Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

04 novembre 2014

Ecco come l’Austria rimanda in Italia i migranti
L’odissea di quanti, dopo essere sbarcati in Italia, tentano di varcare il confine ma vengono sistematicamente rimandati indietro
Corriere.it, 04-11-2014
Jacopo Storni e Majlend Bramo
BRENNERO (CONFINE ITALIA – AUSTRIA) – Con la mano si tocca la pancia. Dolore forte, gastrite di paura. E’ la terza volta che sale su questo treno. Direzione Monaco, sogna la Germania. Potrebbe andare bene, stavolta. Oppure no, potrebbe andare come tutte le altre volte. Potrebbe tornare indietro, Abdullah, respinto in Italia dalla polizia austriaca. Polizei, l’incubo dei migranti, quelli che, sbarcati in Sicilia, vogliono arrivare in Germania, Olanda, Svezia, Norvegia. E che, sistematicamente, vengono bloccati al Brennero, non appena il treno della speranza supera il confine. Catturati e riportati in Italia, al punto di partenza. Decine ogni giorno, centinaia al mese.
Eritrei, siriani, somali. Tanti bambini. Reduci di traversate, tra le dune, tra le acque. La fatica nelle gambe, i sogni nel cuore. Un sacchetto di plastica come valigia, un futuro da costruire. Lontano dalla guerra, con una felpa e una maglietta sulla pelle, nulla più. Ma qui fa freddo, fa freddo quassù al Brennero, qualcuno trema. Non è il Sahara, non ci sono i trafficanti di uomini, ma c’è chi li respinge alle frontiere d’Europa, ai confini della nuova cortina di ferro. Alla stazione del Brennero, Abdullah sceglie il treno delle 20 verso Monaco. Binario 7, 20 euro alla biglietteria elettronica. Viaggia insieme ad altri 17 profughi, eritrei e siriani, tutti col biglietto. Mentre salgono sul treno, perdono un dettaglio importante e non vedono che, mentre il capotreno fischia, sull’ultima carrozza salgono anche loro, due agenti della polizia austriaca. Proprio qui, alla stazione del Brennero, davanti alla nostra Polfer, inerme. Abdullah si annida nello scompartimento, mugola sofferenza, chiude la porta a vetri.
Cresce il mal di pancia, parte il treno, sferraglia sui binari. Comincia l’Austria, sale la tensione. Il treno corre, Innsbruck prossima fermata. Sguardi muti in carrozza, paure reciproche. Fuori dal finestrino i torrenti del Tirolo. Poi un rumore , improvviso, la porta che si apre, la voce inflessibile: “Polizei, passports”. Gli agenti entrano senza bussare. Abdullah mostra il biglietto del treno, ma non basta. L’Italia è il primo Paese in cui sono sbarcati e lì devono tornare. Lo dice la Convenzione di Dublino, lo impone l’Europa. E allora su: “Stand up, stand up”. Gli agenti ordinano di alzarsi. Tutti in piedi, si alza Abdullah e si alzano gli eritrei, gli uomini, le donne, i bambini. Quattro ragazzi vengono ammanettati. Il treno rallenta, ecco Innsbruck. La polizia fa scendere gli immigrati, in stazione ci sono altri agenti come rinforzi. Fuori dalla stazione, i pulmini della polizia austriaca sono già pronti, pronti a riportare i profughi in Italia, al Commissariato del Brennero. “Ogni giorno vediamo passare pulmini pieni di immigrati che vengono riportati in Italia” dicono i commercianti del Brennero, quelli che hanno il negozio sulla strada della frontiera.
Quella dogana oggi è soltanto una linea immaginaria, dove non esistono controlli. Passano le merci e passano i cittadini europei. I profughi invece no. “I numeri sono impressionanti, vengono respinti oltre 200 immigrati a settimana – dicono i poliziotti del sindacato Coisp - Questa situazione non può ricadere sulle spalle degli agenti, lasciati soli a gestire un flusso migratorio di proporzioni mai viste”. Al Commissariato del Brennero le operazioni di accoglienza dei migranti sono incessanti. Impronte digitali e foto segnalamento ad Abdullah e a tutti gli altri. E poi l’invito a presentarsi alla Questura di Bolzano per avviare le pratiche per la richiesta di asilo politico. Ma loro vogliono il Nord, hanno parenti e amici in Germania e Scandinavia. “Viaggiare non è un crimine” mormorano ripetutamente. Al Commissariato del Brennero, la polizia italiana offre loro un pasto caldo, talvolta un letto per trascorrere la notte. Prima che loro, eterni profughi, si rimettano ancora in viaggio. Verso Monaco, verso un sogno, su quello stesso treno.
