Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

25 marzo 2010

"Brescia-stan", quando la cultura italiana incontra quella pakistana
Elisa Di Benedetto
Terrorismo, burqa, guerra. E' questo il Pakistan agli occhi degli italiani che Iqbal incontra tutti i giorni a Milano, dove vive assieme ad alcuni connazionali. Giunto in Italia nel 2002 dopo aver vissuto in Germania, Francia e Olanda, ha scelto di rimanere, nonostante il resto della sua famiglia viva in Pakistan. "Mi sento come a casa. Amo questo Paese, specialmente il sud, d'estate". Il tempo libero lo trascorre con gli amici pakistani, immigrati come lui, e il contatto con gli italiani è limitato a occasioni sporadiche. "Quando salgo in treno le donne stringono la borsetta a sé", racconta con tono tra il rassegnato e il divertito, ricordando le domande che gli vengono rivolte più frequentemente. "A volte le persone non sanno molto del Pakistan e fanno confusione con altri Paesi".

E capita che il Pakistan sconfini nell'Afghanistan, così vicino, così simile nell'immaginario comune. "Mi chiedono della guerra, della produzione di oppio, della droga. Io provo a spiegare e a raccontare quello che succede nel mio Paese, ma a volte ho l'impressione che non serva". La storia di Iqbal è la storia dei tanti Ali, Ahmad, Naveed, di gran parte degli 80mila immigrati pakistani che vivono i Italia.

Il 70% vive in Lombardia, soprattutto a Brescia, diventata "Brescia-stan", sintomo di una immigrazione che negli anni è andata trasformandosi, diventando parte integrante del tessuto sociale. "Se negli anni Ottanta l'Italia era un luogo di passaggio per gli immigrati diretti in Nord Europa, le restrizioni introdotte da Paesi come Inghilterra e Germania hanno favorito la trasformazione del fenomeno in un'immigrazione che potremmo definire fissa, sedentaria", spiega Ahmad Ejaz, giornalista e mediatore culturale pakistano, in Italia dal 1989.

A indicare che non si tratta di un'immigrazione "di emergenza", c'è l'acquisto di un'abitazione propria: "prima della crisi, 10mila pakistani hanno acquistato casa, spesso grazie a un mutuo", continua Ejaz, che conosce bene questa realtà. E' un segnale dell'intenzione di rimanere, ma anche di benessere e di una posizione sociale conquistata attraverso il lavoro. "Di solito è l'uomo a lasciare il proprio Paese e la famiglia lo raggiunge dopo qualche anno". In Italia, gli immigrati pakistani lavorano nel settore industriale, come operai, e generalmente dopo 5-6 anni si mettono in proprio avviando un'attività, soprattutto nel settore alimentare e della telefonia, con negozi di frutta e verdura, call-center e internet point. "Per loro, la possibilità di una propria attività rappresenta un salto di qualità, un miglioramneto nella posizione sociale".

Vino, donne, soldi. L'Italia raccontata in Pakistan. "Quando mio figlio ha insistito per andare in Italia, ho pensato che non l'avrei più rivisto". Dalla sua drogheria di Chakwal, villaggio rurale a 120km a sud di Islambad, Khan, 62 anni, racconta così il momento in cui 15 anni fa il figlio Aslam ha lasciato il proprio Paese per raggiungere lo zio in Italia. Aslam, che oggi ha 36 anni, ha lasciato il Pakistan grazie a un agente che chiedeva "una fortuna" per mandarlo in Italia con documenti falsi. Khan è stato costretto a cedere all'insistenza del figlio, "incantato dalle storie raccontategli dal cugino che era andato in Italia quando Aslam era ancora un bambino". "Mio nipote mi ha raccontato molto dell'Italia e mio figlio era così affascinato da queste storie che ha anche minacciato di togliersi la vita se non gli avessi permesso di partire", continua Khan, che oggi à felice per il figlio. "Per me è stato doppiamente difficile, non solo per soddisfare le richieste dell'agente, ma anche perché avevo paura che si sarebbe rovinato con il vino e le donne".

