Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

22 aprile 2015

Continuano gli sbarchi: 446 ad Augusta
Avvenire, 22-04-2015
Due pattugliatori della Marina militare - il Bettica e lo Spica - hanno soccorso questa mattina al largo delle coste calabre il barcone che aveva a bordo 446 migranti. Lo riferisce una nota dello Stato Maggiore della Difesa, aggiungendo che alle operazioni di salvataggio hanno cooperato due mercantili e due motovedette delle Capitanerie di Porto. I 446 migranti, tra cui 95 donne e 59 minori, sono stati tutti trasferiti a bordo del pattugliatore Bettica. In mattinata i profughi sono sbarcati nel porto di Augusta.
Un altro salvataggio ieri sera nelle acque libiche: salvi i 112 migranti soccorsi intorno alle 19 di oggi a circa 50 miglia a nord est di Tripoli. I migranti, tutti uomini, navigavano a bordo di un gommone in precarie condizioni di galleggiabilità, verso le coste italiane, quando sono stati avvistati da un elicottero e da una unità della Marina militare in pattugliamento nell'area. Su coordinamento del Centro nazionale di soccorso della Guardia costiera a Roma, sul punto è stata inviata nave Fiorillo, che ha salvato gli occupanti del gommone, successivamente affondato. L'unità della Guardia costiera dirige ora verso l'Italia, dove dovrebbe giungere stamattina. Intanto sono state fermate oltre 600 persone dirette in Italia negli ultimi tre giorni. Di questi 70 africani sono stati arrestati a Tripoli mentre erano in attesa dei trafficanti che li avrebbero stipati su un barcone diretto a Lampedusa. Altri barconi, uno con 250 persone da Senegal, Ghana e Etiopia ed di altri Paesi africani sono state bloccate poco lontando dalle coste libiche negli ultimi tre giorni.



Decine di profughi dormono in Centrale e Majorino pensa a una tendopoli
Ancora arrivi e centri di accoglienza pieni Il Comune vuole occupare gli spazi di via Corelli
Una tendopoli per i profughi
la Repubblica, 22-04-2015
ZITA DAZZI
In via Corelli verranno montate tende o container all`esterno dell`ex Cie, per accogliere i profughi che continuano a sbarcare in Stazione Centrale. Gli assessori Granelli e Majorino, convocati in prefettura ieri sera, hanno annunciato che i 180 letti dentro alla struttura non bastano più e hanno chiesto di mettere le tende per portare la capienza a 300 posti. La giunta polemizza anche con il ministro Alfano chiedendo al governo di dare al Comune anche il Cara, che si trova sempre in via Corelli, per accogliere i migranti. A PAGINA VII
NELLA sua lunga storia, il centro d`accoglienza di via Corelli ne ha viste tante. Ma dagli anni Novanta - quando sotto al sindaco Pillitteri ospitava i primi immigrati marocchini che sbarcavano a Milano - mai era diventato una tendopoli. Cosa che invece avverrà nei prossimi giorni, dal momento che il Comune ha bisogno di posti per i profughi siriani ed eritrei che continuano a sbarcare alla stazione Centrale chiedendo aiuto. Sono infatti tutti occupati i 180 posti dell`ex Cie che il Viminale ha dato in gestione al Comune per l`emergenza profughi. E così, l`assessore alle Politiche sociali Pierfrancesco Majorino ha rinnovato la sua richiesta al governo per avere in uso gli spazi dell`adiacente "Cara", il centro che dovrebbe accogliere i richiedenti asilo.
Ma il "Cara" è in fase di ristrutturazione da ormai quasi un anno e non sembra imminente la sua apertura. «Ho l`impressione che Alfano per ragioni politiche, e cioè il fatto che il Ncd è in una coalizione alternativa al centrosinistra in vista delle elezioni del 2016, decida scientemente di non aiutarci a gestire l`emergenza profughi. Il ministero dell`Intemo sa da più di un anno che l`esperienza del centro di accoglienza di via Corelli potrebbe essere potenziata. E così potremmo gestire concretamente una situazione ingestibile. Cosa aspettano?», chiede in un post su Facebook, mentre con l`assessore alla Sicurezza Marco Granelli sta già sollecitando la Protezione civile a montare tendoni o container nel cortile davanti all`ex Cie per arrivare a una capienza di circa 300 posti. Decisione presa in un vertice concluso all`ora di cena in corso Monforte. Durante le ultime notti, infatti, decine di persone hanno dormito al mezzanino della stazione centrale, dove per altro trovano l`assistenza solo dei volontari di "Emergenza Siria", ma non più la Croce Rossa o gli operatori di Gepsa. Questi ultimi, come deciso da Comune e prefettura, sono in Corelli, unico centro autorizzato a registrare i profughi di passaggio a Milano. Ma Corelli, fino a quando non arriveranno le tende, è strapieno
Anche la tendopoli allestita dalla prefettura a Bresso è al completo. Sono 480 i profughi africani arrivati dal sud e se ne attendono almeno altri 200. Per tutti è previsto il trasferimento in strutture del terzo settore nelle province lombarde, come da convenzione con lo Stato che assicura 35 euro a notte per ogni profugo assistito. Il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, di fronte a questa situazione attacca il Governo che «non ha fatto ammenda e non ha imparato nulla da tragedie come quella avvenuta a Lampedusa un anno e mezzo fa. Bisogna fare il blocco navale e campi profughi in Libia». Gli risponde il capogruppo pd Vittorio Alfieri: «Purtroppo oggi paghiamo il prezzo del dissennato intervento militare in Libia sostenuto dal governo di centrodestra di cui Maroni era ministro. Da allora non ci sono più i controlli. Ora però anche la Lombardia deve prendersi le proprie responsabilità: Maroni ha firmato a Roma degli accordi che ora deve mantenere, anziché lasciare i prefetti e i comuni ad affrontare da soli l`arrivo dei profughi». Massimiliano Romeo, capogruppo del Carroccio, insiste: «Quando c`era Maroni ministro, le vite umane si salvavano con i respingimenti che impediva agli scafisti di partire, così dovrebbe fare il governo Renzi».