Ecco come l’Austria rimanda in Italia i migranti



Unione. Dopo il monito di Merkel il governo Cameron ribadisce l`esigenza di limiti anche nella Ue
il sole 24 ore, 04-11-2014
Londra-Berlino: scontro sugli immigrati
Nicol Degli Innocenti
LONDRA
Londra si allontana da Bruxelles e Berlino prende le distanze da Londra. Mettendo in dubbio il principio della libera circolazione delle persone e dei lavoratori all`interno dell`Unione europea David Cameron rischia di raggiungere il «punto di non ritorno» che porterà all`uscita della Gran Bretagna dalla Ue. E questa volta la Germania starà a guardare senza opporre resistenza: questo l`avvertimento lanciato dal cancelliere Angela Merkel al premier britannico.
Ad allarmare la Merkel sono state le recenti dichiarazioni di Cameron sulla possibile imposizione di tetti, quote e limiti al numero di immigrati dai Paesi Ue, che secondo il cancelliere violerebbero il principio-chiave alla base del progetto europeo. Il governo tedesco vuole che Londra resti nella Ue ma non intende scendere a compromessi sulla libera circolazione, ha sottolineato ieri il portavoce della Merkel: «La Gran Bretagna deve chiarire il ruolo che intende svolgere in futuro nella Ue». Downing Street ha reagito con toni di sfida: la la libertà di movimento non può essere un «diritto incondizionato» e le regole devono diventare più «ragionevoli», ha detto ieri il portavoce del premier.
Mentre nei partiti di opposizione e sui media infuriava la polemica per il monito tedesco, è toccato al cancelliere George Osborne presentaré la posizione dei Tories e ribadire che cercheranno di limitare sia il numero di immigrati dalla Ue che il loro accesso ai sussidi statali britannici. «Agiremo in modo calmo e razionale ma sempre nell`interesse nazionale» ha dichiarato Osborne.
Il cancelliere ha minimizzato la querelle nata da indiscrezioni di stampa tedesche, definendola «una storia basata su voci su quello che Merkel potrebbe avere detto a proposito di qualcosa che Cameron potrebbe dire in futuro» e ha voluto ribadire l`unità di vedute tra i cittadini dei due Paesi. «I tedeschi comprendono l`inquietudine degli inglesi quando ci sono persone che arrivano senza lavoro da altre parti d`Europa e reclamano i nostri sussidi» ha detto.
Dopo molte vaghe dichiarazioni, Cameron si è impegnato a presentare prima di Natale una serie di proposte dettagliate sulle riforme che chiede a Bruxelles. Allo studio tra l`altro un sistema per deportare chi dipende ancora dai sussidi tre mesi dopo l`arrivo in Gran Bretagna e il possibile utilizzo del controverso "freno di emergenza" per chiudere le frontiere se l`immigrazione supera una certa soglia.
La retorica più aggressiva di Cameron nelle ultime settimane è stata dettata da ragioni di politica interna. L`ascesa di Ukip, il partito che chiede l`uscita immediata dalla Ue e promette di chiudere le porte all`immigrazione, rischia di danneggiare le prospettive dei Tories nelle cruciali elezioni del maggio prossimo. Ukip ha appena mandato il suo primo deputato al Parlamento di Westminster, grazie alla defezione di un Tory euroscettico, e presto potrebbe averne un secondo. Secondo i sondaggi infatti le elezioni suppletive del 20 novembre a Rochester porteranno alla vittoria del candidato Ukip, che con grande irritazione di Cameron è un altro transfuga dai Tories.