Quella del pericolo insito negli alcolici e nelle donne è un'idea diffusa in Pakistan, anche tra chi in Italia non ci è mai stato. "Ho chiesto alle persone che venivano nel mio negozio che idea avessero dell'Italia e la maggior parte di loro mi ha detto che alle donne italiane piace adescare i ragazzi asiatici con inganni amorosi e l'alcol è lo strumento che usano per farlo". Con il passare del tempo, di fronte al sostegno economico e alle visite regolari del figlio, Khan ha capito che i suoi timori erano infondati."Oggi sono più tranquillo dal punto di vista economico, mio figlio mi manda un aiuto consistente ogni mese e abbiamo costruito una bella casa grazie a lui".

Oggi Aslam ha un regolare permesso di soggiorno, è sposato con una donna pakistana e ha due bambini. Il suo desiderio è quello di aiutare i suoi nipoti a trasferirsi legalmente in Italia e Khan non è più preoccupato all'idea che i nipoti possano un giorno lasciare il Pakistan. "Mio figlio raggiungerà lo zio e non sono preoccupato che venga coinvolto in attività "immorali", aggiunge Akhtar, il fratello maggiore di Aslam. A destare preoccupazione oggi sono le notizie sull'atmosfera creatasi nei confronti degli immigrati pakistani. "Sui media ci sono molte notizie sulla situazione difficile per i musulmani in Europa e in America e questo mi preoccupa".

La situazione è tesa anche in Pakistan, "poiché gli addetti alla sicurezza fermano la gente al minimo dubbio, anche in base all'aspetto, se hanno la barba lunga come i Talebani". Akhtar, appassionato fruitore di quotidiani, telegiornali e talk-show, spera che la situazione migliori, ed è convinto che ciò sia possibile se alle persone di culture diverse viene permesso di interagire. "Il problema non sono le persone, ma i politici". Oltre i pregiudizi. Se per i pakistani l'incontro col Belpaese avviene attraverso i media e il racconto dei parenti che partono alla ricerca di un lavoro e di un futuro, anche in Italia i media hanno un ruolo fondamentale nella costruzione dell'opinione pubblica e nella percezione degli immigrati, alimentando stereotipi e pregiudizi. Ma ci sono anche esempi di convivenza fra due culture così diverse.

Dietro il ricordo di Hina, uccisa nel 2006 dal padre, dallo zio e dal cognato perché "troppo occidentale" nel suo stile di vita, c'è un Pakistan più nascosto, che arriva attraverso i sapori speziati dei fast food pakistani, attraverso i negozi di artigianato e i call center. E' qui che il confine si fa più labile e la cultura pakistana e quella italiana si incontrano. "I clienti mi chiedono del mio Paese e della mia famiglia e le donne amano gli abiti di mia moglie", racconta Abas, proprietario di sei "Pak Food" nel Veneto.

Vive a Belluno, dove è arrivato quattro anni fa per aprire una propria attività dopo aver trascorso sette anni a Prato, lavorando come operaio. "Ho visto che a Belluno mancava il kebab e così ho pensato di portarlo io, assieme ai nostri piatti". Anche lui è arrivato in Italia raggiungendo lo zio e il cugino. Anche lui ama l'Italia e gli italiani, con cui ha un rapporto di amicizia, legato anche alla mancanza di una comunità pakistana nel bellunese. L'incontro e il dialogo interculturale sono favoriti dall'impegno di enti, associazioni e persone che lavorano per aiutare gli italiani a conoscere il Pakistan e i pakistani a capire e conoscere il Paese che li ospita, integrandosi senza rinunciare alla propria identità. Ahmad Ejaz è uno di questi.

Arrivato in Italia con una laurea in comunicazione di massa conseguita all'università di Lahore ed esperienza giornalistica, oggi vive a Roma con la moglie due figli. "Combatto tutti i giorni per promuovere l'integrazione, la conoscenza, e lo sviluppo di una società multietnica", spiega, raccontando la propria attività nelle scuole, per far sì che la diversità possa essere percepita come un patrimonio comune, nel rispetto della Costituzione italiana, per illustrare fenomeno della nuova immigrazione e diffondere la conoscenza della cultura, delle tradizioni, della storia e politica pakistane.

