Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri
Il mercato della sicurezza

Roberto Escobar

Se quello della politica fosse un mercato – ed è probabile che lo sia, o che lo sia diventato – si potrebbe dire che, in fatto di sicurezza, l’offerta crea la domanda.

C’è qui un capovolgimento manifesto del senso proprio dell’ordine politico: “confinare” la paura, ridurla, elaborarla, trasformarla. In altri termini, il bisogno di sicurezza dovrebbe diminuire tanto più, quanto più efficacemente la politica fosse in grado “securizzare”. Da tempo, però, tutto questo sembra valere sempre meno. In un mondo che da un ventennio s’è liberato dalla Grande Paura – quella dei due blocchi ideologici e militari contrapposti –, sono affiorate paure molto meno definibili, molto meno controllabili, e perciò molto meno “confinabili” ed elaborabili. Alla minaccia univoca della Bomba, che proprio in quanto univoca dava forma stabile ai due imperi, l’uno del Bene e l’altro del Male, se ne sono sostituite altre, più inafferrabili e angoscianti: prima la paura generica dell’invasione dei migranti, poi la paura più specifica del terrorismo islamico, e ora (almeno in Italia) quella di una minoranza tradizionalmente perseguitata come i Rom. A queste paure s’è accompagnato e sempre più si accompagna l’odio, che Adolf Hitler considerava il più certo dei sentimenti politici. E si tratta di un odio anch’esso inafferrabile, angosciante, come le paure che lo alimentano.


La macchina della paura
Non c’è più il Nemico di fronte a noi. Non c’è più il suo specchio in grado di riflettere la nostra immagine rovesciata, confermandoci per opposizione nella nostra identità, e così suggerendoci di riconoscere in qualche modo la sua. Di fronte a noi c’è un pullulare di invasori non dichiarati e subdoli, di insetti velenosi, di mostri insidiosi. Questo immaginiamo. Meglio: questo l’offerta politica – l’insieme dei programmi, e soprattutto degli slogan –, questo dunque l’offerta politica ci induce a immaginare, avendo per altro rinunciato a governarle davvero, quelle paure. E tutto avviene senza più una distinzione sicura e netta fra destra e sinistra, per usare una terminologia che a molti sembra desueta. Insomma, la sicurezza non è più solo la sicurezza: è ormai diventata la questione della sicurezza, come sempre più si dice e si scrive. E che cos’è la questione della sicurezza se non la sedimentazione nell’immaginario diffuso di un continuo lavorio della macchina della paura?
A comporre le molte “parti rotanti” di una tale macchina sono i giornali e le televisioni. Nelle immagini di queste e sulle pagine di quelli le difficoltà, le contraddizioni, gli attriti della vita sociale e politica subiscono un processo “virtuale” di semplificazione. Ossia, vengono interpretate e raccontate secondo uno schema o, se si vuole, secondo un luogo comune che le riduce al meccanismo del capro espiatorio: le difficoltà, piccole o grandi, diventano agli occhi dei lettori e degli spettatori l’effetto di una congiura, i cui attori sono di volta in volta migranti, “terroristi” islamici, Rom, o comunque poveri. Tutto questo viene fatto in parte secondo un disegno editoriale e politico consapevole, e in parte forse anche maggiore solo perché quel luogo comune garantisce più audience rispetto ad analisi accorte e complesse, e dunque garantisce e facilita carriere.
Così come oggi opera in Italia, la macchina della paura è il risultato ultimo di una semplificazione direttamente politica. Il primo imprenditore della paura e dell’odio, e dunque il primo semplificatore, è stato infatti il movimento etnistico della Lega. Dal suo linguaggio sono venute le parole e gli slogan della paura e dell’odio. Dapprima, quelle parole e quegli slogan sono stati assunti dai partiti di destra. Ma poi, anche a seguito di una profonda crisi d’identità di quelli di sinistra e centrosinistra, sono diventati appunto linguaggio diffuso ed egemone. Meglio ancora, quelle parole e quegli slogan sono diventati il luogo comune in cui opera la macchina della paura: luogo linguistico, mentale, psicologico, morale, ideologico che accomuna e rende simili tutte o quasi tutte le proposte politiche, e tutti o quasi tutti i programmi e gli slogan, anche in tema di diritti civili.