L`ebollizione africana e quella mediatici
La storia del barcone maledetto e i professionisti dell`immigrazione
Il Foglio, 22-04-2015
Lo abbiamo già scritto ieri, su queste colonne, che c`è solo una scelta sensata che si possa fare per contenere l`ebollizione mortifera del continente africano, la fuga di centinaia di migliaia di persone verso l`Europa con annesse tragedie in mare: guerra ai nemici dell`ordine mondiale nei luoghi elettivi che si fanno mediatori dell`invasione selvaggia delle nostre coste, distruzione delle basi del traffico di esseri umani, con annesso finanziamento allo sviluppo e favoreggiamento di tutto ciò che possa servire a spazzare via regimi corrotti o califfi vari. Opbure si può fare l`esatto opposto, cioè predisporre un robusto "servizio taxi" (come da evocazione del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che pure ha detto di non auspicare questo scenario) fra le due sponde del Mediterraneo. Stare nel mezzo e non scegliere tra tali opzioni equivale a non voler governare davvero il fenomeno migratorio, addirittura incentivando lo stillicidio nel Mediterraneo: né Mare Nostrum né Triton, infatti, possono evitare o contenere le tragedie causate dagli incidenti in mare, anzi.
Detto ciò, esistono alcuni accorgimenti istituzionali, se non di mero bon-ton, che un paese come il nostro potrebbe seguire se solo accettasse l`idea che l`immigrazione è fenomeno complicato ma insopprimibile, dunque degno di essere gestito e non sfruttato da demagoghi di vario rito. Ancora ieri, un piccolo assaggio di quel che non va nel carosello mediatico.
L`Unhcr, organizzazione dell`Onu che si cura dei rifugiati e che in Italia ha come portavoce Carlotta Sami, di prima mattina ha fatto sapere alle agenzie che il naufragio di sabato notte che ha provocato centinaia di morti sarebbe nato da una "collisione" con la nave-cargo che stava portando soccorso. I giornali online si sono subito riempiti di ricostruzioni più o meno fantasiose. Soltanto qualche ora dopola procura di Catania ha comunicato che per ora non è configurabile nessuna responsabilità del mercantile-soccorritore, che al sicuro capovolgimento e al possibile scontro si è arrivati per Itterizia degli scafisti e per uno sbilanciamento degli immigrati impauriti. Perché l`Unhcr, invece di attendere notizie ufficiali, si preoccupa di anticipare leale di ogni tipo? D`altronde pure il procuratore di Catania, Giovanni Salvi, due giorni fa si era lasciato andare a giudizi di carattere eminentemente politico, come se la scelta fra Mare Nostrum (che Salvi preferisce), Triton o altro dipendesse da lui e non dal governo. Non servirà a contenere l`ebollizione africana, ma fermare la bolla mediatico demagogica sarebbe già un passo avanti.



Domenico Quirico: Inviato de «La Stampa», è stato capo-servizio degli Esteri e corrispondente da Parigi. Ha raccontato le tragedie africane, è affondato su un barcone di migranti nel 2011, è stato sequestrato dai soldati di Gheddafi e dai jihadisti siriani. Ha scritto numerosi saggi, tra cui il recente «Il grande califfato».
Migranti, finora dall`Europa solo errori e tanta retorica
La Stampa, 22-04-2015
Caro Quirico, sulla tragedia del mare nostrum io, comune cittadino, ho ben chiare solo due posizioni, tra loro in antitesi: quella di papa Francesco e quella di Matteo Salvini, come dire l`acqua santa e il «diavoletto». Quello che non sento e non conosco, forse perché non vivo in quei Paesi forti, bandiere della democrazia, sono i pareri di interi parlamenti e capi di Stato. Cosa pensano degli sbarchi continui di migliaia di immigrati, la regina d`Inghilterra, la cancelliera Merkel, il presidente francese Holland e altri governanti dell`Europa del Nord? Non lo sappiamo. Mentre i citati capi di Stato giganteggiano quando si tratta di difendere i loro forzieri economico-bancari, imponendo sanzioni d`ogni tipo agli Stati membri, tacciono invece e giocano a nascondino di fronte a questi irrefrenabili fenomeni migratori, che rivoluzioneranno a breve gli assetti demografici, politici e geografici dell`intera Europa, demandando di fatto l`intera faccenda a due Stati considerati generalmente ultime «ruote del carro»: Italia e Grecia. Vorrei un suo parere, caro signor Quirico, sul Grande Silenzio dell`Europa «forte». STEFANO MASINO ASTI
Gentile signor Stefano, lei evoca un fantasma. Mi parla di cose che non esistono: la politica europea, i leader europei, la coscienza europea... Suvvia! Tutte cose che bisognerà prima o poi dichiarar scadute, come merci rimaste troppo a lungo in frigorifero. Ritorno indietro di quattro anni: qualche migliaio di ragazzi tunisini che si erano sbarazzati del dittatore (da soli, non certo con l`aiuto delle democrazie dell`altra parte del mare) salirono sui barconi e iniziarono ad arrivare a Lampedusa. Viaggiai con loro, affondai con loro, gioii con loro per essere sopravvissuto. Drammi, entusiasmi, sacrifici, morti, la felicità stanca che segue i grandi dolori e le grandi lotte. E invece: gli stessi discorsi di oggi, le stesse fruste polemiche, la stessa evocazione dell`invasione, la stessa retorica. Eppure erano poche migliaia, non una migrazione di popolo. L`Unione europea nel suo complesso, e la Francia per la verità con assai più foga e sguaiataggine nel chiedere espulsioni, blocchi e pugni di ferro degli altri (l`Italia, forse per obiettiva necessità, soccorse salvò e sfamò chi arrivava) sanzionò che tutto questo non era sostenibile. Il nostro paradiso di democrazia e di diritti umani, di accoglienza e di condivisione delle vittime e dei derelitti, era certamente vero, per carità, ma era afflitto da obbligatoria avarizia, non sopportava i grandi numeri, doveva occuparsi di non far diventare meno povero chi già lo abitava. Si offrirono soldi per far sì che «gli invasori» trovassero qualche ragione per restare nel loro Paese. A molti parve una soluzione progressista e intelligente. Forse i soldi non arrivarono neppure. Fu il primo tragico errore: errore politico prima ancora che morale. Respingendo quei ragazzi dimostrammo loro che quello che predicavamo era falso o quanto meno che eravamo deboli e uniti solo nel dire no. Se lo ricordarono diventando elettori del partito islamico e qualcuno, ancor peggio, islamista.
L`Europa, allora e oggi, fa lunghe discussioni come se il mondo nascesse ora. L`Europa esiste se è quello che dice di essere, che scrive e proclama nei suoi libri fondatori, nella sua Storia faticosa e contraddittoria. E invece... Le fedi sono state sostituite da opinioni, credenze, pregiudizi, egoismi e inutilità attorno a cui le divergenze sono accanite quanto una volta le lotte di religione.
L`Europa di oggi, grandi e piccoli, del Nord e del Sud, ricchi e meno ricchi, ha come unico problema quello di far pagare i debiti a un greco insolvente: un pettegolezzo paesano! Il resto, ahimè, è retorica. Cioè parole.
www.lastampa. ft/lettere