Convinto dell'importanza di avvicinare e favorire la conoscenza tra le due culture, ha fondato un mensile in lingua urdu, "Azad", che in italiano significa "Libero". Pubblicato in 5000 copie grazie a Western Union, arriva in tutte le comunità pakistane in Italia, con notizie dal Pakistan, indicazioni utili per gli immigrati in Italia, informazioni sull'immigrazione e sulla realtà pakistana in Italia. "Non è facile promuovere e diffondere la nostra cultura, sia perché manca un programma culturale specifico dell'ambasciata, sia perché gli immigrati vivono in comunità, con pochi contatti con la cultura e società italiana". Come conferma il giornalista, che fa parte della Consulta Islamica del Ministero dell'interno, anche il rapporto tra Islam e istituzioni italiane è molto importante. "La forma di aggregazione più comune tra gli immigrati pakistani è quella religiosa, sotto la bandiera dell'Islam". Se la vicenda di Hina è ancora viva nell'opinione pubblica, in molti ignorano che nel 2009 la nazionale italiana Under 15 di cricket ha vinto gli Europei.

Un risultato inaspettato, non solo perché il cricket non è fra gli sport più praticati, ma soprattutto perché a dare lustro all'Italia è una squadra composta da un unico italiano. Dieci degli undici giocatori scesi in campo sono infatti giovani immigrati di seconda generazione, figli di immigrati provenienti da Pakistan, India, Bangladesh e Sri Lanka. Esempio di come due culture possano incontrarsi e convivere, la vittoria ha avuto anche risvolti politici, quando a settembre Gianfranco Fini ha ricordato l'evento per sostenere il diritto di cittadinanza per chi è nato in Italia, sdoganando così lo "ius soli". Come dice Akhtar, dialogo e integrazione sono possibili se c'è la possibilità di incontrarsi e interagire, se le differenze non vengono percepite come una barriera, ma come una ricchezza, partendo da un detto popolare, noto fra chi lascia il proprio Paese per costruire un futuro altrove: "rispetta e sarai rispettato".
l'Unità 25 marzo 2010





Più unioni di fatto e neonati stranieri Così cambia l'Italia
L'ultima rilevazione Istat mostra un paese sempre più «laico» Sono raddoppiati i figli nati fuori dal matrimonio
l'Unità, 25-03-2010
VITTORIO EMILIANI
La società italiana cambia, si modifica, si secolarizza, si fa multietnica. Molto al di là dei diktat della Chiesa da una parte e delle convulsioni razziste della Lega e di Berlusconi dall'altra. Così la «fotografa» l'Istat fra il 1995 e il 2008. Crescono sempre più le tanto penalizzate unioni di fatto: più che raddoppiati i figli nati da conviventi, ormai al 20 %. Nel Nord - dove la Lega si proclama tutrice della fa-miglia cattolica - balzano al 25 %, se da genitori italiani.
Per le nascite c'è una ripresa. Concentrata nel Centro-Nord. Nel Sud, invece, il solo Abruzzo non cala. A Basilicata e Calabria record negativo: - 21-20 %,. Al Centro-Nord l'Emilia-Romagna, regione ricca di servizi sociali, dove però la natalità era molto scemata, segna un + 50 %, seguita a distanza da Toscana, Umbria e Marche. Le regioni «ros-
se» dove si è costruito un rassicurante welfare locale.
Più figli al Centro-Nord, meno al Sud, e mamme sempre meno giovani. Giustamente vogliono consolidare la loro posizione professionale, l'età biologica si è spostata in avanti, la coppia pianifica di più le nascite, ecc. Così le madri hanno un'età media di 31,1 anni. Quelle al di sotto dei 25 sono meno del 9 % (oltre il 15 nelle Isole), ormai avvicinate dalle over 40, specie al Centro (7,91 %). E scendono molto - effetto dei contraccettivi - le madri minorenni (al Nord, 0,17 %). Una serie di rivoluzioni epocali.
Il capitolo stranieri. Nel decennio 1999-08, i nati con almeno un genitore straniero sono quasi triplicati (dal 6 al 17 %). Come quelli con madre e padri stranieri: dal 4 al 12,6 %. Uno su 5 è nato da stranieri in Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia, e uno su 6 in Piemonte, Umbria, Marche, Friuli, Toscana e Trento. Molto meno nel Sud. Fa eccezione l'Abruzzo. In testa alla classifica dei nati con almeno un genitore straniero c'è, al solito, l'Emilia-Romagna (dove per contro i casi di razzismo sono assai pochi, segno di politiche più attente e consapevoli) col 26,1%. Fra le province, in cima Mantova (33,5%), Prato (cinesi) e Brescia, subito dopo Piacenza (chi ne parla mai?) vicina al 31%, Parma, Modena, Reggio Emilia. La cittadinanza italiana a questi nuovi nati si pone pertanto con forza ovunque, anche in province come Macerata (26,1 %), Perugia e Livorno (24%). Altro che veti, blocchi, muri alle frontiere. Questi dati reclamano una politica civile, realistica, preveggente.
Quali le madri straniere nella coppia mista? Romene (18,4%), poi polacche (9,1%), e, a sorpresa, brasiliane e ucraine. E i padri? Albanesi e marocchini, indi tunisini, romeni (e qui si inseriscono inglesi, francesi e tedeschi). Le coppie totalmente straniere: romeni, seguiti da marocchini, albanesi e cinesi (tutti insieme, oltre il 53 %). La fertilità delle straniere? Un figlio in più (2,31 figli contro 1,32), ma tende a diminuire con l'integrazione smentendo gli allarmisti. Certo, una realtà complessa che si conosce e si affronta meglio nei centri medi e piccoli. Con maggiori difficoltà nelle aree metropolitane.