Il pubblico dei cittadini
Una tale offerta politica di sicurezza, per altro, non si rivolge ai diversi interessi, e neppure ai diversi individui. Da un lato, appunto, non sono gli interessi il suo contenuto per così dire profondo, ma le paure e gli odi. Dall’altro, non sono i cittadini o i gruppi organizzati di cittadini i suoi interlocutori. Al pari di quel che accade nel mercato propriamente detto, l’offerta di sicurezza – la questione della sicurezza, appunto – si rivolge al pubblico. O meglio – come è stato scritto in riferimento a un “oligopolista” del mercato elettorale – si rivolge al pubblico dei cittadini. C’è, in questa espressione trasparente, una commistione anacronistica fra un elemento individualistico, i cittadini, e uno olistico, il pubblico. Come non sempre si sa, una tale inquietante simbiosi è stata tipica del totalitarismo del secolo scorso (Louis Dumont l’ha indicata e analizzata nella Weltanschauung hitleriana).
Alla fine, dunque, il pubblico – soggetto  indistinto e totale – è indotto a consumare sicurezza: ossia, è indotto a orientare la sua domanda verso il prodotto più offerto, che è anche quello più elementare, e perciò più vendibile. Se così è, ne segue che gli imprenditori politici in competizione, o meglio gli oligopolisti del mercato politico devono coltivare e anche produrre paura e odio, allo scopo di coltivare e produrre consumo, e perciò consenso e voti. A questo, appunto, è orientata la macchina della paura, sia che si tratti di una scelta consapevole, sia che si tratti del risultato di semplici aspettative di carriera. Tutto avviene all’interno di un “linguaggio della paura e dell’odio” da tempo egemone, e ormai quasi unico, che si riproduce in quanto produce la potenza della macchina che lo “parla”. E ciò di cui sempre essa parla sono appunto i crimini, reali o immaginari, di categorie deboli, perseguitabili: migranti, “terroristi” islamici, Rom.


I rischi del mercato
Così dunque si spiega che, a proposito di sicurezza, si dimentichi che una parte del paese, e non solo il Sud, è nelle mani della delinquenza organizzata,  o che la criminalità finanziaria è più pericolosa di quella dei poveri, o che la precarietà del lavoro è la prima causa di insicurezza sociale. È ben più facile, e ben più produttivo, additare all’odio sociale “criminali” incomparabilmente meno forti e meno difesi. È qui, in questa dimensione simbolica e virtuale – cioè, alimentata artificialmente e con strumenti mediatici – che si sviluppa la competizione fra partiti e schieramenti. E a questo punto quel che conta è lo slogan più efficace, la proposta più platealmente securitaria, il progetto più truce. Se il fine è il consenso, e con esso la conquista di fette sempre più ampie di mercato, ogni mezzo adeguato è, in quanto adeguato, anche giustificato.
Così, ancora, si spiega il silenzio pressoché generale delle parti politiche, ma anche di quasi tutti i giornali e quasi tutte le televisioni, a proposito dei pogrom scatenati nei mesi scorsi contro i Rom, o delle azioni di polizia contro i loro campi (anche quelli regolari, e abitati da cittadini italiani). E così si spiega, infine, il silenzio a proposito dei provvedimenti governativi contro i migranti, o contro le prostitute, o contro i poveri e i deboli in genere (dalla cui presenza le città dovrebbero essere ripulite, addirittura con l’intervento dell’esercito). Naturalmente, in questo modo sono i diritti civili a entrare in rischio: i diritti civili delle vittime in tempi brevi, e quelli del “pubblico dei cittadini” in tempi medi e lunghi. Del resto così sempre accade, quando la politica si affida alla paura e all’odio, e quando il mercato diventa unico valore e unico modello.

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