Nigel Farage ieri ha colto la palla al balzo e ha dichiarato che il monito della Merkel è un`ulteriore prova che non esistono compromessi fattibili sull`immigrazione e che quindi la Gran Bretagna deve uscire dalla Ue: «Non è possibile avere un menu à la carte in Europa» ha detto il leader di Ukip.



Fondi maternità. Norma anti-immigrate in Lombardia: almeno 2 anni di residenza
La giunta regionale vara i nuovi criteri per i fondi Nasko e Cresco. Va meglio del previsto: per tagliare fuori le mamme straniere, la Lega Nord voleva alzare l'asticella a 5 anni
stranieriinitalia, 04-11-2014
Roma – 4 novembre 2014 -  Diventa più difficile per  le donne immigrate accedere in Lombardia ai fondi che tutelano la maternità. Considerate, però, le premesse, poteva andare peggio.
La giunta regionale ha approvato venerdì scorso o nuovi criteri per l'assegnazione dei fondi Nasko e Cresco. Il primo dà un aiuto economico alle donne che rinunciano alla scelta di interrompere volontariamente la gravidanza, il secondo finanzia l'acquisto di generi alimentari nei primi diciotto mesi di vita del bambino. In entrambi i casi, bisogna avere un reddito particolarmente basso e, fino a oggi, essere residenti in Regione da almeno un anno.
Secondo i nuovi criteri, per accedere al Fondo Nasko servirà un ISEE fino a 9.000 €/anno per nucleo familiare di più di una persona e fino a 15.000 €/anno per donna sola gravida. Per il Cresco un ISEE fino a 9.000 €/anno per nucleo familiare e età del bambino compresa tra 0 e 12 mesi. In entrambi i casi, però, il periodo minimo di residenza regolare in Lombardia è stato alzato a due anni.
In realtà la Lega Nord, che guida la Regione, aveva intenzione di portare gli anni di residenza necessari a cinque, e così sarebbe state tagliate fuori molte mamme immigrate. Un'intenzione contrastata però anche dai colleghi della maggioranza di centrodestra.
“È un grande risultato che conferma l’attenzione di Regione Lombardia per i più fragili e deboli” commentano Luca Del Gobbo e Stefano Carugo,capogruppo e consigliere regionale del Nuovo Centrodestra. “Grazie al nostro lavoro - prosegue Carugo - siamo riusciti a scongiurare l'innalzamento a cinque anni dell'obbligo di residenza che avrebbe snaturato questo intervento”.
"La discriminazione antistranieri è per la Lega forse l'unico principio guida, e sorprende che i suoi alleati si adeguino cosi' docilmente" attaccano invece la vicepresidente del Consiglio regionale Sara Valmaggi e il consigliere Carlo Borghetti, entrambi del Partito Democratico. "Unico lato positivo e' che sia stata elevata la soglia di reddito per le donne sole e che le soglie per l'accesso ai fondi Cresco siano state parificate a quelle dei Nasko".
 


Spostamenti di confine
Mare Nostrum chiude, al suo posto Triton-Frontex
Melting Pot Europa, 01-11-14
Martina Tazzioli
Il Ministro degli Interni Alfano annuncia la conclusione dell’operazione Mare Nostrum nel Mediterraneo e il passaggio alla missione Frontex denominata Triton.
Dietro al dibattito sui costi (inferiori per l’Italia), sulle competenze (alla missione aderiscono più stati europei) e sulla zona di intervento (entro 30 miglia dalle coste italiane), si intravede la vera prospettiva delle politiche europee di regolamentazione dei movimenti di migranti e rifugiati: completare il processo di spostamento della gestione del confine e della protezione internazionale verso i paesi terzi, appaltando oltre lo spazio europeo doveri di accoglienza e protezione dei paesi dell’Unione.
Pubblichiamo di seguito una riflessione di approfondimento sulla connessione tra i dispositivi umanitari e quelli securitari che sottendono al passaggio da Mare Nostrum a Triton.