Immigrati, giro di vite sulla sanatoria "Via i condannati all'espulsione"

Circolare del Viminale dopo il caso Trieste:beffati a migliaia
la Repubblica, 25-03-2010
VLADIMIRO POLCHI
ROMA — Sanatoria col trucco. Eccolal'ultima beffa agli immigrati: colf e badanti condannate per non aver rispettato un precedente ordine d'espulsione non potranno più essere messe in regola. A sette mesi dalla sanatoria del lavoro domestico, arriva il giro di vite del Viminale.La linea dura è contenuta in una circolare, firmata il 17 marzo scorso dal capo della polizia Antonio Manganelli, che rischia di trasformarsi in un boomerang per quanti hanno sperato di far emergere un lavoratore irregolare.
La sanatoria varata la scorsa estate dal governo consentiva la regolarizzazione di colf e badanti, attraverso una dichiarazione d'emersione, accompagnata al pagamento di 500 euro. Quante domande sono arrivate? 294mila, dal primo al 30 settembre 2009. La procedura però non è filata liscia. Come denunciato da Repubblica, infatti, ogni questura ha interpretato a modo sua la sanatoria. Nessun problema per tutti quegli immigrati con un semplice decreto d'espulsione alle spalle. Le cose cambiano, invece, per quei lavoratori extracomunitari espulsi, trovati di nuovo sul territorio italiano e condannati per non aver appunto rispettato l'ordine d'allontanamento impartito dal questore. Questi ultimi possono o no essere regolarizzati? Dipende da dove si è presentato la domanda. Alcune questure hanno negato la sanatoria (come quelle di Trieste, Rimini e Perugia), altre invece l'hanno consentita.
Una situazione a macchia di leopardo, che ha indotto il ministero dell'Interno a chiarire ciò che prima chiaro non era.
Con la circolare spedita il 17 marzo a tutti i questori, il capo della polizia Manganelli sposa dunque la linea dura già adottata da alcune questure: chi ha avuto una condanna per inottemperanza al provvedimento d'espulsione non può perfezionare la procedura di regolarizzazione. La fattispecie prevista nell'articolo 14, comma 5 ter, della Bossi-Fini infatti prevede la reclusione da uno a quattro anni e quindi rientra tra quei reati per i quali è proibitala regolarizzazione. La circolare di Manganelli contempla anche delle eccezioni a questo divieto di sanatoria. Ma il giro di vite rimane. Con due effetti inevitabili e paradossali.
Chi - in buona fede - ha presentato domanda di regolarizzazione di un immigrato espulso e condannato si vede, infatti, doppiamente beffato. E con sette mesi di ritardo. Primo: non si sa come e se potrà recuperare i 500 euro versati al momento della presentazione della domanda. Secondo: di fatto, senza volerlo rischia di aver facilitato l'espulsione di quello stesso lavoratore immigrato che voleva mettere in regola, ri¬correndo appunto alla sanatoria.