IL 25 APRILE DEI MIGRANTI
il manifesto, 22-04-2015
Tommaso DI Francesco
Fuggono da guerra e miseria i tanti profughi disperati in balia del mare. Vorrà dire qualcosa o no il fatto che l`Occidente colto, raffinato ed economico, quello delle Borse e delle Banche, sia in gran parte responsabile di quelle guerre e di quella miseria? Oppure vogliamo mettere la testa sotto la sabbia? Guardate la geografia dei luoghi da dove arrivano in fuga: Nigeria, Mali, Niger, Siria, Somalia, Libia, Palestina (declinata solo dai campi profughi), Iraq...ecc. ecc. Non c`è una sola realtà che non veda la costante povertà della quale siamo corresponsabili - come per il Delta del Niger, una regione della Nigeria grande come l`Italia, ridotta ad una fogna di scorie e biturni «grazie» ai nostri pozzi petroliferi e a quelli delle altre multinazionali del petrolio; senza dimenticare che questi Paesi africani e mediorientali dove le popolazioni sono ridotte in miseria, in realtà sono ricchissimi di materie prime per le quali non c`è blocco navale, anzi.
CONTINUA I PAGINA 15 DALLA PRIMA
Ma questo è poco. Ognuno di quei paesi è in preda alle scellerate avanzate dell`Isis, ma grazie al terreno fertile di macerie provocato dalle nostre imprese belliche. È stata la Nato a trasformare la Libia in un cumulo di rovine senza istituzioni, dove ora si fronteggiano in armi almeno tre governi, in un territorio diventato santuario dello jihadismo per tutto il Medio Oriente. O vogliamo parlare delle magnifiche sorti e progressive della Somalia? O l`uso occidental-strumentale dei jihadisti in chiave anti-Assad per poi scoprire che hanno preso piede in due terzi dell`Iraq, li dove l`occupazione Usa - come riconosce lo stesso Obama - ha permesso l`avvento dello Stato islamico.
Fuggono da queste guerre e da questa miseria. Noi siamo co-responsabili. E invece l`Unione europea dichiara che «non può fare nulla» o peggio annuncia il rafforzamento delle operazioni di polizia a mare rappresentate da Frontex e Triton. Mentre si annunciano operazioni militari «mirate» e come, in una barzelletta, il ministro degli interni Mano annuncia che stiamo (l`Onu? la Ue?) per «bombardare i barconi» - prima coi droni che, ahimé producono solo affondamenti collaterali - poi, forse, peggio: per stroncare gli scafisti, con missioni militari e raid aerei di polizia internazionale. Ma parlare degli scafisti, che certo profittano della grande disperazione dei profughi, vuole semplicemente dire non fare nulla subito per accogliere i profughi, perché è chiaro che nulla potrà fermarli viste le immutate condizioni dalle quali fuggono. E anzi la nuova guerra che si annuncia li spingerà a nuove flighe.
Mentre si straparla di blocco navale militare. Dimenticando il massacro del 1997 della Kater I Rades - 108 albanesi affogati, donne, bambi e vecchi - speronata da una nave militare italiana ne11997. E si ciancia su tanti campi di concentramento in Africa per decidere li «chi è davvero clandestino e chi ha bisogno d`aiuto». Ma la conta dei morti dei cimiteri marini - a tanto si è ridotto il «Breviario Mediterraneo, scambio di civiltà» del grande Predrag Matvejevic - dice che solo
l`attivazione di un soccorso immediato, con corridoi umanitari e con l`istituzione di una missione di salvataggio europea, un Mare Nostrum d`Europa, può essere la soluzione. Quanto costa? Mille volte meno di quello che ci costano le spese militari, per le quali l`Italia spende 70 milioni di euro al giorno. Al giorno.
E invece, se di fronte a questo vuoto e disastro politico, facessimo del 25 aprile - attanagliato quest`armo del 70esimo da ritualità e conflitti anche il 25 aprile della liberazione dei migranti dai muri della Fortezza Europa, dalle nuove guerre e miserie, dalla condizione «clandestina» e dalle stragi a mare alle quali sono condannati? Se per ricordare e rivitalizzare la memoria della Resistenza dessimo la parola - e i contenuti sulle nuove oppressioni - ai sopravvissuti dei naufragi e ai tanti immigrati che fanno crescere il nostro Pil e la nostra demografia? Così facendo apriremmo un «corridoio» democratico. Perché sono loro che rappresentano un`ultima occasione di trasformazione democratica e umana di quésta Unione europea che, se non li accoglie, è un organismo destinato quantomeno ad implodere.



Come fermarli?
Oggi solo una barca su quattro viene distrutta o sequestrata  Il primo obiettivo: eliminarle tutte
Corriere della sera, 22-04-2015
Fiorenza Sarzanini
Pescherecci in disuso comprati in Tunisia e utilizzati per decine di traversate con a bordo centinaia di migranti. Gommoni recuperati in Libia o negli altri Paesi del Nordafrica, stipati con uomini, donne e bambini disperati. Li pagano poche migliaia di euro, li sfruttano per guadagnarne centinaia di migliaia. Per questo motivo la distruzione dei mezzi dei trafficanti di uomini viene ritenuta necessaria per indebolire l`organizzazione e tentare di stroncare l`attività criminale. In vista del vertice dei capi di Stato e di governo convocato per domani a Bruxelles, gli esperti mettono a punto i possibili piani di intervento, individuano i bersagli e le strategie. Partendo da una considerazione: bisogna agire in mare, ma si devono colpire anche le postazioni di terra con un`attenzione primaria a Misurata, diventata uno dei centri strategici degli scafisti. La diplomazia segue un doppio canale: quello che porta all`Onu per ottenere il via libera alle operazioni di polizia internazionale e quello più rapido di blitz marittimi delegati agli stessi comandanti dei mezzi che effettuano il soccorso. Anche perché sono i dati della Direzione Immigrazione della polizia italiana a dimostrare come soltanto una volta su quattro si riesca a distruggere o sequestrare il barcone, mentre in centinaia di casi i trafficanti  sono riusciti a fuggire e lo hanno poi reimpiegato per altri viaggi. Una, situazione creata anche` dall`opposizione netta del ministero dell`Ambiente che, nonostante le sollecitazioni del Viminale, ha dato parere negativo alla distruzione per i rischi di inquinamento.
Solo 259 imbarcazioni
L`osservatorio privilegiato degli investigatori fornisce un quadro preciso. Si scopre così che tra il i gennaio 20i4 e il 15 febbraio 2015 ci sono stati «tisi eventi di immigrazione illegale», ma soltanto «109 imbarcazioni sono state sequestrate e 150 affondate». Eppure le indicazioni degli esperti della polizia di frontiera «erano ben chiare» tanto che già nel luglio 2014 d`accordo con i magistrati della Direzione Nazionale Antimafia avevano messo a punto una norma da inserire nel provvedimento di rifinanziamento delle missioni internazionali per delegare al comandante dell`unità navale di soccorso e salvataggio degli stranieri «l`immersione delle imbarcazioni inferiori alle 500 tonnellate di stazza utilizzate per il trasporto dei migranti». La relazione degli investigatori era esplicita nell`evidenziare il «costante riutilizzo delle imbarcazioni da parte degli scafisti e l`impossibilità, per evitare ciò, di effettuare il rimorchio a terra a causa, delle grandi distanze e delle criticità dovute  alla presenza dei migranti».
Le strisce colorate
Sono proprio i dati a fornire la prova del reimpiego dei mezzi. Ben So viaggi sono stati effettuati «con peschereccio blu con striscia longitudinale bianca lungo la fiancata» e altri 45 con «peschereccio blu con striscia longitudinale rossa» e sottolineano gli esperti «poiché i pescherecci non escono in serie da una fabbrica si può presumere che fossero sempre gli stessi». Non solo. In decine di altri casi il mezzo degli scafisti era stato «contrassegnato in occasione del primo soccorso» e quel segno distintivo è stato poi notato durante altri salvataggi. La soluzione di cui si discute in queste ore riporta dunque all`obbligo dei soccorritori di tagliare í gommoni e utilizzare piccole cariche esplosive per mandare a fondo i pescherecci. Atti di una strategia più ampia che prevede anche «azioni mirate» nei porti così come` sollecitato lunedì in Lussemburgo dalla Gran Bretagna appoggiata da numerosi altri Stati.
I blitz sulla costa
L`azione militare non viene esclusa e potrebbe prevedere l`utilizzo di droni armati - che nessuno Stato europeo ha attualmente a disposizione oppure di blitz terrestri con reparti specializzati. In questo caso è però indispensabile il via libera dell`Onu e l`assenso del governo locale. In Libia ci sono attualmente due governi e una situazione che appare totalmente fuori controllo. Quello di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale ad eccezione della Turchia, ha preSo posizione contro i «traghetta`tori della morte» e bisognerà vedere se ciò sarà ritenuto sufficiente dalle Nazioni Unite per procedere. O se invece si preferirà attendere l`esito della missione di Bernardino León per creare un governo di unità nazionale con cui pianificare un intervento militare. Pur nella consapevolezza che i tempi non sembrano essere brevi.



