Se i «traumatizzati» devono fare a meno dell’ambulatorio

 

Osservatorio Italia-razzismo 20 marzo 2012      
Nei primi giorni di marzo ha chiuso i battenti l’Ambulatorio per le Patologie Post-Traumatiche e da Stress dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma. 
L’attività lì svolta era quella dell’ascolto e della tutela della salute e della riabilitazione di persone sopravvissute a gravi e specifiche patologie, emerse come reazione agli abusi e alle violenze subite nel Paese d’origine o durante il viaggio verso l’Italia. Un’attività preziosa svolta sin dal 2004, anno di inaugurazione della struttura. L’Ambulatorio era frutto di una convenzione con la Commissione Nazionale Asilo (oltre che Centro di coordinamento nazionale della rete NIRAST, “Network Italiano per i Richiedenti Asilo Sopravvissuti a Tortura”) e la sua chiusura è avvenuta proprio allo scadere di questo accordo.
Sono numerose le associazioni e le organizzazioni che dal momento della chiusura si sono mobilitate per far valere l’importanza di un servizio del genere in Italia, dal momento che qui, a proposito di rifugiati, viene spesso trascurato un dettaglio (si fa per dire): ossia che si sta parlando di persone che provengono per lo più da Paesi in stato di guerra e di guerra civile, in cui si sa, il rispetto dei diritti umani non è una priorità.
La chiusura dell’Ambulatorio, per la funzione che esso svolge nel campo specifico della riabilitazione e cura delle vittime di tortura e traumi estremi, rappresenta un preoccupante vulnus nel fragile sistema di protezione, sottraendo risorse preziose e indispensabili ad ottemperare agli obblighi assunti dall’Italia in quanto firmataria della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati. Obblighi incorporati, peraltro, nell’ordinamento giuridico e legislativo italiano.
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