Spostamenti di confine
La decisione del Regno Unito di non partecipare all’operazione Triton preannuncia che questa sarà un’operazione europea solo a metà, mentre il blocco di una partenza di migranti effettuata ieri dalle autorità egiziane confermano il coinvolgimento di stati terzi nella missione per un funzionamento a tutti gli effetti delle pre-frontiere dell’Europa. Al tempo stesso, la ritirata della Gran Bretagna segnala ciò che in realtà cominciava a emergere già pochi mesi dopo l’inizio di Mare Nostrum: uno spostamento di confine.
Il primo, quando in inverno sono ricominciati i naufragi e i morti al largo delle coste libiche di cui, soprattutto all’inizio, era difficile avere i numeri precisi. Di fatti, il ‘buon spettacolo del confine’ messo in atto dalle navi della Marina Militare con i bollettini quotidiani di donne, uomini e bambini salvati, non lasciava spazio al non-spettacolo dei naufraghi a distanza
. Certo, in quel momento le navi di Mare Nostrum si spingevano fino in prossimità delle acque libiche ma non per questo evitavano ogni naufragio. Spostamento del confine proseguito contemporaneamente oltre il mare e la scena dei salvataggi con la strategia dell’ “umanitario a distanza” che si concretizzava nell’invio di aiuti umanitari nei paesi confinanti con la Siria, nell’ottica del “vi salviamo a casa vostra”. In fondo la stessa proposta dei canali umanitari rinnovata adesso anche dall’Inghilterra come vera alternativa alle operazioni di salvataggio in mare non fa che rafforzare, usando il vocabolario della facilitazione degli ingressi, quegli stessi presupposti escludenti su cui si fonda la politica dell’umanitario. Il canale come metafora spaziale mobilitata da governi, Unione Europea e agenzie per le migrazioni per ribadire un no a un’apertura incondizionata delle frontiere per coloro che in questo momento fuggono dalle guerre.
Ed é precisamente questa selettività della politica di asilo che coloro che provano ad arrivare in Europa mettono in crisi, a causa dell’assenza di uno spazio (sicuro) in cui stare come condizione ormai generalizzata tra chi si trova a lasciare il proprio paese. I movimenti nel Mediterraneo e i continui arrivi in Italia, mostrano che la protezione internazionale, e ancora prima la possibilità di uno spazio in cui stare, non possono essere diritti riservati a chi rientra nei criteri restrittivi dell’asilo. Ma soprattutto, l’umanitario-militare in tutte le sue mutazioni indica che è proprio il confine esercitato a distanza a impedire una critica senza cedimenti, che sia al tempo stesso fuori dalla trappola degli anti Mare Nostrum che del militare-umanitario contestano i costi del salvataggio delle vite dei migranti e i suoi effetti di ‘pull factor’ – ovvero l’ incentivo per i migranti a partire.
Di fatti, prima ancora di un’eventuale protezione umanitaria accordata dagli stati europei, la politica dei visti sposta, o meglio anticipa definitivamente il confine e i suoi effetti di contenimento. Un’equazione, in fondo, quella tra politica dei visti, illegalizzazione e viaggi a rischio della propria vita, che ormai ripetiamo da tempo e attorno a cui la stessa Carta di Lampedusa é stata scritta. Ma non vi sono scorciatoie da percorrere per mettere realmente in discussione e dichiarare inaccettabile la presa sulle vite delle migranti e dei migranti che amministra il funzionamento del confine militare-umanitario senza prevedere altra possibilità alcuna al di fuori di una mobilità eccezionalizzata, che per essere agita deve mettere a rischio la vita stessa per poi (forse) essere salvata. L’opposizione da parte di molte associazioni allo stop di Mare Nostrum e all’avvio di un’europeizzazione delle operazioni di intercettazione e confinamento come Triton si preannuncia essere, risponde al tentativo di alimentare, ancora una volta, misure securitarie e poliziesche di cui Mos Maiorum ha rappresentato il nuovo rodaggio. Già quest’ estate, del resto, il comando della Marina Militare di Roma aveva cominciato a cambiare il registro del proprio discorso: “Mare Nostrum” dichiarava “é prima di tutto un’operazione di sicurezza, che assicura una riduzione sostanziale del circuito di trafficanti. In fondo non si parla mai di Mare Nostrum in questo senso perché la sicurezza quando c’é, come noi garantiamo, non la si vede”.