La storia: «Noi, vittime dei trafficanti»
Avvenire, 22-04-2015
Matteo Fraschini Koffi
Vengono definiti i "corridoi della morte". E non è difficile immaginare perché in tanti li chiamino così. Prima di essere imprigionati nelle celle libiche, versare gli ultimi soldi che hanno ai trafficanti, imbarcarsi sui pescherecci e partire per le coste italiane sperando di sopravvivere alla traversata, i migranti africani sono costretti a passare per il Niger, snodo delle rotte della speranza, che spesso si tramuta in disperazione. Gambia, Mali, Senegal, Nigeria sono solo alcuni degli Stati dell’Africa occidentale e centrale da cui partono gli infiniti flussi di persone. Tragitti fatti in pullman, treno, auto, ma anche a piedi, quando il denaro finisce. Tutti gli sforzi hanno come meta il mare di sabbia che confina con il Nord Africa. Da circa 20 anni, infatti, le vie incandescenti che attraversano il deserto nigerino rappresentano le principali rotte di chi è intenzionato a raggiungere la Libia o l’Algeria. Ma il cammino di molti comincia spesso migliaia di chilometri più indietro, nei loro Paesi di origine.
«Ho 27 anni, 4 figli e in Senegal non riesco a trovare lavoro». Inizia così il racconto di Mohamed (nome di fantasia), ritrovatosi in un centro d’accoglienza di Agadez, la storica porta del deserto, situata nel mezzo del Niger. «Sono analfabeta e facevo l’artigiano prima di partire. In Libia – continua Mohamed – lavavo le auto. Però non sono riuscito a guadagnare abbastanza per partire per l’Europa». Dopo un periodo di circa un anno passato a Tripoli, per il giovane senegalese non è infatti stato possibile imbarcarsi per l’Italia. La guerra civile libica, intensificatasi molto durante l’ultimo anno, ha reso troppo rischiosa la sua permanenza nel Paese. Così, insieme a molti altri suoi connazionali, Mohamed si è diretto verso Sud. «Questi viaggiatori hanno subito ogni tipo di abuso: fisico e psicologico», afferma un recente rapporto dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), che ha raccolto tra gennaio e dicembre 2014 più di 2.800 testimonianze. Durissime realtà ascoltate presso i centri di assistenza allestiti nelle città di Agadez, Arlit e Dirkou, quest’ultima città situata nel profondo Sahara. «I migranti vivono sotto una costante pressione da parte dei loro trafficanti, che – spiega il rapporto Oim – minacciano di denunciarli alle autorità, di confiscare i loro documenti, oppure di rubare tutti i loro averi, lasciandoli privi di qualsiasi risorsa per garantirsi la sopravvivenza».
Ma in quali condizioni hanno origine questi flussi continui di persone che sognano "l’eldorado europeo"? «La principale causa delle partenze ha a che fare con la mancanza di lavoro nei Paesi d’origine come Ghana, Senegal e Gambia – afferma Bachir, residente di Agadez, che da anni vede partire anche molti suoi amici verso il deserto –. Altri, invece, scappano dalle guerre in corso in Mali e in Nigeria, luoghi in cui i conflitti civili continuano ad aggravarsi». Una volta lasciate le proprie famiglie, i migranti tendono ad affidarsi a una rete di criminali che conosce bene il percorso. In molti casi, il trafficante di turno accompagna piccoli gruppi in pullman fino ad Agadez. È lui che solitamente tratta con le guardie alle frontiere, paga i militari ai diversi posti di blocco e risolve i problemi relativi ai documenti. Superati tutti questi ostacoli, ci si installa ad Agadez, la Lampedusa del deserto, in attesa di ripartire.
Qui si formano i cosiddetti "ghetti", piccoli quartieri della città divisi tra le diverse nazionalità a cui appartengono i diversi migranti. Una specie di "capo-ghetto" tiene una meticolosa lista di chi deve ancora pagare per il viaggio o di chi ha già pagato e, a volte dopo mesi di attesa, può finalmente dirigersi verso il Nord a bordo di camion o di jeep 4x4. Le autorità del governo nigerino hanno pubblicamente denunciato l’illegalità di tale sistema formatosi negli anni, ma agire senza rischiare di violare i diritti umani delle vittime di tale tratta resta un’impresa assai complicata.
«Riuscire a smantellare le reti di intermediari, autisti, guide, funzionari corrotti, improvvisati centri di transizione e consulenti dell’immigrazione clandestina avrebbe un forte impatto sull’economia regionale di Agadez», ha spiegato l’anno scorso un diplomatico, parlando sotto anonimato, in un rapporto redatto dall’organizzazione Global Iniziative. Secondo gli esperti, è però «necessario capire quanta importanza hanno queste reti di trafficanti per le speranze dei migranti irregolari». Ad Agadez, comunque, l’atmosfera è cambiata rispetto a due anni fa, quando, dal Togo, Avvenire si era recato a verificare la situazione sul terreno nigerino. «Ormai questi gruppi di migranti tendono a nascondersi fuori città o nel deserto – racconta Bachir, raggiunto al telefono –. Quelli che vogliono andare in Libia o in Algeria non si vedono più in città, perché hanno paura di essere arrestati dalla polizia locale». Fino al 2013, secondo fonti dell’amministrazione pubblica di Agadez, «circa 2mila persone la settimana, tra nigerini e stranieri, passavano dalla regione per raggiungere la Libia». Tali cifre sono probabilmente aumentate durante l’ultimo anno.
Ad Agadez i migranti spesso attendono che le loro famiglie nel Paese d’origine, o i parenti che già sono riusciti ad arrivare in Europa, spediscano loro attraverso le agenzie di trasferimento di denaro, come MoneyGram o Western Union, la somma necessaria per continuare il viaggio. Arrivati i soldi, oppure guadagnati attraverso l’elemosina o la prostituzione, nel caso delle donne, ha avvio la traversata. Ci possono tuttavia volere mesi.
Non si contano neanche più i morti che, ogni tanto, fanno tragicamente notizia perché ritrovati dalle autorità in stato di decomposizione, coperti di sabbia o incastrati tra le rocce. Chiunque sia riuscito a superare il Sahara, ha nel suo telefonino immagini raccapriccianti di teschi, ossa o vestiti laceri e abbandonati. Nell’ottobre del 2013, quasi cento cadaveri, soprattutto di donne e bambini, sono stati avvistati poco a Nord del confine algerino con il Niger. Il camion che li trasportava si era rotto. «Molti di noi scelgono le strade meno battute per evitare i militari o i criminali comuni del deserto – ammette Abdullahi, nigerino, sui 30 anni, che ha percorso due volte i corridoi della morte –. In altri casi, invece, sono gli stessi trafficanti a derubarci di tutto e a lasciarci nel mezzo del nulla.
Una volta sono rimasto senza acqua per tre giorni». Anche Edward Okho, ghanese di 40 anni, dalla stazza massiccia, se l’è vista brutta nel deserto. «Siamo stati abbandonati dalla nostra guida e abbiamo sbagliato strada – racconta, mentre mostra un video preso con il telefonino di alcuni suoi compagni di viaggio morti lungo la strada–. Eravamo in 10, ma solo due di noi sono riusciti a raggiungere la Libia». Dopo aver lavorato per qualche anno a Tripoli come muratore, Edward ce l’ha fatta a tornare in Ghana. Sembra non rimpiangere la scelta che ha compiuto, sebbene ora guadagni 10 volte meno facendo la guardia di sicurezza nella capitale, Accra. «In Libia dovevo decidere se continuare a racimolare un po’ di soldi prima di tornare a casa o rischiare la vita per raggiungere l’Europa – conclude con un attimo di esitazione –. Oggi penso che, forse, ho fatto la scelta migliore».



