariato. Pensiamo - racconta la dirigente - al servizio "aiuto compiti" del Comune, a cui inviamo i registri con tutti gli alunni e i programmi di lavoro, e le ragazze individuate per seguire gli immigrati hanno contatti continui con le insegnanti. Poi, ci sono docenti e operatori culturali che danno la disponibilità    mattutina,  soprattutto quando i ragazzi arrivano nel corso dell'anno scolastico. Il nostro. in questi casi è una sorta di pronto soccorso linguistico e culturale». Capita che, durante le ore di lezione, professori e mediatori culturali facciano assistenza a chi ha più difficoltà a inserirsi. «Ma problemi a livello scolastico - ribadisce - non ce ne sono, proprio grazie alla disponibilità e professionalità del corpo docente e delle istituzioni».
Tutto, a Orte, è studiato per favorire l'integrazione. «Abbiamo una sorta di protocollo dell'accoglienza. che presenta le regole seguite anche dagli accoglienti. Abbiamo i documenti della segreteria e gli opuscoli della scuola in tutte le lingue. Abbiamo redatto un libricino, una sorta di vademecum per le famiglie degli stranieri, in cui riportiamo l'orario scolastico e le festività italiane». Una giornata tipo di un alunno immigrato? «La mattina vivono la classe senza accantonamenti né separazioni. Il pomeriggio seguono attività di integrazione». Risolta anche la questione dei divieti alimentari. «Ad esempio con i musulmani, comunichiamo alla ditta che gestisce la mensa le richieste delle famiglie. E ci si adegua». Quindi, convivere è possibile. «Certo che, senza l'aiuto del Comune e delle associazioni, non avremmo - conclude - le risorse per fare nulla».



Ve lo racconto io che cosa vuol dire essere ITALO-MAROCCHINA

PAPÀ ITALIANO. MADRE MAGHREBINA. UNA FIGLIA ISRAELIANA. ANNA MAHJAR BARDUCCI
È L'ESEMPIO VIVENTE DI CIÒ CHE SI DICE IDENTITÀ MISTA EUROPEA E ARABA. CHE NON È AFFATTO "METICCIA"
IN SENSO SPREGIATIVO. MA. AL CONTRARIO. RICCA. LIBERALE. E MOLTO CRITICA. UN PO' CON TUTTI
Corriere della Sera Sette, 20-05-2010
Stefano Jesiiruw