Treviso e la comunità marocchina
Sì al cous cous da record in piazza Il Pd ringrazia il leghista Gentilini
Corriere della sera, 25-03-2010
MILANO — È un sincero grazie quello che la parlamentare del Pd Simonetta Rubinato ha rivolto al vicesindaco leghista di Treviso Gentilini per aver detto sì alla proposta della comunità marocchina di realizzare in città il cous cous più grande del mondo ed entrare così nel Guinness dei primati: «Stavolta dobbiamo rendergli merito, con il suo sì ha spiazzato anche il suo partito. Così si fa l'integrazione».








L'Afghanistan di Maialai Joya
NASCOSTA IN UN BURQA
Famiglia Cristiana,25-03-2010
ROBERTO ZICHITTELLA
31 anni Malalai Joya sente di non avere nulla di cui pentirsi. Non si pente di aver criticato, con parole dure, i politici afghani, il Governo e il presidente Karzai. Questo atto di coraggio nel maggio del 2007 le è costato l'espulsione dal Parlamento, nel quale era stata eletta due anni prima. Da allora vive nascosta. Indossa il burqa per non farsi riconoscere e cambia spesso di casa per non farsi scovare da chi vuole fargliela pagare.
«Ma rifarei tutto», dice, «perché sento che è giusto e perché nella mia battaglia per la giustizia, la democrazia e i diritti delle donne non mi sono mai sentita sola. Certo, nessuno è perfetto, posso aver commesso errori. Ma tutti quelli
che si impegnano per una causa fanno errori. Solo i morti non sbagliano mai». Maialai Joya ha raccontato la sua storia nel libro Finché avrò voce (Piemme).
-    Maialai, qual è la situazione dell'Afghanistan, oggi?
«Soffriamo tutti. Soffriamo per la guerra, la corruzione, la disoccupazione, la povertà. Il mio Paese ha tre grandi nemici: l'occupazione straniera, con le bombe che colpiscono i civili e fanno morire donne e bambini; ì talebani, che mantengono il loro potere sul campo; il Governo fantoccio di Karzai, pieno di corrotti e mafiosi».
-    Ma le truppe straniere, anche a costo di pesanti perdite, non vi aiutano nella lotta contro i talebani?
«Le truppe di occupazione straniere in Afghanistan sono vittime delle politiche sbagliate dei loro Governi. Mi spiace per i caduti. Le mamme dei soldati italiani morti in Afghanistan hanno tutta la mia comprensione».
-    Che cosa pensa di Obama?
«Fa la stessa politica di Bush, quella della guerra. Sono proprio delusa. L'unica differenza fra loro è che uno è nero e l'altro bianco».
-    Ci sarà mai la democrazia?
«Sì, ci credo, perché gli afghani sono fieri e orgogliosi. Ma finché ci saranno l'occupazione straniera e la legge della giungla non l'avremo mai».