Se da un lato non si può validare una critica di Mare Nostrum tout court senza trascinarsi insieme le posizioni dei migrantofobi e la chiusura di stati come la Gran Bretagna a ogni intervento di salvataggio, dall’altro quella scontata equazione tra regime dei visti e morti in mare deve essere sempre riaffermata anche ogni volta che chiediamo che le vite di coloro che sono governati come migranti vengano salvate. Il paradosso, stando ai criteri esistenti dell’asilo, di uno spazio e di una protezione per tutte e tutti coloro che fuggono da un conflitto e dunque per non avere uno spazio in cui stare, era stato già affermato in Tunisia dai migranti del campo di Choucha, adesso, dopo un anno e mezzo dalla sua chiusura ufficiale, rimasto un deserto ancora da circa 150 persone. A Choucha, nonostante l’invisibilità politica che UNHCR ha prodotto stabilendo che “Choucha non esiste piú”, i diniegati dall’Alto Commissariato sono rimasti prendendosi quello spazio, invivibile per chiunque vi abbia trascorso anche solo due ore, e rifiutandosi di andarsene proprio per rivendicare uno spazio in cui stare altrove e una protezione per tutti coloro fuggiti dalla Libia.
Il ‘passaggio’ a Triton, la trasmutazione del militare-umanitario in un nuova nuova versione delle politiche di contenimento, ci mette sotto gli occhi la capacità trasformativa della razionalità e ancor piú delle pratiche di restrizione della mobilità di alcuni e alcune. Una duttilità appunto sperimentata per due settimane con l’operazione Mos Maiorum, quando é stata data la caccia a migranti in tutta Europa. Vite da salvare in mare, adesso ormai solo a distanza, lasciando ‘pulito’ quello spazio europeo che stando alla politica della ‘giusta e misurata migrazione’, ultimamente a sud si era popolato di presenze che attendevano di riuscire a proseguire il viaggio verso il nord Europa. Gli stessi soggetti dell’umanitario che, una volta sul territorio, diventano corpi in movimento da identificare, cacciare, ed espellere. Sarebbe però affrettato concludere che si tratta di un potere che si limita a respingere gli indesiderati. Basta infatti pensare ai modelli di schedatura di Mos Maiorum che gli agenti di polizia sono stati chiamati a seguire ogni qualvolta fermino un migrante: criteri relativi al ‘chi é’ (nazionalità, genere, età, statuto di rifugiato o meno) combinati a caselle sul ‘cosa e come fa’ (mezzi di trasporto usati, rotte seguite, destinazione finale, somma sborsata per il viaggio e punto di ingresso nell’UE). Dati che, insieme a molti altri catturati da sistemi di monitoraggio e di controllo ‘real-time’ come Eurosur, vanno ad assemblare nuovi profili migratori e risk-analysis maps per dettare gli spazi e le modalità delle future operazioni di cattura, contenimento e selezione dei movimenti delle e dei migranti. Mappe e statistiche con cui gli stati provano a spiare, rincorrere e anticipare percorsi di mobilità: l’umanitario e il securitario sono in questo senso compartecipi di una politica dei numeri che prova ad avere una presa sulle vite impedendo o restringendo l’accesso al territorio europeo, la sua percorribilità o il mero stare ai soggetti dell’umanitario divenuti ben presto presenze irregolari nello spazio europeo. Di fatti, gli ibridi che si sono manifestati in questi ultimi mesi, tra politiche di respingimento e politiche di salvataggio non devono stupire e rispondono all’affannato tentativo dell’Unione europea e degli stati membri di ritrovare un meccanismo di governabilità dello spazio interno europeo. E se il Mediterraneo é certamente al centro del dibattito sull’europeizzazione o meno delle politiche di confinamento, oggi la provenienza delle persone che attraversano quel mare ci rimanda immediatamente a contesti di guerra che impongono di considerare quell’ ‘oltre confine’ come costitutivo delle stesse geografie mediterranee. In questo senso, la lotta dei rifugiati di Choucha e il loro continuare a chiedere uno spazio, disobbedendo all’ordine di sgombero a cui tra pochi giorni procederanno le autorità tunisine, non può essere considerato semplicemente a margine delle politiche europee di esternalizzazione: la lotta di Choucha, di chi da quel deserto di tende non é disposto ad andarsene fino a che un effettivo spazio non gli verrà concesso, riporta al centro della scena del buon spettacolo dell’umanitario gli effetti di confine, visibili del resto solo quando con lo sguardo ci si sposta oltre quella scena. Inoltre, rivendicare uno spazio di movimento e di esistenza é in ultima analisi ciò che ritorna in molte delle lotte attuali dei migranti in Europa ma che di fatto indicano gli stessi movimenti di attraversamento che avvengono nel mar Mediterraneo, pur senza alcuna esplicita rivendicazione.