Già esauriti i nuovi posti per i profughi
Viminale chiede ai sindaci di individuare una collocazione Fassino e Chiamparino scrivono al governo: «La situazione per almeno altri 5 mila profughi. Anche nelle regioni del Nord è drammatica, urgente creare una cabina di regia comune»
Il Messaggero, 22-04-2015
Valentina Errante
L`EMERGENZA
ROMA L`orrore in mare e l`emergenza a terra. E` convocato per questa mattina il Tavolo nazionale per l`immigrazione e dal Viminale potrebbe partire una nuova circolare con la richiesta ai comuni di accogliere almeno altre 5000 persone. E questa volta anche le porte delle regioni del Nord Italia dovranno aprirsi. Per il Dipartimento per le libertà civili e l`immigrazione, la requisizione dei siti rimane l`ultima ratio, l`auspicio è trovare un accordo e che l`incontro porti a un piano concordato. Intanto, dopo le polemiche che hanno contrapposto alcuni sindaci e governatori al Viminale, il presidente della Conferenza delle Regioni Sergio Chiamparino e il presidente dell`Anci Piero Fassino, hanno scritto al premier Matteo Renzi e al ministro dell`Interno Angelino Alfano, chiedendo una cabina di regia per l`emergenza profughi per «associare le diverse istituzioni» impegnate nell`accoglienza e «condividere ogni decisione». Il 28 aprile Fassino incontrerà Alfano mentre, ancora domani, è prevista in commissione Affari costituzionali del Senato l`audizione del prefetto Mario Morcone, responsabile dipartimento per le libertà civili e l`immigrazione.
LA CIRCOLARE
La circolare ai prefetti, con la quale il 13 aprile il Dipartimento sollecitava tutte le regioni a individuare siti che accogliessero i profughi, non ha di fatto trovato applicazione. Le regioni del Nord Italia hanno alzato un muro. Nelle prossime ore sarà diffusa una nuova circolare, che sollecita i rappresentanti del governo a reperire, in accordo con gli amministratori locali, 5000 posti. E saranno nuove polemiche. L`auspicio è che oggi si possa trovare un punto d`incontro ed evitare la requisizione dei siti. Di fatto, con le elezioni alle porte, lo scontro è inevitabile. E` difficile che Regioni come il Veneto aprano le porte dell`accoglienza.
IL TAVOLO
L`incontro è previsto per questa mattina alle 11. Il Sottosegretario agli Interni Domenico Manzione e il prefetto Mario Morcone puntano a un accordo. Così come punta a trovare un accordo il sindaco di Prato Matteo Buffoni, delegato dell`Anci all`immigrazione. Ma è probabile che, al di là di un`intesa di massima, la soluzione non arrivi. La richiesta dei sindaci coincide con quella di Piero Fassino e Sergio Chiamparino, che ieri hanno scritto una lettera a Renzi e Alfano per dare vita a una cabina di regia sull`immigrazione, attraverso la quale ci sia un confronto continuo tra Viminale
sindaci e presidenti delle regioni sull`accoglienza. Un piano preciso che, in linea teorica, prevedrebbe lo smistamento dei migranti nelle province e nelle regioni in base al territorio e alla densità.
LA LETTERA
«Le tragiche vicende consumatesi nel canale di Sicilia richiamano in modo drammatico l`urgenza di rafforzare strumenti e dispositivi di gestione del fenomeno migratorio, poiché l`emergenza non solo non appare ridursi, ma è prevedibile si protragga ancora nel tempo, sentiamo l`esigenza di un più stretto coordinamento operativo del Governo con Regioni e Comuni, che sono chiamati a gestire accoglienza, smistamento e integrazione dei profughi». Così scrivono nella lettera inviata a Renzi e Alfano, i presidenti della Conferenza delle Regioni e dell` Anci, Chiamparino e Fassino. «Così come hanno fatto le amministrazioni dello Stato, anche Regioni e Comuni hanno fatto la loro parte e intendono continuare a farla. Ma proprio per rendere tale impegno il più efficace possibile riteniamo di assoluta utilità e urgenza dare vita ad una cabina di regia che, associando le diverse istituzioni impegnate, consenta di condividere ogni decisione e la loro gestione».