Anna. Babbo e mamma mi hanno chiamato Anna perché è un nome facile da pronunciare in ogni lingua». Lo dice parlando lenta e sottovoce, gli occhi che sorridono senza strafare, la cantilena e le aspirate da toscanaccia qual è. Elegante e minuta, Anna ha fatto bene ad aprire Italo marocchina (Diabasis edizioni) con un albero genealogico, il suo. Nessuno snobismo aristocratico ma la raffigurazione di un'identità mista europea e araba, un'identità ricca, una identità che in questa Italia 2010 in troppi chiamano "bastarda" (o lo pensano e non hanno il coraggio di dirlo). Nonna Marcella e nonna Kebira, nonno Al> dullah. babbo Mario e mamma Manal. Le sei zie - Fatna, Leila, Samia, Khadija, Amina -più zio Ahmed: nomi e volti, suoni, colori e storie che hanno riempito i lunghi mesi estivi, da quand'era piccola fino all'altro ieri. Anna Mahjar Barducci è nata a Viareggio il 23 gennaio 1982; è cresciuta tra la Versilia, il Marocco, lo Zimbabwe, il Senegal (ecco cosa significa avere un papà agronomo che gira il mondo per governi e ong). Ha studiato in Italia e a Tunisi, e in Pakistan. Laurea nostrana, master in Spagna, Diritto europeo. Quindi a Washington, assistente del caporedattore dell'influente quotidiano Asharq al-Awsat. E oggi dove vive? A Gerusalemme! (in procinto di trasferirsi a Roma per qualche tempo con il marito Yigal Carmon e la loro pìccola Hili - che in ebraico significa "lei è mia").
«Recentemente ero a giro ( tipica espressione toscana per dire a spasso, ndr) per Viareggio e mi sono ricordata che devo rinnovare il passaporto. Entro da un fotografo, chiedo di farmi le fototessera e lui mi fa: "Sono per il permesso di soggiorno, vero?". Ancora: l'altro giorno, al supermercato con la mia bambina, si avvicina una signora, anche gentile, fa un sacco di complimenti a Hili, poi mi guarda: "Come mai è più chiara di lei?". E da ragazza, studentessa, mi chiedevano se volessi fare la badante... Quanta ignoranza, e di conseguenza quanto razzismo».
Gli eterni e imperterriti sostenitori di "Italiani brava gente" sosterrebbero che non le è successo nulla di importante, tanto meno di grave. «Lo racconti a mia madre, rimasta traumatizzata da un uomo che un pomeriggio, lungo lo "struscio" di Viareggio, l'ha guardata in faccia e si è passato un dito sul collo nel tipico gesto del "ti tagliamo la gola"». Anna abbassa ancor più il tono della voce: «...andare alla Polizia non serve a niente».
Nelle pagine di Italo marocchina così come nelle parole di Anna Mahjar Barducci, a colpire sono il coraggio dell'intelligenza (non ama i luoghi comuni) e la vergogna controllata (non è facile narrare la saga familiare di parte marocchina - molte ombre, poche speranze). Quei due mesi all'anno, in estate, a Kenitra («al-Qunaytra, si affaccia sull'Atlantico, una volta c'era una base americana»), non era facile tornare a casa. «Solo da pochi anni.
con la Riforma, i figli di madre marocchina sono marocchini, prima contava la paternità e basta». Breve intervallo politico. L'intervistata, che è presidente dell'associazione Arabi Democratici Liberali, concorda - giustamente - sulla tesi espressa da Emma Bonino proprio durante la presentazione del libro di Mahjar: vero che le evoluzioni delle società portano a legislature più avanzate, però altrettanto vero che leggi avanzate, le buone leggi, aiutano le società a evolversi. E in Italia siamo parecchio indietro. Intervallo finito. Già, quei due mesi all'anno, in estate, a Kenitra, "a casa", l'islam, le tradizioni. «Conta poco che tu sia religiosa o no, osservante o no, ma che vivi in Europa sì, che vai a scuola regolarmente, che fai un'altra vita. Per questo sei vissuto "diverso", l'islam non c'entra molto. Se non appartieni all'alta società marocchina, conta che tu venga e vada in aereo, che parli altre lingue, che viaggi, che tuo padre non faccia il manovale». Revanscismo sociale? «Poco verso di me. Molto verso mia madre, è lei che si è "emancipata". Io sono banalmente vista come frutto della scelta di mia madre».
E la sottomissione al maschio? «La viviamo quotidianamente attraverso le sofferenze delle mie zie e delle mie cugine». E lei? «Dopo qualche fidanzato italiano/cristiano, mi è capitato di innamorarmi di un ebreo, per giunta israeliano». Diciamo un "nemico". «E che nemico!», ride per la prima volta Anna. «Il mio Colonnello. Yigal, ashkenazita, famiglia scomparsa nella Shoà, consigliere dei primi ministri Shamir e Rabin, fondatore del
Middle East Media Research Institute, ex ufficiale a capo dell'intelligence militare, ex negoziatore israeliano con la Siria...». E non le hanno detto niente? «La mia è una famiglia di donne, non c'è un uomo che comanda, che lancia anatemi, il punto di vista femminile è più tollerante. Loro guardano se sono felice. E in Italia mi chiedono se voglio fare la badante... vi rendete conto?».
BOMBE A OROLOGERIA
E la piccola Hili? «È nata a Gerusalemme, e questo è bellissimo anche per i musulmani». E in Israele? «Hanno fatto arrabbiare "il Colonnello"... Ci siamo sposati a Cipro perché non esiste il matrimonio civile, Yigal ha riconosciuto la bambina. Però per ottenere la cittadinanza di Hili abbiamo dovuto fare un esame del Dna di padre e figlia... per essere sicuri che sia sua. Piuttosto umiliante, no?».
Anna non perde il buon umore, fa battute dissacranti, usa l'arma dell'ironia. «In questo sono molto israeliana, ebrea e israeliana». Chapeau. Tanto di cappello. È così che si diventa insegnamento per le società che vogliono divenire aperte e libere. Abbassa lo sguardo. Cita il giornalista e scrittore marocchino Fouad Laroui: «Vorrei insegnarti una parola. Che cosa ne pensi della seguente: individuo».
Consigli per l'integrazione? «Non esiste un modello perfetto... inglesi, tedeschi, francesi, americani... comunque sono molto più avanti di noi. Non basta mettere "il musulmano" in lista e poi stop». Paure? «La mia preoccupazione vera è il problema dei figli degli immigrati. Totalmente allo sbando, non hanno punti di riferimento. Qualcuno addirittura vuole contingentare la loro presenza nelle scuole. Certo, in tv trovano l'extracomunitario di turno, una sorta di quota stranieri. Talk show e programmi dove si cerca a ogni costo la ragazzina velata... se non porta il velo ed è intelligente? Peccato, senza velo, per antonomasia non ha nulla da dire di interessante. Così i più furbi - magari fanno pure bene - si inventano l'associazione dei musulmani rockettari o il circolo delle iper-minigonne-ma-arabe, e conquistano il loro microspazio di notorietà». Autocritiche? «Eccome. Il marocchino che viene in Italia a cercare lavoro è un poveraccio con figli da sfamare, una moglie che non sa leggere né scrivere, lui stesso è ignorante e si sente spaesato. Facile preda dei più temibili complessi di inferiorità, e di conseguenza arrogante. Vera e propria bomba a orologeria. Pronti a rivolgersi alla moschea/garage di turno, futura preda di un imam che si è improvvisato tale. Da qui al comunitarismo integralista il passo è breve. Nei loro Paesi non si preoccupavano della carne hallal, proibita, e adesso sono rigidissimi, si auto-ghettizzano... Uomini che si permettono di apostrofarmi per strada perché non sono al braccio di un marocchino». Vien da pensare che l'imminente ritorno di Anna Mahjar Barducci a Roma sia un colpo di fortuna. Chissà che questa Italia dall'integrazione/disintegrata non abbia qualcosa da chiederle.