Provando dunque a disconnettere uno dei due termini – l’ umanitario – della coppia securitario-umanitario, o militare-umanitario che sia, si rischia di riproporre il discorso sulle ‘tragedie in mare’ rispetto alla cui intollerabilità ci si trova a essere d’accordo con quegli stessi attori responsabili delle politiche di imbrigliamento della mobilità. Senza voler perdere di vista le differenze che ci saranno tra l’operazione di contenimento Triton e i salvataggi di Mare Nostrum in prossimità delle acque libiche, si può tuttavia provare a esercitare un duplice rifiuto: quello dello spostamento del confine oltre alla scena del ‘buon spettacolo’ del salvataggio e, insieme, il rifiuto di una presa umanitaria-militare sui soggetti che prolunga anche oltre gli scenari di guerra l’impossibilità di uno “spazio di esistenza” e di libero movimento. La visibilità ricercata dai migranti stessi molto spesso ormai localizzabili in mare grazie ai telefoni satellitari, insieme alla recente attivazione del safe-alarm network, che garantisce un numero di emergenza sempre attivo per i migranti in caso di difficoltà incontrate durante la traversata, deve tuttavia far riflettere sul modo in cui la visibilità dell’umanitario (il buon spettacolo del confine) viene strategicamente rigiocato. La questione sarà eventualmente capire come non schiacciare queste pratiche di appropriazione della mobilità entro forme di un umanitario sussidiario o che semplicemente si propone di agire ‘dal basso’. Una rete di supporto alle pratiche e alle lotte per la mobilità che sappia rifiutare e disobbedire prima di tutto all’eccezionalizzazione delle vite che la presa militare-umanitaria ci presenta come inevitabile



Profughi, un giovane eritreo s'è impiccato in Svizzera aspettava di essere rinviato in Italia, ma ha preferito morire
Lo riporta l'Agenzia Habeshia, che da anni denuncia i drammi dei giovani in fuga dal Corno d'Africa. E' accaduto ad Aarau, nel cantone di Argovia. Aveva 29 anni. Le vittime del trattato di Dublino che solo alcuni tribunali tedeschi sembrano difendere con sentenze che sospendono di fatto l'applicazione della legge formale
la Repubblica, 04-11-2014
ROMA - Un giovane eritreo è stato trovato impiccato in una sala del centro di detenzione per stranieri di Aarau, capitale del cantone di Argovia, in Svizzera. Lo riporta l'Agenzia Habeshia, ditretta da don Moses Zerai, che da anni denuncia i drammi dei giovani eritrei in fuga da paese del Corno d'Africa. Era in procinto di essere espulso verso l'Italia. Si trovava sul territorio elvetico per la seconda volta. Era in possesso di un permesso di soggiorno italiano, ed aveva varcato i confini della Confederazione una prima volta circa due anni fa ma, dopo un controllo dei suoi documenti, nel marzo del 2013, aveva accettato di essere inviato a Roma.
I diritti ma solo a parole. Nello scorso mese di agosto, nonostante il divieto di "entrata", è tornato in Svizzera. Fermato, identificato e condotto al centro di Aarau, era in attesa che le autorità argoviesi formalizzassero la sua seconda espulsione. Questa volta non ce l'ha fatta a sopportare la prospettiva di un rinvio in un paese dove non voleva vivere e nel quale aveva trovato solo indifferenza, ostilità, negazione dei diritti che, a parole, gli erano stati riconosciuti con il rilascio del permesso di soggiorno. Non ce l'ha fatta al punto che ha preferito farla finita per sempre. Aveva solo 29 anni.