Un Mare Nostrum europeo per evitare altre stragi in mare
L'Huffington Post, 22-04-2015
Loris De Filippi
Presidente di Medici senza frontiere Italia
La strage di migranti nel Canale di Sicilia è una tragedia senza fine, alla quale tutti noi dobbiamo rispondere. Medici Senza Frontiere ha deciso di agire e andare per mare con due imbarcazioni che partiranno a maggio nel Mediterraneo centrale, nel tentativo di salvare più vite possibili.
Riteniamo anche che sia doveroso richiamare l'attenzione dell'Europa alle proprie responsabilità. Stiamo scavando una fossa comune nel Mediterraneo! Di fronte a migliaia di disperati in cerca di protezione sul continente, gli Stati Membri dell'Unione Europea chiudono le frontiere costringendoli a rischiare la vita in mare.
In questo momento è estremamente necessario un Mare Nostrum europeo, cioè l'avvio urgente da parte degli Stati membri di attività di ricerca e soccorso in mare su ampia scala, per evitare altre morti nel Mediterraneo. Lo chiediamo con forza, perché solo così sarà possibile evitare altre tragedie. Solo questo, oggi, veramente conta.
Tutte le forze politiche in Italia dovrebbero fermarsi per un attimo, smettere di sfruttare la situazione dei migranti per brame elettorali e riflettere su come si può intervenire oggi per agire nel più breve tempo possibile.
L'appello di Medici Senza Frontiere è rivolto anche all'opinione pubblica, a tutti voi che entrate in contatto con noi: seguite la nostra campagna #milionidipassi e aiutateci a dare voce alle persone che tentano di raggiungere le nostre coste, fuggendo da guerre, violenze e persecuzioni.
51 milioni. Questo è il numero di chi fugge nel mondo. Davanti a un fenomeno di dimensioni così allarmanti è necessario un cambio di passo da parte di tutti: sono persone che non cercano di "assediare" la nostra penisola o l'Europa, cercano solo di salvarsi la vita. Salvarli. Oggi solo a questo dobbiamo pensare.



Costituzione della Repubblica
Art. 10
«Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica».
Repubblica 22-04-2015
L’amaca di Michele Serra
QUANDO c’era la cosiddetta “cortina di ferro” scandalizzava, giustamente, l’impedimento a viaggiare liberamente di chi viveva sotto il comunismo. Alcune fughe da Berlino Est, nelle intercapedini più assurde, ci sembrarono epopee straordinarie. E quando, navigando al contrario, un ragazzo tedesco atterrò col suo piccolo aereo sulla Piazza Rossa, la sua lieve traiettoria ci parve un monumento alla libertà.
Ora esista una mezza umanità, quella — lo dico grosso modo — che vive nel Sud del mondo e specialmente in Africa, alla quale il viaggio come normale pratica di vita è interdetto. Per povertà ma non solo (i loro passaporti valgono zero, i loro diritti anche meno di zero) possono mettersi in viaggio solo rischiando la vita, taglieggiati da criminali, derubati da predoni, torturati da svariate specie di sgherri e infine, se riescono ad approdare qui nel “mondo libero”, trattati da deplorevoli accattoni se non da subdoli criminali. Per capire che cosa significa “viaggiare” oggi per un africano, e soprattutto che cosa significava fino a pochi anni fa, raccomando a tutti di leggere (sull’Internazionale, www.internazionale.it) il racconto lucido e implacabile della scrittrice Igiaba Sciego, italiana di origine somala. «Sei alla mercé di un destino nefasto che ti condanna per la tua geografia e non per qualcosa che hai commesso».