Unar e parti sociali per eliminare le discriminazioni sul lavoro

19 maggio 2010 - Vita leggi
Intesa tra Unar. sindacati, associazioni di categoria, cooperazione
Questa mattina, presso la Sala Monumentale della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Largo Chigi 19), l'UNAR firmerà un protocollo d’intesa con le parti sociali CGIL, CISL, UIL, UGL, Confindustria, Confartigianato, Confapi, CNA, Confcooperative, Legacoop, Coldiretti, Confagricoltura, Confcommercio, Confesercenti.
I mutamenti del mercato del lavoro, dovuti anche all’aggravarsi della crisi economica, rendono necessario in maniera condivisa e partecipata, nell’ambito dell’attuale fase di rafforzamento e sviluppo delle attività dell’Ufficio, una nuova definizione di strategie di intervento per promuovere azioni positive e contrastare le discriminazioni etniche e razziali nei luoghi di lavoro.
L’obiettivo è quello di creare una cabina di regia insieme alle parti sociali nazionali con funzioni di indirizzo, coordinamento e monitoraggio delle attività oggetto del Protocollo. Con una consultazione periodica sulle attività svolte da UNAR si cercheranno, quindi, nuove strategie di promozione dello sviluppo di iniziative a livello territoriale coinvolgendo, anche, le rispettive articolazioni periferiche delle parti sociali.