Seconda generazione a quota un milione

Avvenire, 25-03-2010
DA MILANO DIEGO MOTTA
Un milione di giovani immigrati di seconda generazione. L'Italia è ormai vicina a questo traguardo, stando almeno ai dati diffusi ieri da Gfk Eurisko nel corso di un incontro riservato. I minori stranieri erano infatti 860mila il primo gennaio 2009 e, secondo le stime dei ricercatori dell'istituto, a marzo di quest'anno il numero complessivo, in forte crescita, si è assestato tra le 940mila e le 970mila unità. «È una generazione che deve ancora trovare un equilibrio al proprio interno e dentro il nostro Paese» ha spiegato Francesco Togni, uno dei ricercatori che ha coordinato il progetto. Ma la crescita delle seconde generazioni è stato solo uno degli aspetti di un lavoro qualitativo assai più ampio, che ha fotografato l'Italia 2010 vista con gli occhi dello straniero. Dopo i fatti di Rosarno e Via Padova, si è chiesta Eurisko, il clima è forse cambiato? Paure e tensioni sono destinate a crescere col fallimento delle strategie d'integrazione? A queste domande, la popolazione straniera preferisce rispondere spostando l'attenzione su un altro tema: la paura c'è, ma prima ancora che i temi della cittadinanza tocca la stabilità economica delle famiglie. Il «problema dei problemi», in altri termini, è ancora la crisi, che ha ridotto il potere d'acquisto, ha tolto posti di lavoro e in certi casi rischia di aprire, in campi come l'edilizia, una specie di competizione tra stranieri alla ricerca di nuova occupazione. La conseguenza è che le rimesse sono in forte calo, così come i consumi, mentre la riduzione del tenore di vita finora ha riguardato più gli adulti stranieri dei giovani e dei bambini. «La verità è che la recessione ha inciso sugli immigrati in modo non molto difforme da come ha inciso sulle abitudini degli italiani» ha osservato Giuseppe Minoia, presidente di Gfk Eurisko. E i casi di discriminazione e a volte di razzismo? Secondo Eurisko, la «cittadinanza economica» è una priorità maggiore rispetto alla «cittadinanza politica», tema su cui gli stranieri preferiscono tenere un basso profilo, anche perché i fatti di cronaca nera che in certi casi coinvolgono loro connazionali rischiano di minare l'immagine di normalità che invece sta a cuore all'immigrato medio.
Resta infine l'approccio nuovo alle dinamiche di spesa, da parte di quello che le imprese considerano ormai da tempo un nuovo target: confermato l'elevato utilizzo di cellulare e Internet, soprattutto da parte dei giovani, sta invece cambiando la geografia dei luoghi di acquisto di beni e servizi. Salgono i supermercati e scendono i discount, tengono i mercati etnici mentre il ruolo dei phone center, uno dei simboli della prima immigrazione, sembra ora destinato a un rapido declino.








IMMIGRATI: MARONI, VIOLENZA FRUTTO CATTIVA GESTIONE FLUSSI

La Repubblica, 25-03-2010
La violenza interetnica e' 'un elemento che ci preoccupa ma che stiamo studiando bene'. Ad affermarlo, in un intervento a Uno Mattina su Raiuno, e' il ministro dell'Interno, Roberto Maroni. Il fenomeno - spiega il ministro - 'deriva da una mancata gestione dei flussi migratori, quando si e' consentito l'immigrazione selvaggia senza regolarla e si sono creati fatalmente questi quartieri-ghetto con la presenza di varie etnie che spesso non riescono a convivere'. .