Dal suk al bordello i mille volti di Mineo, la città dei profughi fuggiti dall'inferno
Il centro d’accoglienza. Nell’ex residence destinato ai militari americani trasformato in struttura per i richiedenti asilo: qui convivono i superstiti dell’ultimo naufragio e i trafficanti di uomini che si nascondono tra i disperati. Una babilonia di lingue e di costumi “Non abbiamo più storie da raccontare perché il mare ha cancellato anche il nostro passato”
la Repubblica, 22-04-2015
ATTILIO BOLZONI
MINEO - Un passo, solo un passo e siamo già in un mondo che è un altro mondo. Abbiamo appena attraversato il confine, intorno non c'è più nulla che possiamo riconoscere o spiegare, davanti a noi ci sono soltanto loro, solo gli schiavi rimasti vivi. L'ultimo è diventato stanotte l'abitante numero 3241 di una città in mezzo al niente, la nuova casa italiana di quelli con la pelle nera.
Sembrano fantasmi, vagano di qua o di là, s'infilano nei sentieri polverosi e scompaiono fra le zagare, ricompaiono all'improvviso sorridenti o incarogniti, urlano, si ammutoliscono, pregano, bestemmiano, inseguono cani e si fanno mordere dai cani, si stendono al sole, comprano e vendono felpe, treccine, zucchero, detersivi, schede telefoniche e anche fumo per stonarsi. Ci sono ragazze che piangono e ce ne sono altre che battono, la strada per Palagonia è un casino a cielo aperto.
Ma cos'è questo luogo oltre le nostre frontiere conosciute che si ostinano a chiamare "Residence degli Aranci " e che è sperduto nella campagna siciliana? Cos'è questo mega-villaggio un tempo costruito a misura e gusto dei marines di stanza a Sigonella e che nel 2011 Berlusconi e Maroni hanno voluto trasformare nel centro governativo di accoglienza per richiedenti asilo più grande d'Europa, villette a schiera che da lontano luccicano come un resort a cinque stelle e da vicino fanno venire i brividi? È inferno o paradiso il Cara di Mineo, è deserto o bazar questo domicilio coatto per naufraghi e negrieri, sventurati e miracolati, vittime e carnefici?
Un passo e il giorno dopo ci siamo entrati dentro, il giorno dopo la "tragedia" (che brutta parola, come se fosse avvenuto tutto per caso, per fatalità) degli 850 o dei 900 ingoiati dal mare fra la Libia e l'isola di Malta, un altro viaggio e un altro massacro di massa. I resti li scaricano qua. Resti umani.
Il cancello, la sbarra di ferro, il reticolato, i soldati che imbracciano i mitra, i mezzi blindati e poi la Constitution Avenue che dopo una curva ti porta sull'Intrepid Lane, la strada principale della città in mezzo al niente che ha mantenuto la segnaletica della sua disciplinata base militare statunitense. Scritte blu tutte in inglese e poi il disordine, l'ammasso, la confusione di voci e di odori, cibi, spezie, tanfi, ventinove etnie, duecento tribù, una lingua diversa a ogni metro, la babilonia di Mineo in una tranquilla giornata di primavera quando comincia o finisce la solita conta dei vivi e dei morti.
Ogni casa è un numero a quattro cifre che comincia con un 1, ogni numero è una famiglia siriana o somala, del Ghana, del Niger, dell`Eritrea, un piano per i fratelli e un altro piano per gli amici, profughi dello stesso paese o della stessa regione, ogni villetta -ce ne sono 404 -color ocrapallido o arancio è 160 metri quadri, tre bagni per dodici uomini o per dodici donne, tanti popoli mescolati in un solo popolo. Alle 4 del mattino del 21 aprile del 2015 sono quei tremiladuecentoquarantuno. Compresi ventinove bambini con meno di tre anni. Compresi gli ultimi diciotto superstiti trasportati da Catania.
Ibrahim, che giorno è oggi? «Come ieri e come sarà domani, per me è uguale sempre», risponde l`egiziano che si è accucciato sotto il cartellone della sala ricevimenti «La Rondine», la provinciale 417 segue per un pezzo il reticolato del Cara e poi si perde tra gli agrumeti.
È o forse sembra una giornata come tutte le altre. Solo a metà dell`Intrepid Lane c`è qualcuno che sorveglia qualcun altro. Alla casa numero 1041 ci sono i diciotto nuovi arrivi. E c`è anche lui, Sibibe, ragazzo che viene dal Mali e che non ha nemmeno vent`anni. Non ha più niente dopo la traversata Sibibe. Ha perso tutto, parenti e amici. Dice: «Non ho storie da raccontarvi, dopo quel viaggio nemmeno io ho più una storia». È Sibibe l`ultimo abitante censito al Cara di Mineo, l`ultimo schiavo sopravvissuto.
È rintanato nella sua nuova casa italiana mentre da li entrano ed escono psicologi e interpreti, medici, generosi volontari. Intorno nessuno sembra interessato a Sibibe e ai suoi amici, la vita degli altri scorre come ogni giorno da un mese o da un anno, tutti rinchiusi a tempo «indefinito» aspettando una carta per la libertà. Come per Adesua e per sua sorella Gift, nigeriane che sono ammucchiate con altre undici donne nella palazzina numero 1050. Come per Osaze e per Guidar, senegalesi che cinque sbarchi fa hanno conosciuto l`Italia dietro le reti e fra i soldati di Mineo.
È un caravanserraglio con tante regole e con nessuna regola, pulito e sudicio, spettrale e colorato, miserabile e insieme dignitoso, bivacco di resistenza umana dopo il mare che si è portato via già tanto. C`è tutto quello che serve ai suoi abitanti. Il barbiere è in una baracca di fronte alla casa 1051, il suk dei pachistani -il più fornito, con il the, lo yogurt, i biscotti, i pistacchi, lo shampoo - è un po` più avanti, ci sono duebimbiche giocano su una giostra rossa e un altro che è sullo scivolo, c`è un meccanico di biciclette, c`è qualcuno che dà calci a un pallone. C`è tutto e c`è niente nella terra di nessuno del Cara di Mineo, info point e brodaglie che bollono nei pentoloni, le antenne paraboliche, qualcuno le compra e qualcun altro le ruba. E poi la moschea, un grande tendone vicino alla Bain Bridge Court, che a mezzogiorno è vuota. Come è vuota anche la piccola chiesa davanti allo spaccio. Sono già tutti a mensa, oggi riso in bianco e petto di pollo, di sera pasta al pomodoro, patate fritte e frutta. Sono già tutti in mensa quelli che restano dentro, gli altri sono sparsiper la campagna. Soli °infila indiana, controsole sembrano ombre che inseguono altre ombre verso il bivio di Scordia o in direzione di Militello Val di Catania, verso Caltagirone. E dall` altra parte le nigeriane seminude, con le calze a rete e i capelli biondo platino sotto gli ombrellini per ripararsi dal sole, che sono già tutte al lavoro sulla strada per Palagonia. Non è una prigione e non è un albergo questo accampamento che è luogo di pace per alcuni e di sofferenza per molti altri, schiavi e schiavisti, come quei due eritrei che avevano il loro quartiere generale del malaffare proprio qui al Cara. La polizia li ha arrestati ieri l`altro Gurum Miluhbar e Goitam Netsai, «eritrei nati il 4/4/1974 e l`11/1/979, entrambi domiciliati presso il residence degli Aranci di Mineo». Domiciliati. Suggestivo come linguaggio burocratico. Loro facevano anche entrare clandestinamente altri migranti qui dentro - che prelevavano da ogni provincia della Sicilia- e poi li spremevano, li dissanguavano, prima difarliripartire per il nord Italia e lier l`Europa. Una cosca, tutta interna. Mafia eritrea. Piccola mafia, spiccioli al confronto degli interessi e della puzza di Mafia Capitale arrivata fin qui con quegli appalti milionari pilotati dall`«insospettabile» Luca Odevaine, quello che ha tre o quattro nomi e che faceva politica in Campidoglio. Altri maneggi hanno portato guai anche a Giuseppe Castiglione, grande amico di Angelino Alfano e sottosegretario del governo Renzi.
«Ministero dell`Interno», c`è scritto sul grande cartello-rassicurazione o minaccia?- davanti alla sbarra di ferro che porta all`accampamento. «Campu», lo chiama Emanuel, un ganiano che esce alla mattina alle otto e torna di sera alle otto: «Rientro sempre, non so dove andare, faccio ogni giorno la stessa strada, avanti e indietro, avanti e indietro». Avanti e indietro. Avanti e indietro come abbiamo fatto noi dalle 8 del mattino - proprio come Emanuel - per provare a raccontarvi cos`è il Cara di Mineo, deposito di carne umana preferibilmente nera, obbligatoriamente da sbarco, necessariamente da ospitare. Questa zona della Sicilia fra la piana di Catania e la parte occidentale dei Monti Iblei comprende una quindicina di comuni e si chiama Calatino. Ci sono manifesti dappertutto, dentro e fuori dal Cara di Mineo. Sono tutti uguali: «Calatino terra di accoglienza».