Via Padova è meglio di Milano

Igiaba Scego
19 maggio 2010 - l'Unità
I bambini sanno cose che noi adulti non sospettiamo. Noi siamo persi nel luogo comune e spesso nel pregiudizio. Vi faccio un esempio. Un bambino ha partecipato insieme a maestri e amichetti ad una visita guidata ai segreti di via Padova, a Milano. Una via importante, ma che è stata abbandonata da istituzioni e media. Seguito ideale della commerciale Corso Buenos Aires, Via Padova è stata al centro di una campagna di demonizzazione. Per molti è il luogo della Milano violenta, degli immigrati criminali, dei clandestini da cacciare. Lady Moratti, il vicesindaco-sceriffo De Corato e il leghista Salvini non hanno costruito campagne di inclusione nel quartiere e hanno abbandonato ogni programma sociale ben lieti di incassare il voto di alcuni abitanti italiani del quartiere. A via Padova ci sono problemi, nessuno lo nega, ma ci sono anche ricchezze. Quest’ultime poco valorizzate. Il comune e i media hanno purtroppo snobbato ogni ricchezza, costruendo un clima da Mississippi Burning. Un clima per futuri scontri di civiltà e ghettizzazioni. Ed è qui che entra in scena il bambino. Quando gli hanno chiesto che idea si fosse fatto di questa via piena di negozi etnici e facce colorate, lui ci ha pensato un po’ e ha detto: «Via Padova è meglio di Milano». Per questo la sua frase è stata scelta per dare il titolo alla manifestazione culturale di due giorni (22-23 Maggio) che si terrà proprio nella via. Una festa per tutti fatta di convegni, musica, iniziative di vario tipo. L’ente promotore del progetto, Comitato Vivere in Zona 2, e la cordata di associazioni che credono che un’altra Milano sia possibile, hanno lavorato per realizzare per far incontrare italiani e migranti, migranti e migranti. L’idea è non agitare emergenze, ma concorrere a risolverle. Vivere e non sopravvivere. Per una Milano più bella. Per una Milano di tutti.



Inchiesta sui desaparecidos «Los ninos italiani»