A migliaia nel terrore di essere cacciati. Questa tragedia rischia di essere soltanto all'inizio. Ci sono centinaia, migliaia di immigrati, in gran parte eritrei come quel giovane, che vivono nel terrore di essere scacciati dalla Svizzera verso l'Italia. Per 600 di loro è già stato firmato o è in corso di istruttoria il decreto di espulsione. Tutti verso l'Italia, nonostante manchino spesso prove certe che siano arrivati proprio dal confine italiano. Si profila così, al di là degli atti formali, una enorme ingiustizia sotto il profilo etico-morale: la consegna di migliaia di disperati a un sistema di accoglienza, quello italiano, che di fatto abbandona a se stessi i richiedenti asilo anche quando abbiano ottenuto dallo Stato una forma di protezione internazionale. Un sistema che sempre più spesso condanna questi esuli a vivere in una condizione da "invisibili" senza diritti, senza casa, senza lavoro: braccia consegnate al lavoro nero e allo sfruttamento.
 "Sospendete tutte le espulsioni". Per tutto questo chiediamo di sospendere tutti i procedimenti e le pratiche di espulsione in atto dalla Svizzera. Precedenti per giustificare anche legalmente questa scelta non ne mancano. Ne citiamo due in particolare che riteniamo particolarmente significativi: uno di questi giorni, l'altro del novembre 2011. Il primo è la condanna decisa il 21 ottobre di quest'anno da parte della Corte Europea per i diritti umani, nei confronti dell'Italia e della Grecia, per la vicenda di 35 profughi bloccati e respinti dai porti di Ancona, Venezia e Bari, nel 2009, per essere consegnati alla Grecia. La Corte ha contestato all'Italia di aver proceduto ai respingimenti-espulsione, applicando rigidamente i criteri del trattato di Dublino, nonostante fosse perfettamente a conoscenza del duro trattamento riservato in Grecia a profughi e migranti e delle inumane condizioni di vita nei centri di raccolta per stranieri. Atene, a sua volta, è stata condannata appunto per la sua "politica" nei confronti degli immigrati, inclusa la prospettiva-minaccia di rimpatrio nei paesi dai quali i profughi sono stati costretti a scappare.
Le decisioni dei tribunali tedeschi. Non meno importante il secondo precedente, noto come "caso" dei dubliners: dei rifugiati, cioè, vittime del trattato di Dublino. Nel 2011 (in particolare nel mese di novembre), ben 41 Tribunali tedeschi hanno sospeso temporaneamente tutte le espulsioni verso l'Italia dei richiedenti asilo che avevano fatto ricorso alla magistratura. Si tratta di alcuni dei principali tribunali tedeschi, tra cui Weimar, Francoforte, Dresda, Friburgo, Colonia, Darmstadt, Hannover, Gelsekirchen. Alla base delle varie sentenze fu posto proprio il trattamento riservato dall'Italia ai richiedenti asilo. Trattamento documentato in un dossier costruito "sul campo" da parte di due avvocati difensori dei dubliners, dopo un viaggio fatto in varie città italiane proprio per rendersi conto di persona della situazione e raccogliere una lunga serie di testimonianze, tutte concordi nell'asserire che Roma si limita ad assicurare solo formalmente lo status di rifugiato o altre forme di tutela internazionale, perché nel sistema di accoglienza mancano quasi totalmente programmi in grado di condurre a un reale processo di inclusione sociale e di re insediamento.
Sospesa l'applicazione della "legge formale". Nell'uno e nell'altro caso si è ritenuto che andasse sospeso o comunque non applicato rigidamente il trattato di Dublino, che lega i rifugiati al primo paese Schengen al quale rivolgono la richiesta di asilo. Si è sospesa, cioè, l'applicazione della "legge formale" perché la sua applicazione si sarebbe risolta di fatto in una somma ingiustizia. Facciamo appello, allora, ad ispirarsi a questo stesso principio. In nome dell'equità, dell'etica, della vita stessa di migliaia di giovani.

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