Carcere, bidonville o lotteria: così accoglie il resto del mondo
Avvenire, 22-04-2015
Le recenti tragedie dei migranti nel Mare Mediterraneo ripropongono un ripensamento delle politiche di accoglienza. Qui di seguito una scheda sulle politiche adottate dai diversi Paesi del mondo.
AUSTRALIA. È meta di barconi provenienti da Iraq, Iran, Pakistan, Afghanistan, Sri Lanka, Cina, Somalia, Sudan, Myanmar e Vietnam. La maggiore parte dei barconi lascia l’Indonesia con destinazione Christmas Island, a circa 345 km a sud di Giava, dove esiste un centro di detenzione per i richiedenti asilo. Molti arrivano senza passaporto, rendendo difficile il rimpatrio. Da luglio 2013 Canberra rifiuta di concedere permessi ai rifugiati via mare.
INDONESIA. Sbarcano migranti da Afghanistan, Iran, Myanmar, Sri Lanka e Paesi mediorientali. La meta è l’Australia. La sua geografia, con migliaia di isole, fa dell’Indonesia uno dei principali Paesi di transito. Giakarta non ha siglato nel 1951 la Convenzione sui rifugiati Onu e non riconosce la condizione di rifugiato, né concede asilo. Ospita 13 centri di detenzione.
MALAYSIA. Vi approdano migranti da Myanmar, Sri Lanka, Pakistan, Somalia, Siria, Iraq, Iran, Afghanistan, Yemen e Sudan, sempre con destinazione Australia. L’arresto e la detenzione sono le risposte del governo di Kuala Lampur. Non esistono campi di rifugiati e la maggior parte degli oltre 100mila migranti vive in bidonville. Non possono lavorare e i loro figli non hanno diritto a frequentare la scuola.
INDIA. Vi giungono principalmente cingalesi, accolti in campi di rifugiati e possono anche lavorare.
BANGLADESH. Ospita migranti dal Myanmar, con destinazione finale il Bangladesh. I più fortunati vivono in campi con scuole ed ospedali, mentre la maggior parte si perde nelle periferie delle città.
USA. Negli Stati Uniti d’America esiste la lotteria degli immigrati, che - pagando una quota - sognano che il loro nome venga estratto. La prima legislazione sull’immigrazione è del 1790. Negli ultimi due secoli si sono susseguite norme per fermare il flusso di migranti e per fissare delle quote. Nel 1952 viene creato un Servizio per la Naturalizzazione e l’Immigrazione.
CINA. Nel 2013 Pechino ha varato una nuova legge sull’immigrazione che rende più dure le punizioni per gli stranieri che entrano illegalmente nel Paese, che rischiano la detenzione.
RUSSIA. Nel 2002 ha varato una legge federale sullo stato legale dei cittadini stranieri, in base alla quale chiunque varchi la frontiera del Paese deve ottenere un documento valido di immigrazione. Per richiedere un permesso di soggiorno lavorativo si deve provare di avere già un’offerta di lavoro. Se entro 90 giorni la richiesta non viene accettata gli immigrati devono immediatamente lasciare la Federazione, pena l’arresto e la conseguente deportazione.
Per quanto riguarda i Paesi di partenza, i rifugiati dal
VIETNAM hanno come destinazione finale gli Usa, il Canada (che ha una delle legislazioni più morbide) e l’Australia. Il più grande esodo di massa, quello dei boat people iniziò nel 1978, due anni dopo la fine della guerra in Vietnam, con centinaia di migliaia di persone in fuga. Agli inizi degli anni Ottanta ne seguì una nuova ondata. La maggior parte di loro approdarono inizialmente a Hong Kong e in altre nazioni del sud-est asiatico che hanno creato campi di accoglienza ad hoc.



Lo sguardo di quei ragazzini deve essere il nostro. Non possiamo più ignorarlo
L'Huffington Post, 22-04-2015
Valerio Neri
Direttore Generale di Save the Children Italia
Stanotte li abbiamo incontrati, erano quattro e ci hanno detto di avere 17 anni e di provenire dalla Somalia e dal Bangladesh. Secondo i loro racconti, a bordo della nave erano tra le 800 e le 850 persone e tra di loro c'erano circa 60 adolescenti che viaggiavano nei due piani superiori del peschereccio e di cui ora non si hanno notizie. Non sappiamo se sulla nave ci fossero donne e bambini, loro non ne hanno visti nei piani superiori, ma non possiamo escludere che fossero stipati nei piani inferiori e si siano quindi inabissati insieme al peschereccio.
A al di là dei loro racconti, quello che ci ha colpito profondamente è stato il loro sguardo. Negli occhi e nelle parole di questi ragazzini abbiamo visto il terrore di quello che hanno vissuto. Lo sguardo di quei ragazzi è quello che ognuno di noi deve immaginare di incrociare in ogni momento, per non dimenticare. È lo sguardo di cui il mondo politico deve tenere conto in ogni sua decisione. È lo sguardo che i capi di Stato che si incontreranno dopodomani al vertice europeo non possono più ignorare.
C'è bisogno di un'azione concreta e immediata per dare una risposta a quegli occhi terrorizzati che abbiamo incrociato sul molo di Catania stanotte e rafforzare Triton non è una risposta sufficiente, fino a che non avrà un mandato specifico e delle reali e concrete capacità di ricerca e salvataggio in mare. Per questo motivo Save the Children ha lanciato una petizione internazionale. La risposta è una Mare Nostrum europea e dobbiamo chiederla a gran voce subito.
Giovedì si terrà il vertice straordinario dei Capi di Stato dell'Unione Europea che deciderà della vita e della morte di migliaia di persone.
Fino a oggi, dall'inizio del 2015, sono morte circa 1600 persone nel Mediterraneo. Tutto questo è inaccettabile e intollerabile. Dopo la drammatica tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013, in cui si erano contati 366 morti, i politici e le istituzioni avevano detto: "Non succederà mai più". Ma uomini, donne e bambini, in fuga da guerre, fame e violenze, continuano a morire in mare.
Perché, di nuovo? #WhyAgain? Ogni giorno che passa è una grave responsabilità in più della politica. E con l'arrivo della buona stagione le partenze dalla Libia sono destinate ad aumentare. Non possiamo più aspettare: è necessario mettere subito in campo un'operazione europea di ricerca e soccorso nel Mediterraneo con risorse adeguate e personale specializzato. È inoltre necessario prendere in considerazione la possibilità di un meccanismo di collocazione dei richiedenti asilo e profughi nei vari Paesi membri dell'UE.
Dobbiamo dare una risposta agli sguardi quei ragazzi e dobbiamo supportarli nel percorso difficile che dovranno affrontare nei prossimi mesi. La politica europea, ma anche quella italiana, non può più perdersi in discorsi teorici e deve affrontare subito anche il tema dell'accoglienza: i minori non accompagnati nel nostro Paese sono sempre di più e in Parlamento è ancora bloccata una proposta di legge bipartisan redatta da Save the Children per la loro accoglienza e protezione.
Un paio di giorni fa, di fronte alla notizia dell'ennesimo terribile naufragio, avevo scritto "Non possiamo più stare a guardare". Ora è tempo di agire, tutti.

 

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