Giovanni Maria Bellu
l'Unità 20 maggio 2010
La notizia è stata data il 21 marzo, a Milano, davanti a 150mila persone da un giovane uomo argentino, Manuel Goncalves: «In questa piazza potrebbe esserci qualcuno come me, qualcuno che potrebbe essere figlio di desaparecidos». In molti la intesero come una metafora, come un voler ricordare che i trentamila uomini e donne assassinati negli anni della dittatura militare argentina erano gente normale, per la maggior parte giovani che facevano politica alla luce del sole, proprio come quelli che affollavano la piazza per la manifestazione contro le mafie. Invece quella frase andava interpretata letteralmente. Manuel Gonzalves sapeva già quello che oggi l’Unità racconta: in Italia vivono dei giovani uomini e delle giovani donne nati in Argentina tra il 1976 e il 1982 che, dopo l’assassinio dei loro genitori, furono dati in adozione e che sono cresciuti senza sapere nulla.
Quanti sono? Non esiste ancora una stima precisa. Ma di certo sono tre i casi attualmente all’esame della Commissione nazionale argentina per il diritto all’identità, l’organismo governativo (dipende dal Ministero della Giustizia) nato per sostenere la battaglia de las abuelas, le nonne, di Plaza de Majo.
Las abuelas sono famose in tutto il mondo. Sono anche state candidate al Nobel per la pace. Anche se, come spesso accade nel campo della tutela dei diritti umani, questa fama planetaria è arrivata dopo anni di solitudine. La tragedia dei desaparecidos è ben nota in Italia. Non solo perché tra essi c’erano anche molti cittadini italiani (come in qualunque vicenda dell'Argentina visto che oltre un terzo della popolazione è formata dai figli di nostri emigrati), ma anche perché da noi si sono svolti e sono in corso processi contro membri della giunta militare responsabili della scomparsa di argentini con la nostra cittadinanza. Inoltre la tragedia dei desaparecidos ci è stata molto raccontata. Ne ha parlato in tanti libri uno scrittore come Massimo Carlotto, nei suoi film il regista Franco Bechis. Insomma, l’Italia è piano di Argentina come l’Argentina è piena d'Italia. Ma non sapevamo ancora che tra noi ci sono figli delle vittime della dittatura. E che, dunque, ci sono genitori apropriadores.
Sono queste due parole così stridenti hijos (figli) e apropriadores i due poli opposti della tragedia ancora in atto e della battaglia avviata tanti anni fa dalle nonne di Plaza de Majo. A volte accadeva che i bambini, quando erano piccolissimi (ma qualcuno di loro era abbastanza grande da aver potuto conservare la memoria dei fatti) fossero strappati dalle braccia dei genitori che poi venivano uccisi. Altre volte nascevano nei centri di detenzione da madri che erano state arrestate quando erano incinte e che venivano assassinate dopo il parto. In alcuni casi i “genitori adottivi” conoscevano la provenienza di quella piccola merce umana. In altri casi si trattava di coppie normali, che avevano fatto una normale domanda di adozione, alle quali veniva raccontata qualche bugia, per esempio che i genitori di quel bambino erano morti in un incidente stradale. C’è una grande varietà di casi e di storie. Basti dire che, secondo le stime, i bambini rubati sono stati 500 e che fino a ora ne sono stati ritrovati 101 come ha annunciato la presidente dell’associazione, Estela Carlotto, poco più di un mese fa a Roma.
Ne restano dunque 400. E alcuni di loro sono con noi, nelle nostre strade, nelle nostre città. Le nonne ne sono così certe che un anno fa - col sostegno dell’ambasciata argentina - hanno creato in Italia un nodo della loro rete, la «Rete per il diritto all’identità», hanno realizzato uno spot in tv e distribuito un volantino con poche parole terribili: «Sei un giovane nato in Argentina e hai dubbi sulla tua identità? Pensi che potresti non essere figlio biologico dei tuoi genitori? Cosa puoi fare se senti dei dubbi?».
Da allora è passato poco più di un anno. E ad avere dubbi sono stati molti. Le tre istruttorie in corso riguardano solo le segnalazioni più circostanziate, quelle che sono state immediatamente trasferite a Buenos Aires. Ma altre segnalazioni sono giunte in Argentina direttamente dall’Italia. In tutto le pratiche aperte sono una decina.
«Il dubbio - conferma Rosa Maria Cusmai, psicologa che lavora per lo sportello italiano della “Rete per l’identità” - è venuto a molti. Non possiamo naturalmente dire nulla che possa consentire di identificarli. Ma in generale si tratta di persone arrivate in Italia quando erano molto piccole. Non hanno avuto informazioni precise sulla loro vita in Argentina, hanno avuto la percezione di cose nascoste attorno al loro passato. Silenzi...»
Sono percorsi dolorissimi e diversi tra loro. Le storie di quanti in Argentina sono stati colpiti dal dubbio va dalla vicenda dei figli adottivi di Ernestina Herrera De Noble, una delle donne più ricche del paese, proprietaria, tra l’altro, del quotidiano Clarin, alla vicenda di Victoria Donda. I due figli di Ernestina Herrera si sono opposti all’esame del Dna, si tappano le orecchie davanti a las abuelas che dicono, col sostegno di molti documenti, che sono figli di desaparecidos. Anche Victoria Donda, quando nel 2003 le nonne di Plaza de Majo le raccontarono la sua vera storia, inizialmente non volle sentire. Temeva di non reggere al dolore della verità. Poi avviò il percorso. Seppe d’essere stata strappata alla madre che, dopo il parto, era stata uccisa in uno dei voli della morte. Decise di diventare testimone della sua esperienza.
Oggi è il più giovane deputato del Parlamento di Buenos Aires. Lo sportello italiano della “Rete per l’identità”, come racconta Jorge Ithurburu, il suo coordinatore, è diventato il punto diriferimento per quanti hanno avuto dei dubbi non solo sulla propria personale identità, ma anche su quella di familiari e parenti argentini. Un caso nuovo di genitori apropriadores è stato scoperto così. Un argentino residente in Piemonte si è ricordato di un suo zio, un militare, che verso la fine degli anni Settanta aveva annunciato che la sua famiglia si era allargata. Era arrivato un bambino. Una bambino, però, totalmente diversa dai fratelli e dalle sorelle. Un bambino biondo in una famiglia di bruni. La denuncia è stata girata a Buenos Aires. Sono state avviate delle ricerche e sono stati trovati forti riscontri. Presto l’esame del Dna darà una risposta definitiva.