Immigrazione L'annuncio del ministro Maroni: «Nel 2010 apriremo altri dieci centri di identificazione e gli sbarchi si ridurranno del 100 per cento». Mentre il settore agricolo attende ancora l'arrivo degli stagionali
Zero ingressi, tanti Cie
Terra, 25-03-2010
Dina Galano
A pochi giorni dall'appuntamento elettorale, la lotta all'immigrazione clandestina modello Maroni riprende vigore. E irregolarità continua a far rima con criminalità. Nonostante statistiche auto-revoli abbiano ampiamente dimostrato che collegare la commissione dei reati alla crescita della componente straniera della popolazione è operazione del tutto fuorviente (un'equazione recentemente contestata anche dalla portavoce Onu per i diritti umani, Navy Pillay, durante la sua visita in Italia), ieri il ministro dell'Interno è tornato a pubblicizzare iniziative di contrasto e contenimento dei movimenti migratori. «Il 2009 - ha sostenuto il ministro - è stato il primo anno in cui sono diminuiti i reati compiuti dagli extracomunitari, perché sono diminuiti i flussi di entrata dei clandestini. Checché ne dicano i buonisti, una significati-
va riduzione della delittuosità da parte degli immigrati, che fino al 2008 è stata di segno più e nel 2009 è calata del 14 per cento». A seguire, poi, l'annuncio di nuove misure di sicurezza, tra. cui l'apertura di «almeno dieci nuovi centri di identificazione ed espulsione entro il 2010». Non si conoscono ancora i luoghi prescelti per la costruzione delle strutture, ma pare sia stato già fatto un censimento.
Probabilmente il primo Cie sarà costruito nel bresciano da dove, ieri, lo stesso Maroni ha lanciato la nuova campagna ariti clandestinità al fianco di Renzo Bossi, il figlio del leader leghista candidato in Lombardia. Una regione dove il centro di Via Corelli è stato conosciuto per le rivolte degli immigrati detenuti in condizioni disumane, per gli scioperi della fame (l'ultimo risale ai primi giorni di marzo e ha coinvolto gli immigrati detenuti in tutta Italia) e per la violenza della polizia. Per non incorrere in esiti impopolari, poi, il ministro ha assicurato il coinvolgimento di tutte le amministrazioni locali nelle fasi decisionali, garantendo che comunque «saranno luoghi lontani dai centri abitati e all'interno dei sedimi aeroportuali». Prima di isolarli, però, bisogna impedire che arrivino. L'attività principale, quella che serra le frontiere all'entrata, sarà sempre più incisiva e «l'obiettivo per il 2010 è di ridurre flussi del 100 per cento», ha indicato il ministro. Anche se non nell'immediato, perché la stagione dei raccolti è in arrivo e, come di consueto, serve la manodopera nei campi. Per questo è in preparazione il decreto flussi che però è in ritardo, come denunciato daJle associazioni di imprenditori agricoli; e la Coldiretti ieri è tornata a ribadire che «dal via libera all'ingresso di 80mila lavoratori immigrati dipende il 10 per cento dei raccolti nelle campagne italiane dove stanno per iniziare i lavori di preparazione della prima-,
vera». Si prevede, dunque, il nulla osta per 80mila persone, ma non vi è traccia della misura vera e propria, quella che permette annualmente l'ingresso di lavoratori extracomunitari. La scorsa settimana il ministro Sacconi aveva annunciato che «il decreto ricalcherà grossomodo quel¬lo del 2008». Centocinquantamila persone attese per essere impiegate dai datori di lavoro italiani e che, tranne qualche eccezione, non saliranno sul treno degli stagionali. »









IMMIGRATI: CARITAS, COMUNITA' ROMENA IN ITALIA SUPERA MILIONE PRESENZE

(ASCA) - Roma, 25 mar - Con un milione e 165 mila presenze la comunita' romena rappresenta, in questo momento, la prima in Italia e la seconda nell'Unione Europea, dopo quella turca.

E' quanto emerge dal volume: ''I Romeni in Italia tra rifiuto e accoglienza'', a cura di Franco Pittau, Antonio Ricci e Laura Timsa Edizioni (per le Edizioni Idos/Sinnos) presentato oggi presso l'Accademia di Romania di Roma.

Il volume, promosso da Caritas Romania e Caritas Italiana, propone una riflessione riassumibile in alcune tesi, la prima fra tutte e' che e' sempre piu' ''importante impostare bene la convivenza con i romeni che rappresentano un quarto dell'intera popolazione immigrata in Italia''. Una comunita', sottolinea la Caritas, spesso discriminata nel nostro paese a causa di una sua presunta affinita' con i comportamenti devianti.

''Bisogna riconoscere che nel passato - si legge, infatti, nel volume - qualcosa e' andato storto anche da parte italiana perche', partendo da odiosi delitti commessi da singoli romeni, si e' giunti a etichettare con l'aggettivo 'criminale' un intero popolo''.

Secondo i dati ufficiali, invece, si fa notare, i romeni incidono per il 24,5% sulla popolazione straniera residente e solo per il 13,8% sulle denunce presentate contro tutti gli stranieri.

''La maggior parte dei romeni - sottolinea ancora il libro - ha la ferma volonta' di integrarsi stabilmente in Italia dove sono riusciti a superare una situazione economica insoddisfacente, facendo del lavoro e dell'imprenditoria il perno principale dell'inserimento (quasi 700 mila occupati e 28 mila aziende) e mostrando un buon livello di soddisfazione e anche gratitudine e attaccamento al Paese che li ha accolti''.
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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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