Immigrati, bengalesi in piazza S. Apostoli: "Clandestini per colpa del Governo"

PaeseSera.it
"Siamo clandestini per colpa dei datori di lavoro e del Governo". Recita così lo striscione esposto da una decina di immigrati provenienti del Bangladesh che questa mattina si sono ritrovati in piazza SS Apostoli di fronte alla Prefettura per manifestare contro i procedimenti di ottenimento del permesso di soggiorno. I cittadini bengalesi hanno raccontato le difficoltà di una pratica che oramai si deve svolgere on line e denunciando episodi di varia corruzione, negligenza e poca disponibilità da parte degli operatori e dei datori di lavoro che devono disporre le pratiche.



Pace e Costituzione, i giovani colligiani hanno apprezzato gli approfondimenti

19 maggio 2010
Il cittadino online.it
COLLE DI VAL D'ELSA. Il dialogo e il confronto come uniche vie per raggiungere la pace e la valorizzazione dell’articolo 3 della Costituzione, che prevede pari dignità sociale e uguaglianza davanti alla legge per tutti i cittadini, senza alcuna distinzione. Sono stati questi i temi al centro degli incontri che si sono svolti nei giorni scorsi a Colle di Val d’Elsa, coinvolgendo, in maniera attiva e partecipe, i ragazzi delle scuole secondarie della Valdelsa.

Pace. L’incontro sulla pace si è svolto nell’ambito delle iniziative promosse dal Forum provinciale della cooperazione internazionale e della pace in occasione della Marcia che si è svolta nei giorni scorsi da Perugia ad Assisi. L’appuntamento ha visto protagonista l’israeliana Rivka Levi, impegnata nell’associazione “Combattenti per la Pace”, che si oppone fermamente alla guerra e che opera in Israele, Cisgiordania e in tutto il mondo per favorire il dialogo e la conoscenza reciproca come uniche risposte alla guerra e ad ogni forma di violenza. L’ospite ha incontrato gli studenti dell’Istituto “San Giovanni Bosco” e del liceo “Alessandro Volta” facendo vedere un video sull’associazione “Combattenti per la pace”, dove lei è entrata dopo essersi resa conto che l’unica via percorribile per raggiungere la pace è quella del confronto e del dialogo con chi è visto come un nemico. Nel pomeriggio, poi, Rivka Levi ha incontrato i cittadini nel Ridotto del Teatro del Popolo.

Costituzione. L’iniziativa sull’articolo 3 della Costituzione, invece, ha chiuso le celebrazioni valdelsane per il 65esimo anniversario del 25 aprile e ha aperto le iniziative di ColleLibro, mostra mercato di libri per ragazzi, rivolgendosi, in particolare, agli studenti delle scuole secondarie di Colle di Val d’Elsa – Istituto “San Giovanni Bosco” e liceo “Alessandro Volta” – e di Poggibonsi – polo tecnico della Valdelsa, “Roncalli e Sarrocchi”. L’incontro ha visto ospiti l'avvocato Ernesto Maria Ruffini e Valentina Brinis, entrambi membri dell'associazione “A Buon Diritto”, nata nel 2001 per porre l’attenzione su diritti riconosciuti dal nostro ordinamento, ma che spesso non sono adeguatamente tutelati. Nel corso dell’iniziativa, è stato distribuito un opuscolo, curato da Ernesto Maria Ruffini, sui lavori dell’Assemblea Costituente e sull’evoluzione che ha portato, poi, alla stesura della Carta Costituzionale. Valentina Brinis, invece, ha proposto un ragionamento più sociologico sull'articolo 3, aprendo una riflessione sull'attualità di una società multiculturale, dove vivere con l'altro non deve far maturare atteggiamenti intolleranti che sfociano in comportamenti di discriminazione sociale e culturale, andando contro i principi costituzionali fissati dall’articolo 3 della Costituzione.
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